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Testo: Il Natale, Manzoni

di Alessandro Manzoni
Testo:

Qual masso che dal vertice
Di lunga erta montana,
Abbandonato all'impeto
Di rumorosa frana,
Per lo scheggiato calle
Precipitando a valle,
Batte sul fondo e sta;

Là dove cadde, immobile
Giace in sua lenta mole;
Né, per mutar di secoli,
Fia che riveda il sole
Della sua cima antica,
Se una virtude amica
In alto nol trarrà:

Tal si giaceva il misero
Figliol del fallo primo,
Dal dì che un'ineffabile
Ira promessa all'imo
D'ogni malor gravollo,
Donde il superbo collo
Più non potea levar.

Qual mai tra i nati all'odio
Quale era mai persona
Che al Santo inaccessibile
Potesse dir: perdona?
Far novo patto eterno?
Al vincitore inferno
La preda sua strappar?

Ecco ci è nato un Pargolo,
Ci fu largito un Figlio:
Le avverse forze tremano
Al mover del suo ciglio:
All'uom la mano Ei porge,
Che si ravviva, e sorge
Oltre l'antico onor.

Dalle magioni eteree
Sporga una fonte, e scende
E nel borron de' triboli
Vivida si distende:
Stillano mele i tronchi;
Dove copriano i bronchi,
Ivi germoglia il fior.

O Figlio, o Tu cui genera
L'Eterno, eterno seco;
Qual ti può dir de' secoli:
Tu cominciasti meco?
Tu sei: del vasto empiro
Non ti comprende il giro:
La tua parola il fe'.

E Tu degnasti assumere
Questa creata argilla?
Qual merto suo, qual grazia
A tanto onor sortilla?
Se in suo consiglio ascoso
Vince il perdon, pietoso
Immensamente Egli è.

Oggi Egli è nato: ad Efrata,
Vaticinato ostello,
Ascese un'alma Vergine,
La gloria d'Israello,
Grave di tal portato:
Da cui promise è nato,
Donde era atteso uscì.

La mira Madre in poveri.
Panni il Figliol compose,
E nell'umil presepio
Soavemente il pose;
E l'adorò: beata!
Innanzi al Dio prostrata
Che il puro sen le aprì.

L'Angel del cielo, agli uomini
Nunzio di tanta sorte,
Non de' potenti volgesi
Alle vegliate porte;
Ma tra i pastor devoti,
Al duro mondo ignoti,
Subito in luce appar.

E intorno a lui per l'ampia
Notte calati a stuolo,
Mille celesti strinsero
Il fiammeggiante volo;
E accesi in dolce zelo,
Come si canta in cielo,
A Dio gloria cantar.

L'allegro inno seguirono,
Tornando al firmamento:
Tra le varcate nuvole
Allontanossi, e lento
Il suon sacrato ascese,
Fin che più nulla intese
La compagnia fedel.

Senza indugiar, cercarono
L'albergo poveretto
Que' fortunati, e videro,
Siccome a lor fu detto,
Videro in panni avvolto,
In un presepe accolto,
Vagire il Re del Ciel.

Dormi, o Fanciul; non piangere;
Dormi, o Fanciul celeste:
Sovra il tuo capo stridere
Non osin le tempeste,
Use sull'empia terra,
Come cavalli in guerra,
Correr davanti a Te.

Dormi, o Celeste: i popoli
Chi nato sia non sanno;
Ma il dì verrà che nobile
Retaggio tuo saranno;
Che in quell'umil riposo,
Che nella polve ascoso,
Conosceranno il Re.

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Sintesi breve Il Conte di Carmagnola, Manzoni

di Alessandro manzoni
Sintesi:

Il protagonista è un condottiero di ventura che è passato al servizio del signore di Milano a quello della sua nemica Repubblica di Venezia, la quale lo nomina capitano generale. Il conte ottiene una splendida vittoria a Maclodio, ma desta sospetti nei Commissari d Repubblica per la generosità con cui libera i prigionieri. Una certa lentezza nelle operazioni successive conferma il Senato veneziano nella convinzione che il conte prepari un tradimento e quindi il Carmagnola, innocente, viene convocato a Venezia con un pretesto e condannato a morte.

Nel Conte di Carmagnola, così come nell'Adelchi, è evidente il tema dei popoli oppressi, vittime passive della storia, di cui gli storici ufficiali non si occupavano. Era questo il punto centrale della meditazione storica di Manzoni. Questo tema era affrontato esclusivamente nei cori delle rappresentazioni perché la natura della tragedia, genere illustre, non avrebbe consentito l'ingresso in scena da protagoniste delle masse popolari.
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Perché Manzoni scrisse i Promessi Sposi

Già nelle tragedie Manzoni aveva fatto sentire la necessità di estendere il suo discorso, di voler parlare anche degli umili, di far diventare più democratiche le sue opere; questo non era riuscito a farlo nè con l'Adelchi né con il Conte di Carmagnola. Nei Promessi Sposi abbiamo una moltitudine di umili, sempre sinceri ed oppressi. I potenti invece vengono sempre definiti a grandi linee (che sono sempre oppressori e cattivi) e servono soltanto per il confronto. Con i Promessi Sposi Manzoni voleva dare alla letteratura italiana un romanzo di carattere popolare, che soddisfasse se esigenze di tutti. Quindi stile e contenuto devono essere semplici. Il suo è un romanzo storico, un genere letterario che in Italia non esisteva ancora. Il Manzoni per romanzo storico intende: rappresentazione della situazione sociale attraverso la narrazione di fatti veri o inventati, ma in questo caso devono essere verosimili. Niente più fantasia, solo storia e fatti reali. In questo Manzoni obbedisce perfettamente al principio estetico dell'arte come rappresentazione del vero.
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Alessandro Manzoni: La Pentecoste

Testo: La Pentecoste
Madre de’ Santi, immagine Della città superna Del Sangue incorruttibile Conservatrice eterna.

Parafrasi: La Pentecoste
Madre dei santi, immagine della città celeste, eterna conservatrice del sangue di Cristo, incorruttibile perché continuamente rinnova il suo effetto di redenzione nell'Eucarestia.

Analisi del testo: La Pentecoste
Nella prima (vv. 1-48) si rievoca l’origine della Chiesa, la “Madre de' Santi”. L’autore coglie della Chiesa primitiva l’aspetto passivo.

Commento: La Pentecoste
L'ultimo degli Inni Sacri di Alessandro Manzoni, oltre al Cinque Maggio e al coro di Ermengarda, è la Pentecoste.

