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Ciàula scopre la Luna: figure retoriche

ciula-e-la-luna

Ciàula è un giovane povero che lavora duramente in una miniera di zolfo in Sicilia. È l'aiutante di Zi' Scarda, un minatore anziano. Una sera, il sorvegliante Cacciagallina vuole farli rimanere a lavorare oltre l'orario, ma solo Zi' Scarda e Ciàula accettano. Nonostante sia esausto, Ciàula obbedisce. Ha paura del buio fuori dalla miniera a causa di un incidente passato. Mentre esce, rimane stupito dalla luce della luna, di cui non aveva mai veramente prestato attenzione. Sedendosi a guardarla, scopre la sua bellezza e si mette a piangere per l'emozione di questa nuova scoperta.





Ciàula scopre la Luna: figure retoriche

In questa pagina trovate tutte le figure retoriche contenute nella novella Ciàula scopre la Luna di Luigi Pirandello. Nel testo si alternano figure retoriche semplici, cioè di immediata individuazione, a figure retoriche complesse, cioè che richiedono una certa attenzione per poter essere individuate.



Onomatopea

Ciàula significa cornacchia nella lingua siciliana e il protagonista imita il verso del volatile e poi l'autore utilizza il verbo del verso dell'animale. In entrambi i casi si tratta di onomatopea.
Cràh! cràh!
crocchiare



Similitudine

Numerose sono le similitudini contenute nel testo, d'altronde è la figura retorica che con maggiore facilità anche un pubblico non particolarmente colto riesce a individuare facilmente.
sforacchiate dalle zolfare, come da tanti enormi formicai
a ogni colpo gli strappava come un ruglio di rabbia dal petto
come una carità che gli facessero
ci stava cieco e sicuro come dentro il suo alvo materno
come un cane
come se qualcuno lo avesse inseguito
come se il vecchio si facesse ajutare a muovere le braccia dalla forza della macchina lontana
si apriva come un occhio chiaro
come se il sole fosse rispuntato
come in un fresco luminoso oceano di silenzio



Metafora

Segnaliamo anche due metafore, ovvero espressioni che hanno un senso solamente se spiegate metaforicamente, perché altrimenti non avrebbero alcun senso.
oceano di silenzio
gli stava di faccia la Luna



Allegoria

Tre elementi contenuti nel testo rappresentano qualcosa che non viene spiegata direttamente, sebbene ci si può arrivare ugualmente al loro significato.
La luna = speranza
Il buio = la paura
L'esplosione della mina = tristezza e solitudine



Ossimoro

Ciàla sapeva muoversi nel buio delle caverne in modo sicuro anche quando non riusciva a vedere nulla, come se fosse cieco. Le due parole sono in contrapposizione tra loro in quanto non riuscire a vedere all'interno di una miniera potrebbe essere pericoloso e addirittura mortale.
cieco e sicuro
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Figure retoriche: I poeti lavorano di notte di Alda Merini


La poesia di Alda Merini è davvero straordinaria. Il titolo stesso, "I poeti lavorano di notte", suggerisce un contenuto potente. Questa frase descrive il ruolo del poeta come qualcosa di speciale: una persona che si ritira nella notte per scrivere quando il mondo diventa silenzioso.





I poeti lavorano di notte: figure retoriche

In questa pagina trovate tutte le figure retoriche contenute nella poesia I poeti lavorano di notte di Alda Merini. Tra le figure retoriche più rilevanti vi sono la similitudine e la sinestesia. Per ulteriori informazioni vi rimandiamo alla scheda principale dedicata alla poesia I poeti lavorano di notte, con testo, parafrasi, analisi e commento.



Anafora

La prima anafora riprende le parole del titolo nel primo verso v.1 e in parte si ripete nel v.5.
I poeti lavorano

La seconda anafora è una ripetizione dell'avverbio nel v.2 e v.3.
Quando



Allitterazione

Nel v.3 è presente l'allitterazione della consonante L.
il, della, folla



Similitudine

Nei versi vv. 6-7 Alda Merini paragona i poeti agli uccelli della notte.
come falchi notturni od usignoli dal dolcissimo canto



Climax

Il climax ascendente viene usato per descrivere
notte (v.1)
buio (v.5)
silenzio (v.9)



Sinestesia

Nei vv. 10-11 è presente una sinestesia perché il rumore appartiene alla fera sensoriale dell'udito, mentre la cupola che è dorata di stelle appartiene alla sfera sensoriale della vista.
"rumore di una dorata cupola di stelle" (vv. 10-11)



Antitesi

Ai poeti vengono accostate due parole in contrasto tra loro perché dove c'è rumore non può esserci silenzio.
"silenzio" (v.9)
"rumore" (v.10)



Enjambement

Eccovi gli enjambement più evidenti presenti nel testo, ovvero l'interruzione del verso che prosegue nel successivo.
"usignoli / dal dolcissimo canto" (vv. 6-7)
"più rumore / di una dorata cupola di stelle" (vv. 10-11)
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Figure retoriche: Meritamente , però ch'io potei

Meritamente-Foscolo

Il sonetto parla di un amore che è finito, un sentimento così potente che cambia completamente la prospettiva del poeta sul mondo. Le immagini delle onde e del vento rappresentano la sua disperazione profonda. Il poeta si trova in esilio volontario a causa della situazione politica che vede l'ingresso degli austriaci in Italia, ma questo significa anche essere lontano dalla donna che ama e si sente in colpa verso di lei per aver scelto di abbandonarla.





Meritatamente , però ch'io potei: figure retoriche

In questa pagina trovate tutte le figure retoriche contenute nel sonetto Meritatamente , però ch'io potei di Ugo Foscolo. Tra le figure retoriche più importanti individuate nel testo segnaliamo la personificazione e l'anastrofe. Per leggere testo, parafrasi e commento della poesia vi rimandiamo invece alla scheda principale di Meritatamente , però ch'io potei.



Allitterazione

L'allitterazione della R è presente nei primi due versi e serve ad aggiungere una sorta di ruvidezza o asprezza al tema trattato.
"meritatamente, però" (v.1)
"abbandonarti, grido, frementi" (v.2)

L'allitterazione della S è presente nella parte centrale del testo, più precisamente nei versi vv. 4-5. Serve ad accentuare il senso di lamento e tristezza nel testo attraverso il suono sibilante della "S" che crea un'atmosfera di sospensione, malinconia e dolore.
sperdono, soldi, sperai

Negli ultimi due versi è presente l'allitterazione della M e della N.
"speme, amor, ombre, inferne, seguirammi, immortale, onnipotente" (vv. 13-14).



Personificazione

Nel v.4 i venti del Tirreno sono definiti sordi perché disperdono i pianti del poeta senza "sentire" il dolore che egli sta provando.
sordi



Anastrofe

Nel v.4 le due parole sono scritte in ordine invertito, l'ordine corretto sarebbero dovuto essere "i venti del Tirreno".
del Tirreno i venti

Nel v.8 l'ordine delle parole è invertito per attirare l'attenzione sul pronome personale complemento "me" così da rendere più evidente al lettore il suo senso di colpa. Infatti, avrebbe dovuto scrivere "sospirando me", che vuol dire "ansimando me" oppure "rimpiangendomi".
Me sospirando



Anafora

Nei versi v.5 e v.9 viene ripetuto lo stesso verbo all'inizio del verso.
Sperai



Iperbato

Nei vv.10-11 l'aggettivo eterne è riferito alle foreste.
e le eterne ... foreste



Similitudine

Nel v.11 il poeta si paragona a una fiera, termine per molti è noto per il primo canto dell'inferno dantesco, e vuol dire a una bestia selvatica. L'aggettivo dimostrativo "qual" ha la stessa funzione del "come".
qual fiera



Metafora

Nel v.12 è presente una metafora dato che le cose elencate possono consolare il cuore solo metaforicamente parlando, e sempre metaforicamente il cuore è definito sanguinante, ovvero lacerato dalla sofferenza.
Sarien ristoro al mio cor sanguinente



Enjambement

Di seguito trovare i versi e le parole che vengono spezzate per poi continuare nel verso successivo.
"potei / abbandonarti" (vv. 1-2)
"frementi / onde" (vv. 2-3)
"i pianti miei / sperdono" (vv. 3-4)
"queste / rupi" (vv. 9-10)
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Analogia: significato ed esempi della figura retorica

analogia-figure-retoriche

L'analogia è una figura retorica di significato il cui nome deriva dal latino analogĭa e dal greco ἀναλογία che vuol dire "relazione di somiglianza".





