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Ce l'ha, Ce la, C'è la, C'è l'ha: come si scrive?


La grammatica italiana contiene numerose trappole in quanto vi sono termini davvero semplici e simili nella pronuncia e, questo facilità il linguaggio verbale (per gli stranieri soprattutto), ma per quanto riguardo il linguaggio scritto le cose si complicano e non di poco. Per esempio, nell'articolo in questione andiamo ad usare "ce" e "la" che, con l'aggiunta di apostrofo, accento e dell'H (lettera muta), si vengono a creare 4 forme dalla pronuncia simile ma con significato differente "Ce l'ha, Ce la, C'è la, C'è l'ha".

Qui di seguito andremo a spiegare quale tra queste forme elencate sono corrette, perché si scrivono così e come e quando vanno utilizzate:


Ce l'ha

"Ce l'ha" è l'abbreviazione di "Ce la ha" (è presente il verbo avere).
Questa forma può essere usata per sottintendere il verbo possedere (es. qualcuno che possiede o non possiede qualcosa) oppure quando si è fatto qualcosa.

Mario ce l'ha il libro delle vacanze, e tu Giacomo?

Ce l'ha fatta per un pelo.

Ce l'hai ancora con me?

Il coraggio o ce l'hai o non ce l'hai.

- Il bagno ha la doccia?
- Si ce l'ha.

Il potere logora chi non ce l'ha.

Ce l'ha sulla punta della lingua.



Ce la

"Ce la"  (non è presente nessun verbo).
In questa forma non è presente né l'apostrofo né l'accento e viene adoperata in frasi dove si parla di "potercela fare" ma non solo (vedi esempi).

Ce la possiamo fare.

Non so se ce la farò.

Non ce la possiamo permettere.

Ce la siamo data a gambe.

Ce la cantiamo e ce la suoniamo.

Ce la raccontate una barzelletta?

Ce la raccontasti in modo sbagliato.



C'è la

"C'è la" è l'abbreviazione di "Ci è la" (è presente il verbo essere).
Qui "c'è" va scritto sia con l'apostrofo che con l'accento: indica la presenza o la posizione di qualcuno o qualcosa.
Invece "la" ha la funzione di articolo determinativo, per questo non va messa la lettera h.

C'è la borsa sulla sedia. Potresti portarmela qui?

Dimmi che c'è la birra in frigo.

In cielo c'è la luna piena.

C'è la mamma in casa?



C'è l'ha

"C'è l'ha" è una forma non esistente nella grammatica italiana, perché come potete notare include i due ausiliari: verbo essere e verbo avere, che sono posti in posizione ravvicinata.
Significa che c'è, cioè è presente, qualcuno o qualcosa che si chiama "L'HA".
Dal momento che non esiste una persona, un animale o una cosa che si chiama "L'HA", questa forma non ha senso e, quindi, è da considerarsi scorretta.
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Senza soluzione di continuità - Significato

Soluzione

Senza soluzione di continuità è una locuzione italiana che ha il significato opposto a "con soluzione di continuità": queste due espressioni risalgono al 1400, quando sono state utilizzate per la prima volta in ambito medico; nella prima metà del XIX secolo l'uso si è diffuso nei testi francesi (in particolare in Balzac), nei primi dizionari italiani appaiono solo verso la fine dell'Ottocento, sempre con accezione medica; sono diventate di uso comune agli inizi del Novecento e ne è una testimonianza il saggio "L'idioma gentile" di Edmondo De Amicis, più precisamente nel capitolo intitolato "A chi la dice peggio"; oggi vengono usate in ambito giuridico o nel linguaggio tecnico.

Non ci resta che spiegare quando deve essere utilizzata l'una e quando l'altra e cosa vogliono dire.



Significato

Con soluzione di continuità = questa espressione sta a significare "con interruzione di continuità", cioè "non continua, discontinua".

Senza soluzione di continuità = questa espressione è più comune della precedente e sta a significare "senza interruzione di continuità", cioè "continuativamente, con continuità, ininterrottamente".

Come avrete potuto notare sembra di trovarsi dinnanzi a due situazioni ambigue, perché erroneamente "con...continuità" viene inteso "senza interruzione", ma come già detto è esattamente al contrario.

Il motivo per cui queste due espressioni creano molti dubbi a chiunque se le ritrova davanti, per esempio in un documento cartaceo tipo un contratto di lavoro, è che si sottovaluta la presenza del termine "soluzione" che, invece, è di rilevante importanza.

Il trucco per non sbagliare è ricordare che il termine "soluzione" deriva dal latino solutiònem, participio passato del verbo sòlvere, che significa: sciogliere, scioglimento, in senso figurato, interruzione o cessazione. Quindi viene usato per indicare la fine di qualcosa.

Di conseguenza, con l'aggiunta di "con" e "senza", si ha:
  • Soluzione di continuità → interruzione di continuità (si interrompe),
  • Con soluzione di continuità → con interruzione di continuità (si interrompe),
  • Senza soluzione di continuità → senza interruzione di continuità (non si interrompe).
"Senza" è una negazione; "soluzione" è un'altra negazione e, quindi, due negazioni della continuità lasciano immutata la continuità stessa!



Come si usa?

Nel linguaggio parlato non si usano queste due espressioni sia perché non sono alla portata di tutti sia perché vengono usate in ambiti specifici; qui di seguito troverete alcuni esempi con frasi e subito dopo di esse, fra parentesi, troverete la relativa spiegazione.

ESEMPIO:
Marco ha studiato per 8 ore senza soluzione di continuità.
(Cioè senza essersi mai alzato dalla scrivania, neanche per andare in bagno).

Piove senza soluzione di continuità.
(Cioè piove ininterrottamente).

La società Incorporante subentra con soluzione di continuità in tutti i rapporti, attivi e passivi, facenti capo alla società Incorporata.
(Cioè tutti i rapporti della società incorporata sono stati interrotti).
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Avere una volontà di ferro - Significato


Avere una volontà di ferro è un modo di dire italiano che non fa riferimento alla voglia di mangiare alimenti che sono ricchi di ferro (come i legumi), ma è più che altro un estensione di un altro modo di dire: avere forza di volontà.


Significato

Per chi non lo sapesse la "volontà" è una facoltà propria dell'essere umano che permette di prendere una decisione in piena autonomia e con una certa determinazione.

Questo modo di dire sta a significare che la volontà è di ferro, un materiale molto forte e resistente (anche se acciaio e titanio lo sono di più) e, quindi, la persona in questione è così determinata a perseguire un obiettivo che, anche se dovesse trovarsi in una situazione di difficoltà, non sarebbe disposta ad arrendersi o fermarsi, piuttosto continuerebbe anche col rischio di farsi del male o di sbagliare.



Come si usa?

Questo modo di dire può essere usato verso quegli sportivi che si allenano durante l'anno per farsi trovare preparati in vista delle competizioni sportive che richiedono molto sacrificio, come la maratona, oppure verso chi si allena prima dell'arrivo dell'estate per mostrare la pancia piatta e passare la prova costume.
Una volontà di ferro può averla anche chi non si è allenato fisicamente ma mentalmente, ad esempio chi è intenzionato a prendere 100 all'esame della maturità e per riuscirci ha sempre dato il massimo durante l'anno e a studiato tantissimo anche per la prova finale.


ESEMPIO:
Avere una volontà di ferro è un parametro di estrema importanza per avere successo nella vita.
Marco sta studiando da giorni nonostante il caldo, mentre i suoi amici amici hanno passato il weekend al mare. Ha proprio una volontà di ferro il ragazzo.
Per dimagrire è necessaria una volontà di ferro: dire addio ai dolciumi e ai pasti abbondanti non è da tutti.
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Prendere alla lettera - Significato


Prendere alla lettera è un modo di dire collegato ad altri modi di dire. Non ha nulla a che vedere con la lettera che si spedisce per posta, bensì alle lettere dell'alfabeto che vanno a formare le parole.



Significato

Questo modo di dire sta a significare che la persona che ha "preso alla lettera" ciò che ha letto o sentito, ha capito solo il significato letterale della frase, cioè parola per parola, senza coglierne il significato nascosto.

Chi prende tutto alla lettera, solitamente, non è un tipo di persona attenta alla conversazione e, potrebbe anche essere considerata sciocca, se ogni volta qualcuno deve prendersi l'impegno di spiegare il significato metaforico della frase.

D'altronde il bello dei modi di dire è proprio quello che sono conosciuti da "quasi" tutti e riassumono dei concetti che, andando a spiegarli, renderebbero la conversazione lunga e noiosa.



Come si usa?

I modi di dire esprimono un concetto in modo non immediato ma per metafora. Per esempio l'espressione "sei un pollo!" non significa "essere una gallina" (questo è il significato letterale), bensì essere un ingenuo (è risaputo che le galline hanno il cervello piccolo).