Figure retoriche: La Pentecoste
"Soffri, combatti e preghi" può essere intesa come climax ascendente.
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Testo: La Pentecoste, Manzoni

di Alessandro Manzoni
Testo:

Madre de’ Santi, immagine
Della città superna;
Del Sangue incorruttibile
Conservatrice eterna;
Tu che, da tanti secoli,
Soffri, combatti e preghi,
Che le tue tende spieghi
Dall’uno all’altro mar;
Campo di quei che sperano;
Chiesa del Dio vivente;
Dov’eri mai? qual angolo
Ti raccogliea nascente,
Quando il tuo Re, dai perfidi
Tratto a morir sul colle
Imporporò le zolle
Del suo sublime altar?
E allor che dalle tenebre
La diva spoglia uscita,
Mise il potente anelito
Della seconda vita;
E quando, in man recandosi
Il prezzo del perdono,
Da questa polve al trono
Del Genitor salì;
Compagna del suo gemito,
Conscia de’ suoi misteri,
Tu, della sua vittoria
Figlia immortal, dov’eri?
In tuo terror sol vigile.
Sol nell’obblio secura,
Stavi in riposte mura
Fino a quel sacro dì,
Quando su te lo Spirito
Rinnovator discese,
E l’inconsunta fiaccola
Nella tua destra accese
Quando, segnal de’ popoli,
Ti collocò sul monte,
E ne’ tuoi labbri il fonte
Della parola aprì.
Come la luce rapida
Piove di cosa in cosa,
E i color vari suscita
Dovunque si riposa;
Tal risonò moltiplice
La voce dello Spiro:
L’Arabo, il Parto, il Siro
In suo sermon l’udì.
Adorator degl’idoli,
Sparso per ogni lido,
Volgi lo sguardo a Solima,
Odi quel santo grido:
Stanca del vile ossequio,
La terra a lui ritorni:
E voi che aprite i giorni
Di più felice età,
Spose che desta il subito
Balzar del pondo ascoso;
Voi già vicine a sciogliere
Il grembo doloroso;
Alla bugiarda pronuba
Non sollevate il canto:
Cresce serbato al Santo
Quel che nel sen vi sta.
Perché, baciando i pargoli,
La schiava ancor sospira?
E il sen che nutre i liberi
Invidiando mira?
Non sa che al regno i miseri
Seco il Signor solleva?
Che a tutti i figli d’Eva
Nel suo dolor pensò?
Nova franchigia annunziano
I cieli, e genti nove;
Nove conquiste, e gloria
Vinta in più belle prove;
Nova, ai terrori immobile
E alle lusinghe infide.
Pace, che il mondo irride,
Ma che rapir non può.
O Spirto! supplichevoli
A’ tuoi solenni altari;
Soli per selve inospite;
Vaghi in deserti mari;
Dall’Ande algenti al Libano,
D’Erina all’irta Haiti,
Sparsi per tutti i liti,
Uni per Te di cor,
Noi T’imploriam! Placabile
Spirto discendi ancora,
A’ tuoi cultor propizio,
Propizio a chi T’ignora;
Scendi e ricrea; rianima
I cor nel dubbio estinti;
E sia divina ai vinti
Mercede il vincitor.
Discendi Amor; negli animi
L’ire superbe attuta:
Dona i pensier che il memore
Ultimo dì non muta:
I doni tuoi benefica
Nutra la tua virtude;
Siccome il sol che schiude
Dal pigro germe il fior;
Che lento poi sull’umili
Erbe morrà non colto,
Né sorgerà coi fulgidi
Color del lembo sciolto
Se fuso a lui nell’etere
Non tornerà quel mite
Lume, dator di vite,
E infaticato altor.
Noi T’imploriam! Ne’ languidi
Pensier dell’infelice
Scendi piacevol alito,
Aura consolatrice:
Scendi bufera ai tumidi
Pensier del violento;
Vi spira uno sgomento
Che insegni la pietà.
Per Te sollevi il povero
Al ciel, ch’è suo, le ciglia,
Volga i lamenti in giubilo,
Pensando a cui somiglia:
Cui fu donato in copia,
Doni con volto amico,
Con quel tacer pudico,
Che accetto il don ti fa.
Spira de’ nostri bamboli
Nell’ineffabil riso,
Spargi la casta porpora
Alle donzelle in viso;
Manda alle ascose vergini
Le pure gioie ascose;
Consacra delle spose
Il verecondo amor.
Tempra de’ baldi giovani
Il confidente ingegno;
Reggi il viril proposito
Ad infallibil segno;
Adorna la canizie
Di liete voglie sante;
Brilla nel guardo errante
Di chi sperando muor.

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Riassunto per capitoli I Promessi Sposi

Trama:
Il romanzo narra le vicende di due umili popolani, Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, il cui matrimonio è impedito da un prepotente signorotto, don Rodrigo, che riesce ad atterrire don Abbondio, il pavido curato che dovrebbe sposarli. Un tentativo di don Rodrigo di rapire Lucia, induce i due giovani a fuggire dal loro paese, aiutati da fra Cristoforo, un buon cappuccino che li protegge. Lucia con la madre Agnese è accolta nel convento della Monaca di Monza; questa, fatta monaca senza vocazione per ragioni economiche, accoglie dapprima benevolmente Lucia, ma più tardi, cedendo ai ricatti di un giovane scellerato con cui ha una colpevole relazione, lascia rapire la giovane dai bravi dell’Innominato, un prepotente amico di don Rodrigo.
Renzo a sua volta, avviato da padre Cristoforo al convento di Milano, capita in questa città in tempo di carestia e di tumulti popolari e, senza saper neanche lui come, si trova al centro della sommossa. Arrestato all'osteria della «luna piena» come capo sovvertitore, riesce a sfuggire alla giustizia; dopo un lungo cammino arriva in un paesello del bergamasco, in territorio di Venezia, dove è accolto da un suo cugino, Bortolo.
Intanto l’Innominato, mentre sta per mandare Lucia a don Rodrigo, è preso dai rimorsi e dal desiderio di cambiar vita; dopo l’incontro con il cardinale Federico Borromeo, arriva ad una vera e propria conversione e rimanda libera Lucia che nel momento più tragico della sua prigionia aveva fatto alla Madonna un voto di rinunzia a sposarsi con Renzo. Il cardinale consola Lucia e la madre, rimprovera don Abbondio per la sua viltà e fa accogliere Lucia in casa di donna Prassede, a Milano, intanto che Renzo continua a stare nascosto nel bergamasco. Qualche tempo dopo, a causa della guerra che si sta combattendo per la successione al ducato di Mantova, scende in Italia l’esercito imperiale, formato da mercenari Lanzichenecchi che portano la terribile pestilenza. Con la descrizione della peste il romanzo volge alla fine: don Rodrigo muore di peste; Renzo, che non ha più paura della legge, che in questo momento è assai poco rigorosa, torna a cercare Lucia e la trova nel Lazzaretto dove è riuscita a superare la peste. Ma la giovane è perplessa a sposarsi perché trattenuta dal voto che lo aveva fatto. Padre Cristoforo le dà, allora, la dispensa e così i due promessi possono tornare al paese per realizzare la loro unione. E alla fine della terribile pestilenza sarà proprio don Abbondio, sicuro ormai da ogni minaccia, a celebrare il tanto sospirato matrimonio.