Significato

L'analogia viene utilizzata per accostare due termini come oggetti o situazioni la cui connessione non è così evidente, dato che si tratta di una connessione di pensiero nel quale è richiesto un certo ragionamento logico. Un celebre esempio di analogia è presente nella poesia L'isola di Giuseppe Ungaretti, nel quale afferma che le mani erano un vetro levigato, ma le mani non sono fatte di vetro eppure c'è un legame ovvero il sudore che le ha rese lisce.
Le mani del pastore erano un vetro levigato



Differenza tra analogia, similitudine, metafora

Può capitare di fare confusione tra l'analogia e le altre figure retoriche simili, come ad esempio la similitudine e la metafora. La similitudine è più facile da distinguere perché si forma attraverso l'uso di avverbi: come, simile a, assomiglia, così come, ecc.
Matteo è coraggioso come un leone.

Per quanto riguarda la metafora, somiglia maggiormente all'analogia, ma la metafora ha un significato più semplice e diretto mentre nell'analogia si deve fare un certo ragionamento. Per esempio, nel caso in questione le risate sono astratte e non possono essere contenute all'interno di un sacco.
Guardando il film ci siamo fatti un sacco di risate.



Esempi con frasi

Sebbene abbiamo già inserito il primo esempio di analogia nel paragrafo riguardante il significato, di seguito vi andremo a mostrare e spiegare ulteriori esempi di analogia presi da opere letterarie d'autore, andando a spiegare perché la figura retorica in questione è un'analogia.

1) Nel Gelsomino notturno di Giovanni Pascoli è presente un'analogia perché il germogliare del gelsomino nelle notti estive viene accostato all'unione dei due sposi ed il germogliare di una nuova vita.
È l’alba: si chiudono i petali
un poco gualciti; si cova,
dentro l’urna molle e segreta
non so che felicità nuova.

2) In un'altra poesia di Giuseppe Ungaretti intitolata Stelle il poeta accosta il termine "favole" alle stelle, probabilmente perché le favole sono un richiamo all'infanzia e alla fantasia, mentre le stelle nonostante l'età continuano ad affascinare con il loro luccicare anche gli adulti.
Tornano in alto ad ardere le favole

3) Nella poesia di Eugenio Montale intitolata Meriggiare pallido e assorto i picchi privi di vegetazione vengono accostati alle teste calve.
Si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi
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Figure retoriche: Marzo di Giorgio Caproni

marzo-poesia

Cessata la pioggia tutto appare diverso, gli odori, i colori... d'altronde è una tipica pioggia del mese di marzo, dove pur essendoci un clima primaverile può capitare qualche acquazzone che svanisce subito per poi fare nuovamente spazio al sole splendente.





Marzo: tutte le figure retoriche

In questa pagina trovate tutte le figure retoriche contenute nella poesia Marzo di Giorgio Caproni. Tra queste la più importante è certamente la personificazione che dona vitalità all'opera. Invece, per quanto rigarda testo, parafrasi e commento vi rimandiamo alla scheda principale.



Metafora

I primi due versi della poesia (vv. 1-2) vanno a formare una metafora perché la terra non è un frutto appena sbucciata, nemmeno dopo che ha smesso di piovere. Non si tratta di una similitudine perché è priva del "come", e questa frase ha senso solo metaforicamente dato che si riferisce ai suoi intensi odori.
la terra è un frutto appena sbucciato



Personficazione

La prima personificazione si trova al verso v.3 dove dice che il fieno ha il fiato, ma si sta riferendo all'odore del fieno bagnato, e non all'aria che fuoriesce dalla bocca.
fiato del fieno

Nel v.4 la personificazione riguarda la risata del sole, nel senso che è splendente, quasi come se si stesse burlando della pioggia visto che andrà ad asciugare tutto quanto ha bagnato in precedenza, incluso la terra e il fieno.
ride il sole



Sinestesia

Nei versi 3-4 è presente una sinestesia perché si fa confusione tra olfatto (odore di bagnato) e gusto (sapore acre).
il fiato del fieno bagnato è più acre



Enjambement

Alcuni versi vengono interrotti per poi continuare in quello seguente. Questa figura retorica è chiamata enjambement.
"la terra / è un frutto" (vv. 1-2)
"Il fiato del fieno bagnato / è più acre" (vv. 3-4)
"il sole bianco" (vv. 4-5)
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Figure retoriche: San Martino di Giosuè Carducci

nebbia-irti-colli-mare-borgo

Probabilmente la prima volta che avete avuto modo di leggere la poesia San Martino di Carducci non eravate nemmeno a conoscenza di cosa fossero le figure retoriche, perché frequentando le elementari non sempre viene affrontato questo argomento o comunque non con la giusta importanza che merita. Quel che contava di più per le poesie famose come questa era impararle a memoria! Col passare degli anni però, avanzando nel proprio percorso di studio, può capitare di ritrovare le stesse poesie e di doverle analizzare più nel dettaglio. Dunque, nella prima parte dell'opera, Giosuè Carducci descrive un ambiente campagnolo triste e cupo, con nebbia e vento. Ma poi, nella seconda parte, descrive un borgo festoso e sereno nel giorno di San Martino, salvo poi ritornare a scrivere usando lo stesso tono iniziale.





San Martino: figure retoriche

In questa pagina trovate tutte le figure retoriche della poesia San Martino di Giosuè Carducci. Tra le figure retoriche più importanti contenute nel testo vi sono la sinestesia, la similitudine e la personificazione. Per saperne di più consultate la sezione dedicata alla poesia San Martino.



Personificazione

Nel v.4 il poeta dona al mare una capacità umana, nello specifico quella di urlare.
urla ... il mare



Allitterazione

Allitterazione della R (vv. 4-7), ovvero quei versi dove viene descritta l'euforia per la festa di San Martino in paese.
per, borgo, ribollir, aspro, odor, rallegrar



Metonimia

Nel v.6 è presente una metonimia perché ribolle il mosto e non i tini (= catini). Dunque, il poeta usa il contenente per il contenuto.
ribollir de tini



Anastrofe

Nella struttura normale nei vv. 6-7 la frase sarebbe dovuta essere: "l'aspro odor de i vini va dal ribollir de' tini", ma Carducci sceglie di invertire l'ordine per enfatizzare il ribollire del mosto come causa dell'odore aspro dei vini.
dal ribollir de' tini
va l'aspro odor de i vini

Nei vv. 9-10 è presente un'anastrofe perché l'ordine dei versi dovrebbe essere invertito. Cioè: "lo spiedo scoppiettando gira su' ceppi accesi"
Gira su' ceppi accesi / lo spiedo scoppiettando



Sinestesia

Nel v.7 il l'aggettivo aspro è riferito alla sfera sensoriale del gusto, mentre il sostantivo odor è riferito alla sfera sensoriale dell'olfatto. Dunque, appartengono a due sfere sensoriali diverse.
aspro odor