Ovviamente "prendere alla lettera" si può anche usare in tono scherzoso, come il ragazzo in foto (vedi immagine in alto), che dice "mi rifiuto!!!" (perché si rifiuta di studiare, lavorare, di ascoltare ecc.) e, prendendo alla lettera se stesso, va a buttarsi nel cassonetto dei rifiuti.

Solitamente questo modo di dire è preceduto dall'avverbio di negazione "non", dove si invita l'interlocutore a "non prendere tutto alla lettera".

Tizio: Ma vai a quel paese...
Caio: Ok lo farò.
Tizio: Perché stai andando? Non abbiamo ancora terminato la conversazione.
Caio: Ma se mi hai mandato a quel paese 2 secondi fa... a proposito mi dici quale di preciso?
Tizio: Non prendere alla lettera tutto quello che dico.

Tizio: Mi raccomando, acqua in bocca!
Caio: Se è frizzante va bene lo stesso?
Tizio: È solo un modo di dire, non andava preso alla lettera. Significa "mantieni il segreto".

Tizio: Andiamo a tutta birra!
Caio: Ottimo, avevo giusto preso la confezione da sei!
Tizio: Ma mi hai preso alla lettera? Intendevo a tutta velocità!

Tizio: Mi hanno detto che non capisco un tubo!
Caio: Per forza, sei un carabiniere, non un idraulico!
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Purgatorio Canto 12 - Parafrasi

Aracne, illustrazione di Gustave Doré

Più avanti, i bassorilievi mostrano esempi di superbia punita: Lucifero, i Giganti, Saul, Ciro, Troia ed altri ancora. L'Angelo dell'Umiltà cancella la prima P dalla fronte di Dante. I due poeti arrivano ad una scala piuttosto stretta.

In questa pagina trovate la parafrasi del Canto 12 del Purgatorio. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.



Parafrasi

Curvo e lento, come due buoi che procedono aggiogati,
io camminavo affiancato a quell’anima (Oderisida Gubbio) gravata dal peso (carca),
finché lo permise il mio affettuoso maestro Virgilio.
Ma quando disse:«Lascia Oderisi e passa oltre (varca);
perché qui (nel Purgatorio) è opportuno che ciascuno,
per quanto è possibile, spinga avanti la sua barca con le vele (l’ali) e con i remi»;
allora ripresi la posizione eretta, così come è naturale (vuolsi) camminare,
sebbene (avvegna che) i miei pensieri
rimanessero atteggiati in basso dall’umiltà e privi di superbia (scemi).
Io mi ero mosso, e seguivo con piacere
I passi di Virgilio, ed entrambi mostravamo già quanto
fossimo agili (com’era vam leggeri);
quando egli mi disse: «Rivolgi lo sguardo a terra:
ti sarà utile, per rendere più sereno (tranquillar) il cammino,
osservare il pavimento (letto) su cui poggi i piedi».
Come le tombe scavate nella terra (terragne) hanno,
sopra i defunti ivi sepolti, lapidi incise (segnato)
con l’immagine di quando erano vivi (eran pria),
per serbarne la memoria (perché di lor memoria sia),
per cui lì sulle tombe molto spesso si rinnova nei vivi
il dolore (ripiagne) a causa dello stimolo del ricordo,
che colpisce intensamente (dà de le calcagne) solo le anime pietose;
allo stesso modo, ma raffigurato meglio per via dell’abilità artistica (secondo l’artificio),
Io vidi lì scolpito tutto lo spazio che sporge dal monte (di fuor del monte avanza) formando la via (dei penitenti).
Da un lato vedevo colui che fu da Dio creato
come la più nobile di tutte le creature (Lucifero),
precipitare dal cielo con la velocità di un fulmine (folgoreggiando).
Dall’altra parte vedevo giacere Briareo,
trafitto dal fulmine (telo) di Giove (celestïal),
pesando (grave) sulla terra per l’immobilità (gelo) della morte.
Vedevo Apollo (Timbreo), con Pallade e Marte,
ancora armati, intorno al loro padre (Giove),
contemplare le membra dei giganti sparse.
Vedevo Nembrot quasi sgomento (smarrito) ai piedi della grande opera (la torre di Babele),
e in atto di guardare fisso i compagni
che con lui furono superbi nella pianura di Sennaàr.
O Niobe, con quali occhi addolorati
io ti vedevo raffigurata (segnata) sulla strada,
tra le tue sette figlie e i tuoi sette figli tutti uccisi!
O Saul, come qui tu apparivi ucciso
dalla tua stessa spada in Gelboè,
che da quel giorno non ricevette più né pioggia né rugiada!
O temeraria Aragne, allo stesso modo io vedevo te,
già per metà trasformata in ragno, addolorata fra i brandelli (stracci) della tela
ricamata da te per la tua sventura (mal).
O Roboamo, la tua figura (segno) qui rappresentata
non sembra più minacciare; ma piena di spavento
la porta via un carro, senza che nessuno lo insegua (cacci).
Il pavimento di marmo rivelava ancora come Almeone
fece pagare cara alla madre la collana (adornamento)
che portava sventura.
Rivelava come i figli del re degli Assiri Sennacherib
aggredirono (si gittaro) il padre dentro al tempio e,
dopo averlo ucciso, lì lo lasciarono.
Esso mostrava la strage (ruina) (dei Persiani) e il crudele strazio
che fece la regina Tamiri, quando disse al capo mozzato di Ciro:
«Hai avuto sete di sangue, e perciò io ti sazio di sangue».
Mostrava come fuggirono sconfitti (in rotta) gli Assiri,
dopo l’uccisione di Oloferne, e quello
che era rimasto di lui (le reliquie) dopo la morte.
Vedevo Troia in cenere e in macerie (caverne);
o Ilio, come la scultura (segno) che lì si poteva distinguere,
ti rappresentava in basso stato e spregevole!
Quale grande pittore (di pennel … maestro) o scultore (maestro … di stile) vi fu mai,
capace di rappresentare le figure (l’ombre) e i loro lineamenti (tratti)
come quelle che qui farebbero meravigliare anche un artista di alta competenza (ingegno sottile)?
I morti apparivano realmente morti e i vivi realmente vivi:
chi vide dal vero le scene che io calpestai (calcai),
per tutto il tempo che andai (givi) a capo chino, non le vide certo meglio (mei) di me.
Or dunque insuperbitevi e procedete col viso altero,
o figli di Eva, e non chinate il volto in modo
da scorgere il sentiero errato (mal)!
Da parte nostra (per noi) era già stata aggirata
gran parte della cornice ed era trascorso (speso) assai
più tempo di quanto non pensasse il mio animo intento (non sciolto) (a osservare gli esempi),
quando Virgilio, che mi precedeva sempre vigile,
cominciò a dire: «Solleva la testa;
non è più il momento di procedere così assorto (sospeso).
Vedi là un angelo che si accinge a venire verso di noi;
vedi che la sesta ora (l’ancella sesta) torna dall’aver compiuto
il suo ufficio (servigio) nella giornata (è dunque passato il mezzogiorno).
Atteggia a reverenza il volto e i gesti,
così che gli piaccia (i diletti) inviarci su verso la seconda cornice;
pensa che questo giorno non spunterà mai più all’orizzonte (raggiorna)!».
Io ero già talmente abituato (ben … uso) al suo ammonire
continuo di non perdere tempo,
che su questo argomento non poteva parlarmi in modo oscuro (chiuso).
La creatura celestiale, vestita di bianco e col volto splendente
come la stella mattutina quando appare scintillando (tremolando),
veniva verso di noi.
Aprì le braccia e poi aprì anche le ali;
disse: «Venite: qui vicino sono i gradini (i gradi),
e ormai si sale agevolmente.
Pochissimi (radi) rispondono a questo invito:
o uomini, nati per volare in cielo (sù),
perché vi lasciate abbattere (cadi) da un vento così vano?».
Ci condusse (Menocci) là dove la parete rocciosa presentava una fenditura (era tagliata):
qui mi colpì con le ali in mezzo alla fronte;
poi mi assicurò che la salita sarebbe stata senza impedimenti (sicura).
Come dal lato destro, quando si sale al monte (delle Croci),
dove sorge la chiesa (di San Miniato), che domina (soggioga)
la città di Firenze sopra il ponte Rubaconte,
la grande pendenza (foga) della salita
è interrotta dalle scale che furono costruite in tempi
in cui non si falsificavano (era sicuro) i registri (quaderno) e le misure (doga);
allo stesso modo si attenua (s’allenta) il sentiero nella roccia,
che qui scende (cade) assai ripida (ratta) dalla cornice superiore;
ma le alte pareti di roccia sfiorano (rade) dall’una e dall’altra parte chi sale.
Mentre noi ci volgevamo verso la scala,
delle voci cantarono: ‘Beati i poveri di spirito’,
in un modo tale che nessun discorso (sermone) potrebbe descriverlo (diria).
Ahi come sono diversi questi accessi alle cornici (foci)
da quelli dell’Inferno! Infatti qui si entra accompagnati da canti,
mentre laggiù da lamenti feroci.
Già salivamo i gradini (scaglion) di quella santa scala (santi),
e mi sembrava di essere molto più leggero
di quanto non mi sembrasse prima (davanti) attraverso la pianura.
Allora io dissi: «Dimmi, maestro, quale cosa pesante
mi è stata tolta, tanto che io, camminando,
non avverto (si riceve) quasi nessuna fatica?».
Egli rispose: «Quando le P che, seppure molto sbiadite (presso che stinti),
sono rimaste ancora sulla tua fronte,
saranno cancellate (rasi) completamente come la prima di esse,
i tuoi piedi saranno così vinti dalla buona volontà,
che non solo non avvertiranno alcuna fatica,
ma per loro sarà piacevole essere sospinti (pinti) verso l’alto».
Allora io feci come fanno coloro
che camminano portando sul capo qualcosa senza saperlo (non da loro saputa),
se non che i cenni degli altri li mettono sull’avviso (sospecciar);
per cui la mano s’ingegna (s’aiuta) ad accertarlo,
e cerca e trova e in tal modo adempie al compito
che non può essere eseguito dalla vista;
allora con le dita della mano destra aperte (scempie)
trovai solo sei delle lettere che l’angelo portiere
aveva inciso sulla mia fronte;
e la mia guida, osservando questo mio gesto, sorrise.
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Purgatorio Canto 11 - Parafrasi