Lista riassunto capitoli




Informazioni generali sui promessi sposi

1821-1823: prima stesura del romanzo col titolo Fermo e Lucia (fu pubblicata postuma, nel 1916 dall'editore Lesca col titolo Gli sposi promessi).
1827: prima edizione della seconda stesura col titolo I promessi sposi.
1840-1842: seconda edizione della seconda stesura, definitiva, de I promessi sposi, pubblicato a dispense.

Fra la prima e la seconda stesura (1821-1827): ci sono notevoli diversità di contenuto (più ampie alcune descrizioni, diversi alcuni personaggi); fra la prima e la seconda edizione (1827-1840): c’è soprattutto una differenza di lingua; il Manzoni cerca un linguaggio moderno e spigliato, scelto con sottile impegno perché si adatti ora ai personaggi colti e intelligenti, ora a quelli umili e semplici. Prende come modello la lingua che si parla in Toscana.



È un romanzo storico perché:

  • La vicenda è ambientata in un preciso contesto storico (quello della dominazione spagnola in Milano e della guerra per la successione al ducato di Mantova, 1628-1630);
  • Si riallaccia al genere «romanzo storico», allora molto diffuso in Europa sull'esempio dei romanzi dell’inglese Walter Scott, anche se il Manzoni è assai più scrupoloso e attento studioso della storia, che prende come sorgente della sua opera «mista di storia e di invenzione».


Lo scopo del romanzo

Il Manzoni immagina di avere trovato la sua storia in un manoscritto del Seicento, di autore anonimo e si essersi limitato a trascriverlo in linguaggio moderno. A che serve questa finzione?
Gli permette di attribuire all'Anonimo alcune osservazioni e questo dà al romanzo un tono di maggiore realismo, come se le azioni fossero narrate e commentate da uno che visse in quell'epoca.
Il Manzoni vuole ricavare dalla vicenda che narra alcuni insegnamenti:
-Morali, in quanto il male è sempre sconfitto dal bene, secondo un provvidenziale disegno divino per cui i buoni, anche se devono molto soffrire, ricevono poi una ricompensa;
-Religiosi, perché chi ha fiducia in Dio e nel suo intervento, può essere sicuro di non essere abbandonato, in quanto anche il male e i dolori hanno una loro ragione (dalle traversie di Renzo e Lucia scaturisce la conversione dell’Innominato);
-Politici, perché, sotto la prepotenza degli Spagnoli nella Milano del ‘600 si può facilmente intravedere l’allusione agli Austriaci dell’800 e quindi il romanzo assume il tono di una denuncia delle dominazioni straniere.
I veri protagonisti del romanzo sono le persone semplici, i popolani. Il Manzoni, infatti denuncia la prepotenza dei signorotti piccoli e grandi dei quali egli condanna la miseria intellettuale e morale, a cui contrappone la vita semplice e laboriosa degli umili.



Don Abbondio e i bravi

All'origine di tutta la storia dei Promessi Sposi ci sono la prepotenza di don Rodrigo e la pavidità di don Abbondio: il primo, per un capriccio e una scommessa, non esita ad imporre i suoi ordini con l’intimidazione con i suoi scagnozzi “bravi”, il secondo, sacerdote senza vera vocazione, è disposto a ogni servilismo per salvaguardare il suo quieto vivere.
L’incontro di don Abbondio con i bravi di don Rodrigo è una fra le tante pagine di raffinata narrazione dei Promessi Sposi. L’autore vi studia con acutezza la psicologia della prepotenza e quella della paura e riesce, con essenzialità espressiva, a crearci un quadro vivace in cui i personaggi sono ritratti con realistica plasticità. Dai loro gesti e dalle loro parole cogliamo l’essenza di una vicenda che si presenta drammatica, ma non possiamo fare a meno di essere soggiogati dal tono ironico, quasi faceto dalla narrazione, per mezzo del quale il dramma si stempera e suscita il riso: quel pover'uomo che abbozza una pavida riverenza, col suo latino inutile e il libro fra le mani, e quei due arroganti che si allontanano spavaldi, cantando una canzonaccia, non hanno proprio nulla che ci faccia presagire una vicenda dolorosa.
Il confronto fra i due modi narrativi, nelle due stesure dei Promessi Sposi, ci aiuta a ricostruire la maturazione stilistica del Manzoni. In fermo e Lucia “manca la lucida compattezza del capolavoro”: vi sono macchie, soluzioni di continuità, sodaglie incolte, minuzie non ancora richiamate alla vita dalla brevità epigrammatica, goffaggini strane in un autore che siamo avvezzi a considerare come uno dei nostri più signorili. Fanno ancora difetto al Manzoni l’abilità suggestiva, la sfumatura, quella particolare delicatezza che risponde nella vita comune al tatto, al garbo…
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Commento sui Promessi Sposi

Dalla trama si può osservare che la storia è ambientata in un contesto storico ben lontano e diverso non solo dal nostro, ma anche da quello in cui visse Manzoni. Egli scelse il Seicento, perché quest'epoca per l'Italia fu particolarmente sofferta e la grave carestia portò alla luce in modo ancora più drammatico ed evidente i conflitti sociali tra poveri e potenti, che opprimevano indisturbati coloro che non avevano il potere di difendersi. Inoltre la terribile epidemia di peste diffusasi in quegli anni viene utilizzata da Manzoni come uno strumento per mettere in evidenza la fragilità degli uomini ma anche la misteriosa forza della giustizia divina che ne cancella le prepotenze, mentre i buoni ottengono ciò che era loro dovuto dalle circostanze, guidate da una mano superiore, quella di Dio.
L'uomo appare debole e inetto di fronte alla Provvidenza, che è per la teologia cattolica la presenza di Dio nella storia umana. Manzoni accentua l'interpretazione della provvidenza come forza che agisce attraverso le libere scelte degli individui. Di fronte al male del mondo, di fronte alla domanda perché esiste il male? l'unica scelta possibile è affidarsi alla Provvidenza con la fede dei semplici e degli umili, come Lucia, o con la fede di coloro che da potenti si sono messi al suo servizio, come fra' Cristoforo e il cardinale Borromeo.
Il romanzo è molto vario, ci sono numerosi personaggi, diversi e caratterizzati a volte nei minimi particolari; alcuni sono addirittura veramente esistiti; altri sono inventati dall'autore.
Il linguaggio è ricco e studiato da Manzoni con la massima cura, perché risultasse chiaro e piacevole; infatti era sua intenzione scrivere per farsi leggere da un pubblico più ampio possibile, che, pur essendo al tempo ben più ridotto rispetto a oggi, poteva essere conquistato da un romanzo così avvincente. La lingua del romanzo divenne infatti il modello di lingua nazionale: I promessi sposi divennero oggetto di studio in tutte le scuole del Regno e strumento di formazione linguistica per generazioni di italiani.
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Riassunto vita: Alessandro Manzoni