Metafora

Nel v.1 è usato l'aggettivo irti in senso metaforico, nel senso che sui colli sono presenti degli alberi ormai privi di foglie, quindi li associa a qualcosa di pungente.
irti colli

Nel v.15 i pensieri sono definiti esuli. Il termine esule è riferito a chi va o vive in esilio. Senza l'effetto metaforico, i pensieri in questo caso potrebbero essere definiti "vaganti".
esuli pensieri



Similitudine

Tra versi vv. 14-15 è presente una similitudine che paragona uno stormo di uccelli neri a quei pensieri vaganti, che adesso sono presenti ma che poi vanno via, e che rappresentano uno stato di irrequietezza.
stormi d'uccelli neri, com'esuli pensieri
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Figure retoriche: Essere rondine di Mario Luzi

poesia-rondine-Mario-Luzi

Il volo delle rondini diventa un momento di riflessione per il poeta Mario Luzi, nella cui poesia si domanda se la loro sia libertà o soltanto un volo irrequieto in uno spazio con dei confini. Alla fine giunge alla risposta da solo, ovvero che volare come le rondini nonostante tutto sia il miglior modo per vivere e superare le avversità della vita.





Essere rondine: figure retoriche

In questa pagina trovate tutte le figure retoriche contenute nella poesia di Mario Luzi intitolata Essere rondine. Tra le figure retoriche più importanti che abbiamo individuato nel testo vi sono le ripetizioni e l'enjambement. Per leggere il nostro commento riguardo questa poesia vi invitiamo a ritornare nella scheda della poesia → Essere rondine - Luzi.


Iperbato

L'iperbato si ha quando due parole che dovrebbero stare vicine vengono separate da altre parole. Ad esempio nei versi vv. 1-3 il sostantivo è distante dal verbo.
sgorgano ... esse

Anche nei versi vv. 16-17 il verbo dovrebbe essere immediatamente seguito dall'espressione seguente ma il poeta voleva mettere in evidenza il pronome indefinito "ciascuna".
allungano ... più in alto



Analogia

Immagina il cielo come una fontana che non finisce mai di spruzzare acqua. Le rondini sono come le gocce che saltellano fuori da questa fontana infinita, proprio dal cielo.
cielo = fontana
rondini = gocce



Epanadiplosi

Nel v.17 il pronome indefinito ciascuna si trova all'inizio e alla fine dello stesso verso. Lo scopo è quello di evidenziare il volo di ogni singola rondine e non di tutto lo stormo (= insieme di uccelli).
ciascuna più in alto – ciascuna



Antitesi

Nei vv. 34-35 potrebbe essere presente un'antitesi dato che se si è liberi di muoversi non ci dovrebbe essere un ritmo segnato, dunque sono espressioni in contrasto fra loro. Infatti proprio da questo contrasto che sorgono le domande del poeta: "che c'è in quel vorticare della vita dentro i suoi recinti?"
ma libere di muoversi
a un ritmo segnato



Anadiplosi

L'espressione seguente si trova alla fine del v.42 e all'inizio del v.43.
in ogni parte



Personificazione

Il verbo "gridare" appartiene all'uomo, invece il verso della rondine è garrire, cioè la rondine garrisce. Dunque nel v.45 è presente una personificazione, realizzata proprio per creare un legame fra l'uomo e l'animale.
gridano



Climax

Ai versi vv. 46-47 è presente un climax ascendente dato che i seguenti termini tendono ad aumentare di intensità.
strazio, ebrietà, infuriano



Enjambement

Moltissime volte il verso viene interrotto per poi continuare nel verso successivo. Probabilmente ha voluto esagerare con questa tecnica stilistica per mettere in risalto il volo delle rondini che ha continui alti e bassi.
"sgorgan / l'una dall'altra" (vv. 1-2)
"traboccano / fuori" (vv. 3-4)
"l'una / dopo l'altra" (vv. 4-5)
"disfano / le loro rapide pattuglie" (vv. 5-6)
"sbandando / sotto la loro impavida veemenza" (vv. 7-8)
"è solo / un primo assaggio" (vv. 12-13)
"un primo assaggio / quello" (vv. 13-14)
"un primo guizzo / di compressa fiamma" (vv. 14-15)
"ciascuna / più" (vv. 17-18)
"il perimetro / del loro aereo campo" (vv. 19-20)
"rientrano / planando" (vv. 22-23)
"si rituffano / nella conca" (vv. 24-25)
"di quella / inesauribile fontana" (vv. 25-26)
"c'è pena / o c'è felicità" (vv. 27-28)
"vorticare / della vita" (vv. 30-31)
"sono libere / quelle anime" (vv. 32-33)
"un pensiero / scritto" (vv. 41-42)
"lo gridano / con strazio" (vv. 45-46)
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Figure retoriche: Alba di Giorgio Caproni

alba-analisi-retorica

Il poeta descrive un'alba senza sole e questo dettaglio lo rivela soltanto nel finale dopo le prime due strofe nel quale ruota attorno a questo argomento. Un alba priva di calore, umida e bagnata non riesce a svegliarlo del tutto, la bocca è ancora addormentata, i suoi occhi non riescono a mettere a fuoco velocemente il paesaggio. Dunque, "Il buon giorno si vede dal mattino", come dice un popolare proverbio. E se il sole tarda arrivare è come se qualcuno ha cucinato una minestra e a dimenticato di metterci il sale.





Tutte le figure retoriche

In questa pagina trovate tutte le figure retoriche contenute nel testo della poesia Alba di Giorgio Caproni. Tra queste la più importante è sicuramente la metafora. Per saperne di più consultate la scheda riguardante questa poesia.



Personificazione

Nei versi vv. 4-5 la bocca del poeta viene personificata attraverso l'aggettivo "assopita" come se non si fosse ancora svegliata del tutto. Questo riferimento al sonno, dato che una bocca non dorme, bensì al massimo può essere "bloccata", va a creare la figura retorica della personificazione.
bocca ancora assopita



Similitudine

Nei versi vv. 6-7 quello che appare alla vista del poeta, a poco a poco, perché ancora i suoi occhi sono assonnacchiati, appare anche nelle acque ristagnate nel terreno, di riflesso.
Negli occhi nascono come nell’acque degli acquitrini



Metafora

Nei versi vv. 10-11 il poeta usa una metafora per spiegare l'importanza del sole per il pianeta. Il sole è come il sale, un importantissimo condimento che dà sapore ai cibi.
il sale del mondo



Enjambement

Di seguito tutti i versi che vengono interrotti per poi fluire nel verso successivo.
"prati / bagnati" (vv. 2-3)
"ancora / assopita" (vv. 4-5)
"come / nell'acque" (vv. 6-7)
"il sale / del mondo" (vv. 10-11)
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Figure retoriche: Rifugio d'uccelli notturni di Salvatore Quasimodo

rifugio-uccelli-notturni-quasimodo

Siamo in piena notte e il poeta osserva un pino curvato come chi avvicina l'orecchio per ascoltare con maggiore attenzione. Sopra di esso ci sono gli uccelli che svolazzano e fanno sentire il loro battito d'ali. Il poeta si paragona proprio a questo pino affermando che anche nel suo cuore sospeso nell'oscurità vi è un nido ed è in ascolto proprio come il pino.





Tutte le figure retoriche

In questa pagina trovate tutte le figure retoriche della poesia Rifugio d'uccelli notturni di Salvatore Quasimodo. La figura retorica più importante è sicuramente l'analogia che regge tutto il testo. Per un'analisi dei temi trattati più approfondita vi rimandiamo alla scheda principale → Rifugio d'uccelli notturni - Quasimodo.


