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Descrizione: Atena - Riassunto


È figlia di Zeus e della Titana Metis, a sua volta figlia di Oceano e Teti; la sua nascita è del tutto particolare: a Zeus fu rivelato che il figlio di cui Metis era incinta sarebbe divenuto più potente di lui; così ingoiò la stessa Metis, ma ciò gli provocò un forte mal di testa, e allora chiese aiuto a Efesto, che con un colpo d’ascia fece uscire Atena già armata di tutto punto.

Fu la figlia prediletta di Zeus e fra le dodici divinità olimpiche maggiori. La nascita dal cervello del padre Zeus, che escludeva il ruolo materno, ne fa una divinità molto vicina al mondo maschile, che favorisce e di cui condivide le attività, prima fra tutte la guerra. Ma, su questo fronte, si distingue da Ares per la capacità di far prevalere in guerra l’abilità strategica e l’intelligenza sulla forza pura. D’altra parte questa caratteristica le viene dalla madre, Metis, intelligenza (la dote che più la accomuna a Odisseo, come rivelano gli epiteti riferiti all’eroe).

Presiede alle arti e alla filosofia e a tutte le attività speculative (più che creative) e razionali; è protettrice anche dei lavori artigianali e domestici, come la filatura, la tessitura, il ricamo. Spesso nel mito è connessa a Odisseo: durante la guerra di Troia, ad esempio, sono proprio Odisseo e Diomede a rubare il Palladio, la statua di Atena custodita sulla rocca della città, che si credeva garantisse la vittoria a chi la possedeva.

Nell’Iliade essa figura come protettrice di Achille, ma nell’Odissea, soprattutto nella seconda parte del poema, l’intervento diretto della dea rivela all’eroe la sua terra, finalmente libera dalla nebbia con cui l’aveva avvolta. In seguito, gli svela la situazione che dovrà affrontare, garantisce il suo aiuto e offre suggerimenti; ma, consentendo al protagonista un margine
di iniziativa ben più ampio di quello riservato ad Achille nell’Iliade, lascia ad Odisseo
scelte decisive, come il momento in cui rivelarsi, le parole da dire e da tacere, i gesti possibili e quelli pericolosi. La protezione accordata a Odisseo simboleggia l’aiuto che la razionalità dà alla forza, all'ingegno e al valore individuale dell’eroe.


Aspetto fisico: È solitamente rappresentata con un elmo in testa, una civetta (simbolo della città di Atene) e uno scudo sul quale è raffigurata la testa mozzata di medusa, poiché secondo la mitologia Perseo gliela aveva offerta in dono.
Per quanto riguarda la bellezza sappiamo che è molto bella (come la maggior parte degli dei), che ha gli occhi azzurri (fonte: Iliade) ma aveva un aspetto da guerriero.
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Odisseo e Telemaco: il rapporto padre/figlio.

Il riconoscimento di Ulisse e Telemaco. Dipinto di Henri-Lucien Doucet (1880). Parigi, École Nationale Supérieure des Beaux-Arts.

Nel primo libro dell’Odissea sono progettati due viaggi: quello di Telemaco, alla ricerca di notizie del padre, e quello di Odisseo, cui finalmente gli dei concedono di intraprendere il ritorno verso la sua patria.

Nonostante il viaggio di Telemaco sembri divergente rispetto al tema centrale, esso in realtà è parallelo a quello dì Odisseo: infatti Telemaco vuole ricostruire il passato del padre, le sue imprese a Troia, cerca tracce della sua esistenza, tenta di ricomporre un’immagine che gli è nota solo indirettamente. Nel corso della Telemachìa al giovane figlio di Odisseo viene tratteggiata via via un’immagine del padre come eroe, che egli ignora del tutto, e che per lui è indispensabile conoscere: nella società omerica, come è impossibile vivere per l’orfano di un guerriero, così è impossibile vivere ignorando il profilo umano e il ruolo del padre, cioè senza un modello di vita.

L’esigenza di conoscere la propria ascendenza e di ricongiungersi idealmente per acquisire la propria dimensione di figlio, è confermato dalle parole di Nestore, nel libro III: ricordando che Oreste vendicò il padre Agamennone, turpemente ucciso dall’amante della madre, egli sottolinea la continuità della stirpe, il legame intrinseco tra padre e figlio, e anche la continuità della gloria: “Anche tu, caro, infatti vedo che sei davvero bello e forte, / sii coraggioso, perché anche tra i posteri qualcuno ti lodi” (vv. 199- 200).

Ed è ancora lo stesso desiderio di Ettore (Iliade VI, vv. 479-480) nei confronti del figlioletto. Da un certo punto di vista, il fatto che Odisseo ritorni ha un valore soprattutto affettivo per Telemaco: i racconti dei guerrieri che hanno combattuto a Troia con il padre, infatti, gli consegnano un’immagine che per lui vale già in sé come modello di comportamento cui ispirarsi per assumere in modo maturo la propria responsabilità di principe e contrastare i Proci, salvando l’isola e il potere.

L'amore di Telemaco per il padre lo porta persino a rimproverare la madre. Egli infatti, quando Odisseo torna a casa, e la madre se ne sta in silenzio per assicurarsi, in seguito a prove, che fosse davvero lui, soffre, e spera nel ricongiungimento dei due.

Il valore di archetipo, di primo esemplare e modello ideale di padre ed eroe impersonato da Odisseo, si impone fin nella Telemachìa, dove, nonostante il protagonista diretto sia il figlio, la figura del padre assente-presente continua a dominare i quattro libri, come Achille nei primi libri dell’Iliade. È come se sapientemente il poeta creasse continue aspettative su di lui, prima di mostrarlo direttamente in azione.
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Descrizione: Odisseo - Riassunto


Odisseo, figlio di Laerte e di Anticlea, re di Itaca, fu fra i pretendenti di Elena, e fu lui a suggerire al padre della giovane di far prestare a tutti i pretendenti un giuramento, che li obbligava, se ce ne fosse stato bisogno, ad aiutare il marito prescelto; e così, anch’egli, pur a malincuore, dovette intervenire alla guerra di Troia. Secondo il poeta latino Virgilio, Ulisse cercò di sottrarsi a questo dovere fingendosi pazzo, ma fu smascherato e dovette partire.

La sua sposa, Penelope, figlia di Icario, re originario di Sparta, lo attese per venti lunghi anni, finché egli tornò in patria e poté vendicarsi dei Proci, i pretendenti che ne assediavano la casa, ricorrendo alla sua arma preferita, l’arco che un tempo gli aveva regalato il re di Messene.

Da tradizioni successive a Omero veniamo a sapere che Odisseo si aggiudicò le armi di Achille dopo la sua morte, il che scatenò l’ira di Aiace e lo portò al suicidio.

Riuscì a vincere Troia con l’inganno: fece costruire un grande cavallo di legno, lo riempì di guerrieri, mescolandosi fra di essi, e indusse i Troiani a farlo entrare nelle mura della città: quindi, nottetempo, i guerrieri uscirono dal cavallo e misero e ferro e fuoco la città: il racconto è nell’Eneide virgiliana (libro II).

Esistono diverse versioni dei mitografi sulla sua morte: secondo alcuni fu ucciso per errore da Telegono, il figlio avuto da Circe, secondo altri emigrò in Italia e strinse alleanza con Enea, che nel frattempo vi era giunto da Troia.

Il personaggio di Odisseo ha goduto di una straordinaria fortuna: a partire dalla letteratura greca fino ai nostri giorni, è stato ripreso, trasformato, in un certo senso, anche tradito. Proprio per questo è necessario, prima di vedere lo sviluppo del personaggio Odisseo, puntualizzarne il profilo, quale emerge nei poemi omerici, soprattutto attraverso le vicende di cui è protagonista e gli epiteti che lo caratterizzano.

Nel libro III dell’Iliade (vv. 203-224) egli è descritto con particolare cura da un nemico, Antenore, che ne esalta le grandi capacità dialettiche e la scaltrezza.
L’eroe è chiamato in causa nelle situazioni difficili, quando si tratta di fare un’ambasceria presso Achille (libro IX), o in una missione, la cosiddetta Dolonia (libro X), di dubbia correttezza militare, ma proficua dal punto di vista strategico. Dunque, già nell’Iliade, è visto come un eroe adatto a situazioni diverse dal duello tradizionale e, in un certo senso, dai tratti non convenzionali.