I superbi in un'illustrazione di Gustave Doré, con tra loro Omberto Aldobrandeschi

Tra i superbi ci sono nobili senesi come Umberto Aldobrandeschi, conte di Santafiore, e Provenzan Salvani, ma ci sono soprattutto gli artisti: il miniatore Oderisi da Gubbio considera quanto breve sia la fama terrena: Cimabue è superato da Giotto, Guinizzelli da Cavalcanti. La vita è un attimo in confronto all'eternità, la fama appassisce come l'erba (Salmo 89).
Dante è attento all'evoluzione dell' arte e alla gloria dei grandi, ma bada soprattutto alle conseguenze psicologiche e morali che travolgono chi nel mondo raggiunge tale gloria.

In questa pagina trovate la parafrasi del Canto 11 del Purgatorio. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.



Parafrasi

«Padre nostro, che stai nei cieli,
non perché da essi limitato (circunscritto), ma per l’amore più intenso
che rivolgi alle prime creature (effetti) che ponesti lassù,
sia santificato il tuo nome e la tua virtù (’l tuo valore)
da tutte le creature, com’è giusto
render grazie al tuo dolce spirito (vapore).
Venga verso di noi la pace del tuo regno,
poiché noi non possiamo raggiungerla (ad essa non potem) da soli,
malgrado i nostri sforzi (con tutto nostro ingegno), se non ci viene incontro.
Come i tuoi angeli dedicano (fan sacrificio)
a te tutta la loro volontà, cantando osanna,
così facciano gli uomini della loro volontà.
Dacci oggi il pane (manna) quotidiano,
senza il quale in questo arduo (aspro) deserto
chi più si affanna a procedere (gir) maggiormente retrocede.
E come noi perdoniamo a tutti il male
che abbiamo subito (sofferto), anche tu perdonalo a noi
misericordioso, e non guardare il nostro merito.
Non mettere alla prova (spermentar) con Satana (l’antico avversaro) la nostra potenza,
che si abbatte (adona) con facilità,
ma liberala da lui che tanto la spinge al male (sprona).
Quest’ultima preghiera, signore caro,
ormai non la facciamo per noi, perché non ne abbiamo bisogno,
ma per gli uomini che sono rimasti dietro a noi (sulla terra)».
Così quelle ombre, formulando con la preghiera (orando)
a noi e a sé un buon augurio (ramogna), andavano sotto il peso (pondo),
simile a quello di un incubo notturno,
girando intorno al monte oppresse in misura diversa (disparmente)
e stanche (lasse) su per il primo girone,
purificando la nebbia (caligine) della vita mondana.
Se le anime del Purgatorio (di là) pregano sempre per noi (ben per noi si dice),
in terra (di qua) che cosa si può dire e fare per loro
da parte dei viventi che sono in grazia di Dio (hanno al voler buona radice)?
È doveroso aiutarli (atar) a purgare le macchie (note)
del peccato che portarono dal mondo (quinci), così che, puri e leggeri,
possano salire alle sfere celesti rotanti (ruote).
«Possano la giustizia e la misericordia liberarvi (vi disgrievi) presto
da questi pesi, in modo che possiate iniziare il volo,
che vi innalzi (lievi) secondo il vostro desiderio,
indicateci da quale parte si va più in fretta (corto)
verso la scala; e se c’è più di un passaggio,
insegnateci quello che scende (cala) meno ripido:
perché costui che viene con me, per via del peso
del corpo umano (lo ’ncarco de la carne d’Adamo) di cui è rivestito,
è lento (parco) a salire, contrariamente al suo desiderio».
Non fu manifesto da chi (da cui) venissero le parole,
che risposero (rendero) a queste che aveva
detto loro colui che io seguivo;
ma fu detto: «Venite con noi a destra lungo la parete,
e troverete un varco (passo) che rende
possibile la salita a una persona viva.
E se io non fossi impedito dal masso che piega (doma)
il mio capo (cervice) superbo, per cui è necessario (convienmi)
che io chini lo sguardo a terra, io guarderei costui,
che è ancora vivo e non dice il suo nome (non si noma),
per vedere se lo conosco, e per indurlo alla pietà
per questo pesante carico (soma).
Io fui italiano (latino) e nato da un nobile (gran) toscano:
mio padre fu Guglielmo Aldobrandesco;
non so se il suo nome fu mai noto a voi (vosco).
La nobiltà della stirpe (sangue) e le opere virtuose (leggiadre)
dei miei antenati mi resero così arrogante, che,
non pensando all’origine comune (comune madre) di tutti gli uomini,
ebbi in disprezzo (in despetto) ogni uomo a tal punto,
che fui ucciso, in che modo lo sanno i Senesi
e lo sanno (sallo) anche i bambini (fante) in Campagnatico.
Io sono Omberto; e la superbia recò danno
non solo a me, perché essa ha trascinato con sé
nella rovina (malanno) tutti i miei consanguinei (consorti).
E qui è necessario che io porti questo peso
a causa della superbia (per lei), per il tempo necessario per pagare a Dio il debito (si sodisfaccia)
della mia colpa, qui fra i morti, poiché non lo feci fra i vivi».
Mentre ascoltavo chinai in giù la faccia;
e uno di loro, non questo che parlava,
si contorse sotto il peso che li impedisce (li ’mpaccia),
e mi vide e mi riconobbe e mi chiamava,
tenendo con fatica gli occhi fissi verso di me,
che camminavo tutto chino insieme con loro.
«Oh!» io dissi a lui: «Tu non sei Oderisi,
onore di Gubbio (Agobbio) e onore di quell’arte
che a Parigi viene chiamata alluminare?».
Egli disse: «Fratello, le carte che Franco Bolognese
dipinge (pennelleggia) sono più vivaci (più ridon);
l’onore è ora tutto suo, e mio solo in parte.
Certo io non sarei stato così generoso (cortese)
finché fui in vita, a causa del mio vivo desiderio
di primeggiare a cui il mio cuore fu rivolto intensamente (intese).
Io pago qui la pena (fio) di tale superbia;
e neppure sarei qui se non fosse avvenuto che,
pur potendo (possendo) ancora peccare, mi rivolsi pentito a Dio.
Oh, vanità dell’umano valore (posse)!
quanto poco tempo il verde permane sulla cima,
se non è seguito (è giunta) da età di decadenza (l’etati grosse)!
Cimabue credette di dominare gli altri (tener lo campo) nella pittura,
e invece Giotto ha ora la gloria (il grido),
tanto che la sua fama è oscurata.
In tal modo Guido (Cavalcanti) ha tolto all’altro Guido (Guinizzelli)
la gloria della poesia in volgare (lingua);
e forse è nato chi caccerà entrambi dalla loro sicura posizione (nido).
La fama (romore) mondana non è altro che un alito (fiato)
di vento che spira ora da una parte (quinci) e ora dall’altra (quindi),
e cambia nome perché cambia la direzione di provenienza (lato).
Quale maggiore fama (voce) avrai, se muori vecchio (se vecchia scindi da te la carne),
di quella che avresti avuta se fossi morto prima di smettere
di dire (lasciassi) ‘pane’ e ‘denari’,
prima che trascorrano mille anni? che è un tempo,
rispetto all’eternità, più breve di un batter di ciglia
rispetto al movimento del cielo (cerchio) che si volge (è torto) più lento.
Tutta la Toscana celebrò (sonò) colui che cammina
lentamente (sì poco piglia) davanti a me;
e ora si bisbiglia (sen pispiglia) di lui appena a Siena,
di cui era signore (sire) quando fu distrutta
la furiosa prepotenza (rabbia) dei Fiorentini,
che allora fu superba così come ora si vende per denaro (putta).
La fama umana (vostra nominanza) è come il colore dell’erba,
che nasce e presto muore, e la fa scolorire lo stesso sole (quei) in virtù del quale
essa ancora tenera (acerba) esce dalla terra».
E io a lui: «Le tue parole veritiere (Tuo vero) m’in fondono (m’incora)
un’umiltà che fa volgere al bene, e mitigano (m’appiani) la grande superbia (tumor):
ma chi è quello di cui tu ora parlavi?».
Rispose: «Quello è Provenzan Salvani;
ed è qui perché ebbe la presunzione di ridurre
tutta Siena in suo potere (recar … a le sue mani).
Già è andato (Ito) così chino e così va, senza tregua (riposo),
dal giorno che morì; chi nel mondo ha osato troppo (troppo oso)
soggiace a tale penitenza (cotal moneta) per pagare (sodisfar) il suo debito».
E io dissi: «Se quello spirito che attende l’estremo limite (l’orlo)
della vita prima di pentirsi, deve restare quaggiù (nell’Antipurgatorio),
e non può salire in questa cornice (quassù)
prima che passi tanto tempo quanto visse,
se preghiere di persone in grazia di Dio (buona) non lo aiutano,
come gli fu concessa (largita) l’ascesa (al Purgatorio)?».
«Quando era ancora all’apice della sua fama (glorïoso)», disse,
«deposto ogni sentimento di vergogna, si pose (s’affisse)
spontaneamente nella piazza del Campo a Siena;
e stando lì, per sottrarre un suo amico dalla pena,
in cui era tenuto nella prigione di Carlo,
si ridusse a tremare tutto dentro di sé per l’umiliazione.
Non dirò di più e so che parlo in modo incomprensibile;
ma non trascorrerà troppo tempo che i tuoi concittadini
faranno in modo che tu potrai interpretare con chiarezza (chiosarlo).
Proprio quel gesto (opera) lo liberò dai confini (dell’Antipurgatorio)».
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Far venire il latte alle ginocchia - Significato