Personificazione

La personificazione è quella figura retorica che consiste nel conferire ad elementi non viventi capacità tipiche degli esseri viventi. In questo caso è la capacità di ascoltare, nel primo caso è riferito al pino (v.2) e nel secondo caso al cuore (v.9).
ascolta l'abisso
in ascolto



Metafora

Nel v.5 l'ora viene espressa descrivendone l'altezza, dato che non è l'unità di misura del tempo si tratta di una metafora in quanto fa riferimento all'ora più profonda della notte.
nell'ora più alta

Nel v.7 il poeta dice che il suo cuore proprio come il pino ha un nido. Tuttavia, cuori con un nido non se ne sono mai visti e pertanto si tratta di un'altra metafora.
Ha pure un suo nido il mio cuore



Analogia

Le numerose connessioni fra il pino e il cuore vanno a creare la figura retorica dell'analogia.
"pino" (v.1)
"cuore" (v.7).



Enjambement

Per tre volte nel testo il verso viene interrotto per poi continuare in quello seguente.
"l'abisso / col fusto piegato" (vv. 2-3)
"risuona / d'un batter d'ali" (vv. 5-6)
"il mio cuore / sospeso" (vv. 7-8).
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Figure retoriche: Foglie morte di Nizam Hikmet

foglie-secche-bambini

Quella di Nazim Hikmet è una poesia nel quale l'autunno, stagione celebre per la caduta delle foglie secche degli alberi, rappresenta sia la vita che sta giungendo al termine ma anche, insolitamente, dei momenti positivi perché rievoca ricordi e perché le giornate di autunno possono anche essere meravigliose in presenza di un bel tempo, di bambini e di uno buono stato di salute fisico e mentale (seppure temporaneo).





Foglie morte: figure retoriche

In questa pagina trovate tutte le figure retoriche contenute nella poesia Foglie morte di Nazim Hikmet. Le figure retoriche principali sono l'anafora (presente in ogni verso) e l'iterazione. Potete anche leggere testo, parafrasi e commento nella sezione principale → Foglie morte - Hikmet.



Anafora

Nei versi v.2; v.3; v.4; v.5; v.6; v.7; v.8; v.9; v.11 viene ripetuto numerose volte l'avverbio a inizio di ogni verso per sottolineare le situazioni positive di una giornata autunnale.
soprattutto

Nei versi v.2 e v.10 viene ripetuto l'intero verso per rimarcare lo scombinamento emotivo del poeta alla visione delle foglie autunnali che cadono giù.
veder cadere le foglie mi lacera dentro



Analogia

Nei versi v.2; v.10 viene ripetuto lo stesso verso dove le foglie che cadono giù rappresentano lo scorrere del tempo, il perdere pezzi, gli acciacchi, la vecchiaia ecc. Sono tutti quegli elementi che mettono angoscia e che appunto lacerano dentro, e per dentro intendiamo nell'anima.
Veder cadere le foglie mi lacera dentro



Enumerazione

La ripetizione dell'avverbio viene usata per elencare numerose cose positive. Si trova a versi (v.2; v.3; v.4; v.5; v.6; v.7; v.8; v.9; v.11).
soprattutto



Iterazione

Nei versi vv.6-9 viene ripetuta per quattro volte la stessa espressione per sottolineare che in quello specifico giorno proverebbe emozioni ancora più forti se riceve una buona notizia, se il cuore non gli fa male, se l'amore è ricambiato anche dall'altra persona che lui ama, e se si sente in pace con gli altri e con e se stesso. Evidentemente sono situazioni che non gli capitano di norma.
quel giorno
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Figure retoriche: I miei giorni sono fette di melone di Nazim Hikmet

giorni-fette-melone

Il poeta turco Nazim Hikmet ha dedicato una poesia alla moglie Vera, descrivendo la sua gioia quando le sta vicino e il suo dolore quando viaggiando in Europa deve necessariamente vivere in sua assenza. In breve, questa poesia celebra il potere dell'amore, evidenziando come la presenza di una persona speciale possa rendere la vita più luminosa e piena di significato.





Tutte le figure retoriche

In questa pagina trovate tutte le figure retoriche presenti nella poesia "I miei giorni sono fette di melone" di Nazim Hikmet. Tra le figure retoriche più importanti vi sono la metafora, la similitudine e la personificazione. Per leggere il testo, la parafrasi e il commento della poesia vi invitiamo a ritornare nella sezione principale → I miei giorni sono fette di melone - Nazim Hikmet.


Metafora

Nel v.1 il poeta dice che i suoi giorni passati con la moglie sono fette di melone. Attenzione! Non sta facendo un paragone (il "come" è assente), pertanto si tratta di una metafora.
I miei giorni sono fette di melone

Nel v.2 continua dicendo che il melone profuma di vita, ma anche questa è una metafora dato che la vita non ha un odore.
profumato di vita

Il miele delle api? Macché, il miele della speranza! Anche questa è una metafora.
il miele della speranza



Similitudine

Nel v.5 il poeta paragona la sua mano al sole perché attira i frutti a sé.
come se fossi sole

Nel v.10 paragona le sue giornate tristi ai tappeti tessuti in Anatolia (o Asia minore) che si appendono alle pareti. La Turchia è famosa per la produzione di tappeti ed è la patria di alcuni tra i più bei tappeti annodati e tessuti a mano del mondo.
come un tappeto d'Anatolia



Personificazione

Nel v.9 le serate non sorridono, dunque gli sta attribuendo capacità umane, pertanto si tratta di una personificazione.
serate più solitarie sorridono

Nei versi vv. 17-19 la morte viene vestita, la si sente cantare e dà ospitalità come se fosse una persona vera e propria.
la morte



Anafora

Più volte il poeta ringrazia sua moglie Vera per le sensazioni che gli fa provare e questa ripetizione la ritroviamo nei versi v.3; v.6; v.7; v.12; v.15; v.16
grazie a te



Allegoria

Nel v.14 le rose indicano il vero amore e la forte passione che il poeta prova per sua moglie.
un giardino di rose



Climax

Negli ultimi 3 versi della poesia, l'utilizzo del climax ascendente crea l'inquietante sensazione della morte che si sta avvicinando sempre più al poeta.
non lascio entrare (v.17)
bussa alla mia porta (v.18)
invitandomi (v.19)



Iperbato

Nei versi 17-18 il poeta dice che non lascia entrare la morte, poi aggiunge che è vestita, e poi riprende il discorso della morte che bussa alla sua porta perché vuole invitarlo a entrare. Dunque, si tratta di un iperbato dato che i versi scritti in modo scorrevole sarebbero dovuti essere scritti in questo modo: "non lascio entrare la morte che bussa alla mia porta".
non lascio entrare la morte vestita di veli molli / che bussa alla mia porta



Enjambement

Di seguito trovate i casi in cui il verso viene spezzato per poi continuare nel verso successivo.
melone / profumato di vita (vv. 1-2)
verso la mia mano / come se fossi sole (vv. 4-5)
come un tappeto d'Anatolia/ appeso sulla parete (vv. 10-11)
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Figure retoriche: Nessuno di Salvatore Quasimodo

poesia-Nessuno-Quasimodo

Il poeta descrive un momento della sua vita nel quale si sento come un giovane spaventato dall'arrivo dalla morte, ma in realtà non è più giovane, ed è triste e solo, e per questa ragione è attratto dalla morte. La morte in questa poesia viene vista come un modo per potersi liberare dalle preoccupazioni della vita, sebbene abbia voluto vicino a sé qualcuno con cui potersi confidare e piangere prima di avvicinarsi a Dio.