Dall'Odissea ne esce un ritratto a tutto tondo che si delinea a partire dagli epiteti. A parte il consueto divino, riferito anche ad altri eroi, sono stati coniati apposta per lui molti epiteti che quindi si sottraggono alla formularità e lo caratterizzano. Innanzitutto, essi sono spesso composti dal prefisso poly-, “molto”, che indica una pluralità di possibilità, una ricca gamma di atteggiamenti e di attitudini che contrasta con i profili univoci, compatti, degli eroi dell’Iliade. Gli epiteti ricorrenti, oltre a polytropos “capace di prendere diverse direzioni”, oppure “che si è diretto in molti luoghi”, sono: polymetis “di grande accortezza”, poi polylas “colui che molto sopporta”, poyphron “ingegnoso”, poikilométes “di un intelligenza versatile” e così via, tutti caratterizzati dallo stesso prefisso.

L’epiteto più usuale e caratteristico, polymetis, sottolinea una particolare forma di intelligenza, che è attribuita anche ad Atena e rappresenta la capacità di trovare soluzioni adeguate ogni volta alla situazione contingente, dopo aver riflettuto sulle proprie condizioni. Odisseo è perciò caratterizzato dalla capacità di riflettere, di fermarsi a pensare, sa frapporre tra i problemi e la soluzione un momento di attesa. Non è mai precipitoso, impulsivo, non ha le immediate reazioni e l’impulsività irriflessa di molti eroi dell’Iliade, soprattutto Achille: quanto questo è veloce, tanto Odisseo è paziente. Alla pazienza di Odisseo, intesa come ponderazione e attitudine naturale alla riflessione e all’analisi, rimanda anche l’epiteto polytlas: allude alla capacità di sopportare il dolore, senza farsene travolgere, ma ricavandone una sorta di ulteriore forza, sempre più grande, che lo aiuta a sopportare anche le minacce che il futuro dischiude, come afferma nella risposta a Calipso.
Inoltre, nel corso della narrazione emerge una caratteristica notevole di Odisseo: la sua abilità tecnica, cioè la capacità di costruire con le sue mani oggetti e strumenti, di impiegare il palo arroventato, trasformandolo in modo artigianale in un’arma contro Polifemo (libro IX; significativamente il palo è paragonato a un trapano e la bruciatura dell’occhio alla temperatura del ferro). Questa manualità ingegnosa lo distingue nettamente dagli eroi tradizionali, abili a maneggiare le armi, ma mai rappresentati in attività tecniche e, nello stesso tempo, ne fa un uomo autonomo, che sa cavarsi d’impiccio con le sue forze. Per questo aspetto gli è affine Penelope, che sfrutta l’arte femminile della tessitura per ingannare i pretendenti e rimandare all’infinito la data delle nozze.

Tuttavia l’aspetto più importante e che meglio contraddistingue Odisseo rispetto agli eroi dell’Iliade è il suo attaccamento alla vita: egli cerca di salvarsi nel modo che le circostanze gli suggeriscono, accettando di negare la propria identità, di usare armi strane e non tradizionali, di mentire più volte. Mentre gli eroi dell’Iliade per diventare oggetto di canto, di poesia e quindi di memoria, devono morire e assumere contorni quasi divini nella gloria, Odisseo è ricordato per il motivo opposto, per la sua volontà e capacità di sopravvivere, e diventerà il modello dell’uomo padrone di conoscenze tecniche e di abilità manuali, determinato e astuto, con una sua storia personale di emozioni e di sentimenti, e una vita quotidiana di affetti e di fatiche.


Descrizione fisica
: All'interno dell'Odissea l'aspetto fisico non è del tutto delineato ne vengono descritti i tratti fisici più marcati che rientrano nel tipico condottiero greco tranne che per l'altezza, infatti viene descritto come un uomo dalla faccia vissuta "dal tempo e dalle guerre", il corpo anche se non molto alto aveva tutti i segni delle battaglie, quindi direi un tipo non molto alto con la barba e un fisico scolpito.
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Il rapporto di Odisseo con Penelope e Nausicaa

Francesco Primaticcio, Ulisse e Penelope, 1560 circa, Museum of Art di Toledo 1 of 2


Odisseo e Penelope

Nell’Odissea la controparte del protagonista non si trova in una condizione d’opposizione, bensì di complementarità. È infatti Penelope che rappresenta il polo statico, verso cui tende la dinamica dell’azione di Odisseo. Essa vive con il pensiero e la speranza rivolti allo sposo assente, e gli è incrollabilmente fedele; e partecipe della sua astuzia dal momento che per rinviare la risposta alle pretese dei Proci, escogita l’inganno della tela tessuta di giorno e disfatta di notte. La tensione di Odisseo verso di lei è all’apparenza più problematica. È pur vero che la sua nostalgia incessabilmente corre alla moglie: ma a questo rapporto d’integrazione ne risponde un altro che sembra di distanziamento.



La rinuncia all'immortalità

Nelle sue peripezie infatti Odisseo conosce l’amore di altre creature femminili; e tuttavia queste non sono mortali, bensì di natura divina.
Egli dunque viola il patto di fedeltà; ma per riaffermarlo più saldamente, nell’atto in cui rinuncia all’immortalità che gli viene promessa, per riprendere il suo cammino verso casa. Presso di loro egli non pensa che a Penelope: la maga Circe e la solitaria, malinconica Calipso hanno la funzione di ritardare (e comunque pure di agevolare, perché lo salvano e lo aiutano) il suo ricongiungimento alla sposa; alla fine rinuncia a loro che sono immortali e gli preferisce la donna mortale.



Odisseo e Nausicaa

Un’altra donna compare nella storia di Odisseo, ancora agli albori della vita. È Nausicaa, lieta dei suoi giochi fanciulleschi e però già teneramente ansiosa del proprio avvenire: e nell’atto di immaginare il futuro sposo, essa svela un inconscio sospiro d’amore per il maturo eroe gravido di sventure. Nausicaa è il primo sorriso dopo tanti dolori per Odisseo, ed è il presagio della loro fine; al tempo stesso, attratta dalla straordinaria personalità dello straniero errante, essa offre un indizio indiretto della ragione per cui Penelope gli serba fedeltà pur fra tanti travagli.
È questo il significato di Nausicaa nell’economia generale del poema; ed esso coesiste armonicamente con il meraviglioso fascino dell’episodio quando lo si consideri nella sua autonoma dimensione, che si afferma soprattutto nella vivida raffigurazione dei freschi palpiti della giovane.



La vita comune nell'Odissea

Siamo qui ai margini dello spirito epico propriamente inteso, che si esprime in una tematica intrisa di aspri cimenti e di drastiche passioni, gli uni e le altre indirizzati da un sistema di valori generalmente riconosciuti, mentre nell’incontro con Nausicaa all’ideologia eroica subentra una più palpitante e puntuale attenzione ai sentimenti della vita quotidiana. Si tratta peraltro di una tendenza che si manifesta pure in altri sviluppi dell’Odissea, più attenta ai tratti individuali e alla realtà dell’esistenza comune, quanto più estesa è la gamma dei tipi sociali richiesta dal tema dell’opera, dove figurano gente di città e dei campi, pastori e servi, oziosi signori e ancelle dissolute. D'altronde lo stesso Odisseo è mosso da un sentimento personale, che caso per caso può suggerire e legittimare comportamenti estremamente articolati, piuttosto che da uno schema di principi assolutamente normativi e accettati in blocco.
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Odisseo, la cicatrice, Euriclea e il riconoscimento

Clément-Louis-Marie-Anne Belle (Parigi, 1722-1806), Ulisse riconosciuto dalla sua nutrice, olio su tela, 56x44 cm. Bayonne, Museo Bonnat 51

Euriclea, presentata nel primo libro dell'Odissea come un personaggio di rilievo, simbolo della fedeltà alla casa e alla famiglia del padrone, rappresenta la memoria familiare: è stata nutrice di Odisseo e di Telemaco e ciò permette di individuare in lei il segno della conservazione della stirpe, oltre che una figura materna, che in un certo senso colma il vuoto lasciato dalla scomparsa di Anticlea (libro XI).