Far venire il latte alle ginocchia è solo uno dei tanti modo di dire italiani, per cui evitate di spremervi le ginocchia, da cui non uscirà un bel niente, perché il latte in questione è proprio quello della mucca!



Significato

Questo modo di dire sta a significare che la persona, l'animale o la cosa (l'argomento di discussione) è terribilmente, noiosa, fastidiosa, stancante, ripetitiva, insopportabile.



Origine

Per quanto riguarda l'origine di questo modo di dire ci sono dei parere un po' discordanti, anche se la teoria più realistica è quella che esso derivi dalla pratica della mungitura (quella manuale s'intende), durante la quale il mungitore si sedeva su uno sgabello con uno secchio da riempire in mezzo alle gambe e mungeva finché il latte non raggiungeva l'altezza delle sue ginocchia. Come potete immaginare si trattava di un lavoro molto lungo e ripetitivo, che richiedeva molta calma e pazienza, e che di certo non rientrava nella lista dei lavori più entusiasmanti.
Esso era anche un lavoro necessario al sostentamento della famiglia in quanto dal latte si potevano ricavare latticini (formaggio, burro). Difatti era una buona abitudine, per chi poteva permetterselo, tenere una mucca in casa per evitare di comprare il latte da altri venditori (specie nei periodi di magra, quando il prezzo del latte lievitava), per averlo sempre fresco e in caso di abbondanza rivenderlo per trarne profitto o per scambiarlo con qualcos'altro.

Vi è anche una seconda teoria riguardante la sua origine, ma è meno nota. Con il termine latino "lactes" vengono indicati i visceri, ovvero le budella degli animali. Con murenarum lactes, latte di murena, i latini definivano la sostanza molle e lattiginosa che si trova nelle interiora. E dunque l'immagine dei visceri che per stanchezza si srotolano, si allungano e si distendono fino a toccare le ginocchia potrebbe essere stata associata al rilassamento, noia e impotenza.

E aggiungiamo anche una terza teoria trovata sul web, ma solo per curiosità, perché in effetti di questa non vi è alcun riscontro né storico né etimologico. Potrebbe essere associato a un altro tipo di "latte", l'acido lattico, che il corpo produce dopo uno sforzo fisico e ci fa sentire stanchi e appesantiti, proprio come una conversazione con una persona noiosa.



Come si usa

Come abbiamo già detto può essere usato per riferirsi a persone o cose che il solo vederle, sentirle o sentirne parlare ci spazientisce. Viene anche usato con delle varianti, ma il senso del modo di dire rimane invariato. Eccovi alcuni esempi:

Mi sta venendo il latte alle ginocchia con tutta queste smancerie.

Il film che la maestra ci ha consigliato di vedere mi ha fatto venire il latte alle ginocchia.

Paolo, con le sue spiegazioni, mi fa proprio venire il latte alle ginocchia.

Mi sta calando il latte dalle ginocchia nel sentire i tuoi discorsi.

Cambia stazione radio, per favore. Questa fa scendere il latte dalle ginocchia!
.
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A riposo - Ungaretti: analisi e commento


La poesia "A riposo" è stata scritta da Giuseppe Ungaretti, porta l'indicazione "Versa, il 27 aprile 1916" e fa parte della raccolta L'allegria, all'interno della sezione Il porto sepolto.



Indice




Testo

Chi mi accompagnerà pei campi

Il sole si semina in diamanti
di gocciole d'acqua
sull'erba flessuosa

Resto docile
all'inclinazione
dell'universo sereno

Si dilatano le montagne
in sorsi d'ombra lilla
e vogano col cielo

Su alla volta lieve
l'incanto si è troncato

E piombo in me

E m'oscuro in un mio nido.



Analisi del testo e commento

A riposo = il titolo si riferisce al luogo in cui i soldati si riposano. Da ciò è possibile intuire che è stata scritta durante un momento di tregua dalla guerra.

Chi mi accompagnerà pei campi: qui il poeta appare sereno (e chi non lo sarebbe senza la guerra) e chiede a qualcuno dei suoi compagni (di guerra) se è disponibile ad andare insieme a lui nei campi.

Il sole si semina in diamanti di gocciole d'acqua sull'erba flessuosa: la luce del sole colpisce le gocce d'acqua di rugiada che si trovano sull'erba flessuosa (cioè che si piega con facilità) e, per via del fenomeno chiamato "rifrazione", ai suoi occhi sembrano diamanti. La luce si "spezza" andando a creare una varietà di migliaia di colori (tipo l'arcobaleno) e per questa ragione li paragona a un elemento così prezioso e raro. Attraverso questi versi il poeta vuole farci sentire la vitalità della natura, anche se esse sono solo un fenomeno naturale.

Resto docile all'inclinazione dell'universo sereno: Ungaretti vive in armonia con la natura (= vita universale) e si lasciare trasportare da essa.

Si dilatano le montagne in sorsi d'ombra lilla: il poeta osserva l'orizzonte e gli sembra che le montagne, colpite dal riflesso della luce, siano diventate più grandi rispetti a prima, e che anche la loro ombra è più grande ed assorbe la luce. La natura dà la sensazione di essere in costante movimento man mano che si continua a leggere questa poesia.

E vogano col cielo: il movimento delle nuvole sembra andare di pari passo col movimento delle montagne, come se montagne e cielo fossero un tutt'uno.

Su alla volta lieve l'incanto si è troncato: il poeta inizialmente ha lo sguardo rivolto verso il basso, in direzione dell'erba; attraverso un leggero movimento lo alza per osservare prima le montagne e poi il cielo. Alzando lo sguardo l'illusione che terra e cielo siano un'unica cosa svanisce, quindi ritorniamo nel nostro piccolo essere e ci rendiamo conto che l'armonia con la natura si è spezzata (rotta). Il poeta usa il paesaggio come "mezzo" ma in realtà sta parlando se se stesso, dei suoi pensieri, e delle angosce della vita.

E piombo in me
: sta a significa "è quindi ritorno a parlare di me". Qui il poeta sente la condizione mortale, il peso dell’individualità.

E m'oscuro in un mio nido: cioè ritorna all’intimità, nido inteso come rifugio ma anche come ripiegamento su sé: chiudersi nell’ombra dell’individuo. il poeta dice che dopo aver visto la luce, ritorna a rifugiarsi nell'ombra. È questo fa da contrasto alla poesia Mattina, in cui il poeta scriveva "m'illumino d'immenso".



Figure retoriche

Metafora = "Il sole si semina in diamanti di gocciole d'acqua" (vv. 2-3).

Sinestesia = "sorsi s'ombra lilla" (v. 9).

Clima ascendente
= prima metà della poesia.

Climax discendente = seconda metà della poesia.
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Purgatorio Canto 10 - Parafrasi

Esempio di umiltà, illustrazione di Gustave Doré

Varcata la porta, i due poeti salgono su un cornicione del monte la cui parete sul lato interno è colma di bassorilievi in marmo bianco riproducenti esempi di umiltà. Qui i superbi camminano curvi sotto il peso di enormi macigni, studiando gli esempi dei bassorilievi.