Nessuno: tutte le figure retoriche

In questa pagina trovate tutte le figure retoriche contenute nella poesia Nessuno di Salvatore Quasimodo. In realtà, ce ne sono davvero poche, ma sono dense di significato. Per leggere testo, parafrasi e commento vi rimandiamo alla sezione principale → Nessuno - Quasimodo.



Metafora

Nel v.1 il poeta afferma di essere un fanciullo, e anche aggiungendo l'avverbio dubitativo "forse", il risultato è lo stesso: si tratta di una metafora. È una metafora perché il poeta non è più un fanciullo.
Io sono forse un fanciullo




Anafora

perché (v.4 , v.7)
che (v.2 , v.10)




Personificazione

Nel v.3 il poeta chiama la morte, ma essa è astratta e non è un essere vivente che può essere chiamata. Dunque, la morte viene personificata.
la morte chiama




Sinestesia

Nel v.6 è presente la sinestesia perché del cuore si possono ascoltare i suoi battiti con l'udito, invece la tristezza è un sentimento. Cioè le due parole appartengono a sfere sensoriali diverse.
cuore di tristezza
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Figure retoriche: Non chiederci la parola di Eugenio Montale


Questa poesia di Montale presenta un'accezione negativa, nel quale invita il lettore a non chiedere parole certe e assolute come erano soliti fare i poeti tradizionali e non devono nemmeno chiedere versi che svelino la complessità del suo animo. Poi, fa notare che alcuni uomini affrontano la vita con maggiore fiducia, ignorando i dubbi le e oscurità che sono dentro di loro. Questa fiducia però è superficiale in quanto non riflette la precarietà della vita. Infine, ribadisce di non avere risposte definitive per i misteri della vita e dell'universo, e che possiamo solamente definirci attraverso ciò che non ci appartiene o ciò che non ci piace.





Non chiederci parola: tutte le figure retoriche

In questa pagina trovate tutte le figure retoriche contenute nella poesia Non chiederci parola di Eugenio Montale. Tra le figure retoriche più importanti vi sono l'anafora, l'allitterazione e l'epifonema. Per maggiori informazioni ritornate alla sezione principale → Non chiederci parola - Montale.



Apostrofe

Nel v.1 troviamo un'apostrofe perché il verbo è rivolto al lettore.
Non chiederci



Metafora

Nel v.2 è presente una metafora dato che le lettere non prendono fuoco, e metaforicamente vuol dire in modo molto chiaro.
lettere di fuoco



Similitudine

La similitudine presente nel v.3 vuol dire che deve essere espresso chiaramente proprio come risplende un fiore sgargiante, e nomina il croco che è il fiore da cui si ottiene lo zafferanno.
risplenda come un croco

La similitudine del v.10 il riferimento va ancora alle parole, nello specifico alle sillabe storte come quelle di un ramo secco.
secca come un ramo



Anastrofe

Nel v.2 l'ordine corretto sarebbe dovuto essere "il nostro animo".
l'animo nostro

Nel v.7 l'ordine delle parole è invertito, in quando l'aggettivo possessivo dovrebbe precedere il sostantivo a cui è riferito, dunque "la sua ombra".
l’ombra sua

Nel v.9 l'ordine corretto sarebbe dovuto essere "che possa aprirti mondi".
che mondi possa aprirti



Anafora

I versi v.1 e v.9 iniziano entrambi con l'avverbio di negazione.
Non



Allitterazione

Allitterazione della R
chiederci, parola, squadri

Allitterazione della C
dichiari, come, croco

Allitterazione della P, per esprimere il tema della negatività.
perduto, polveroso, prato

Allitterazione della S
sì, storta, sillaba, secca



Antitesi

L'antitesi è quella figura retorica in cui due parole sono in forte contrasto tra loro. Nel primo caso, la parola "squadri" fa riferimento al fermo squadrare, cioè rendere regolare e uniforme, invece l'aggettivo "informe" sta a significare confuso e indefinito, deforme.
squadri (v. 1), informe (v. 2)

L'altra antitesi è presente nel termine "croco" col quale s'intende il fiore giallo dello zafferano, mentre il termine "ramo" sta ad indicare una parte dell'albero secca priva di fioritura.
croco (v. 3), ramo (v. 10)



Epifonema

L'epifonema o aforisma che occupa tutto il verso 11 e 12, chiude la poesia con una riflessione ad effetto. Sta a significare che il poeta ha solo dubbi e incertezze, e al massimo una conoscenza negativa, cioè sa solo quello che non è e che non vuole.
Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo



Enjambements

Di seguito trovate i due enjambements, ovvero i versi interrotti che proseguono nel verso successivo.
croco / perduto vv. 3-4
canicola / stampa vv. 7-8
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Figure retoriche: Cantico delle creature di San Francesco d'Assisi

Cantico-delle-creature-analisi-retorica

In quello che è considerato il più antico testo poetico di cui si è a conoscenza del nome dell'autore, in questo caso San Francesco d'Assisi, il celebre santo esprime tutto la sua devozione verso Dio e la natura. Nel Cantico della creature, San Francesco ringrazia Dio per le sue creazione come il sole, la luna, il vento e la terra. Inoltre, affronta altre tematiche come l'umiltà, la gratitudine, l'accettazione della morte, l'affrontare la sofferenza con serenità.





Cantico delle creature

In questa pagina trovate tutte le figure retoriche della poesia Cantico delle creature di San Francesco d'Assisi, ben spiegate e analizzate, tra le quali le più importanti sono l'anafora e la personificazione. Per una comprensione migliore del testo vi rimandiamo alla scheda principale → Cantico delle Creature - San Francesco.



Allitterazione

Allitterazione della U
nullu, dignu (v. 5)


Allitterazione della L
laudato, luna e le stelle: celu l’ài; clarite; belle (vv. 10-11)
per lo quale enallumini la nocte / et ello è bello (vv. 17-18)


Allitterazione della R
per sora nostra matre Terra (v. 20)



Anafora

Nei versi vv. 5, 10, 12, 15, 17, 20, 23, 27, 32 viene ripetuta la stessa espressione per esaltare la lode verso Dio per ogni sua creazione.
Laudato si', mi' Signore




Anastrofe

Nel v.14 l'ordine delle parole è invertito. Nel caso specifico l'ordine corretto sarebbe dovuto essere: "per lo quale, dài sustentamento a le Tue creature".
per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento




Personificazione

Sono presenti numerose personificazioni, cioè la figura retorica con il quale si conferiscono qualità umane a cose o entità astratte. L'uso che San Francesco ne fa è quello di aggiungere gradi di parentela.
messer lo frate Sole (v. 6)
sora Luna e le stelle (v. 10)
frate Vento" (v. 12)
sor’Acqua" (v. 15)
frate Focu" (v. 17)
sora nostra madre Terra (v. 20)
sora nostra Morte corporale (v. 27)




Enumerazione

In tutti i casi l'enumerazione è per polisindeto per l'uso ripetuto delle congiunzioni "e" ed "et".
la gloria e l’onore et omne benedictione (v. 2)
clarite et preziose et belle (v. 11)
et per aere et nubilo et sereno et omne tempo (v. 13)
utile et humile et preziosa et casta (v. 16)
bello, et iocundo et robustoso et forte (v. 19)
sustenta et governa, / et produce (vv. 21-22)
et sostengo infirmitate et tribolazione (v. 24)
laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate / e serviateli cum grande humilitate (vv. 32-33).