La vita:
Alessandro Manzoni nacque nel 1785 in una famiglia della nobiltà colta milanese, da Giulia Beccaria, figlia del famoso Cesare Beccaria, che a Milano si era distinto per la sua opera intellettuale illuminista. L’ambiente milanese fu sempre fondamentale nella sua vita, fin dagli anni dei suoi studi, perché Milano era la città più moderna d’Italia, il cuore della vita letteraria, dell’editoria, del teatro, il luogo in cui la cultura illuminista aveva lasciato segni importanti. Manzoni fu educato in collegi cattolici, ma on fu legato alla religione fino al 1810 quando, dopo che da alcuni anni viveva a Parigi, trovò nella fede un punto di riferimento, che diventò sempre più importante nel corso della sua vita.
Negli anni successivi visse quasi sempre a Milano o nella sua villa in Brianza. Erano gli anni in cui in Italia cominciavano a diffondersi gli ideali di indipendenza e di unità e si organizzavano le prime società segrete. Manzoni sentì profondamente questi ideali, li condivise e li appoggiò, ma non fece vita pubblica, preferendo seguire le vicende politiche e culturali della città attraverso i legami con i suoi amici, letterati e intellettuali impegnati nella vita sociale, che frequentavano la sua casa.
I suoi impegni maggiori furono lo studio non solo della letteratura, ma anche della storia, e la composizione delle sue opere.
Attraverso queste egli diede un grandissimo contributo alla costruzione della nazione italiana.
Le sue opere, fra cui gli Inni sacri, le odi e le tragedie, Il conte di Camagnola e l’Adelchi, contribuirono a diffondere gli ideali di libertà e di democrazia e soprattutto diedero l’idea e l’esempio di una cultura e di una letteratura non per pochi aristocratici ma per il pubblico degli italiani.
Fu nominato senatore del nuovo Regno d’Italia. Morì nel 1873.

I Promessi Sposi
La trama
Il romanzo è ambientato in Lombardia tra il 1628 e il 1630, quando la Lombardia era dominata dagli spagnoli.
La storia inizia il 7 novembre 1628. Don Abbondio, parroco di un paesino sul lago di Como, viene minacciato dai bravi di don Rodrigo, signorotto del paese. I bravi, servi armati dei signori del tempo, lo avvertono che non va celebrato il matrimonio fra Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, su cui don Rodrigo ha messo gli occhi. Don Abbondio cerca delle scappatoie con Renzo, che però viene a sapere la verità: con Lucia e la madre di lei, Agnese, decide di sposarsi con l’inganno, in presenza di due testimoni, cogliendo il sacerdote alla sprovvista.
Ma il tentativo fallisce, mentre i bravi cercano di rapire Lucia. Aiutati da un frate, padre Cristoforo, i tre fuggono dal paese. Lucia va in un convento a Monza dove Gertrude, la Monaca di Monza, figlia di un principe e divenuta monaca per obbligo familiare, la prende sotto la sua protezione.
Renzo invece va a Milano, dove dovrebbe trovare aiuto in un altro convento. Ma capita in città durante un tumulto popolare per la carestia. Dopo aver seguito la sommossa, per la sua ingenuità viene scambiato in un'osteria per uno dei capi della ribellione e, arrestato, riesce però a fuggire.
Va a Bergamo presso un cugino, e trova lavoro in filanda.
Don Rodrigo, nel frattempo, dopo essere riuscito a far allontanare fra' Cristoforo dal suo convento, ricorre a un potente signore, l'innominato per far rapire Lucia.
Ma l'innominato, dopo il rapimento, si pente della sua lunga serie di delitti, e durante un colloquio con il cardinale Borromeo, si converte.
Agnese può riunirsi alla figlia e trovare riparo nel castello dell'innominato mentre le schiere dei mercenari tedeschi, i lanzichenecchi, calano in Lombardia seminando terrore e distruzione e portandovi la peste. Renzo, tornato al paese, viene a sapere che Lucia è a Milano, nella città sconvolta dal male di cui muore anche don Rodrigo, Renzo ritrova Lucia con fra' Cristoforo nel Lazzaretto e la vicenda termina con il matrimonio e una speranza di vita serena.
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Analisi I Promessi Sposi capitolo per capitolo

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Biografia: Alessandro Manzoni

Alessandro Manzoni nacque a Milano nella primavera del 1785 dal conte Pietro Manzoni e da Giulia, figlia di Cesare Beccaria. Sebbene di formazione illuminista e razionalista, fu assai sensibile alle teorie classiciste e alle nuove ideologie romantiche. Giovane ancora, scrisse liriche di scarso valore, nelle quali è palese l'influsso del Parini, del Monti e del Foscolo. Meno convenzionale fu il carme In morte di Carlo Imbonati scritto a Parigi per compiacere la madre che, separata dal marito, aveva vissuto con l'Imbonati fino alla di lui morte.
Gli anni parigini (1805-1810) furono assai importanti per il Manzoni; egli venne a contatto con ambienti culturali vivaci e aperti alle nuove concezioni del Romanticismo e dello storicismo tedeschi che rafforzano in lui l'amore per la storia e per la scrupolosa narrazione dei fatti che avrà grande importanza nelle sue opere maggiori. Nel 1808 sposò la figlia di un banchiere ginevrino, Enrichetta Blondel, protestante. Questa, convertitasi due anni dopo al cattolicesimo, influi sul ritorno dello stesso Manzoni alla fede cristiana.
La conversione fu un fatto determinante nella sua vita; egli, infatti, rivedendo con scrupolosa coscienza morale le sue posizioni di uomo e di letterato, non rinnegò le posizioni illuministe (libertà, fraternità, uguaglianza), ma le potenziò e le illuminò attraverso la verità del Vangelo. Trascorse quindi due anni di profonda meditazione sui testi della fede e nel 1812 riprese la sua attività letteraria con spirito ed impegno nuovi. Da questo momento la vita del Manzoni si svolse quasi esclusivamente a Milano e fu appartata e schiva, ma la sua fama si diffuse in tutta l'Europa.
Nel 1861, nominato senatore, partecipò alla prima seduta del Parlamento Italiano e nel 1870 ebbe la cittadinanza onoraria di Roma, quale riconoscimento del contributo che, Attraverso la sua opera di scrittore, aveva dato alla causa italiana.
Morì a Milano il 22 Maggio 1873.