In questa pagina trovate la parafrasi del Canto 10 del Purgatorio. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.



Parafrasi

Dopo che oltrepassammo la soglia della porta (del Purgatorio),
che l’amore degli uomini rivolto al male (’l mal amor) lascia in disuso,
perché fa sembrare retta la via errata,
avvertii che si era richiusa dal suono che aveva provocato;
e se io avessi rivolto a essa lo sguardo,
quale scusa sarebbe stata sufficiente a giustificare la mia trasgressione (fallo)?
Noi salivamo (salavam) attraverso una fenditura nella roccia (pietra fessa),
che procedeva tortuosamente piegando ora a destra, ora a sinistra,
come l’onda che si ritrae e si avvicina.
«Qui è necessario usare un po’ d’accortezza (arte)»,
iniziò a dire la mia guida, «nell’avvicinarsi ora da una parte (quinci),
ora dall’altra (quindi) al fianco della parete che rientra (che si parte)».
E questo rese i nostri passi lenti (scarsi),
tanto che la luna calante (scemo)
era ritornata all’orizzonte per tramontare (rigiunse al letto suo per ricorcarsi),
prima che noi fossimo fuori da quello scavato sentiero (cruna);
ma quando ci liberammo e fummo in luogo aperto,
in alto dove il monte si ritrae (si rauna) indietro,
essendo io stanco e ambedue incerti sulla strada
da seguire, sostammo su un ripiano,
più solitario delle strade che attraversano i deserti.
Dalla parte esterna (sponda), dove confina con il vuoto (vano),
fino alla base della parete che continua (pur) a salire,
misurerebbe circa tre volte la lunghezza del corpo umano;
e, fino a quanto il mio sguardo poteva spaziare (trar d’ale),
ora dalla parte sinistra, ora dalla destra,
questa cornice mi pareva della stessa misura (cotale).
Lassù non avevamo ancora fatto un passo,
quando io mi accorsi che quella parte della ripa
che era meno (manco) ripida,
era di marmo candido e decorata (addorno)
di bassorilievi (intagli) tali che non solo Policleto (uno dei massimi scultori greci),
ma la natura stessa sarebbe sconfitta (avrebbe scorno).
L’angelo (Gabriele) che scese in terra portando
con sé il decreto della pace (fra Dio e gli uomini), sospirata per lunghi secoli,
che aprì le porte del cielo sciogliendo il lungo divieto (dovuto al peccato originale),
appariva lì davanti a noi così verosimile,
scolpito qui in un atteggiamento dolce,
da non sembrare una muta raffigurazione.
Si sarebbe giurato che egli dicesse ‘Ave!’;
infatti vi era scolpita colei (la Madonna)
che girò la chiave per aprire le porte all’amore divino (alto);
e nel suo atteggiamento (in atto) sembrava veramente dire (esta favella):
‘Ecco l’ancella di Dio’, in modo preciso
come nella cera si imprime la figura del sigillo (suggella).
«Non rivolgere la tua attenzione sempre a un’unica scena (un loco)»,
disse il caro maestro, rispetto al quale io
ero dalla parte del cuore (alla sinistra).
Perciò io mi spostai con lo sguardo, e vidi
dietro (alla scena di) Maria, dalla parte (da quella costa)
in cui era colui che mi guidava (mi movea),
un’altra storia scolpita (imposta) nella roccia;
allora oltrepassai (varcai) Virgilio e mi avvicinai (fe’ mi presso)
in modo che si offrisse ai miei occhi nella sua ampiezza (disposta).
Erano scolpiti lì, sempre nel marmo,
il carro e i buoi che tiravano (traendo) l’Arca santa,
per la quale l’uomo teme di svolgere un compito (officio) che non gli è stato affidato (non commesso).
Davanti al carro appariva una folla; e tutta quanta,
suddivisa in sette schiere (cori), ai miei due sensi
faceva dire all’uno (l’udito) ‘No, non canta’, all’altro (la vista) ‘Sì, canta’.
Allo stesso modo di fronte al fumo degli incensi
che vi erano raffigurati, gli occhi e il naso (la vista e l’olfatto)
si fecero discordi (di scordi fensi) nell’affermare e nel negare.
Lì davanti all’Arca santa (benedetto vaso) avanzava Davide,
l’umile cantore di salmi, danzando (trescando) con vesti succinte (alzato),
e in quell’occasione era più che re (di fronte a Dio perché danzava in suo onore) e meno che un re (per gli uomini, perché il suo atteggiamento non era considerato regale).
Di fronte a lui, scolpita alla finestra di un grande palazzo,
la moglie Micòl guardava stupita,
come una donna sprezzante (dispettosa) e crucciata.
Io mossi i passi dal luogo dove mi ero fermato,
per osservare da vicino un’altra scena,
che risaltava sul marmo bianco (biancheggiava) dopo la raffigurazione di Micòl.
Qui era scolpita (storïata) la storia dell’azione più gloriosa (gloria)
dell’imperatore (principato) romano, la cui virtù fece sì
che Gregorio Magno si muovesse verso la sua grande vittoria;
io parlo dell’imperatore Traiano;
e una vedovella era raffigurata mentre teneva le briglie del suo cavallo (li era al freno),
in atteggiamento di pianto e di dolore.
Intorno a lui lo spazio era gemito (calcato) e pieno di una folla di cavalieri,
e gli stemmi delle aquile (aguglie) ricamate nell’oro
sembravano (in vista) muoversi al vento sopra di loro.
La povera donna in mezzo a tutta questa gente
sembrava dire: «O Signore, rendimi giustizia
per mio figlio che è stato ucciso, e per il quale io piango disperata (m’accoro)»;
e l’imperatore pareva risponderle: «Aspetta finché io torni».
E quella: «Mio Signore», con l’atteggiamento di una persona
nel cui animo urge (s’affretta) il dolore,
«se tu non tornassi?»; ed egli: «Chi occuperà (fïa) il mio posto (dov’io),
ti renderà giustizia»; ed ella: «Il bene fatto da un altro a che ti gioverà (che fia),
se trascurerai (metti in oblio) di farlo tu stesso?»;
per cui egli: «Fatti ora coraggio;
ché è giusto (convene) che io compia il mio dovere prima che io parta:
lo vuole la giustizia, e la pietà mi impedisce di partire (ritene)».
Dio, per il quale nessuna cosa è nuova,
fu l’artefice (produsse) di questo linguaggio
che diventa immagine (visibile), meraviglioso (novello) per noi perché sulla terra non si trova.
Mentre io godevo ad ammirare le raffigurazioni
di così celebri atti di umiltà, preziose (care) a vedersi
e per via del loro artefice (fabbro),
«Ecco da questa parte, ma avanzano lentamente (passi radi)»,
mormorava Virgilio, «molte anime:
queste ci indicheranno la via (’nvïeranno) verso le cornici più alte».
I miei occhi, che erano paghi dalla gioia di ammirare
perché vedevano cose straordinarie di cui sono sempre desiderosi (vaghi),
non furono lenti nel rivolgersi verso Virgilio.
Non voglio però, o lettore, che tu ti distolga (ti smaghi)
dal buon proposito di pentirti, nell’udire
come Dio esige che si saldi il debito delle colpe.
Non pensare (attender) alla forma del castigo (martìre):
pensa a ciò che viene dopo (succession);
pensa che, nel peggiore dei casi, non può andare oltre il giudizio universale (gran sentenza).
Io cominciai a dire: «Maestro, quel che io vedo
avanzare verso di noi, non mi sembrano figure umane
e non so che cosa siano, tanto mi confondo (vaneggio) nel discernere».
Ed egli a me: «La terribile qualità del loro tormento
li fa stare rannicchiati a terra,
tanto che i miei occhi in un primo momento stentarono a riconoscerle (n’ebber tencione).
Ma osserva attentamente (fiso) là, e con gli occhi districa (disviticchia)
la gente che cammina sotto a quei massi:
ecco già puoi scorgere come ogni anima si batta il petto (si picchia)».
O cristiani superbi, infelici e sventurati (lassi),
che, ottenebrati d’intelletto,
avete fiducia (fidanza) nei passi a ritroso;
non vi accorgete che noi uomini siamo come delle larve (vermi),
nati per trasformare (formar) l’anima in un’angelica farfalla,
che si presenta davanti alla giustizia di Dio senza nessuna difesa (schermi)?
Per quali motivi il vostro animo galleggia (galla) in alto,
poiché siete quasi insetti (antomata) incompleti (in difetto),
così come il bruco (vermo) il cui sviluppo non è ancora completo (formazion falla)?
Come talvolta si vede una figura umana rannicchiata
con le ginocchia al petto per sostenere un soffitto o un tetto,
che, pur non essendo vera, fa nascere in chi la vede un senso
di vera compassione (rancura);
a quel modo io vidi atteggiati quegli spiriti,
quando li osservai con attenzione.
È vero tuttavia che erano più o meno rannicchiati (contratti),
a seconda del maggiore o minore peso che essi avevano addosso;
e quello che dimostrava nell’atteggiamento maggiore capacità di sopportazione (pazïenza)
sembrava dire piangendo: ‘Non ne posso più’.
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Nello stesso modo In cui o Con cui: come si scrive?