Climax

Nel v.11 l'autore utilizza tre aggettivi qualificativi disposti in ordine di crescente intensità.
clarite et pretiose et belle
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Figure retoriche: La patente di Luigi Pirandello

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Un padre di famiglia la cui vita è segnata dalle dicerie della gente che lo considera un portatore di sfortuna, invece di denunciare chi lo ha insultato pubblicamente, sceglie di accettare questa maschera imposta dalla società con lo scopo di ottenere la patente di iettatore.





La patente: figure retoriche

In questa pagina trovate tutte le figure retoriche presenti nella novella La patente di Luigi Pirandello. In realtà, l'unica figura retorica contenuta nel testo è la similitudine e ce ne sono solamente tre. Per maggiori informazioni su questa novella, ritornate alla sezione principale → La patente - Pirandello.



Similitudine

Il giudice D'Andrea ha un aspetto stanco perché ha pensato molto al caso del signor Chiarchiaro. L'autore lo paragona a una persona che sembra reggere con rassegnazione un enorme peso sulle spalle.
come chi regge rassegnatamente su le spalle un peso insopportabile
In questo caso la similitudine serve a creare un gioco di parole, cioè il giudice d'Andrea è sbilenco, storto (aspetto fisico), ma nessuno riga più dritto di lui (moralità).
andava per via di traverso, come i cani
Il giudice d'Andrea si appisolava sulle scartoffie del lavoro come un baco da seta che non viene portato in tempo nel bosco per fare il bozzolo sull'albero; quindi in modo improduttivo perché bastava un minimo rumore per ritornare a pensare a quelle scartoffie.
attrappandosi come un baco infratito
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Figure retoriche: La giara di Luigi Pirandello

la-giara-pirandello

La novella "La giara" scritta da Luigi Pirandello nel 1916 narra la vicenda accaduta a un certo Don Lollò Zirafa, un testardo e presuntuoso proprietario terriero che ha comprato compra una nuova e costosa giara, più grande di quelle che usava solitamente, perché aveva previsto che l'annata delle olive sarebbe stata buona. Sfortuna vuole che la giara si ruppe e non si sapeva nemmeno chi fosse stato. Furioso per l'investimento andato a male e per l'imminente raccolta delle olive, viene tranquillizzato dai suoi braccianti che gli suggeriscono di mettersi in contatto con Zì Dima, un famoso conciabrocche che aveva ideato un mastice speciale che non necessitava nemmeno di dare dei punti per la riparazione. Le operazioni di riparazione della giara prendono una piega comica e si viene a creare una sfida di nervi tra i due protagonisti, che sono uno più testardo dell'altro.





La giara: tutte le figure retoriche

In questa pagina trovate tutte le figure retoriche della novella La giara di Luigi Pirandello, e seppure sono tante, ve ne sono solamente di due tipologie: similitudine e metafora. Per saperne di più su questa novella, vi rimandiamo alla voce principale che le abbiamo dedicato e dove è presente sintesi, analisi e commento.



Similitudine

Don Lollò aveva sempre per la mani un libricino (diminutivo di libro), cioè un libro di piccole dimensioni donatogli dal suo consulente legale per informarsi da solo riguardo le norme giuridiche, che all'autore ricorda quei libricini che sono presenti in chiesa durante la messa.
un libricino come quelli da messa
Quest'altra è, invece, oltre a una similitudine, anche un modo di dire. Anche se in realtà è più conosciuto il detto "fumare come un turco". Penso che i turchi non bestemmiano in continuazione, altrimenti sarebbe una generalizzazione, ma che sia la loro lingua ad essere così poco chiara che all'ignorante le parole arabe potrebbero sembrare delle bestemmie.
bestemmiava come un turco
Quando muore un parente o una persona cara, c'è chi trattiene le emozioni e chi si lascia andare, gridando disperatamente. A Don Lollò non è successo niente di tutto questo ma la costosa giara si era rotta ed egli gridava alla stessa maniera, come se gli fosse morte un parente.
sbraitando a modo di quelli che piangono un parente morto
Questa espressione sta a significare che la giara era in perfette condizioni quando gliel'avevano consegnata.
Sonava come una campana
Il conciabrocche Zì Dima viene paragonato a un ceppo antico di olivo saraceno, cioè storto e sbilenco.
come un ceppo antico di olivo saraceno
Il conciabrocche rinchiuso all'interno della giara voleva uscire immediatamente da lì e questo agitarsi lo faceva sembrare un gatto inferocito.
come un gatto inferocito
Don Lollò era rimasto incredulo, perché non riusciva a credere che uno che di professione fa il conciabrocche potesse commettere un errore così incredibilmente sciocco.
come stordito
Quando un animale rimane bloccato in una trappola si agita furiosamente e a questo viene paragonato Zì Dima.
si dibatteva come una bestia in trappola
Nel finale della novella, la buffa vicenda aveva oltrepassato il limite della sopportazione di Don Lollo, che vedendo Zì Dima allegro e sorridente cantare a squarciagola insieme agli altri braccianti, lo fece infuriare così tanto da sembrare un toro alla corrida quando vede il colore rosso.
si precipitò come un toro infuriato



Metafora

Don Lollò era un tipo precisino sul lavoro e voleva che i braccianti non lasciassero nemmeno un'oliva sugli alberi, e usava parole dure e minacciose in anticipo per mettergli il terrore addosso in modo che sapessero già cosa gli sarebbe spettato in caso di errori.
minacciava di fulminare
Zì Dima non aveva intenzione di rimborsare la giara al prezzo di una giara nuova e dice a Don Lollò che piuttosto preferisce fare i vermi dentro di essa, ovvero creparci dentro pur di non dargliela vinta.
ci faccio i vermi
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Figure retoriche: La roba di Giovanni Verga

la-roba-analisi-retorica

Mazzaro è un uomo che è nato senza niente, senza soldi, senza beni e senza famiglia, fatta eccezione per la madre. È stato preso dal barone nei suoi campi solo per compassione. Ma Mazzaro capisce sin da subito che per essere considerato un uomo e non essere trattato come un animale, deve possedere qualcosa. Così comincia ad accumulare molti beni, in particolare terreni. Tuttavia, non usa questi beni per vivere meglio di come aveva iniziato o per essere rispettato, ma li accumula espandendosi sempre di più. Alla fine della sua vita, Mazzaro vuole portare tutto con sé ed è arrabbiato perché tutti i suoi sacrifici di una vita se li godrà un altro senza compiere alcuno sforzo.





La roba: tutte le figure retoriche

In questa pagina trovate tutte le figure retoriche contenute nella novella di Giovanni Verga intitolata "La roba". La principale figura retorica presente nel testo è la similitudine, ma l'autore ne fa un larghissimo uso. Di seguito andremo ad analizzare le similitudini una per una, ma se avete bisogno di leggere il riassunto o il commento vi suggeriamo di ritornare alla scheda principale dedicata a questa opera letteraria.