Le idee e la poetica
Il Manzoni è il maggior rappresentante del movimento romantico italiano in quanto più di ogni altro rispose ai canoni di una poetica nuova che rifuggiva dai convenzionalismi razionali per rispondere ai moti più spontanei dell'anima e a una sincera analisi delle passioni degli uomini. Da queste aspirazioni il Manzoni seppe elaborare una poetica originale, basata sulla concretezza e orientata a dare all'arte una precisa funzione sociale. L'arte, secondo lui, non poteva rispondere esclusivamente a un gusto di bellezza estetica, come nei classicisti, ma doveva assumere compiti di utilità per l'uomo, ispirandosi al vero, proponendosi come scopo l'utile e usando come mezzo il dilettevole; intendeva come vero la realtà storica, come utile il fine educativo e morale, come dilettevole una narrazione avvincente e di facile comprensione anche per le persone meno colte, per quegli umili che il Manzoni fece protagonisti delle sue opere. In questa concezione venivano a identificarsi le sue idee liberali e illuministe (fraternità, uguaglianza, libertà) e i suoi ideali cristiani.
Centro del suo mondo è la Provvidenza di Dio, un Dio ce si cala nella storia degli uomini per dare un senso alle loro azioni e guidarle verso il Bene, secondo una logica che sfugge all'occhio umano, ma che porta all'esito migliore, per cui anche dal male può nascere il bene e dal dolore la gioia. Unico segreto è la rassegnazione, cioè la completa fiducia nella Provvidenza: solo in essa l'uomo trova la pace e può trovare la felicità. Anche la lingua del Manzoni aveva bisogno di innovazioni: per rispondere alle esigenze che abbiamo espresso era necessaria una lingua piana, libera dalle preziosità della cultura, comprensibile per ogni strato sociale. Ecco lo sforzo di tanti anni di lavoro di lima, specialmente ne I promessi sposi, per raggiungere una prosa naturale e semplice.
Egli riteneva che lo scrittore dovesse avere come obbiettivo l'educazione morale del lettore, cioè dovesse spingerlo ad odiare il male ed amare il bene. L'opera d'arte deve avere l'utile come scopo, il vero come soggetto, l'interessante come mezzo scriverà in una famosa lettera a Cesare D'Azeglio. Se l'utile era l'educazione del lettore, il soggetto dell'opera d'arte doveva essere vero cioè preso dalla STORIA. Manzoni quindi rivaluterà l'importanza della storia e si allontanerà sempre di più da quella concezione illuministica che rifiutava la storia perchè piena di storture ed ingiustizie. Tra le sue opere più famose scritte dopo la conversione ci sono gli Inni sacri, il più famoso dei quali è la Pentecoste. Scrisse poi due tragedie storiche "Il conte di Carmagnola" ed Adelchi ma la sua opera più famosa è il romanzo storico I promessi sposi.
Approderà quindi definitivamente ad uno dei più grandi movimenti culturali dell'Ottocento e di tutti i tempi, il Romanticismo che al contrario dell'Illuminismo non esaltava la componente razionale dell'uomo ma il Sentimento, tutte quelle sensazioni e percezioni della vita che fanno l'uomo unico ed irripetibile.


Qual'è il sentimento più importante?
Senza dubbio l'amore. Questo sentimento esaltavano soprattutto i romantici e non solo l'amore tra uomo e donna, tra genitori e figli ma anche l'amore verso Dio. (religiosità) e soprattutto amor di patria. In Italia il Romanticismo, infatti coinciderà con il grande periodo del Risorgimento italiano, movimenti di pensiero e lotte per l'indipendenza dell'Italia dallo straniero. Alessandro Manzoni da grande romantico si batterà attraverso le sue opere per la liberazione dell'Italia e si può considerare uno dei grandi artefici del nostro Risorgimento. Da romantico egli, infatti, pensa che come ogni singolo uomo, per i suoi sentimenti, è unico così lo è ogni nazione e ogni popolo perché ha delle sue tradizioni storiche, una lingua, una religione, usi e costumi propri. Nessun popolo deve essere oppresso dagli da popoli stranieri, questo è il suo grido d'onore dei romantici in genere e di Manzoni in particolare, costretto a vedere la sua amatissima Italia sempre dominata da stranieri, resa schiava e oppressa. Il suo romanzo I promessi sposi, infatti , oltre a voler essere una difesa delle classi più povere (Renzo e Lucia) contro i prepotenti (don Rodrigo) vuol essere anche un incitamento agli italiani a cacciare per sempre dal loro suolo i donatori stranieri. Don Rodrigo infatti oltre ad essere un uomo corrotto e prepotente e anche un signorotto, un nobile spagnolo. Il romanzo manzoniano è infatti, ambientato nel periodo della terribile dominazione spagnola in Italia nel Seicento. Manzoni per evitare la censura austriaca ed anche per potersi muovere più liberamente nelle parti non perfettamente storiche ma inventate scelse il Seicento non l'Ottocento.
Manzoni cercò di realizzare in ogni modo la sua concezione dell'arte nelle sue opere ma in particolare nel romanzo storico che presenta una struttura particolare. Il romanzo è un misto di storia ed invenzione e si propone di raggiungere l'obbiettivo della educazione morale del lettore secondo i principi basilari dell'Illuminismo (giustizia sociale, fraternità, solidarietà) rivisti alla luce del Vangelo. Nel romanzo infatti gli umili (Renzo e Lucia) oppressi ingiustamente da prepotenti (Don Rodrigo) alla fine saranno premiati dalla sola giustizia in cui Manzoni crede, quella divina. I prepotenti invece saranno vittime di questa giustizia se non vorranno anche loro convertirsi. Manzoni vuol far credere di aver ritrovato un manoscritto anonimo del 1600 in cui erano contenuti i documenti della triste vicenda di Renzo e Lucia, perché vuol far credere che questa storia non sia mai stata da lui inventata. Il romanzo infatti inizia con la finta traduzione di questo manoscritto che lui ad un certo punto interrompe perché ritiene troppo noiosa questa traduzione.
Le vicende di Renzo e Lucia sono legate alla storia vera di quel periodo, gli anni che vanno dal 1628 al 1630 in cui l'Italia era sottoposta al dominio degli spagnoli. E' questo il periodo della terribile peste che decimò in Italia milioni di persone. Con questa opera Manzoni si proponeva anche di lottare per la liberazione dell'Italia dello straniero, non a caso gli oppressori sono anche gli spagnoli. L'opera manzoniana è infatti considerata una delle massime espressioni del nostro Risorgimento. L'autore riuscì a vedere la nascita del Regno d'Italia, avvenuto il 1 Marzo 1861 e fu nominato senatore del regno. La sua fama, anche quando era ancora vivo aveva superato i confini della nazione e soprattutto il romanzo era stato tradotto in più lingue. Attraverso il romanzo Manzoni si proponeva anche di svecchiare la lingua italiana rendendola più vicina a quella effettivamente parlata dal popolo. Per questo motivo furono eseguite tre versioni dei promessi sposi una nel 1823 che si intitolava "Fermo e Lucia", la seconda quella del 1827 che di intitolava "Sposi promessi", l'ultima quella che noi leggiamo oggi del 1840 intitolata "I promessi sposi". L'unica differenza tra la seconda e la terza edizione consiste nella diversità linguistica. L'edizione del 1840 riprende il fiorentino parlato.


