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Capitolo 32 de I Promessi Sposi - Analisi e Commento

Spiegazione, analisi e commento degli avvenimenti del trentaduesimo capitolo (cap. XXXII) del celebre romanzo I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.


La struttura

Il capitolo, che costituisce la seconda parte della macrosequenza della peste, descrive il progressivo aggravarsi della situazione e l'esplodere della follia popolare nella caccia agli untori. Il narratore porta così a conclusione la digressione storica per ritornare infine ai suoi personaggi, con l'intento di non lasciarli più, fino alla fine.



I nuclei tematici

Prosegue, in queste pagine, l'esposizione del vero storico, rigorosamente documentato dalle fonti dell'epoca. Riaffiorano inoltre temi emersi in precedenza: prima di tutto, l'insensibilità dei politici di fronte alle miserie della città (il governatore manda in risposta condoglianze e nuove esortazioni, ma nessun aiuto concreto); l'atroce inutilità della guerra per Mantova, che finisce con l'attribuzione del ducato a Carlo di Nevers; l'irrazionalità che travolge tutti, governanti e governati.


La speranza in un aiuto soprannaturale
La prima manifestazione di questa autodistruzione della ragione è l'insistente richiesta di una processione solenne: venuta meno la speranza nell'aiuto degli uomini, è naturale rivolgersi a Dio, quasi per obbligarlo ai desideri della comunità. Il cardinale Borromeo, inizialmente contrario, cede alle pressioni e la processione avviene secondo le forme tipiche della religiosità secentesca: lo sfarzo o, al contrario, l'ostentazione della penitenza; il senso della gerarchia e della rigida divisione della società in classi.
Il narratore esprime però la sofferenza vera, profonda, della gente che, al di là dell'esibizione pubblica del culto religioso, riconosce nella preghiera l'unico mezzo per conservare la speranza fra tanta desolazione. Nella sinistra festa della processione, il momento più commovente consiste nella rappresentazione delle strade deserte, silenziose, e delle persone che, sequestrate nelle proprie case, ascoltano la voce del corteo come un ronzio vagabondo.


Il celebre delirio
Tuttavia, il nucleo fondamentale del capitolo va ricercato nella ripresa del tema del «celebre delirio» (cap. XXXI). La persuasione, infondata e fanatica, dell'esistenza degli untori consente al narratore di analizzare i comportamenti umani, senza tuttavia mai indulgere al gusto dell'orrido, se non quando esso è utile per rappresentare la follia e la perversione degli uomini.
La peste mette in luce il guazzabuglio del cuore umano, una mescolanza indecifrabile di bene e di male (l'eroica carità e ottusa speranza, la razionalità e la follia), che viene presentata e giudicata attraverso l'ottica del narratore e della moltitudine.
L'intervento del Manzoni fa emergere una serie di comportamenti negativi: il pregiudizio, che impedisce di verificare con esattezza la veridicità delle impressioni; la fantasia selvaggia stravolta che altera le menti (era sufficiente un gesto ritenuto sospetto, perché il dubbio si trasformasse in certezza e questa divenisse furore); infine, del pari con la perversità, crebbe la pazzia che estende smisuratamente la paura delle unzioni, perfino ai membri di una stessa famiglia, e crea storie fantastiche e macabre.
Nell'ottica della moltitudine, nessuno si salva: tutti possono essere sospettati e, di conseguenza, diventare vittime della violenza.
Il pregiudizio non risparmia neppure quei medici che avevano diagnosticato l'esatta natura del contagio. La città è ridotta a un mortorio e non si tratta solo di una malattia del corpo, ma anche della peste creata dall'irrazionalità e dai mostri dell'intolleranza. L'unico spiraglio di luce nella tragedia è l'esempio eroico dei cappuccini e della generosità di alcuni privati, nelle cui opere acquista un volto concreto la Provvidenza.



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