Similitudine

Il lago di Lentini, in provincia di Siracusa, viene paragonato a un pezzo di mare morto, nel senso che non si muove.
come un pezzo di mare morto
Le dimensione della fattoria di Mazzarò è così grande che viene paragonata a un paese. Oltre ad essere una similitudine è anche un'iperbole.
una fattoria grande quanto un paese
L'uliveto è così ben sviluppato e ricco di alberi che viene paragonato a un bosco, ma senza un filo d'erba, essendo tenuto con cura.
folto come un bosco
Quando il sole tramonta prevalgono i colori caldi come il rosso (o l'arancione) e questo colore viene paragonato a quello del fuoco.
tramontava rosso come il fuoco
Oltre ad essere una similitudine, questo è anche un popolare modo di dire della lingua italiana. Il maiale è un animale grasso, che ha abbondanza, ma si tratta di un'espressione poco fine!
ricco come un maiale
Il magazzino dove mangiava Mazzarò era enorme e la spaziosità viene paragonata a quella di una chiesa. Anche in questo caso è presente l'iperbole, per l'esagerazione.
grande come una chiesa
Le foglie di tabacco larghe e alte vengono paragonate a un fanciullo per la loro ottima qualità.
foglie larghe ed alte come un fanciullo
I numerosi aratri disposti vengono paragonati ai numerosi corvi a novembre quando sono disposti in fila, ad esempio su un filo di recinzione o sui tetti.
come le lunghe file dei corvi che arrivano in novembre
Le donne che raccoglievano le olive erano così numerose che era facile perdere il conto, così come è impossibile contare le gazze in quanto ce ne sono tante per i campi.
come non si possono contare le gazze
Questa similitudine potrebbe essere legata sia al numero che alla loro posizione strategica, come se fossero in un campo di battaglia, ma in realtà è un campo di grano.
i mietitori di Mazzarò sembravano un esercito di soldati
Le casse dove si metteva a lievitare il pane, dette madie, erano larghe come tinozze.
larghe come tinozze
Ancora una volta i magazzini vengono definiti grandi come chiese e ancora una volta abbiamo sia la similitudine sia l'iperbole.
grandi come chiese
Tra coloro che sciupano la roba viene preso ad esempio il barone.
e non la sciupa come quel barone
Così come le acque del fiume sono in continuo movimento, anche il denaro di Mazzarò lo era, cioè quello che guadagnava lo spendeva, o meglio, lo reinvestiva.
il denaro entrava ed usciva come un fiume dalla sua casa
I campi di spighe ondeggiavano, in presenza di un leggero vento, come le onde del mare.
come un mare
Le foglie degli ulivi sono di colore grigio argento, un colore che ricorda quello della nebbia.
come una nebbia
Alcuni giovani poverelli, con pochi vestiti consumati, vengono paragonati a quegli asini stanchi che non ce la fanno più a sopportare il peso che stanno trasportando.
come un asino stanco
Mazzarò è arrabbiatissimo in quanto si è reso veramente conto di essere arrivato al capolinea della vita e si atteggia come farebbe una persona uscita di senno, gridando all'aperto e colpendo cose ed animali con il suo bastone.
come un pazzo



Metafora

La polvere non pesa! O per meglio dire, ha un peso impercettibile. Dunque è una metafora.
come gli pesasse addosso la polvere
In questa frase non usa il "come", tipico della simitudine, bensì afferma che la testa di Mazzarò è fatta dello stesso materiale di un brillante. In realtà, la frase in questione ha senso solo se letta in chiave metaforica in quanto s'intende che Mazzarò è molto intelligente quando l'argomento sono proprietà terriere e produzione agricola.
ma aveva la testa ch’era un brillante
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Figure retoriche: La Lupa di Giovanni Verga

la-lupa-verga

In un contesto umile e quotidiano come la campagna siciliana i protagonisti sono i lavoratori stessi: contadini, minatori ecc. e tra queste figure spicca la figura della Lupa. Non stiamo parlando dell'animale vero e proprio, anche se la "fame" pare sia identica se non addirittura maggiore, bensì di una donna matura che seduce perfino gli uomini di altre donne andando a guastare quello che dovrebbe essere "sacro", ovvero l'unità familiare. Fa la stessa cosa anche con un bel giovanotto che si chiama Nanni, ma questi pur essendo innamorato della figlia della Lupa, finisce lo stesso per lasciarsi sopraffare da sua madre, che si può considerare a tutti gli effetti una femme fatale (mangiatrice di uomini). La novella descrive la Lupa come un personaggio demoniaco e, infatti, anche il giovane Nanni, sente di aver smarrito se stesso da quando la frequenta. Alla fine risolve i problemi uccidendola con un colpo di scure, dato che lei non era in grado di accettare di essere stata respinta e non aveva alcuna intenzione di lasciargli vivere la sua vita.





La Lupa: tutte le figure retoriche

In genere le figure retoriche le ritroviamo all'interno di poesie e poemi, ma può capitare di trovarle anche all'interno di racconti. Nel caso in questione si tratta di figure retoriche davvero semplici, quelle tipiche del linguaggio popolare, ma rimangono pur sempre delle figure retoriche e noi ve le andremo ad analizzare tutte quante. Per ottenere maggiore informazioni su questa novella, ad esempio per leggere la sintesi e il commento, passate alla lezione principale riguardante La Lupa - Verga.



Similitudine

Tutte le similitudini presenti nella novella sono rivolte alla personaggio della Lupa. La prima similitudine paragona il suo aspetto pallido al colorito che hanno le persone che sono affette da malaria, cioè una malattia infettiva.
era pallida come se avesse sempre addosso la malaria
La seconda similitudine paragona la donna a una cagnaccia, che è la forma alterata dispregiativa al femminile della parola cane. Un cagnaccio è un cane aggressivo o disubbidiente da cui in genere si sta alla larga o lo si allontana.
sola come una cagnaccia
La terza similitudine riguarda l'atteggiamento della Lupa, che viene paragonata a un uomo per la sua dedizione al lavoro. Questa similitudine serve anche a descrivere una donna piena di energie, nonostante non sia più giovane e, soprattutto, che non si arrende alle difficoltà.
a lavorare cogli uomini, proprio come un uomo
Vi è anche un'altra similitudine riguardante il suo aspetto fisico, in particolare il colore dei suoi occhi, che sono neri e questo colore ricorda quello del carbone.
occhi neri come il carbone
L'ultima similitudine usa la forma alterata vezzeggiativa di lupa (lupacchiotta) perché questo sostantivo è riferito a Maricchia, la figlia della Lupa, e in particolare ai suoi occhi pieni di gelosia verso la madre che frequenta il suo uomo. Da ciò possiamo notare che pur appartenendo giocosamente alla stessa specie, quella dei lupi, l'autore fa distinzione fra lupa e lupacchiotta, proprio per distinguere la lussuria della Lupa dall'amore puro e sincero di Maricchia.
come una lupacchiotta




Metafora

Le labbra non mangiano nessuno, dunque questa espressione va trattata come una metafora e serve a sottolineare il fascino della donna e anche la sua fame di uomini.
labbra...che vi mangiavano
Gli occhi della donna erano di un colore nero, ma non avevano niente di innaturale e l'autore non li avrebbe descritti in questo modo se gli stessi occhi fossero presenti nel volto di un'altra donna. Per questo motivo l'espressione in questione è una metafora, infatti agli occhi viene attribuita una natura demoniaca solo per mettere in risulto il comportamento peccaminoso della Lupa.
occhi da satanasso




Epifonema o aforisma

Nella novella appare un'aforisma, cioè una frase ben scritta che contiene delle considerazioni, osservazioni ed esperienze. L'aforisma in questione, che come figura retorica può essere anche chiamato epifonema, serve a sottolineare il fatto che la Lupa scegliesse strategicamente il momento per sedurre gli uomini, ovvero nel pomeriggio, quando non c'era nessun'altra donna nei paraggi.
In quell’ora fra vespero e nona, in cui non ne va in volta femmina buona.