Inni sacri
La conversione alla fede cattolica, maturata nel 1810, ma già preparata durante anni di intima ricerca spirituale, segna per il Manzoni un fatto importantissimo oltre che nella vita anche nella sua produzione letteraria. Infatti, come la sua vita prende un nuovo orientamento alla ricerca di un rapporto di coerenza tra la realtà dei fatti e l'idealità delle aspirazioni religiose, così il suo impegno di uomo di cultura diventa quello di far sentire la funzione illuminatrice del Cristianesimo, la sua autentica spinta rivoluzionaria nei rapporti fra gli uomini, il reale concretizzarsi in esso di quegli ideali di libertà, fraternità, uguaglianza che la Rivoluzione Francese aveva soltanto programmato. La prima opera dopo la conversione sono gli Inni Sacri il cui argomento è tratto dalle più importanti festività della Chiesa; in ciascuno di essi troviamo una parte storico-narrativa, che è la rievocazione del fatto liturgico, e una parte di riflessione in cui il poeta attualizza quel fatto stesso per ricavarne un ammaestramento morale, valido in ogni tempo.
Gli Inni Sacri furono scritti fra il 1812 e il 1822 e hanno una loro originalità anche letteraria: in essi la religione è vista non come esperienza mistica di un singolo individuo, ma nel suo significato grandioso di coralità, di unione di tutti i cristiani nella Chiesa.


I PROMESSI SPOSI
I promessi sposi sono ambientati nella Lombardia del 1628, all'epoca occupata dagli spagnoli. Il romanzo parla di due giovani Renzo Tramaglino e Lucia Mondella le cui nozze sono impedite dal nobile e prepotente Don Rodrigo. Quest'ultimo minaccia il prete del paese, Don Abbondio di non fare sposare i due giovani. La coppia aiutata da padre Cristoforo, un frate cappuccino dopo il fallito matrimonio sono costretti a fuggire separatamente. Renzo va a Milano mentre Lucia con la madre Agnese vanno a Monza nel convento della Monica Geltrude è fatta rapire dall'Innominato, un temuto fuorilegge che ebbe l'incarico da don Rodrigo di rapirla. Alla fine si pente e la libera. La seconda parte del romanzo si intreccia con gli avvenimenti storici dei primi decenni del 18 secolo: la carestia, la guerra e la peste. Renzo guarito dalla peste ritorna a Milano per cercare Lucia a Lazzaretto e rivede ormai padre Cristoforo e don Rodrigo vicini alla morte. I due così si sposano dopo tante disavventure e sono consapevoli che i dolori e le difficoltà della vita non finiscono mai. La visione pessimistica della vita è addolcita dalla fede e dalla convinzione che Dio non abbandona chi crede in lui.


Opere
Ricordiamo le sue opere principali:

INNI SACRI: scritti fra il 1812 e il 1822, dovevano essere dodici, destinati a celebrare le altrettante feste solenni della liturgia cattolica. Il poeta, invece, ne compose soltanto cinque: Il Natale, La Passione, La Resurrezione, Il Nome di Maria e, ultimo e migliore fra tutti, La Pentecoste.


IL CONTE DI CARMAGNOLA (1816-20): tragedia incentrata sulle vicende del celebre capitano di ventura del XV secolo. La vicenda, che abbraccia sette anni (1425-1432), inizia quando il Carmagnola è chiamato dai Veneziani a combattere contro Milano. Egli accetta l'incarico e vince per Venezia la battaglia di Maclodio. Tuttavia, invece di trattare una dura resa, si mostra magnanimo con i nemici e questo gli attira sospetti di tradimento. La fredda giustizia del Senato veneziano non accetta le sue discolpe e lo condanna a morte. Sulla patetica figura del conte si sofferma la generosa pietà manzoniana.


ADELCHI (1822): tragedia che ha per sfondo la guerra tra Longobardi e Franchi. Carlo, re dei Franchi, ha ripudiato Ermengarda, figlia di Desiderio re dei Longobardi. Ermengarda torna al padre e gli chiede di potersi chiudere in convento, per trovare conforto nella preghiera. Il re giura di vendicarla. Intanto un messo di Carlo intima a Desiderio di restituire al papa Adriano le terre che aveva occupato, e, al rifiuto sdegnoso del re longobardo, muove in armi contro di lui. Ma il valore militare di Adelchi, figlio di Desiderio, che presso le Chiuse di Susa difende con il suo esercito l'unico passaggio dalle Alpi, scoraggia Carlo dal tentare l'impresa. Quando il re franco è ormai deciso a rinunciare, giunge il diacono Martino ad indicargli una strada segreta per la quale egli potrà cogliere alle spalle i Longobardi. Carlo, con questo aiuto, può sconfiggere i suoi nemici, mentre Adelchi, amareggiato dal tradimento di molti suoi generali, cerca di difendersi valorosamente. Intanto Ermengarda muore in convento, a Brescia, vinta dal dolore. Desiderio, fatto prigioniero a Pavia, chiede a Carlo di lasciar libero Adelchi, ma questi giunge morente davanti a loro: ha preferito battersi fino all'ultimo sangue per non subire l'onta della resa.


LIRICHE POLITICHE (1821): furono scritte in occasione di avvenimenti di clamorosa attualità. Marzo 1821: ode scritta in occasione dei moti rivoluzionari scoppiati in Piemonte e in Lombardia, che però non ebbero successo; per questo il poeta ne rimandò la pubblicazione ad un momento più opportuno che si presentò nel 1848; Il Cinque Maggio: ode scritta in occasione della morte di Napoleone.


I PROMESSI SPOSI (1820-1842): è un romanzo che ha per sfondo il secolo XVII, periodo di decadenza politica e morale. In mezzo alle sofferenze e agli stenti, alla carestia e alla peste, si muove la mano della divina Provvidenza che innalza gli oppressi e gli sventurati e redime e riscatta gli oppressori.


LETTERA SUL ROMANTICISMO (1823): indirizzata a Cesare Taparelli d'Azeglio, costituisce un documento fondamentale nella storia della letteratura romantica in Italia e indica i principi dell'arte manzoniana: secondo il Manzoni la poesia deve proporsi come oggetto il vero (per questo è importante la storia) e come fine l'utile, cioè l'insegnamento dei principi morali cristiani.


