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Spigolo del Cubo uguale alla diagonale del Parallelepipedo Rettangolo

Lo spigolo di un cubo è uguale alla diagonale di un parallelepipedo rettangolo. Sapendo che l'area laterale del parallelepipedo è 2314 cm e che le dimensioni della base misurano rispettivamente 18 cm e 10 cm. Calcola l'area totale del cubo.

Svolgimento:
Sul cubo almeno per ora non possiamo fare niente se prima non conosciamo la diagonale del parallelepipedo. Si deve fare lo stesso procedimento eseguito in quest'altro problema, che qui scriverò più brevemente.

AL = 2314  cm²

Serve il perimetro di base.
P = 18 + 10 + 18 + 10 = 56 cm

Poi ci troviamo l'altezza del parallelepipedo.
h = 2314 : 56 = 41,32 cm

Per trovare la diagonale bisogna applicare questa formula.
d = √18² + 10² + 41,32² = √324 + 100 + 1707,34 = √2131,34 = 46,16 cm

E così lo spigolo che sarebbe il lato del cubo è di 46,16 cm

Ed adesso calcoliamo anche l'area:
A = 6 x l² = 6 x 46,16² = 6 x 1641 = 12784,47 cm²
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Calcolare Altezza e Volume del Parallelepipedo Rettangolo

L'area totale di un parallelepipedo rettangolo è di 1020 cm², le dimensioni della base misura 18 cm e 16 cm. Calcola l'altezza e il volume del parallelepipedo.

Svolgimento:
In questo problema abbiamo l'area totale e come avrai certamente studiato si ottiene sommando le due aree di base più l'area laterale del parallelepipedo. In questo modo:

AT = 2AB + AL

Il problema ci dice che le basi sono di forma rettangolare e che misurano rispettivamente 18 e 16 cm. Quindi è praticamente l'area del rettangolo che si calcola moltiplicando la base per l'altezza. In questo modo:

AB = b x h = 18 x 16 = 288 cm²

Siccome le aree sono 2, perché c'è la base di sotto ma anche quella di sopra moltiplichiamo il valore di una base per 2.

2AB = 288 x 2 = 576 cm²

Adesso abbiamo a disposizione l'area totale che avevamo già da prima e l'area di entrambe le basi, facendo la formula inversa e quindi la differenza otteniamo la formula per trovare l'area laterale.

AL = AT - 2AB = 1020 - 576 = 444 cm²

Adesso devi calcolarti il perimetro di base che ti servirà per la formula successiva.

Pb = 18 + 16 + 18 + 16 = 68 cm

Se facciamo il rapporto tra l'area laterale ed il perimetro di base otteniamo l'altezza del parallelepipedo.

h = AL / Pb = 444 : 68 = 6,53 cm ( l'ho arrotondato per eccesso)

Adesso come ultima cosa manca solo il volume che si ottiene moltiplicando le dimensioni di base del parallelepipedo e l'altezza che ci siamo appena trovati.

V = a x b x h = 18 x 16 x 6,53 = 1880,64 cm³
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Tema: sull'Ansia e sulla Solitudine