Essa è la prima persona che riconosce Odisseo, senza che egli si riveli: proprio perché conosce il passato della famiglia, è affidata a lei la ricostruzione di un frammento dell’adolescenza del personaggio che si cela sotto il mendico. D’altra parte, il racconto di Euriclea ricorda la prima esperienza virile di Odisseo, una sorta di prova iniziatica, al termine della quale egli ritorna a casa in una nuova veste, quella dell’adulto; inoltre questa prima caccia rappresenta l’inizio di un’attività cui Odisseo amava dedicarsi (in particolare l’affetto che lega l’eroe al cane Argo), un’attività specifica dell’aristocrazia antica e in cui si esprimevano, come in guerra e con pari nobiltà, la forza e il coraggio.

Le parole di Euriclea rievocano il momento, emozionante e importantissimo, dello scontro tra Odisseo e il cinghiale, riconfermano l’identità di Odisseo, che egli aveva rinnegato (= Nessuno) nello scontro con il Ciclope, e, nello stesso tempo, recuperano un momento della sua vita, l’infanzia e il passaggio dall’adolescenza alla giovinezza piena: l’incontro fugace con Argo ricordava a Odisseo il periodo della sua vita adulta e felice, nella sua terra. Più avanti, il particolare del talamo, costruito con le sue mani rappresenterà il ritorno agli affetti, con il riconoscimento da parte della moglie: alla fine, le tessere del mosaico si incastrano tutte e così si ricompone la storia della sua vita.
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L'ospitalità nell'antica Grecia


La xenia (ospitalità in greco antico) era un'azione "sacra" per i Greci e consisteva nel rispetto reciproco tra ospitante e ospite, e nel cercar di soddisfare al meglio il proprio ospite (cibarlo, lavarlo e dargli vestiti puliti) e, nel momento del "commiato" si dava un regalo all'ospite.
Questo perchè i Greci credevano che in un qualsiasi ospite, sia che fosse ricco e sia che fosse un mendicante, si potesse "nascondere" un dio travestito appunto da uomo e che avrebbe "testato" l'ospitalità del padrone di casa. Nel caso fosse stato trattato male, gli dei si sarebbero accaniti contro quella famiglia, quindi ecco perché la xenia era considerata alla stregua di un rituale religioso e ogni buon greco avrebbe dovuto rispettarla.

Nell'Odissea, poema di viaggi, l'eroe protagonista si trova più volte nella condizione dello straniero che chiede ospitalità: il diverso comportamento dei suoi ospiti è una chiave di lettura del mondo che essi rappresentano e del ruolo che il supplice riveste nei loro confronti. L'ospitalità offerta dai Feaci è un segno della loro civiltà, poiché è indice di un comportamento rispettoso verso gli dèi e verso gli uomini.

Inoltre, come si comprende dall'episodio dell'incontro di Glauco e Diomede, il rispetto e l'onore verso l'ospite rappresentano l'adesione al codice aristocratico: l'uomo a cui vengono offerti doni appartiene alla società aristocratica, e ciò viene sancito proprio dal gesto del donare.

Anche quando Achille si ritira dai combattimenti, conserva comunque il rispetto dell'ospitalità nei confronti dei compagni che non sono direttamente in contrasto con lui: ospita infatti con generosità Nestore, Odisseo e Fenice che si recano da lui in qualità di ambasciatori.

In altre circostanze lo stravolgimento del cerimoniale rappresenta la trasgressione di questo codice: presso Polifemo, che, ignaro delle norme di convivenza civile, è estraneo alla comunità umana tanto da comportarsi come un mostro antropofago, esso diventerà un macabro banchetto; a Itaca, fra i pretendenti, un'offesa protratta.

Nel libro XVII dell'Odissea Odisseo, travestito da mendicante, torna a Itaca e viene trattato male da uno dei Proci (Antinoo), che viene subito rimproverato da Telemaco.

Nel ventiduesimo libro dell'Odissea, Odisseo stesso trasforma la sala del banchetto in un feroce scenario di morte: una sorta di estrema degradazione necessaria per punire i pretendenti, trasgressori della sacralità della casa e della dignità di Penelope, sposa contesa ma non consenziente. Il rivelarsi improvviso di Odisseo, in quel contesto, prelude alla vendetta cieca, priva di mediazioni: non è possibile un dialogo alla pari tra l'eroe e chi ha violato la sua casa.

Neanche Calipso, che è una dea, può veramente ospitare Odisseo: ella vorrebbe piuttosto trattenerlo offrendogli un banchetto divino, l'ambrosia e il nettare, che lo renderebbero un dio, diverso da ciò che egli è e vuole essere, un uomo. Analogamente il dono magico di Eolo, non rientra nel normale scambio di doni fra uomini uguali ed è inefficace, o addirittura dannoso, per Odisseo.

D'altra parte il diritto di ospitalità, che nell'Odissea distingue gli esseri civili e pii dai selvaggi, nell'Eneide virgiliana è esercitato in relazione alla vicenda d'amore tra Enea e Didone: i libri secondo e quarto dell'Eneide riprendono numerosi spunti del sesto libro dell'Odissea, a partire proprio dalla generosa ospitalità di Didone nei confronti dei Troiani.

Addirittura si pensa che tutta la Guerra di Troia sia iniziata per una sorta di non rispetto della xenia: Paride, ospite di Menelao, infrange la xenia seducendo Elena e sottraendola così al padrone di casa. Questa fu considerata un'offesa dagli Achei nei confronti di Zeus che così dichiararono guerra ai Troiani
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Il mondo dei Ciclopi (Odissea)

Polifemo e Ulisse

Nell'Odissea si racconta di terre sconosciute e lontane, di popoli stranieri e diversi, di molteplici mondi spesso misteriosi e fantastici, alcuni dei quali hanno un significato mitico-simbolico. Questo dipende dalla caratteristica di Odisseo di essere un eroe "culturale": cioè una figura di matrice epica, con una forte individuazione di "modello" umano e di archetipo culturale, un personaggio complesso e maturo che nel suo modo di pensare e nel suo agire rivela curiosità e intraprendenza, riflessione e tenacia. Odisseo, raggiungendo via via nuove mete, dopo aver superato gli ostacoli che vi si frapponevano, incontra varie culture, modi di vita differenti, e quindi modi diversi di rappresentare la realtà. Alla fine dei suoi viaggi, il conseguimento di una meta definitiva ha il senso anche di una scelta di vita libera e cosciente, dopo tante prospettive diverse.

Nel nono libro già l’episodio dei Lotofagi prefigura in un certo senso quello di Polifemo:
i mangiatori di loto, il fiore dell’oblio, sono in preda a una eterna dimenticanza che, negando tanto il passato quanto il futuro, cancella la storia e rischia di vincolare in un presente senza tempo i compagni di Odisseo, cioè di strappare loro il giorno del ritorno.
Analogamente, Polifemo, che ignora la storia gloriosa degli Achei, rappresenta un mondo senza tempo, bloccato in una dimensione di primitività atemporale, senza prospettive di progresso.

Questo mondo è significativamente opposto a quello dei Feaci soprattutto sotto l’aspetto dell’ospitalità, che presso i Ciclopi è rifiutata e stravolta dalla violenza. Ma lo stadio culturale dei Ciclopi, anche per altri aspetti, è molto primitivo ed estraneo alla civiltà: Polifemo non coltiva la terra, non sacrifica agli dèi (dice di non temerli), non cuoce il cibo, ma consuma un pasto crudo, orrendo, perché cannibalesco e indiscriminato, senza suddivisione delle parti del corpo, come invece era stato sancito nel rituale del sacrificio, da tempo immemorabile.