STORIA DELLA COLONNA INFAME e OSSERVAZIONI SULLA MORALE CATTOLICA: opere in cui il Manzoni, con una logica stringenti e acuta, fa l'elogio della morale cattolica, dimostrando che essa non è causa di superstizione e di corruttela, come aveva affermato lo storico Sismondi nella sua Storia delle Repubbliche italiane del Medio Evo, ma è completamento e conforto della religione e mezzo, per l'uomo, per conseguire la sua piena dignità.
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Alessandro Manzoni: Il Cinque Maggio

Testo: Il Cinque Maggio
Ei fu. Siccome immobile, dato il mortale sospiro, stette la spoglia immemore orba di tanto spiro

Parafrasi: Il Cinque Maggio
Egli (Napoleone) non è più vivo.Il suo corpo,dopo aver esalato l’ultimo respiro rimase immobile,senza più memoria,privato di uno spirito così tanto grande,così la terra resta immobile colpita stupefatta,muta, alla notizia della sua morte.

Analisi: Il Cinque Maggio
La notizia della morte di Napoleone, avvenuta a Sant'Elena il 5 Maggio 1821, suscitò nel Manzoni una profonda commozione: egli ne fu letteralmente sconvolto e sentì il bisogno irresistibile

Commento: Il Cinque Maggio
La tragedia di Napoleone si svolge nella terra e si scioglie nell'eternità  Ma la catastrofe è presentita nel prologo già più che umano, e preparata dallo svolgimento che via via s’innalza.
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Analisi: Il Cinque Maggio, Manzoni

di Alessandro Manzoni
Analisi del testo: 

 La notizia della morte di Napoleone, avvenuta a Sant'Elena il 5 Maggio 1821, suscitò nel Manzoni una profonda commozione: egli ne fu letteralmente sconvolto e sentì il bisogno irresistibile -- lui così contegnoso e meditato in tutto -- di esprimere il suo sentimento. Nacque così l'ode, in appena tre giorni (dal 17 al 20 Maggio) e subito fu data alle stampe e diffusa in tutta l'Europa. In Germania fu ammirata e tradotta dal Goethe. Quando Napoleone era al culmine della sua gloria, il poeta non aveva voluto unire la sua voce a quella di tanti poeti che, per avere doni e favori, avevano esaltato le imprese del conquistatore; e neppure aveva preso posizione di condanna quando l'imperatore era stato sconfitto. Ma ora che Napoleone è morto egli sente di dovere ricordarlo: è stato un genio dell'arte militare, un fulmine in guerra, un arbitro fra due secoli di civiltà diverse; ma nella solitudine di Sant'Elena è stato soltanto un uomo che ha constatato di persona la fragilità della gloria terrena e ha trovato conforto soltanto nella fede in Dio e nella speranza dell'eternità.
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Commento: Il Cinque Maggio, Manzoni

di Alessandro Manzoni
Commento:

La tragedia di Napoleone si svolge nella terra e si scioglie nell'eternità  Ma la catastrofe è presentita nel prologo già più che umano, e preparata dallo svolgimento che via via s’innalza. La storia c’è, fedele, incisa a tratti di fulmine, rispecchiata in una mente comprensiva: ma è sollevata in un'altra regione: il significato della vita del Bonaparte, trasportata nel regno senza tempo, non è più quello d’un dominio vario, rapido e immenso: la storia dilegua; il significato di quella vita diventa quello dell’immutabile sorte d’ogni impero umano che, fondato sulla materia, scompare di fronte al regno indistruttibile dello spirito. E la figura di Napoleone è tratteggiata con una così densa vigoria, che lascia poi l’anima immensa in lunghe riflessioni sulla storia rumorosa e abbagliante che affonda senza tregua nel mare dell’eternità. Ci passano dinanzi alla fantasia eccitata, Napoleone che si prepara il dominio, gli splendori della sua corte, il turbine delle battaglia, l’Europa sbigottita insanguinata, corsa dagli eserciti, le turbe osannati e maledicenti, i poeti che lanciano il loro vituperio inutile e vile o il loro tumido inno, Napoleone che cade e risorge e soffre i giorni inerti nella solinga Sant'Elena  la terra percossa dalla notizia della sua morte: trent'anni della vita d’una grande parte del mondo, de’ suoi tempi più travagli osi, ed uno dei più forti padroni dei destini delle genti; ma intanto sentiamo che quella gran febbre è vana perché chi l’ha voluta la può troncare, e la vediamo spegnersi – più che per una forza materiale – per il destino che attende ogni cosa terrena. Poiché l’ultima sconfitta di Napoleone, che parrebbe così importante nella sua vita, è quasi sottinteso  non è accennata con nessun particolare concreto; gli uomini che lo vinsero, non sono nemmeno nominati. E sparve: nient’altro. L’Inghilterra vincitrice non entra in questo dramma: il poeta non l’ha pensata nemmeno per un istante; e la mia parola che la nomina, è una stonatura.
E’ venuto un momento che il dominio di Napoleone è caduto; ed egli l’ha desiderato ancora; ma poi ha sentito che esso era un nulla: questa è la nostra impressione. Napoleone, nel 5 Maggio, è solo.
<<ei si nomò>> e <<ei fe’ silenzio>> nell'ode questo è verissimo: c’è il suo nome, il suo rombo della sua potenza. I suoi nemici non esistono. Vincitore, essi appaiono vagamente nelle ritirate delle sconfitte; vinto, non appaiono affatto. Il vincitore di Napoleone è una forza ignota, quella che lo ha levato così in alto.

Il Cinque Maggio non è un’ode celebrativa del genio napoleonico o il compianto per la morte nella dolorosa prigionia, ma Napoleone è assunto a segno immensamente grande e perciò estremamente significativo delle vicende umane che sarebbero assurde, ove non intervenisse una più alta forza ad illuminarle. La fine sconsolata, nell'isola solitaria, dell’eroe che aveva riempito delle sue gesta l’Europa, mette in moto la forza più profonda della fantasia manzoniana. Egli, l’eroe che ha percosso come folgore il mondo dei suoi contemporanei, è lì nel freddo della morte, creatura di tanta miseria dopo essere stato despota di tanta grandezza […] Nella solitudine deserta di Sant'Elena ripercorre la sua vita, ma l’anima si abbatte come di schianto sui grandi ricordi che egli non può e non sa ordinare: in cospetto del corso della sua vita, Napoleone avverte il mistero della vita degli uomini. Pure, egli riesce a placare – non ad annullare – il suo strazio e ad accettarlo, quando colloca la sua vita sul piano dell’eternità, e quando avverte in sé il destino degli altri tutti: allora egli addolcisce il suo tormento, perché non sente più se stesso solo come creatura terrena, percossa dalla sventura, ma come creatura di Dio che, compiuta la sua giornata, ritorna obbediente a Lui. Così egli ascende rassegnato dal buio delle vicende umane alla luce della provvidenza, e l’ascesa della anima di Napoleone è l’ascesa medesima della poesia manzoniana.