L’uomo moderno è afflitto da molteplici mali ma quelli che riteniamo costanti nel tempo anche per cause ambientali che li fanno insorgere sono l’ansia e la solitudine.
Questi due mali secondo me cono molto connessi tra di loro e per questo non li dividerei l’uno con l’altro. Per parlare di questi due fattori negativi per l’uomo bisogna però darne una breve definizione. L’ansia è uno stato particolare nel quale il soggetto prova senso di paura e di minaccia apparentemente immotivata quindi la nascita del panico. Si prova ansia normalmente quando s’attende con impazienza un amico, oppure quando si sta per partire; l’ansia non si può classificare come patologia infatti è una cosa che arriva in determinate circostanze o meglio viene covato in determinati momenti (si può provare ansia e crisi di panico in luogo chiuso o aperto: claustrofobia ed agorafobia) ma non è sempre un fattore psicologico in quanto una donna senza aver provato traumi infantili può soffrire di claustrofobia in un appartamento al decimo piano, provare terrore semplicemente perché si sente sola, depressa, incompresa e non conoscere nessuno.
Adesso però bisogna capire se si tratta di una malattia nervosa o di una solitudine sociale. La donna in questione dell’esempio proposto soffre di ansia ma questa risposta è dovuta a mancanza di spazio vitale, di spazio per dialogare, si sente sola e la depressione del suo status la porta a crisi ansiogene. Un normale specialista l’avrebbe aiutato con l’uso di calmanti.
L’ansia più che altro è frustrazione perché non si riesce a sfogare il proprio io, perché bisogna seguire gli schemi della vita, perché ci si vede costretti a fingersi con un carattere che non è quello che ci rappresenta al meglio e tutto ciò non fa altro che alimentare continue delusioni.
Se volessimo fare un paragone con la letteratura possiamo associare a tutto ciò la figura che ha creato Pirandello con Il fu Mattia Pascal, un uomo che casualmente è stato classificato come morto ma che in realtà era vivo e vegeto ed apparente stanco della sua vita decide di cambiare viaggiando ma non essendo schedato, perché appunto considerato morto non poteva pagare le tasse, non poteva sposarsi e nemmeno avere la compagnia di un cane, la sua era forma di solitudine.
La solitudine non è semplicemente stare da soli perché ci si può sentire soli anche accerchiato da migliaia di persone, ad esempio in una piazza in occasione della finale di una partita di calcio si può esultare insieme agli altri ma è difficile condividere le stesse emozioni se non si ha qualcuno che la pensa allo stesso modo. Si può pensare anche che la solitudine sia una causa della mancanza nella vita di un partner ma la maggior parte delle volte e proprio questi che lo comporta che ci implica a comportarsi in determinate maniere che nella quale non si è abituati a sostenere per lungo tempo.
L’ansia e la solitudine secondo i medici sono fattori immaginari che ci creiamo nel nostro subconscio interiore, crediamo che qualcosa deve andare storto per forza oppure pensiamo che non siamo adatti a certe cose e si limitano a dare dei farmaci tranquillizzanti che non fanno altro che creare una dipendenza da essi da cui man mano non si potrà farne a meno.
Secondo me certe situazioni vanno risolte, probabilmente, a tentativi senza cadere nell'uso di droghe che servono solamente per agevolare organizzazioni criminali. Cioè bisogna provare a fare quello che ci piace ogni tanto e non seguire sempre le cose che fanno tutti, se abbiamo voglia di andare in una spiaggia di nudisti, se vogliamo vestirci con una maglietta sportiva anziché in giacca e cravatta la domenica in chiesa, se vogliamo diventare indipendenti anche sul lavoro lasciando il posto “sicuro” da dipendente dobbiamo farlo. Il motto della vita è sempre uno, bisogna fare tutto ciò che vogliamo fare e non bisogna mai fare quello che gli altri vogliono che noi facciamo, ognuno ha la propria vita e non deve farsela decidere da altri anche se più potenti di noi sia economicamente che fisicamente perché altrimenti si vive una vita da morti, appunto sotto le paure dell’ansia e della solitudine.
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Cos’è l’Industria Culturale

Correlata all'espressione cultura di massa, quella di “industria culturale” sta a significare l’intento del profitto che muove l’immensa produzione, che si avvale delle tecnologie industriali, do nozioni ed informazioni per il grande pubblico, che funge così da mercato, da sostenere con i sofisticati interventi della pubblicità. I prodotti dell’industria culturale non sono certo falsi ed inattendibili, ma s’inseriscono in una logica consumista preordinata che tende a presentare come necessari dai bisogni non primari, in modo da alimentare la domanda dei consumatori e sostenere così la produzione. La cultura è stata insomma inglobata nel mercato e trattata alla stregua di una merce accessibile a tutti e mediante la quale influenzare l’orientamento dei fruitori