Nel suo comportamento verso gli ospiti egli rivela il suo mondo e se stesso. Polifemo ha un atteggiamento anticulturale. È l'esatto opposto di Odisseo: ignora altri mondi che non siano il suo, è sordo a ogni richiamo di umanità, non ha senso del limite. Ancorato a uno stadio di civiltà arretrato, in quanto pastore, non conosce né la produzione né il consumo del pane, legato all'agricoltura, stadio evoluto della civiltà; pur avendo il fuoco, non lo impiega per cuocere i cibi, uso che fa parte della cultura del sacrificio, cioè di un rapporto maturo tra uomo e divinità.

L'astuzia di Odisseo trionfa sulla forza bruta del Ciclope: è la vittoria della civiltà sulla ferinità e sulla natura selvaggia, della riflessione prima di agire, che sa trasformare in strumenti di salvezza gli oggetti più semplici, è l'affermazione dell'uomo le cui decisioni dipendono dalle circostanze e sono il frutto delle esperienze proprie e del proprio mondo culturale.
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Le armi nei poemi omerici


Nel sedicesimo libro dell'Iliade, per la prima volta emerge un motivo che sarà sviluppato nella seconda metà del poema, quello delle armi di Achille: Patroclo, indossate le armi dell’amico, scende in campo e per un certo periodo di tempo viene scambiato per Achille; quindi Ettore, ucciso Patroclo, decide di vestirne le armi e Achille, rimasto senza la sua armatura, ne otterrà una nuova, che la madre Teti fa forgiare da Efesto (libro XVIII) e che rappresenta una mirabile opera d’arte. È evidente che le armi di Achille sono degne solo dell’eroe per cui sono state fabbricate. Apollo stesso interviene a sciogliere la corazza di Achille indossata da Patroclo, come se nessuno fosse in grado di farlo, e Achille rimprovera esplicitamente a Ettore di non aver pensato, quando strappava le armi a Patroclo, alle conseguenze del suo gesto.

Le armi di Achille sembrano addirittura maledette: terminata la guerra, una disputa sorse tra gli eroi per decidere a chi dovessero andare, dopo che Achille era morto: la scelta cadde non su Aiace, secondo Omero l’eroe più valoroso dopo Achille, ma su Odisseo, lo scaltro vincitore della città, e ciò provocò il suicidio di Aiace. La versione mitologica della pazzia e del suicidio di Aiace fu ripresa da molti poeti, fra cui il tragico Sofocle che nella tragedia "Aiace" narra come l’eroe, offeso per l’ingiustizia subita, impazzisse e facesse strage delle bestie, che rappresentavano il cibo per l’esercito acheo, scambiandole per i compagni che l’avevano disonorato, e infine si uccidesse gettandosi sulla spada che Ettore gli aveva dato in dono, alla fine del duello narrato da Omero nell’Iliade.
Il valore quasi magico che le armi di ciascun eroe hanno per il suo possessore lo si coglie soprattutto nell’Iliade, poema interamente focalizzato sulle virtù guerresche e sul significato che esse hanno perla società aristocratica. Achille stesso ne è ben consapevole, quando incita Patroclo a indossarle per ingannare gli avversari; lo stesso Ettore forse si inebria dell’invincibilità che le armi del nemico sembrano racchiudere. Del resto, la vestizione dell’eroe per entrare in battaglia è un momento centrale del duello: indossando le armi, l’eroe assume il suo ruolo di combattente, la sua identità profonda: ben lo dimostrano i versi con cui è descritta la vestizione di Achille nel XIX dell’Iliade.

Anche nell’Odissea (libri XXI e XXII),. un momento centrale è quello in cui Odisseo, preso l’arco che da sempre gli appartiene, non solo riesce a tenderlo e a vincere prova imposta da Penelope, ma viene anche riconosciuto sotto le spoglie del mendico: in questo caso la coincidenza tra identità e arma è segnata dal riconoscimento: l’eroe, entrato in possesso dell’arco, che richiede una forza e una tecnica particolari, torna così a essere se stesso, a ricoprire il suo ruolo. Tuttavia, Odisseo, che più volte nelle avventure precedenti aveva rinunciato al ruolo del guerriero tradizionale per salvarsi la vita, anche facendo ricorso ad armi alternative, fornisce armi ai servi che sa a lui fedeli, per organizzare l’attacco ai Proci: in questo caso il valore delle armi è più sfumato e meno individuale, allargato a una considerazione più collettiva, più sociale, dell’eroismo. L’Odissea sembra rappresentare un momento più recente della storia greca, in cui anche la funzione guerresca può, seppur solo eccezionalmente, coinvolgere le classi basse.


Spesso le armi dell’eroe sono divine, cioè forgiate per volere e dalle mani di un dio. E il caso della panoplia, l’insieme delle armi che Teti commissiona a Efesto e con cui il figlio rientrerà in battaglia dopo la morte di Patroclo. Soprattutto sullo scudo si sofferma Omero e la descrizione dei rilievi figurativi sarà un modello per un’analoga descrizione: quella dello scudo di Enea nel libro VIII dell’Eneide.
Vulcano, l’omologo latino del dio greco Efesto, forgia uno scudo che rappresenta, e anticipa profeticamente, la gloria di Roma, le sue istituzioni, i suoi costumi, avvolgendoli di gloria. Lo scudo di Achille raffigura la terra, il cielo, il mare, il sole, la luna e le stelle, la pace e la guerra, la città e la campagna, ed è cinto dall’Oceano, in una rappresentazione affascinante e incantata dell’universo; lo scudo di Enea invece illustra il destino della futura città e del suo fondatore.
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La figura della sposa nei poemi omerici


Nell'Iliade e nell'Odissea, i due massimi poemi epici della letteratura greca, Omero fa agire le spose degli eroi in modo differente nel rapporto con il proprio marito: c'è chi tradisce, chi inganna, chi è fiduciosa e chi, invece, è rassegnata.

Nell'Iliade, la figura di Elena porta sulla scena il tema del tradimento, evento scatenante, secondo il mito, della guerra stessa. In realtà i poeti successivi a Omero (e lo stesso Omero) non erano così certi che il tradimento fosse imputabile solo a Elena. Priamo stesso nell'Iliade tende a sollevarla dalla responsabilità, che attribuisce piuttosto agli dei.

Un altro tradimento si consuma a danno del fratello di Menelao, Agamennone, appunto tradito e ucciso dalla sposa Clitennestra (nata anch’essa, come Elena, da Leda) al suo ritorno da Troia, grazie alla complicità del suo amante Egisto. Per vendicarsi dell’uccisione della figlia Ifigenia, che Agamennone aveva sacrificato per propiziare la partenza della flotta achea all’inizio della spedizione, architetta un piano delittuoso e al suo ritorno gli tende un agguato terribile: l’eroe, scampato a tanti duelli, viene scannato come un animale, vergognosamente.
Nell’Odissea è Agamennone stesso a raccontare a Odisseo dell'assassinio  quando lo incontra nell’Ade. Questo omerico è il primo racconto di un mito che sarà ripreso molte volte come uno dei più foschi drammi familiari.


Nell’Odissea il ritorno sciagurato di Agamennone è contrapposto, da questo stesso eroe, a quello di Odisseo, che troverà ad attenderlo fedelmente nella sua casa la sposa Penelope, manifesto contrappunto di Clitennestra ed Elena.
La positività della figura di Penelope è messa in luce fin dai primo libro dell’Odissea, quando è rappresentata come fedele custode del ricordo del marito, di cui ancora attende il ritorno, senza cedere ai pretendenti, che vorrebbero indurla a risposarsi: nel gioco di opposizioni che si instaura tra le figure di Elena e Clitennestra da una parte e Penelope dall'altra, i pretendenti sono paragonabili a Paride e a Egisto, ma  numericamente sono molti di più e questo vale solo a ribadire la fedeltà di Penelope rispetto alle scelte prese dalle altre spose.