Andiamo a rivolvere un altro dubbio grammaticale che ha come protagonista il pronome relativo "cui", in particolare quando è preceduto dalle preposizioni semplici "in" e "con".


IN CUI

"In cui" corrisponde alle forme "nel quale, nella quale, nei quali, nelle quali".

ESEMPIO:
- La città in cui andremo a vivere è Roma.
- La città nel quale andremo a vivere è Roma.



CON CUI

"Con cui" corrisponde alle forme "con il quale, con la quale, con i quali, con le quali".

ESEMPIO:
- L'autobus con cui saremmo dovuto andare in gita è guasto.
- L'autobus con il quale saremmo dovuti andare in gita è guasto.



Nello stesso modo in cui o con cui?

Se le espressioni da usare sono "nel modo..." o "nello stesso modo...", esse dovranno essere seguite dalla preposizione semplice "in" e il pronome relativo "cui". Quindi è corretto scrivere "nel modo in cui" e "nello stesso modo in cui". Questo perché con il termine "modo" si intende "la maniera" e risponde alla domanda "in che modo?".

Del resto si dice "dire in questo modo", "fare in questo modo", "comportarsi in questo modo", "procedere in questo modo" ecc.

Non possiamo dire per certo se le espressioni "con questo modo", "nel modo con cui" e "nello stesso modo con cui" siano sbagliate, perché potrebbero esserci rari casi in cui sarà possibile utilizzarle (non ce ne viene in mente nessuno). Comunque, nella maggior parte dei casi, si tratta di forme errate. E inoltre sarebbe meglio usare la preposizione semplice "con" in espressioni del tipo: "con questo metodo", "con questa modalità", "con lo stesso metodo con cui...". Questo perché con il termine "metodo" si intende "lo strumento" e risponde alla domanda "con quale mezzo?".


Qui di seguito vi proponiamo alcune frasi per rendere più chiaro il concetto.

ESEMPIO:
Non rispondere nello stesso modo in cui lui ti risponde. Ti rendi ridicola!

Trovate una persona che vi guardi nello stesso modo in cui si guardano le partite di calcio.

Se non imparo nel modo in cui insegni, insegnami nel modo in cui io imparo!

Puoi conoscere una persona dal modo in cui ride.

Questa è la serie di numeri con cui ho vinto al Lotto.

Facebook ha aggiornato il metodo con cui serve la pubblicità.

Descrivimi le modalità con cui posso pagare l'acquisto.

La persona con cui stavi parlando è andata via.
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Distacco - Ungaretti: parafrasi, analisi e commento


La poesia "Disatcco" è stata scritta da Giuseppe Ungaretti, porta l'indicazione "Locvizza, il 24 settembre 1916" e fa parte della raccolta L'allegria, all'interno della sezione Il porto sepolto.



Indice




Testo

Eccovi un uomo
uniforme

Eccovi un'anima
deserta
uno specchio impassibile

M'avviene di svegliarmi
e di congiungermi
e di possedere

Il raro bene che mi nasce
così piano mi nasce

E quando ha durato
così insensibilmente s'è spento.



Parafrasi

Ecco a voi un uomo che non ha ombre né sfaccettature,
ecco un'anima vuota che non ha sussulti,
come uno specchio impenetrabile alle emozioni.
Mi capita di svegliarmi, di ritrovare e di possedere
il bene così raro che mi nasce dentro, che nasce a rilento.
E quando è sopravvissuto abbastanza si spegne senza clamore.



Analisi del testo e commento

Distacco = dal titolo è possibile intuire il modo in cui il poeta guarda la vita senza partecipare, appunto, con distacco (in modo distaccato).

Eccovi un uomo uniforme = Ungaretti si è sempre definito un uomo di pena, cioè un uomo la cui vita è caratterizzata dalla sofferenza. Con l'aggettivo "uniforme" sta descrivendo la sua anima, cioè gli sta dando una forma,  che è sempre la stessa: piatta.

Eccovi un'anima deserta uno specchio impassibile = un'anima deserta sta a significare che è un anima vuota, distaccata, arrida. Non va trascurato che nella poetica Ungarettiana l'acqua raffigura la vita mentre l'aridità la morte. Il distacco è necessario per proteggersi dalla sofferenza e in questo senso lo "specchio" potrebbe significare che in esso possiamo vedere la nostra immagine riflessa ma che non può essere toccata né attraverso un contatto fisico né emotivamente. L'immagine riflessa rimane "impassibile" nel senso di impenetrabile e insensibile. Inoltre egli dice di essere uniforme, della stessa forma, così come anche lo specchio è di forma piatta.

M'avviene di svegliarmi e di congiungermi e di possedere = in questi versi utilizza ben tre verbi. Il verbo "svegliarmi" potrebbe essere un riferimento al momento della sua ispirazione poetica, il verbo "congiungermi" andrebbe visto in chiave poetica, cioè sentirsi parte del tutto (in armonia), il verbo "possedere" potrebbe essere inteso come se l'ispirazione poetica gli venisse in maniera che deve accadere oppure che vuole padroneggiarla, chissà...
Il risveglio dell'anima è di consolazione sia per il poeta che per la poesia.

Il raro bene che mi nasce così piano mi nasce = la vita fa fatica a manifestarsi e il barlume (debole luce, forse inteso come ispirazione poetica) che nasce con tanta fatica, non dura. La ripetizione dell'espressione "di nasce" serve a dare più peso a questo momento della poesia, per intensificare il valore, il dolore e il "raro bene" che nasce dentro di lui.

E quando ha durato così insensibilmente s'è spento = ciò che si sta spegnendo è qualcosa che riguarda la vita dell'anima: Ungaretti si trova in un periodo nel quale non è più in grado di provare emozioni e la sua ispirazione poetica non è più come una volta, anzi, tende a svanire. Egli cerca di restare in sintonia con la vita ma il dolore per la lontananza e il distacco dell'anima comporta anche il distacco dalla poesia: la poetica, l'idea poetica bisogna nutrirla in noi e infatti nell'ultima parte di questa poesia spiega la nascita di essa.



Figure retoriche

Anafora = "Eccovi" (v.1 e v.3).

Anafora = "e di" (vv. 7-8).

Epifora = "mi nasce" (vv. 9-10).

Antitesi = "nasce" (v. 9) e "spento" (v. 12).

Anafora = "così" (v.10 e v.12).
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Fase d'oriente - Ungaretti: analisi e commento


La poesia "Fase d'oriente" è stata scritta da Giuseppe Ungaretti, porta l'indicazione "Versa, il 27 aprile 1916" e fa parte della raccolta L'allegria, all'interno della sezione Il porto sepolto.



Indice




Testo

Nel molle giro di un sorriso
ci sentiamo legare da un turbine
di germogli di desiderio

Ci vendemmia il sole

Chiudiamo gli occhi
per vedere nuotare in un lago
infinite promesse

Ci rinveniamo a marcare la terra
con questo corpo
che ora troppo ci pesa.



Analisi del testo e commento

Fase d'oriente: il titolo è divisibile in due parti, la "fase" è il momento di svago e di sospensione, mentre "l'oriente" va inteso in senso fiabesco, un luogo dove si può fantasticare.

Nel molle giro di un sorriso ci sentiamo legare da un turbine di germogli di desiderio = il sorriso dell'anima è paragonato a quello di una donna ed è per questo che fa uso degli aggettivi "dolcezza" e "morbidezza". E in questa atmosfera germoglia (= si sviluppa) un desiderio di legame così forte che lo definisce un vortice (movimento vorticoso) inevitabile.

Ci vendemmia il sole = va inteso come essere impregnati di sole, pieni di sole. Il sole rappresenta l'elemento "maschile" fecondatore, che feconda la terra e fa germogliare la vita: l'atto del vendemmiare è il momento in cui utilizziamo tutte le energie per abbandonarci al desiderio. La vendemmia è sia il periodo della raccolta dell'uva, ma in generale è anche un momento di felicità, un premio per tutto il lavoro svolto durante l'anno.

Chiudiamo gli occhi per vedere nuotare in un lago infinite promesse = ciò che si vede all'esterno passa in secondo piano rispetto a ciò che si può vedere dentro: i ricordi. Il sole, qui sembra fecondare la vista, e chiudendo gli occhi è possibile scendere nelle profondità e trovare le dolcezze che sono svanite nel tempo (le "infinite promesse").