Endiadi

Le due parole legate da una congiunzione sono riferite alla Lupa che tornava a casa dopo essere stata con Nanni, l'uomo amato che ha preso in sposa sua figlia. Le due parole sono coordinate in modo da esprimere un unico concetto, ovvero "silenziosamente", e il motivo è dovuto al fatto che non solo ha commesso un atto svergognato ma si sente anche appagata, come un animale che ha appena mangiato ed essendo sazio non ha più nulla da chiedere al suo padrone e se ne va a farsi un pisolino.
pallida e muta
Un'altra endiadi riprende l'aggettivo "pallido", stavolta al maschile perché è riferito al personaggio Nanni. Questa scelta di usare l'aggettivo precedentemente usato verso la Lupa, anche per il protagonista maschile, lascia intendere che il "controllo" della situazione si spostato da un personaggio all'altro. Infatti Nanni trova le forze per mettere fine all'esistenza della Lupa con un colpo di scure.
pallido e stralunato
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Figure retoriche: Lavandare di Giovanni Pascoli

Lavandare

Durante una passeggiata per i campi, il poeta osserva ciò che vede, ovvero un campo arato solamente per metà, ma a catturare la sua attenzione è un aratro abbandonato. A questo punto inizia a sentire i rumori delle lavandaie che lavano i panni sbattendoli nell'acqua e i suoni delle loro cantilene per ritmare il lavoro. La poesia "Lavandare" di Giovanni Pascoli si conclude con riferimenti alla stagione autunnale e allo sconforto di una donna che ha visto partire il suo amato verso un altro paese ed è passato molto tempo dall'ultima volta che l'ha visto, e si paragona proprio a quell'aratro lasciano in mezzo al campo in quella parte ancora non seminata.





Lavandare: tutte le figure retoriche

In questa pagina trovate tutte le figure retoriche di Lavandare, poesia di Giovanni Pascoli del 1891. Tra le figure retoriche principali vi sono quelle di suono (onomatopee e allitterazioni) e poi la similitudine e la metafora. Per saperne di più su questa poesia vi invitiamo a consultare la sezione Lavandare - Pascoli, invece se siete interessati solamente alle figure retoriche non dovrete far altro che restare qui e continuare la lettura di questo appunto.


Iperbato

Nei vv. 4-5 è presente la parte "dalla gora viene", cioè proviene dal canale, che separa l'aggettivo "cadenzato" dal verbo "sciabordare".
E cadenzato dalla gora viene / lo sciabordare della lavandare



Onomatopea

Nel v.5 viene utilizzata una parola onomatopeica che ci porta a immaginare il rumore dei panni che le lavandaie sbattono nell'acqua per lavarli.
sciabordare

Nel v.6 vi è un'altra parola onomatopeica, sempre riferita alle lavandaie, in particolare all'energia che ci mettono nel lavare i panni.
tonfi



Metafora

Nel v.7 è presenta una metafora perché "la frasca" sta per fogliame, quindi l'intera espressione sta a significare che nevicano le foglie, a ogni soffio di vento. Attraverso questa metafora l'autore ci dice indirettamente che è la stagione autunnale.
nevica la frasca



Sinetesia

Nel v.6 è presente una sinestesia perché vi sono due termini che appartengono a sfere sensoriali diverse. In precedenza abbiamo detto che presa singolarmente la parola "tonfi" è un onomatopea, quindi appartiene alla sfera sensoriale dell'udito, mentre la parola "spessi" appartiene alla sfera sensoriale visiva oppure tattile.
tonfi spessi



Chiasmo

Nel v.6 la struttura dei versi è la seguente: sostantivo (tonfi) e aggettivo (spessi); aggettivo (lunghe) e sostantivo (cantilene).
con tonfi spessi e lunghe cantilene

Nel v.7 la struttura dei versi è la seguente: sostantivo (vento) e verbo (soffia); verbo (nevica) e sostantivo (frasca).
il vento soffia e nevica la frasca



Antitesi

Nel v.9 è presente la figura retorica dell'antitesi perché il verbo "partire" significa allontanarsi da un luogo, invece il verbo "rimasta" indicata fermezza, che si è rimasti nel medesimo posto. Nel caso in questione, a partire è l'amato della donna e lei ci è rimasta di sasso, cioè malissimo.
partisti | rimasta



Similitudine

Nel v.10, ovvero nel verso conclusivo della poesia, la donna che soffre di solitudine per l'assenza prolungata dell'amato, si paragona a un aratro lasciato in un campo a riposo. Questa similitudine è molto potente perché ci permette di capire i versi iniziale dove l'autore osserva quell'aratro nel campo arato per metà, di conseguenza possiamo apprendere che anch'egli sta vivendo una situazione di solitudine o di incomprensione.
come l’aratro in mezzo alla maggese



Allitterazione

Allitterazione della R e della T nei v.2, v.5, v.8, v.9.
resta, aratro, pare
sciabordare, lavandare
torni
partisti, rimasta



Enjambement

Un paio di volte il verso viene interrotto per poi continuare in quello successivo. La figura retorica in questione è quella dell'enjambement.
pare / dimenticato" (vv. 2-3)
viene / lo sciabordare (vv. 4-5)
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Ripetizione: significato ed esempi della figura retorica

Ripetizione

Cos'è una ripetizione? Il concetto della ripetizione è quello di usare più volte la stessa parola. In genere usiamo i sinonimi per evitare di ripetere la stessa parola a poca distanza l'una dall'altra, soprattutto quando scriviamo; in un testo poetico, la ripetizione è invece considerata una figura retorica. A seconda della posizione della parola che si ripete all'interno del testo, è possibile distinguere diversi tipi di figure retoriche di ripetizione.





Quali sono le figure retoriche di ripetizione?

Le principali figure retoriche di ripetizione sono: anafora, anadiplosi, epanalessi ed epifora. Sebbene siano diverse, hanno tutte in comune lo scopo di attirare l'attenzione del lettore su queste specifiche parole che si ripetono. A seguire le andremo ad osservare tutte e potremo leggere la loro definizione ed un esempio per ciascuna.



Anafora

Quando la ripetizione si trova sempre a inizio verso, la figura retorica in questione è l'anafora.
S'i' fosse foco, arderei 'l mondo;
s'i' fosse vento, lo tempesterei;
s'i' fosse acqua, i' l'annegherei;
s'i' fosse Dio, mandereil'en profondo;



Anadiplosi

Quando la ripetizione si trova alla fine di una proposizione e all'inizio di un'altra proposizione, la figura retorica in questione è l'anadiplosi.
tra un lungo dei fanciulli urlo s'innalza.
S'innalza; e ruba il filo dalla mano



Epanalessi

L'epanalessi si ha quando le parole che si ripetono nello stesso verso sono essere separate da un'altra parola.
ma passavam la selva tuttavia, la selva, dico, di spiriti spessi



Epizeusi

Simile all'epanalessi, ma stavolta tra una ripetizione e l'altra non vi è nessuna parola a separarle, al massimo una leggera virgola.
Ben son, ben son Beatrice



Epanadiplosi

Quando la ripetizione è presente all'inizio e alla fine della proposizione, si ha l'epanadiplosi.
Il poco è molto a chi non ha che il poco



Epifora

Quando la ripetizione si trova solo alla fine del verso, si ha l'epifora.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.



Allitterazione

L'allitterazione non consiste nella ripetizione della stessa parola ma dello stesso suono vocalico o consonantico. Nell'esempio in questione l'allitterazione è della N e della T.
Tanto gentile e tanto onesta pare



Parallelismo

Anche nel parallelismo non vi sono le stesse parole che si ripetono, bensì la stessa struttura sintattica, cioè seguendo lo stesso schema A B, A B. Nell'esempio in questione la sequenza è: verbo e complemento oggetto, verbo e complemento oggetto.
Mandò le tenebre e fece buio.



Chiasmo

Come nel parallelismo, la ripetizione riguarda solamente la struttura sintattica, ma stavolta è ad incrociare, cioè seguendo lo schema A B, B A. Nell'esempio in questione la sequenza è: complemento oggetto e verbo, verbo e complemento oggetto.
Pace non trovo, et non ò da far guerra
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