Un'altra moglie dell'Odissea, Andromaca, è disperata nell'ultimo incontro col marito Ettore che deve andare a combattere contro Achille. La figura d’Andromaca, una delle più commoventi della mitologia greca, rappresenta la donna nei suoi aspetti più tragici. Moglie ideale, vedova fedele, madre affranta racchiude l’impotenza e la sofferenza di qualsiasi vedova. Ella sa che alla sua morte dell'amato marito sarà fatta schiava dagli achei (greci) e il figlio Astianatte ucciso.
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Odissea Libro XXII - Analisi temi e personaggi

I temi

Il libro si apre con la scena della strage: senza soluzione di continuità, se non la divisione (artificiosa) fra i libri, Odisseo passa dalla prova vittoriosa dell’arco, con la quale di fatto si riappropria della sua arma prediletta e rivela la sua identità, alla vendetta, portata a termine con lo stesso arco. Tutto il canto è sotto il segno della vendetta, presentata come una giusta reazione di Odisseo, nonostante l’eroe stesso sia consapevole di commettere un atto estremo; è affiancato da pochi fedeli compagni, primo tra tutti il figlio, che gli sta accanto come un uomo ormai adulto, alla pari. Benché Odisseo giustifichi la sua vendetta e rifiuti le offerte di compromesso dei pretendenti, alla fine del libro non si lascia andare all’euforia, anzi, esorta Euriclea alla pietà, perché è consapevole di aver compiuto un gesto grave, ancorché necessario: Odisseo ha fatto sua la riflessione di Achille, che conclude l’Iliade (libro 22): la sorte degli uomini è ugualmente difficile e dolorosa, si tratti di vincitori o di vinti. Il rispetto per la morte e il timore degli dei rappresentano la nuova ‘frontiera’ dell’eroe: sono sentimenti ispirati da un nuovo senso del limite, acquisito nel corso di tante vicende, che, incrinando la sicurezza dell’eroe, lo hanno costretto a controllarsi. Da vittorie sofferte nasce il profilo di un uomo nuovo, lontano dalla smisurata fiducia in sé che nutre il Pelide all’inizio dell’Iliade e segnata da una nuova cautela verso gli altri e gli dei.



Il narratore

La narrazione colloca i diversi personaggi in un’ampia scena, nella quale il narratore esterno onnisciente descrive le varie fasi della lotta quasi assistesse direttamente alla scena; con altrettanta precisione sono riportate le reazioni dei pretendenti, ormai accerchiati e prossimi a soccombere, e di cui il poeta, in alcuni concitati discorsi, esprime la paura e i tentativi vani di mediazione.



Lo spazio

La scena si svolge ancora nella sala centrale del trono, trasformata in campo di battaglia si tratta della più grave profanazione del luogo del banchetto, già teatro di una ripetuta trasgressione: alla fine di questo bagno di sangue sarà necessaria una purificazione rituale per riportare la casa di Odisseo all’antica sacralità, dopo la contaminazione.



Il tempo

La strage dei pretendenti avviene nel 34° giorno, da quando è iniziata la narrazione, nella serata del quarto giorno di permanenza di Odisseo, momento in cui inizia la narrazione del ventiduesimo libro, cioè da quando comincia la strage, cadenzata dalle frecce scagliate una per ogni pretendente.

L'ordine della narrazione
Il racconto è lineare, interrotto solo dalle preghiere dei pretendenti che scongiurano
Odisseo di risparmiarli, mentre si compie la profezia contenuta alla fine del ventesimo libro.



I personaggi

Il modo con cui Odisseo attua la sua vendetta è caratterizzante: anziché lanciarsi in un duello, che potrebbe essere rovinoso, attende l’occasione propizia: non si getta contro l’avversario, come farebbe Achille, il guerriero tradizionale, ma, come già ha fatto con Polifemo, aspetta il momento che gli offre maggiori possibilità di successo. Negli scontri sanguinosi Odisseo è aiutato dai servi fedeli, fra i quali Eumeo e Filezio; sullo stesso piano si pone Telemaco, che, riconosciuto il padre, è diventato un adulto a pieno titolo, in grado di affrontare il combattimento, prova di forza per eccellenza.

Gli dei
La dea Atena interviene in un’atmosfera di magia: addormenta Penelope, che si sveglierà solo quando la strage sarà compiuta: è un felice risveglio, che ricorda quello di Odisseo nel tredicesimo libro; aiuta i combattenti, sempre camuffandosi, ora come il fedele Mentore, ora addirittura trasformandosi in rondine. Tuttavia il suo aiuto non toglie valore né alla prova di Odisseo, né a quella di Telemaco: per Odisseo questa rappresenta la riconquista del suo potere nella casa, per il figlio, dopo le iniziazioni al coraggio, sancisce il definitivo ingresso nell’età adulta.
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Odissea Libro XXIII - Analisi temi e personaggi

I temi

Nel ventitreesimo libro finalmente ha luogo il riconoscimento tra Penelope e Odisseo, che in un certo senso si attendeva dal primo momento dello sbarco di Odisseo a Itaca: proprio per questa attesa che il poeta ha sapientemente tenuto desta, appare più sorprendente la diffidenza di Penelope, più gioioso lo scioglimento conclusivo, con il quale l’eroe ritornato riconquista la sua piena identità, del tutto integrato nella sua famiglia. Il segreto del letto nuziale, che appartiene all’età adulta, è un altro tassello della vita del protagonista che torna al suo posto; il quadro riacquista così la sua completezza. Ma nel momento in cui la storia sembra conclusa, grazie al racconto della profezia di Tiresia, si intravede una nuova prospettiva di viaggio (destinato a placare l’ira divina di Posidone), che riapre la vicenda di Odisseo con una nuova peripezia, che sarà oggetto di altri racconti. Nel ventiquattresimo libro verrà sciolto l’ultimo nodo, la pacificazione con i parenti dei pretendenti, la cui reazione è temuta e più volte minacciata. Odisseo ha affermato la “sua” giustizia, ma è necessaria anche una soluzione di diritto: la vendetta può garantire il ritorno dell'armonia solo dopo la riconciliazione.



Il narratore

La diffidenza di Penelope e la moderazione di Odisseo emergono dai loro pacati discorsi, con cui il narratore esterno ritarda ancora il riconoscimento, fino a quando gli sposi saranno davvero soli e potranno rivelarsi un particolare noto solo a loro: l’ultima tessera di un mosaico che ricostituisce la loro vita è ancora affidata al racconto di Odisseo, che rievoca nuovamente il proprio passato (narratore interno di secondo grado).



Lo spazio

Nonostante la scena si svolga sempre nella sala, lo spazio, liberato dalla presenza dei pretendenti e purificato dalla profanazione della strage, è solo ora tornato a essere veramente la dimora di Odisseo; egli ne ha ripreso possesso e svela la sua autorità anche nel modo con cui impartisce gli ordini nella casa nella quale, fino a poche ore prima, era stato oggetto di scherno e di maltrattamenti, infine, il luogo più intimo della casa, lo spazio che maggiormente simboleggia l’appartenenza e l’identità privata di Odisseo, il talamo, lo riporta anche alla sposa.



Il tempo

La strage inizia verso sera, in uno scorrere del tempo scandito dalla morte dei pretendenti: quando tutto è compiuto, senza che il poeta dia notazioni cronologiche, Penelope si risveglia. Durante il dialogo con Odisseo il tempo sembra sospeso nella grande suspense dell’episodio fino a un cenno al tempo naturale; poi Atena ferma magicamente la notte per protrarre la gioia del ritrovarsi e quindi affretta il giorno, per prevenire la vendetta dei parenti dei pretendenti. Questo tempo, scandito dalla tensione, dall’emozione e dalla gioia, è magico, ma dà spazio a sentimenti tutti umani.


L’ordine della narrazione

Nella narrazione di quest’ultima sera, che scorre regolare nel compiersi dell’evento atteso, due momenti si sottraggono al fluire del tempo: sono il ricordo di Odisseo (analessi) circa il letto nuziale, che lo riconsegna all’intimità con la sposa ed è prezioso per l’identità del presente; e la rivelazione della profezia di Tiresia, che apre una nuova prospettiva, solo accennata: un nuovo viaggio (prolessi).



I personaggi

Penelope, la sposa fedele e desiderata, è finalmente di fronte al marito, non più camuffato dal travestimento; essa è dolente e incredula, sia per lunga consuetudine al dolore, sia perché la sofferenza l’ha resa sospettosa, né più né meno come le avventure hanno reso guardingo Odisseo. D’altra parte, l’esitazione di Penelope protrae lo scioglimento della vicenda e crea un’attesa drammatica, molto coinvolgente per il lettore. Il riconoscimento finale, inoltre, si fonda su un segreto: nella sua esclusività, il letto è un ricordo della vita coniugale, e, riportando la donna a un passato felice, aggiunge un ultimo particolare al ritratto tracciato nel dialogo con Odisseo nel diciannovesimo libro.