La morte di Napoleone richiama alla fantasia del poeta quell'epos da poco conclusosi; ma quest’epos, di cui Manzoni sente la potenza folgorante, non gli si impone, ed egli può, nel momento stesso che lo celebra, chiedersi che cosa sia stato, e che cosa sia Napoleone innanzi a quel Dio <<che atterra e suscita,/ che affanna e che consola>>. L’ode si apre con una domanda -- <<fu vera gloria?>> -- , alla quale il poeta pare rinunziare a rispondere; ma la domanda circola segreta per l’ode, la corre tutta, per trovare una risposta – anche se indiretta – verso la fine, quando si esalta la fede che avvia Napoleone abbattuto e morente <<ai campi eterni, al premio / che i desideri avanza, / dov'è silenzio e tenebre / la gloria che passò>>. Così, sull'epos tumultuoso si stendono prima il silenzio di solitudine di un letto di morte, dietro cui s’intravede la pace senza termine di quei <<campi eterni>> dove il rumore della gloria che fu si spegne in silenzio ed in tenebre.
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Parafrasi: Il Cinque Maggio, Manzoni

di Alessandro Manzoni
Parafrasi:

Egli (Napoleone) non è più vivo.Il suo corpo,dopo aver esalato l’ultimo respiro rimase immobile,senza più memoria,privato di uno spirito così tanto grande,così la terra resta immobile colpita stupefatta,muta, alla notizia della sua morte.
Pensando al momento della morte dell’uomo mandato dal destino,e non sa quando l’impronta di un piede di un uomo simile a Napoleone tornerà a calpestare la sua polvere insanguinata dalle guerre.
Il mio genio poetico vide Napoleone nel momento di massima gloria sul trono imperiale,ma tacque senza adularlo e il mio genio si astenne dal mescolare la sua voce al frastuono delle mille altre voci, quando lui cadde (sconfitta di Lipsia 1813),si riprese- risorse (i cento giorni dopo la fuga dall'isola d’Elba 1815) e giacque (sconfitta definitiva Waterloo 1815)
Il mio genio privo di elogi servili e di vili insulti ora si leva commosso per l’ improvvisa morte di una figura così radiosa e innalza un cantico che forse resterà immortale.
Una rapida rievocazione delle imprese napoleoniche:dalle Alpi:campagne d’Italia 1796 1800, alle Piramidi- campagna d’Egitto 1798-1799 ,dal Manzanarre fiume che scorre vicino a Madrid campagna di Spagna 1806, al Reno camp. di Germania, l’azione rapidissima di quell’uomo seguiva immediatamente le sue decisioni altrettanto rapid,.la sua azione fulminea si estese dall’estrema punta della Calabria fino alla Russia(il Tanai è un altro nome del fiume russo Don), dal Mediterraneo all'Atlantico (dall'uno all'altro mar).
Fu la sua una gloria destinata a durare in eterno? Alle generazioni future la difficile risposta.Noi ci inchiniamo umilmente a Dio che volle imprimere su di lui un segno così grande della sua forza creatrice.
Napoleone provò tutto:la tempestosa e trepidante gioia di un grandioso progetto l’ansia di un animo che deve obbedire mentre pensa di poter ottenere il potere e lo raggiunge ottenendo un premio che per un uomo normale era follia sperare.
Tutto lui provò :la gloria più grande dopo il pericolo,la fuga e la vittoria , il potere e l’esilio,per due volte è stato sconfitto (Lipsia e Waterloo)e per due volte è ritornato al trionfo.
Egli(Napoleone)si presentò sulla scena della storia,due epoche storiche contrapposte :il settecento ,secolo della rivoluzione e l’ottocento secolo della restaurazione monarchica,si rivolsero a lui in attesa del loro destino,egli fece tacere le opposte tendenze e sedette come arbitro in mezzo a loro sintetizzando nella propria figura gli aspetti più significativi dei due secoli.
Finì i suoi giorni nell'inerzia di una piccola isola ,S.Elena, bersaglio di immensa invidia e rispetto profondo di inestinguibile odio e indomabile amore
Come sul capo del naufrago incombe l’onda vorticosa su cui lo sguardo dello sventurato poco prima scorreva alto cercando di individuare invano lontani approdi
Così il cumulo dei ricordi si abbatté su quell'anima napoleone,con il suo peso angoscioso.oh quante volte iniziò a narrare ai posteri le sue memorie e sulle pagine mai finite cadde la sua stanca mano
Oh quante volte al tramontare di una giornata trascorsa a far niente chinati gli occhi folgoranti,rimase fermo con le braccia incrociate al seno e lo assalì il ricordo dei giorni passati.
E ripensò agli accampamenti militari spostati di continuo.Alle trincee nemiche colpite dagli assalti dei suoi soldati al muoversi velocissimo dei plotoni, all'incalzare ondeggiante della cavalleria agli ordini concitati e alla loro rapida esecuzione.
Forse di fronte ad un così grande dolore si perse il suo animo affannato e perse ogni speranza ma una mano divina venne dal cielo e lo sollevò pietosa in un’atmosfera più serena :quella della fede
E lo guidò verso i fioriti e vitali sentieri della speranza verso l’eternità ,verso quel premio di felicità che supera ogni desiderio umano dove la gloria non è altro che silenzio e tenebre.
Oh immortale Fede benefica ,abituata ai trionfi,annovera anche questo trionfo,la conversione di Napoleone,gioisci perché mai uomo più potente si è inchinato di fronte alla croce di Cristo.
O fede allontana dalle stanche spoglie mortali ogni parola di condanna e di odio. Dio che abbatte l’uomo e lo soccorre che lo affanna e lo consola ,siede consolatore sul letto di Napoleone morente, al di sopra di ogni giudizio con infinita misericordia.
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Testo: Il Cinque Maggio, Manzoni

di Alessandro Manzoni
Testo:

Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,

muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie' mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.

Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sonito
mista la sua non ha:

vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al subito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all'urna un cantico
che forse non morrà.

Dall'Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall'uno all'altro mar.

Fu vera gloria? Ai posteri
l'ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.

La procellosa e trepida
gioia d'un gran disegno,
l'ansia d'un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch'era follia sperar;

tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull'altar.

Ei si nomò: due secoli,
l'un contro l'altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe' silenzio, ed arbitro
s'assise in mezzo a lor.

E sparve, e i dì nell'ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d'immensa invidia
e di pietà profonda,
d'inestinguibil odio
e d'indomato amor.

Come sul capo al naufrago
l'onda s'avvolve e pesa,
l'onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;

tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull'eterne pagine
cadde la stanca man!

Oh quante volte, al tacito
morir d'un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l'assalse il sovvenir!

E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de' manipoli,
e l'onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.

Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;

e l'avvïò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov'è silenzio e tenebre
la gloria che passò.

Bella Immortal! Benefica
Fede ai trïonfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
che più superba altezza
al disonor del Golgota
giammai non si chinò.

Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.

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