Ci rinveniamo a marcare la terra con questo corpo che ora troppo ci pesa = e passata questa fase di "sogno" si ritorna nuovamente nella realtà: come un brusco risveglio. L'espressione "a marcare la terra" sta a significare che lasciamo un solco sulla terra come un aratro, usando il peso del nostro corpo (paragone che fa da contrasto al fatto che nella fase del sogno non siamo in grado di percepire il nostro peso).
Il risveglio da questa "fase d'oriente" affligge sia l'anima sia il corpo, che si "appesantisce" di fronte alla realtà.



Figure retoriche

Antitesi = "Chiudiamo gli occhi per vedere" (vv. 5-6).

Anafora = "ci" (v. 2, 4, 8).
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Risvegli - Ungaretti: parafrasi, analisi e commento


La poesia "Risvegli" è stata scritta da Giuseppe Ungaretti, porta l'indicazione "Firenze, Vallecchi 1919" e fa parte della raccolta L'allegria, all'interno della sezione Il porto sepolto.



Indice




Testo

Ogni mio momento
io l'ho vissuto
un'altra volta
in un'epoca fonda
fuori di me

Sono lontano colla mia memoria
dietro a quelle vite perse

Mi desto in un bagno
di care cose consuete
sorpreso
e raddolcito

Rincorro le nuvole
che si sciolgono dolcemente
cogli occhi attenti
e mi rammento
di qualche amico
morto

Ma Dio cos'è?

E la creatura
atterrita
sbarra gli occhi
e accoglie
gocciole di stelle
e la pianura muta

E si sente
riavere.



Parafrasi

Ho rivissuto un'altra volta ogni momento della mia vita, in un'epoca profonda e lontana da me.
Fatico a ricordare le altre vite vissute e perdute nel passato.
Riaffioro in un bagno di ricordi familiari a me cari e mi sento più tranquillo.
Osservo le nuvole finché non si frantumano lentamente e mi tornano in mente ricordi di amici defunti.
Cos'è Dio?
E la creatura impaurita, con gli occhi spalancati, accoglie con lo sguardo la rugiada cosmica e il cambiamento della pianura.
E si sente rinascere.



Analisi del testo e commento

Schema metrico: versi liberi.

Questa è una delle poesie più religiose de Il Porto Sepolto insieme a DannazionePesoDestino. Presenta un linguaggio ermetico e frammentato. Dall'esperienza della guerra Ungaretti, sia come uomo che come poeta, non ha estratto solamente gli aspetti negativi (come la sofferenza) ma anche altre emozioni importanti per riflettere sul proprio io, sugli uomini e sul mondo, una sorta di continua ricerca di un mistero da scoprire e rivelare, che in questo caso prende la strada del sogno. Ad ogni orrore della guerra corrisponde per contrasto una rinascita e la lirica in questione si traduce in una forte volontà di continuare a vivere. Il titolo Risvegli sta ad indicare il risveglio della coscienza ed è un qualcosa che si ripete nel tempo, e non è casuale il verso conclusivo che termina con "riavere", che rafforza il concetto di ripetizione.


Qui di seguito andremo a spiegarla verso per verso:

Ogni mio momento io l'ho vissuto un'altra volta in un'epoca fonda fuori di me = In questa lirica il poeta sente di aver vissuto altre vite, cioè ricorda che certe cose gli sono già accadute in passato (sensazione della preesistenza), in un'epoca lontana, e vaga in esse, tra sogno e ricordo, alla ricerca di un mistero da rivelare a se stesso e agli altri. Qui è possibile intravedere la profondità del porto sepolto, e da ciò si può percepire che il proprio essere non è soltanto la persona legata al proprio corpo, ma un lungo viaggio della propria anima.

Sono lontano colla mia memoria dietro a quelle vite perse = nel tentativo di ricostruire la percezione di quelle esistenze perdute, il poeta si "allontana", nel senso che si cala in una dimensione di profondità del suo essere. L'aggettivo "perse" sta a significare che inizialmente queste vite le stava "inseguendo!, fino a quando non le ha perse di vista.

Mi desto in un bagno di care cose consuete sorpreso e raddolcito = da questo continuare a perdersi nelle profondità, egli riemerge nelle cose familiari, che lo riportano nel presente. Si viene a creare un clima di tranquillità tranquilla (egli è raddolcito) perché può rimettere piede su un un punto fermo e stabile: la sua vita attuale.

Rincorro le nuvole che si sciolgono dolcemente cogli occhi attenti e mi rammento di qualche amico morto = la nuvola rappresenta il mutare degli eventi, perché si compone e si scompone. Ragione per cui il suo pensiero va agli amici che c'erano e frequentava (forse Mohammed Scead) e che adesso non ci sono più (in quanto defunti).

Ma Dio cos'è? = Dopo aver vissuto su di sé l'esperienza della preesistenza, si chiede: "ma Dio cos'è?". Se la vita degli uomini ha un inizio e una fine, proprio come le nuvole che si generano dal nulla e poi vengono dissolte nel vento, è anche vero che, per contrapposizione, l'essere eterno esiste ed è Dio. Dio deve essere per forza qualcosa di enorme e allo stesso tempo non ha confini precisi (altra contrapposizione), e questo è un pensiero che lo inquieta.

E la creatura atterrita = si sente come un animale terrorizzato. Però non usa il termine "animale", bensì "creatura" (creato da Dio), perché si sente piccolo (es. un insignificante pezzo di un puzzle) ma è un piccolo che fa parte di un tutto (il puzzle senza quel piccolo pezzo non può essere terminato).

Atterrita sbarra gli occhi e accoglie gocciole di stelle e la pianura muta = E come se una rugiada cosmica (gocciole di stelle) scendesse su di noi e la pianura mutasse, la vastità e, quindi, l'infinito.

E si sente riavere = la rugiada celeste è vista come una forza che rianima (ridà vita). Quindi la creatura impaurita da questo punto di vista si sente confortata.



Figure retoriche

Ossimoro = "sorpreso e raddolcito" (vv. 10-11).

Metafora = "rincorro le nuvole" (v. 12).

Analogia = "gocciole di stelle" (v. 23).

Enjambements = vv. 10-11; 16-17; 19-20; 25-26.
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A buon rendere - Significato


A buon rendere è un modo di dire italiano apparentemente elegante, ma non sempre è così e ad alcuni nemmeno piace sentirselo dire, perché è legato al concetto di bontà d'animo e sul concetto di fiducia. Attraverso la spiegazione e i vari esempi avrete modo di scoprire cosa significa e magari potrebbe anche tornarvi utile quando vi capiterà una situazione simile.



Significato

Questo modo di dire sta a significare che la persona che ha fatto un favore ad un'altra (o ad altre) non verrà "ripagata" subito, ma "a buon rendere". È una sorta di promessa di ricambiare il favore ricevuto in futuro non appena se ne avrà l'occasione. Non si tratta di un debito vero e proprio verso l'altra parte perché non c'è un tempo limite entro il quale il favore vada restituito.

Diciamo che essere altruisti è uno dei modi migliori per farsi nuovi amici ed è sempre bello circondarsi da persone che ci apprezzano per qualcosa di positivo. Viceversa non è affatto piacevole essere ricordato come colui che chiede sempre favori ma quando è il momento di ricambiare il favore si tira indietro o si finge indisponibile.

Da precisare che non a tutti piace sentirsi dire "a buon rendere", perché viene percepito come un "non preoccuparti, sarai ricompensato!", come se l'atto generoso di fare un favore non sia stato fatto col cuore ma col fine di un interesse personale.



Come si usa?

Se il modo di dire viene usato da chi ha fatto il favore potrebbe indicare che la persona in questione è dotata di eccezionale generosità e nobiltà d'animo, o semplicemente che ripone la fiducia nell'altro e sa che avrebbe fatto (e che farà) lo stesso per lui.
Se invece viene usato da chi il favore lo ha ricevuto potrebbe indicare che la persona in questione non dispone di un modo per restituire il favore nel momento stesso (ad esempio aver dimenticato il portafoglio a casa potrebbe essere un valido motivo) o che ha difficoltà economiche, ma che sarebbe disponibile a restituire il favore (anche in altri modi che non siano i soldi) in futuro.

Può essere usato tra amici:
Facciamo che te la regalo e poi se un giorno avrò bisogno di un favore, non ti dimenticare di questo gesto. Insomma, a buon rendere!


Tra familiari o conoscenti:
Ti ringrazio per l'ospitalità, a buon rendere!


È anche vero che alcuni se ne approfittano della generosità altrui:
- Eh fammelo questo favore. Stai tranquillo che ti ripagherò... a buon rendere!
- L'hai già usata la scorsa settimana questa tattica...


Il detto, se leggermente modificato, può essere usato con tono ironico quando si vuole rispondere a qualcuno dal quale si è subito un torto, in cui (la vittima) si ripromette di vendicarsi alla prima occasione. La forma "a buon rendere" viene usata solo ed esclusivamente in senso positivo; eccovi un modo per poterla usare in senso negativo o minaccioso:
- Ti è piaciuto lo scherzo?
- Fantastico! Non me ne dimenticherò e ti restituirò presto il favore.