Gli dei
L’intervento di Atena, che rende splendido l’eroe, non è determinante: il riconoscimento nasce dal ricordo di una vita comune, cui ci si abbandona con gioia, dopo aver provato la paura, tutta umana, di una disillusione. Il secondo intervento della dea, che rallenta per magia la corsa del tempo e trattiene l’Aurora, è, come altre volte, favoloso e vuole dar spazio ai sentimenti umani: l’affetto dei due sposi, il loro desiderio di raccontare gli anni della lontananza, le avventure e le sofferenze. Il mondo eroico è lontano.
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Odissea Libro 24 - Riassunto

Il libro si apre con la scena (forse dovuta a un’interpolazione posteriore del testo) in cui Hermes guida le anime dei pretendenti uccisi all’Ade; là essi giungono mentre l’anima di Agamennone sta narrando a quella di Achille il suo splendido funerale. Agamennone si rivolge a uno dei pretendenti, che gli racconta il ritorno di Odisseo e la sua terribile vendetta: allora l’Atride ricorda commosso l’antico compagno di battaglia, elogia il comportamento di Penelope, che sarà ricordata nel canto dei posteri e, amaramente, rievoca il cattivo esempio di sua moglie Clitennestra.
Nel frattempo Odisseo, con Eumeo, Telemaco e Filezio, si reca da Laerte, che trova a lavorare nel suo campo, poveramente vestito. Prima di farsi riconoscere Odisseo inganna il padre con un lungo discorso, e solo quando è sicuro del suo affetto, gli si rivela, mostrandogli la cicatrice. Il vecchio lo abbraccia, ma subito si preoccupa delle reazioni dei parenti dei pretendenti. Dopo che la sua vecchia fedele serva lo ha lavato e rivestito, Atena lo rinvigorisce e, sopraggiunto il fedele servo Dolio con i suoi figli, pranzano sereni. Intanto però i parenti delle vittime si sono armati e si sono radunati davanti alla reggia minacciosi. Zeus concede ad Atena di frenare la loro ansia di vendetta, e solo il padre di Antinoo, Eupite, viene ucciso negli scontri, bloccati sul nascere dalla dea, apparsa sotto le spoglie di Mentore. Si concludono allora i patti di pace, propiziati e garantiti dalla presenza divina.
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Odissea Libro 23 - Riassunto

Euriclea sale felice nelle stanze di Penelope per annunciarle che il marito è tornato: la regina, ancora incerta e incredula, chiede alla nutrice di raccontarle quanto è accaduto: essa, però, non può dire nulla se non che ha visto la strage ormai compiuta. Penelope, tuttavia, è scettica e pensa che non è Odisseo, ma un dio, sdegnato dall’empio comportamento dei pretendenti, li abbia uccisi. Alla replica di Euriclea, che accenna alla cicatrice, decide di scendere nella sala e di vedere lo straniero: ma anche davanti a lui mantiene un atteggiamento diffidente. Ai rimproveri di Telemaco risponde che certo se lo straniero è il marito sarà a conoscenza di precisi segni di riconoscimento, che saranno una prova decisiva.
Nel frattempo Odisseo, preoccupato di reazioni violente da parte dei parenti dei pretendenti, ordina a Telemaco di organizzare canti e danze, come per una festa, così da ingannare chi si trovi a passare dalla reggia. Euriclea nuovamente lava, unge d’unguenti e riveste Odisseo, che Atena rende splendido d’aspetto: l’ostinazione di Penelope a questo punto irrita moltissimo il marito, al quale ella ribatte, in modo indiretto, ordinando a Euriclea di portargli il letto nuziale: le sue parole vogliono, in realtà, provocare la reazione di Odisseo, l’atteso segno di riconoscimento: il suo letto, costruito segretamente su un tronco di ulivo dallo stesso Odisseo, è inamovibile, e, non appena, stupito, egli ricorderà questo particolare, Penelope finalmente riconoscerà in lui il marito. Alla gioia di entrambi si aggiunge però la profezia di Tiresia, che Penelope vuole conoscere, insieme a tutte le sue avventure,
le tristezze e gli affanni di vent’anni di lontananza. La notte (prolungata per dono di Atena) trascorre in vicendevoli racconti.
La mattina successiva, Odisseo, temendo che si diffonda la notizia della strage, ordina a Penelope di restare al sicuro con le ancelle dentro le sue stanze; egli risveglia Telemaco, Eumeo e Filezio, e, indossate le armi, escono, avvolti da Atena in una nube notturna.


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Odissea Libro 22 - Riassunto

Odisseo, dopo aver brillantemente superato la prova, affiancato dal figlio in armi, e liberatosi dai cenci del suo travestimento, dà inizio alla strage dei pretendenti, colpendo per primo Antinoo, il più tracotante e insolente, che uccide colpendolo alla gola. Gli altri, ancora increduli, ma convinti che egli abbia sbagliato e colpito per caso uno di loro, lo insultano violentemente, finché non si rendono conto che è proprio lui l’antico padrone, ritornato per vendicarsi. Eurimaco allora gli propone un risarcimento dei beni dilapidati, ma viene anch’egli ucciso; gli altri cercano di reagire sguainando le spade; mentre Telemaco corre a prendere altre armi, Melanzio, a sua volta, fornisce armi ai Proci, prendendole da una sala che Telemaco non ha richiuso; ma, presto scoperto, viene catturato e appeso per i piedi fuori della sala. Nella lotta interviene anche Atena che, prima sotto le spoglie di Mentore, poi trasformatasi in rondine, rende vani i colpi dei pretendenti.
Odisseo, affiancato da Telemaco, Eumeo e Filezio, dopo una sanguinosa lotta, riesce a uccidere tutti i nemici, ma su consiglio di Telemaco risparmia il cantore Femio e l’araldo Medonte, che erano rimasti fedeli all’antico signore, pur essendo costretti a servire i pretendenti.
Quando ormai tutti giacciono a terra esangui, Odisseo manda a chiamare Euriclea e, dopo aver frenato la sua gioia, che sarebbe empia di fronte alla tragica scena di morte, le chiede chi fra le ancelle lo abbia tradito; quindi fa portare le infedeli nella sala e ordina loro di ripulirla dell’orrenda lordura del sangue sparso ovunque; ordina poi di giustiziarle uccidendole con la spada, anche se Telemaco deciderà invece di impiccarle; anche Melanzio viene orrendamente mutilato. Odisseo, quindi, chiede alla nutrice di portargli del fuoco e dello zolfo, per purificare la sala, e di chiamare le ancelle fedeli, prima di svegliare Penelope, che ancora giace addormentata.
Odisseo riconosce con gioia le ancelle, sciogliendo alla fine la tensione e le angosce in un pianto liberatore.


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Odissea Libro XIX - Analisi temi e personaggi

I temi

Tema centrale del canto è il riconoscimento: l’anziana nutrice Euriclea, grazie alla cicatrice di un’antica ferita di caccia del giovane Odisseo, riconosce nel mendico l’eroe ritornato: la vecchia nutrice, depositaria della memoria familiare e garanzia della continuità della casa, nella quale è sempre vissuta, riporta alla luce un momento della giovinezza di Odisseo, e quindi compie il primo passo verso il riconoscimento e la conquista dell’identità, che sarà completata dal particolare del
talamo nuziale (libro 23). Il diciannovesimo libro è però caratterizzato anche dalla preparazione della vendetta, la Mnesterophonìa, il fulcro di questa parte dell’opera. L’accumularsi di comportamenti oltraggiosi dei pretendenti, la tristezza di Penelope, i discorsi di Odisseo, che appaiono falsi al lettore (e al pubblico antico) preparano il momento dello svelamento, e quindi la vendetta, in un crescendo di attesa dell’evento.



