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Capitolo 34 de I Promessi Sposi - Analisi e Commento

Spiegazione, analisi e commento degli avvenimenti del trentaquattresimo capitolo (cap. XXXIV) del celebre romanzo I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.


La struttura

Le vicende sono organizzate intorno a un unico protagonista, Renzo, sul quale si fissa l’attenzione del narratore, dall’ingresso in città fino all’arrivo nei pressi del lazzeretto.
Anche questo capitolo, come il precedente, presenta alcune analogie di struttura con l’XI e con il XVI.
Nel capitolo XI, come si ricorderà, lo sfondo storico era quello della carestia e l’11 novembre 1628 era stato definito un giorno in cui le cappe si inchinavano ai farsetti. Questa situazione spiega l’accoglienza particolarmente cortese riservata dal cittadino a Renzo. Se era la paura a rendere così gentile quell’uomo, nel tempo sconvolgente della peste sono caduti anche i residui dì un comportamento civile: dilagano il sospetto, le false suggestioni, il fanatismo e Renzo finisce nuovamente per essere scambiato per chi non è. La seconda analogia non è solo strutturale (è lo stesso episodio, rovesciato: prima, Renzo trova dei pani, poi regala quelli che ha alla donna rinchiusa in casa), ma anche e soprattutto tematica: ciò che il giovane aveva preso senza alcuno scrupolo, viene ora restituito liberamente, con la piena coscienza di aver compiuto un’opera di misericordia che sottolinea la progressiva maturazione raggiunta dal personaggio. L’analogia con il capitolo XVI mette in evidenza il “gioco delle parti” di cui Renzo è vittima: là, scambiato per un pericoloso criminale; qui, per un untore. In entrambi i casi, deve cavarsela con le sue sole forze e dimostrare la sua capacità di operare in situazioni impreviste e pericolose.



I nuclei tematici


Lo spettacolo della peste
Anche in questo capitolo, come nei precedenti, è evidente l’intreccio tra storia e invenzione: l’evento storico tremendo della peste è filtrato attraverso lo sguardo di Renzo, del cui punto di vista il narratore si serve per presentare gli orrori del contagio. In tal modo, la narrazione acquista un tono più commosso e più intenso, perché i vari episodi, invece di porsi come pura e semplice cronaca, sono arricchiti dai sentimenti e dalle emozioni del giovane.
Il racconto del viaggio di Renzo nella città devastata dà vita ad una serie di scene che descrivono in dettaglio gli effetti della peste, il suo manifestarsi come malattia del corpo e dell’animo: si alternano infatti il degrado fisico e quello morale, che induce i pochi superstiti a diffidare di tutti e a difendersi con la violenza.
La descrizione trae diverse scene dalle fonti del tempo, soprattutto dal De pestilentia di Federigo Borromeo, ma, a differenza di quest’ultimo, Manzoni non indulge mai alla ricerca dell'effetto, ai toni macabri, ai particolari agghiaccianti. Lo scrittore descrive, ma al tempo stesso il suo commento mette in luce il complesso gioco di forze che domina i fatti.
Nel guazzabuglio del cuore umano, il male e il bene si mescolano e non c’è situazione, per quanto negativa, che non lasci intravedere aspetti positivi: la figura del prete che confessa, la dignità dolorosa della madre di Cecilia o l’abitudine, introdotta dal cardinale, di invitare la gente, più volte al giorno, a riunirsi in preghiera.
La partecipazione dello scrittore ai drammi rappresentati è sempre contenuta, misurata: l’episodio della madre di Cecilia dimostra infatti come l’essere umano possa mantenere intatta la propria dignità anche nel dolore più profondo e, anzi, ricavare da esso una forza che lo porta ad accettare serenamente la morte.


Le avventure di Renzo
Mentre, fino a questo momento della narrazione, Renzo è apparso spettatore di tanti orrori, nella parte conclusiva del capitolo egli diventa protagonista di una ricerca — quella di Lucia — che lo immerge nella realtà di un mondo degradato, tanto da configurarsi come una vera e propria discesa all’inferno.
Renzo, dopo aver bussato alla casa di don Ferrante e aver ricevuto da una donna notizie incomplete e allarmanti, è scambiato per un untore: la follia collettiva, che stravolge persino l’aspetto delle persone, impedisce di riconoscere la verità e si lascia ingannare dalle apparenze (i gesti un pò ambigui del giovane scatenano l’immaginazione della vecchia). Inizia così una caccia all’uomo nella quale emergono gli istinti peggiori di tutti, compreso Renzo.
Nell’avventura di Renzo, il caso svolge una parte importante . Mentre cerca disperatamente una via d’uscita, questa gli viene offerta, in modo del tutto insperato, dall’arrivo di un convoglio di carri guidati da un gruppo di monatti. E un filo che la Provvidenza gli mette nelle mani, a patto che egli rinunci al prevalere degli istinti e recuperi lucidità e padronanza di sé. Nella visione manzoniana, la libertà di decisione dell’individuo è fondamentale e richiede una cooperazione attiva. Lo scatto interiore, la valutazione immediata del problema, corrisponde ad uno scatto fisico.
La falsa identità di untore, se, da un lato, rischia di perderlo e di fargli fare una brutta fine, dall’altro lo salva e il carro dei monatti diventa un mezzo concreto di salvezza. Ciò spiega la riconoscenza di Renzo, scambiata per l’effetto di una grande paura. Con la rappresentazione dei monatti, la descrizione ha raggiunto il punto più alto di orrore: il segno che distingue questi personaggi è la violenza, singola e collettiva.
La desolazione della scena, animata da uomini che non hanno più nulla di umano, neppure la voce, si prolunga nella visione allucinante che appare a Renzo, in prossimità del lazzeretto, e che pure ha una sua vivacità, in contrasto con il silenzio di morte delle strade cittadine deserte.
Il motivo dominante, che lega tra loro i diversi momenti della descrizione, è quello della tristezza-allegrezza, dove l’ossimoro sottolinea efficacemente l’esplodere dell’assurdo, il segno di un mondo rovesciato, nel quale tuttavia si insinua lievissima la speranza di un ritorno alla vita.



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