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Capitolo 33 I Promessi Sposi - Riassunto

Riassunto del trentatreesimo capitolo (cap. XXXIII) del romanzo I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.


Dove: a Milano, nel paese di Bortolo, nel paese dei promessi sposi.

Quando: gli ultimi giorni dell'agosto 1630; nel flashback, le vicende di Renzo dal dicembre 1628 alla fine dell'agosto 1630.

Chi: don Rodrigo, il Griso, i monatti, Renzo, Bortolo, Tonio, don Abbondio, l'amico di Renzo.



Sintesi

Don Rodrigo è colpito dalla peste
Una sera degli ultimi giorni di agosto, a Milano, don Rodrigo sta rientrando da una serata con gli amici (nella quale ha ironizzato sulla morte per peste del conte Attilio), quando avverte un malessere che lo affatica. Va a letto e attribuisce la causa della spossatezza al vino bevuto in eccesso, ma non riesce a prender sonno. Addormentatosi, fa un sogno pauroso: è in una chiesa, stretto da una folla di appestati che non gli permettono di allontanarsi; a un certo punto, compare sul pulpito fra Cristoforo che lo fissa alzando verso di lui una mano minacciosa. Don Rodrigo, nel tentativo di afferrar quella mano, urla e si sveglia. Si sente sempre peggio, avverte un dolore sotto l'ascella e scopre il bubbone della peste. Chiama allora il Griso, chiedendogli con tono insolitamente gentile di andare a chiamare il Chiodo chirurgo, un medico compiacente che non denuncia gli appestati. Il Griso finge di ubbidire ed esce.


Griso consegna don Rodrigo ai monatti
Anziché tornare con il medico amico, il Griso si presenta con due monatti. Don Rodrigo invoca l'aiuto di altri bravi, ma il Griso li ha allontanati con un pretesto. Uno dei monatti tiene fermo don Rodrigo, che inutilmente vorrebbe reagire con la pistola, mentre l'altro, insieme con il Griso, mette le mani su quanto può essere rubato. Infine, i monatti caricano don Rodrigo su una barella e lo portano al lazzeretto. Il Griso si trattiene ancora per impadronirsi di qualcosa, ma l'imprudenza di aver toccato i panni del padrone gli costerà cara: il giorno dopo, colto a sua volta dalla peste, muore prima ancora di raggiungere il lazzeretto.


Le vicende di Renzo: uno sguardo retrospettivo
Abbandonato don Rodrigo al suo destino, l'autore riporta in scena Renzo che, sotto il falso nome di Antonio Rivolta, avevamo lasciato in un filatoio del bergamasco. Qui si era fermato per alcuni mesi, finché, guastatisi definitivamente i rapporti fra Venezia e la Spagna, Bortolo era stato ben felice di riprenderlo con sé: Renzo era infatti un abile operaio tessile e, d’altro canto, essendo analfabeta, non poteva scalzare il cugino dal suo posto di factotum. Dopo aver ricevuto la lettera di Agnese, Renzo aveva talvolta accarezzato l’idea di farsi soldato nell’esercito di Venezia, immaginando di ritornare nel milanese a seguito di un‘invasione militare; Bortolo, però, era sempre riuscito a trattenerlo. La peste, entrata dal territorio di Milano in quello di Bergamo, aveva poi colpito Renzo che, grazie alla sua costituzione robusta, l’aveva scampata. Appena guarito, decide di partire per il suo paese in cerca di notizie di Lucia: ritiene infatti che il grande subbuglio causato dalla peste abbia distratto le autorità dal perseguire i presunti responsabili dei tumulti di san Martino. Salutato dunque Bortolo e messi nella cintura i cinquanta scudi ricevuti a suo tempo da Agnese, Renzo si incammina verso il suo paese, dove spera di trovare la madre di Lucia.


Il ritorno di Renzo al paese: l’incontro con Tonio e con don Abbondio
Dopo una giornata di cammino, in serata Renzo arriva al paese. La prima persona che incontra è Tonio, talmente diverso da quello di un tempo che Renzo lo scambia in un primo momento per Gervaso: la peste, infatti, lo ha reso insensato. Da lontano, poi, vede avanzare una macchia scura, che riconosce per don Abbondio. Anche lui è stato visitato dalla peste: è pallido e la tonaca gli va larga; oltretutto, ha perso il sostegno di Perpetua, morta per il contagio; nel carattere, però, è sempre lo stesso. Alle domande incalzanti di Renzo, che vuol avere notizie di Lucia, di Agnese e di fra Cristoforo, risponde infatti sbrigativamente, impaziente com'è di chiedere a sua volta perché mai Renzo si sia ripresentato lì, a turbare la sua quiete. Poiché Renzo non gli assicura di tornarsene presto nel bergamasco, come egli spera, il curato se ne va borbottando il suo malcontento.


Renzo visita la sua vigna e la sua casa, quindi è ospitato da un amico
Renzo si dirige verso casa e passando getta un'occhiata alla sua vigna, ormai devastata e trasformata in un intrico di piante ed erbacce che si soffocano l’una con l’altra. La casa, poi, è invasa dai topi e dal sudiciume lasciato dai lanzichenecchi. Prosegue dunque verso la casa di un amico d’infanzia, per chiedergli ospitalità per la notte. Lo trova solo, malinconicamente assorto nei suoi pensieri. A prima vista, l’amico lo scambia per il becchino che sovente va a chiedergli aiuto per seppellire i cadaveri; quando riconosce Renzo, lo accoglie festosamente e gli prepara la cena con una buona polenta. Ritrovandosi dopo circa due anni, i due giovani si raccontano le proprie avventure. Renzo viene così informato della partenza di don Rodrigo, delle sventure di Lucia e del casato di don Ferrante. Il giorno successivo, di buon mattino, il giovane si mette in cammino diretto a Milano, per cercar prima Lucia e poi portare sue notizie ad Agnese, che si trova a Pasturo. Passa per Monza e verso sera, non distante da Milano, trascorre la notte in un fienile; la mattina, dopo poco cammino, si trova sotto le mura di Milano, fra porta Orientale e porta Nuova.


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