Il narratore

A mano a mano che la vendetta si avvicina, il narratore esterno introduce alcuni elementi significativi, con una sapiente regia: così accentua la suspense nel dialogo tra Penelope e Odisseo, e prefigura lo scioglimento della vicenda nell’episodio di Euriclea, allentando la tensione sul finire del libro. Tuttavia, Odisseo stesso, continuando a inventare racconti sulla sua identità (come narratore di secondo grado), non rinuncia a presentarsi in prima persona, costruendosi un’identità falsa che deve, ancora una volta, salvarlo nel presente e garantirgli in un futuro ormai imminente uno svelamento pieno e sicuro.



Lo spazio

Le scene sono ambientate nella sala della casa di Odisseo, teatro della trasgressione dei pretendenti e del loro continuo oltraggio al re, che, secondo il poeta, danno in questo modo prova evidente della loro colpevolezza. Implicitamente il luogo è contrapposto sia alla reggia dei Feaci (dove Odisseo aveva trovato ospitalità e onore, ancor prima di rivelare la sua identità), sia alle residenze di Nestore e di Menelao (nelle quali Telemaco è stato ospitato con generosità). Naturalmente, la trasgressione del rituale dell’ospitalità, che richiama il macabro pasto del Ciclope, e la dissipazione dei beni di Odisseo, sono le colpe concrete dei pretendenti, contro le quali è diritto dell’eroe intervenire.



Il tempo

Il diciannovesimo libro occupa uno spazio temporale molto ridotto, ma dilatato dal racconto: è il terzo giorno, da quando Odisseo è tornato a Itaca, e il primo giorno che trascorre mendicando nella sua stessa casa. Il tempo, nella serata ormai sul finire, è ampliato dalle storie narrate da Odisseo, da Euriclea e da Penelope, che creano una pausa di attesa trepidante per l’epilogo, già prefigurato nella chiusa del libro.

L’ordine della narrazione
Questo libro è nuovamente caratterizzato dal ricordo (analessi): per confermare le sue parole, Odisseo richiama elementi dell’abbigliamento al momento della partenza; quindi Euriclea rievoca l’episodio della ferita del cinghiale legato anche all’imposizione del nome, in occasione della prima caccia del giovane, una sorta di prova di coraggio e di abilità con cui si entra nell’età adulta. Euriclea, testimone del passato, è la prima in grado di leggere in quel passato per illuminare il significato del presente.



I personaggi

Odisseo, ancora una volta, mente per prudenza, anche alla moglie, mostrando una straordinaria capacità di autocontrollo, tenendo a freno il desiderio di svelarsi, con una freddezza che quasi lascia deluso il lettore moderno, ansioso di un lieto fine ormai atteso e preparato da tempo. A lui si affiancano due figure femminili: Penelope ed Euriclea.
Entrambe si oppongono alle figure femminili incontrate finora, poiché, al contrario di Calipso, di Circe, di Nausicaa, rappresentano la fedeltà e la continuità della permanenza nella casa: sono il passato di Odisseo che si ricollega al suo presente, e non un tempo fugace, senza futuro.
Penelope è tanto simile al marito da potere essere definita “odissiaca”: come il marito, è incredula, prudente, circospetta; è dotata di un’astuzia particolare, che si esplica nel campo d’azione femminile, quello della tessitura. Penelope, che nella sua diffidenza può apparire ostile, è in realtà la versione femminile di Odisseo: come il marito ha molto sofferto e ha imparato a guardarsi dagli entusiasmi, dalla precipitazione e dagli impulsi. Nel primo dialogo con il marito, che non le si è ancora rivelato, attraverso una serie di affermazioni e di domande, si svela la sua indole, soprattutto il suo desiderio di sapere, cui si oppongono le menzogne necessarie di Odisseo.
Euriclea rappresenta l’anello più forte del legame col passato: è la nutrice, a cui è affidato il primo riconoscimento “spontaneo”, che gode di un rango domestico importante, poiché sovrintende all’economia della casa e al lavoro delle altre ancelle; grazie alla continuità della sua presenza. Ella ha un legame fortissimo con i suoi componenti: ama teneramente Telemaco e lo stesso Odisseo, che riconosce con un moto spontaneo di profonda felicità. Proprio la reazione di Euriclea, la sua gioia quasi rallentata dal lungo racconto, anima la scena e tiene vivo l’interesse: si comprende che una tappa importante è stata conquistata.


Gli dei
Significativa è in questo libro l’assenza di Atena: nel momento in cui Odisseo si trova di fronte alla moglie e alla nutrice, e riacquista per la prima volta la sua identità, gli dei sono di nuovo sullo sfondo. Si tratta di una conquista tutta umana e individuale; l’aiuto di Atena sarà di nuovo utile in seguito, quando Odisseo dovrà affrontare, con il figlio e pochi fedeli servi, tutti i Proci.
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Odissea Libro 21 - Riassunto

Penelope si avvia con le ancelle in una stanza dove conserva i tesori di Odisseo e prende l’arco: quindi lo porta nella sala e propone la gara; Telemaco approva la proposta della madre e, dopo aver disposto le scuri piantate in fila, i cui anelli dovranno essere tutti attraversati dalla freccia scoccata da quell’arco straordinario, tenta egli stesso la prova, senza successo. Prova quindi Leode, che fallisce e cede sconfortato; poi, dopo che Melanzio ha preparato un gran fuoco per scaldare l’arco di corno e del grasso per la corda, altri pretendenti si cimentano nella gara, senza riuscire a tendere l’arma. Nel frattempo Odisseo esce dalla sala con Filezio ed Eumeo e, dopo aver avuto un’altra prova della loro fedeltà, rivela loro la sua identità, mostrando la cicatrice; quindi ordina a Eumeo di portargli l’arco, quando egli glielo dirà, a Filezio di far chiudere tutte le porte della sala e di ingiungere alle donne di non abbandonare le loro opere, anche se sentiranno gemiti e urla nella sala. Intanto Antinoo, il solo a doversi ancora cimentare, propone di interrompere la gara per fare libagioni ad Apollo, il dio arciere; approfittando di questa pausa, Odisseo chiede di provare anche lui: nonostante le proteste e gli insulti dei pretendenti, Telemaco ordina che l’arco gli sia consegnato e Penelope promette doni allo straniero se tenderà l’arma; Telemaco però invita la madre a lasciare la sala ed essa obbedisce, raggiunge le sue stanze ove in breve tempo è colta dal sonno versato sulle sue palpebre da Atena. Eumeo quindi porta l’arco allo straniero, che, dopo averlo osservato a lungo, fra gli sguardi perplessi e increduli dei Proci, tende l’arma con facilità e, presa la mira, trapassa tutti i fori delle dodici scuri.


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Odissea Libro 20 - Riassunto

Odisseo si corica nel vestibolo, anziché nella sala, e senza riuscire a prendere sonno osserva l'andirivieni delle serve infedeli che vanno a divertirsi con i Proci. Nonostante lo sdegno, egli riesce a controllare l’ira. Gli appare quindi Atena che nuovamente gli assicura il suo aiuto e lo invita a prendere sonno. Intanto nelle sue stanze Penelope, angosciata, veglia e supplica Artemide di ucciderla piuttosto che farla sposa di un altro uomo. Odisseo sente il pianto e le parole della moglie e, uscito all’aperto, chiede a Zeus di mandargli un presagio: subito sente un tuono e dall’interno della casa una donna prega che per l’ultima volta si prepari il banchetto ai pretendenti: questi segni premonitori rincuorano Odisseo.
Il mattino dopo Telemaco scende dalle sue stanze e chiede se l’ospite sia stato onorato adeguatamente; rassicurato da Euriclea, si reca all’assemblea per i preparativi della festa di Apollo arciere. La nutrice, nel frattempo, fa preparare la sala per il nuovo banchetto dei pretendenti, mentre arriva Eumeo con tre maiali per il pranzo e incontra Odisseo; giungono poi Melanzio, che rinnova gli insulti a Odisseo, e Filezio, un pastore, che, vedendo il mendico, compiange la sorte di Odisseo, accusa il comportamento dei Proci e si augura il ritorno del padrone. Sopraggiungono quindi i pretendenti, accompagnati da un presagio maligno; Telemaco offre al mendico uno sgabello e del cibo, invitando i pretendenti a offrire anch’essi doni allo straniero. In segno di scherno Ctesippo lancia una zampa di bue addosso a Odisseo, che la schiva: questo gesto di villania scatena l’ira e lo sdegno di Telemaco. Uno dei pretendenti chiede poi al giovane di non ostinarsi a impedire le nozze della madre, e Telemaco li assicura che la lascerà libera nelle sue decisioni. Poi Atena scatena risa sfrenate e insensate fra i commensali, i quali assistono, senza rendersi conto della gravità, a un prodigio che Teoclimeno, l’indovino ospite di Telemaco, avverte come presagio terribile e sanguinoso; ma queste parole sembrano esaltare i pretendenti, che invitano Teoclimeno ad andarsene. Infatti l’indovino abbandona la sala, lanciando un ultimo annuncio di morte imminente. Mentre i Proci deridono gli ospiti di Telemaco, il giovane e Penelope ascoltano ogni provocazione senza reagire; Telemaco, in silenzio, guarda suo padre in attesa della vendetta. I pretendenti intanto — avverte il poeta — si preparino a ben altro luttuoso banchetto.