Per quanto riguarda le risposte da dare alle persone che dicono "a buon rendere", anziché sdebitarsi nel breve periodo, consigliamo l'utilizzo di alcune delle seguenti espressioni accompagnate anche da un sincero sorriso in modo da non sembrare il tipo di persona che è più legata ai beni materiali piuttosto che a quelli astratti come l'amicizia:
- Ti restituirò il favore quando potrò. A buon Rendere!
- "Figurati!", "È stato un piacere!", "Ci mancherebbe!", "Va bene così!", "Con Piacere!", "Quando vuoi!".

Questo perché è una frase fatta e non un impegno da prendere sul serio, a meno che il favore ricevuto o concesso non sia davvero impegnativo e che la sua non restituzione non abbia causato un danno a una delle due parti.
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Giugno: eventi storici, santi e ricorrenze


Il mese di giugno è il sesto dei 12 mesi dell'anno secondo il calendario gregoriano ed è costituito da 30 giorni. Il nome Giugno deriva dal mese romano Junius che, secondo Ovidio, ha origine da juniores: "i giovani" a cui i romani dedicavano il mese. Difatti Romolo aveva diviso la popolazione in due: i maggiori (cioè gli adulti, gli anziani), e i minori (i giovani abili alle armi), così i primi governavano con la saggezza e i secondi con la forza delle armi.
Altri dicono che il nome Giugno derivi dalla dea Giunone, Juno, dea della luce, protettrice delle donne, delle nozze e dei parti, moglie di Giove e simbolo della prosperità femminile, nonché la più importante divinità femminile, a cui il mese era dedicato.





Informazioni sul mese Giugno

Etimologia Junius
Stagione fine della primavera ed inizio dell'estate
Segni zodiacali Gemelli (fino al giorno 21) e Cancro (dal giorno 22)
Frase celebre «D'aprile non ti scoprire, di maggio non ti fidare, di giugno fa quel che ti pare»

altri proverbi



Giugno: caratteristiche del mese

Il mese di giugno è chiamato "Mese del Sole" perché in corrispondenza del 21º giorno del mese, solstizio d'estate, l'asse terrestre presenta un'inclinazione tale da garantire la massima durata di luce nell'arco di un giorno. In sintesi, è il giorno più lungo dell’anno, in opposizione al 22 dicembre che è quello più corto (solstizio d'inverno).

È anche chiamato "Mese della Libertà" perché il 2 giugno ricorre la Festa della Repubblica. Il 2 giugno 1946 i cittadini italiani furono chiamati a scegliere, con un referendum istituzionale, tra Monarchia e Repubblica. Al referendum, in cui per la prima volta furono ammesse al voto anche le donne, il 54,3% degli elettori scelse la Repubblica. Inoltre con il Ponte del 2 Giugno gli studenti potrebbero avere giorni in più di vacanza, ovvero un occasione da sfruttare per concedersi un po' di svago, visitare musei e anche per viaggiare.

Giugno è il mese più ricco nel mondo agreste: l’erba è pronta per essere falciata, le messi sono mature e la frutta è pronta per essere raccolta. La temperatura è sempre più calda: per un buon raccolto, il mese di giugno deve essere caldo e senza piogge.



Feste, ricorrenze e santi

Di seguito trovate le feste, le ricorrenze e i santi del mese di giugno, inoltre cliccando su uno specifico giorno troverete maggiori informazioni come eventi accaduti nel passato, la lista completa dei santi del giorno e altro ancora.

*Può capitare che alcune giornate mondiali o festività slittino di qualche giorno rispetto alla data indicata in questo articolo.


  • Prima domenica di giugno: Giornata Mondiale del naturismo
  • Ultimo venerdì di giugno: Giornata Mondiale del cane in ufficio
  • 1 giugno: Giornata Mondiale dei genitori; Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali
    - S. Giustino
  • 2 giugno: Festa della Repubblica Italiana
    - Ss. Marcellino e Pietro
  • 3 giugno: Giornata mondiale della bicicletta
    - S. Carlo Lwanga e compagni
  • 4 giugno: Giornata internazionale dei bambini innocenti vittime di aggressioni
    - S. Francesco Caracciolo
  • 5 giugno: Giornata Mondiale dell’ambiente
    - S. Bonifacio
  • 6 giugno: D-Day, Lo sbarco in Normandia
    S. Norberto di Xanten
  • 7 giugno: Nasce lo Stato della Città del Vaticano
    - S. Antonio Maria Gianelli
  • 8 giugno: Giornata Mondiale degli oceani
    - S. Medardo
  • 9 giugno: Prima apparizione di Paperino in un cartone animato
    S. Efrem
  • 10 giugno: Festa della Marina militare in Italia
    - S. Censurio
  • 11 giugno
    - S. Barnaba
  • 12 giugno: Giornata Mondiale contro il lavoro minorile
    - S. Onofrio
  • 13 giugno
    - S. Antonio di Padova
  • 14 giugno: Giornata Mondiale del donatore di sangue
    - Sant'Eliseo
  • 15 giugno: Giornata Mondiale del vento
    - S. Vito
  • 16 giugno: Esce il film Grease - Brillantina
    - S. Aureliano
  • 17 giugno: Giornata Mondiale per la lotta alla desertificazione e la siccità
    - S. Raniero di Pisa
  • 18 giugno: Istituzione del Corpo dei Bersaglieri
    - S. Calogero
  • 19 giugno: La Statua della Libertà arriva nel porto di New York
    - S. Romualdo
  • 20 giugno: Giornata Mondiale dei profughi
    - S. Metodio
  • 21 giugno: Giornata internazionale dello yoga; Giornata Mondiale delle giraffe
    - S. Luigi Gonzaga
  • 22 giugno: Prima edizione dei giochi olimpici
    - S. Paolino di Nola
  • 23 giugno: Giornata del servizio pubblico delle Nazioni Unite
    - S. Giuseppe Cafasso
  • 24 giugno: Amerigo Vespucci sbarca in America
    - Natività di S. Giovanni Battista
  • 25 giugno: Giornata Mondiale del marittimo; Giornata Mondiale della vitiligine
    - S. Guglielmo
  • 26 giugno: Giornata internazionale contro l’abuso e il traffico illecito di stupefacenti; Giornata internazionale per le vittime di tortura
    - S. Deodato
  • 27 giugno: Primo sportello automatico per il prelievo di contanti
    - S. Cirillo
  • 28 giugno: Assassinio dell'arciduca d'Austria Francesco Ferdinando a Sarajevo
    - S. Ireneo di Lione
  • 29 giugno: Giornata Mondiale del disegno industriale; Giornata Mondiale della sclerodermia
    - Ss. Pietro e Paolo
  • 30 giugno: Asteroid Day
    - Ss. Protomartiri romani


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Stati Uniti e America: Qual è la differenza?

America

Quella che in apparenza potrebbe sembrare una domanda banale, ha da sempre suscitato parecchi dubbi a moltissimi studenti nel corso degli anni scolastici. Questo perché vi sono molti nomi in italiano, in inglese, e nella forma abbreviata italiana e inglese per riferirsi agli Stati Uniti e all'America.





Differenza tra Stati Uniti e America

In questa pagina trovate la definizione geografica di ciascun termine e, dato che le sole parole non bastano di certo per memorizzare il concetto, vi consigliamo di osservare attentamente le due cartine (vedi immagini in basso) mentre leggete il testo, in quanto vi darà modo di individuare con più facilità le principali differenze.



Stati Uniti

Stati-Uniti
Stati Uniti - cartina geografica

Stati Uniti (United States in inglese, abbreviato U.S.), è il modo più semplice e immediato che noi italiani usiamo per indicare gli Stati Uniti d'America (United States of America in inglese, abbreviato U.S.A.). Non li chiamiamo con la forma estesa "Stati Uniti d'America" ma semplicemente "Stati Uniti" perché si sa già che si trovano in America. Gli Stati Uniti si trovano nell'America settentrionale e sono una repubblica federale composta da cinquanta Stati e un distretto federale.



America

America
America - Cartina geografica

L'America è un continente formato da tre subcontinenti che sono l'America del Nord (Stati Uniti e Canada), l'America Centrale (Messico, Caraibi, Costa Rica ecc.) e l'America del Sud (Brasile, Argentina, Colombia ecc.).



La differenza

Chi usa il termine "America" per riferirsi esclusivamente agli Stati Uniti sta commettendo un errore. Gli Stati Uniti sono una nazione e, quindi, per non confondervi più dovrete seguire questo schema:

Nazione → Stati Uniti → come l'Italia, la Germania, la Spagna ecc.

Continente → America → come l'Europa, l'Asia, l'Africa, l'Oceania, l'Antartide.


Discorso diverso quando si sta facendo riferimento alla popolazione, perché gli statunitensi possono anche essere chiamati americani, in quanto il termine "America" fa parte del nome dello stato.
Tale regola non sarebbe valida invece per un argentino, in questo caso sarebbe come dire che un italiano è un europeo: definisce il continente, ma non la nazionalità.
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