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Riassunto Libro 19 Odissea

Odisseo e Telemaco ripongono le armi fuori dalla sala con l’aiuto di Atena, che illumina con un prodigio la casa; quindi Telemaco si congeda, mentre Odisseo si scontra con Melanto che lo vorrebbe cacciare, ma è aspramente rimproverata dalla regina. È giunto il momento dell’incontro fra il forestiero e Penelope: la regina chiede a Odisseo notizie del marito, che crede ancora lontano, poi gli narra la sua triste condizione e l’inganno della tela. Infatti essa aveva promesso ai pretendenti che si sarebbe decisa a sposarsi solo quando avrebbe finito di tessere il lenzuolo funebre per Laerte, ma ogni notte disfaceva la parte che aveva intessuto di giorno, per protrarre il lavoro: scoperta per il tradimento di un’ancella, ora si trova in una situazione molto critica, perché presto sarà costretta a decidere.
Odisseo, interrogato sulla sua identità, le risponde con un lungo discorso ingannevole, nel quale narra di essere cretese e di aver incontrato Odisseo proprio a Creta. Penelope gli chiede allora di descrivergli gli abiti del marito e di nominargli i suoi compagni; le risposte rendono credibili le parole dell’uomo, che le descrive perfettamente un fermaglio dorato che essa stessa aveva dato al marito al momento della partenza. A Penelope, che nonostante queste novità rassicuranti, continua a disperare, il mendico rivela notizie più recenti: sostiene che Odisseo, perduti i suoi compagni, ha vagato a lungo, ma ormai, dopo aver consultato l’oracolo di Dodona, è sulla via del ritorno.
Penelope ringrazia lo straniero e ordina alle ancelle di lavarlo e di preparargli un buon letto, ma egli rifiuta le cure delle giovani donne, dicendo di preferire una vecchia serva. La scelta cade su Euriclea, la nutrice del re. Nel momento in cui si accinge a lavarlo, questa scopre la cicatrice che un cinghiale aveva inferto al suo padrone da giovane. Ospite del nonno materno, Autolico (che aveva scelto il nome per Odisseo quando era appena nato), un giorno, nel corso di una battuta di caccia, il giovane era riuscito a uccidere un cinghiale che l’aveva però ferito a una gamba, proprio là dove Euriclea, che conosce tutta la vicenda, scopre la cicatrice. Emozionata, la donna vorrebbe subito dirlo a Penelope, ma Odisseo glielo proibisce. In seguito, davanti al fuoco continua il colloquio fra l’ospite e la regina che gli rivela l’intenzione di bandire una gara, il cui vincitore sarà suo sposo. Essa inviterà i pretendenti a scoccare una freccia con l’arco di Odisseo, e a far passare questa freccia attraverso gli anelli di dodici scuri piantate per terra in sequenza, una prova di abilità che solo il marito era in grado di superare. Infine si congeda, ordinando alle ancelle di preparare un giaciglio al mendico.


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Odissea Libro 18 - Riassunto

Alla reggia giunge un mendicante, Iro, frequentatore abituale della mensa dei pretendenti; egli provoca Odisseo, che, suo malgrado, è costretto a reagire: fra i due si accende una zuffa nella quale Odisseo ha facilmente la meglio e costringe Iro a starsene fuori della casa, nel porticato. I pretendenti sono stupiti della vittoria di Odisseo, che profetizza il ritorno del padrone di casa e condanna il loro comportamento. Dopo che Atena ha sollecitato Penelope a scendere fra i Proci e le ha conferito nuova, fulgente bellezza, essa appare, suscitando desiderio negli uomini che si trovano nella sala. Penelope rimprovera Telemaco di aver permesso una lotta fra due mendicanti, ma il figlio si discolpa abilmente; quindi la donna afferma, con profonda tristezza, che ormai, se Odisseo non tornerà, dovrà decidersi a sposarsi: chiede perciò ai pretendenti, secondo la tradizione, di offrirle doni, cosa che tutti si precipitano a fare. Essa si ritira poi nelle sue stanze. Odisseo, rimasto nella sala, continua a subire, in silenzio, gli oltraggi e gli schemi dei pretendenti a cui si uniscono quelli di Melanto, serva infedele, nonostante Telemaco cerchi invano di frenare l’arroganza dei convitati. Il banchetto, fra gozzoviglie e volgarità, si conclude nottetempo e i pretendenti tornano alle loro case.


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Odissea Libro 17 - Riassunto

Il giorno successivo Telemaco torna alla reggia; partendo, ordina a Eumeo di accompagnare il mendico in città, in modo che possa chiedere l’elemosina nella casa di Odisseo fra i pretendenti. A casa Telemaco viene accolto con gioia da Euriclea e dalla madre, che invita a offrire un sacrificio agli dei per propiziare il ritorno del padre; in seguito si reca in città, ove il popolo si compiace nel vederlo bello, forte e sicuro, e ritrova Teoclimeno, che conduce con sé, a casa. Alla madre che lo interroga sul viaggio, racconta sommariamente i fatti e le notizie raccolte, ma tacendole il suo incontro con il padre nella casupola del porcaio. Teoclimeno, però, rassicura la donna dicendole che l’arrivo di Odisseo è ormai prossimo.
Nel frattempo, il mendico Odisseo ed Eumeo, lungo il tragitto per scendere in città, incontrano Melanzio, il bovaro, che li oltraggia e colpisce Odisseo, rivelando così il suo malanimo e la sua infedeltà verso l’antico padrone, oltre al suo odio per Eumeo. Giunti davanti alla sua casa, Odisseo vede il suo cane, Argo, un tempo vivace e vigoroso, che giace su un mucchio di letame, abbandonato: il cane, nel vedere il padrone, lo riconosce, ma può solo debolmente manifestare la sua gioia; poi, sfinito, muore. Odisseo, anche se commosso, si impone di non mostrare le lacrime e si informa del cane, il cui stato di abbandono è un chiaro segno della trascuratezza della casa in assenza del padrone. Telemaco invita Odisseo a entrare in casa, e dopo avergli egli stesso dato del cibo, esorta i pretendenti a fare altrettanto; Antinoo lo offende pesantemente, nonostante Odisseo, con un discorso ingannatore, gli racconti di essere stato anch’egli, un tempo, un uomo ricco e nobile. La comparsa del mendico scatena l’ira dei Proci e, sebbene si insinui il sospetto che sia un dio che li voglia mettere alla prova, Antinoo lo ingiuria e lo colpisce con uno sgabello: Odisseo però non reagisce, sopportando tutto pazientemente per non scoprirsi. Eumeo dice a Penelope che il mendico sa raccontare storie affascinanti così la donna esprime il desiderio di interrogarlo nel caso sapesse qualcosa del marito: il mendicante però le manda a dire che teme l’ira dei pretendenti e che le parlerà solo quando se ne saranno andati. Eumeo intanto prende congedo da Telemaco, per andare in campagna a custodire le bestie, ma promette di tornare l’indomani, come Telemaco gli chiede.


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