Aspetti negativi:
Gli aspetti negativi dell’industria culturale sono relativi ad un graduale livellamento dei saperi, poiché destinati ad un pubblico anonimo, di cui non vengono considerate le origini etniche, il livello d’istruzione e le specifiche esigenze cognitive ed a cui vengono proposti contenuti privi dei loro significati originali e di quegli elementi capaci di stimolare non solo i sensi e le emozioni, ma soprattutto una riflessione critica ed un gusto estetico.
Pensiamo, ad esempio ai programmi culturali radio-televisivi: anch'essi sono subordinati al cosiddetto auditel, il mezzo che consente di conoscere le preferenze del pubblico, e per questo vengono trascurati rispetto a spettacoli, quiz e varietà, spesso noiosi e ripetitivi, ma che consentono di aumentare l’indice di gradimento, quindi richiamano l’attenzione di chi vuole investire in pubblicità, essi sono, inoltre, condizionati dalle esigenze del palinsesto, limitati nello spazio a disposizione e relegati in fasce orarie poco seguite.
Come già accennato, la cultura indotta dai mass media è a tutti gli effetti un prodotto industriale e, come tale, condizionato dai principi commerciali della domanda e dell’offerta, sottoposto al mercato pubblicitario ed all'orientamento dei telespettatori: così, esponenti del mondo scientifico, artistico e culturale sono spesso confusi, alternati e messi in secondo piano rispetto ai divi mondani della musica, delle telenovelas, del cinema e dello sport; le loro opinioni, le loro spiegazioni, il bagaglio di nozioni e conoscenze messe a disposizione del pubblico, vengono recepite distrattamente, senza l’interesse e l’interpretazione critica che meriterebbero.
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Cos'è la Cultura di Massa

L’espressione “cultura di massa” si riferisce alla cultura prodotta e diffusa dall'insieme dei mezzi di comunicazione di massa, rivolta ad un pubblico non sempre consapevole della distinzione fra conoscenza superficiale ed approssimativa e conoscenza scientifica e superiore: per molti, quanto proposto, in termini d’informazione, di linguaggio, d’opinione, dai mass-media, rappresenta l’unica realtà esistente, con evidenti rischi di chiusura mentale, livellamento culturale, massificazione degli interessi e dei gusti, condizionamento dei comportamenti e delle scelte.
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Ricerca su Luigi Pirandello

La Vita

Luigi Pirandello nacque il 28 giugno 1867 presso Girgenti (ribattezzata poi Agrigento sotto il fascismo) da una famiglia di agiata condizione borghese (il padre dirigeva miniere di zolfo prese in affitto). Dopo gli studi liceali si iscrisse all'università di Palermo, poi nell'Università di Roma, poi si trasferì a Bonn dove si laureò nel 1891.
Dal 1892, grazie ad un assegno concessogli dal padre, si stabilì a Roma, dedicandosi interamente alla letteratura. Stringe legami con il mondo culturale romano specialmente con Luigi Capuana. Nel 1893 scrisse il suo primo romanzo, L’esclusa (pubblicato nel 1901).
Nel 1894 si sposò a Girgenti con Maria Antonietta Portulano che portò con sé a Roma dove qualche anno dopo iniziò a insegnare l’Istituto Magistero di Roma e nel 1908 divenne docente di ruolo.
Nel 1903 un allagamento della miniera di zolfo in cui il padre aveva investito tutto il suo patrimonio e la dote della moglie provocò il dissesto economico della famiglia. Il fatto ebbe conseguenze drammatiche nella vita dello scrittore: alla notizia del disastro la moglie, il cui equilibrio psichico era già fragile, ebbe una crisi che la sprofondò nella follia. La convivenza con la donna, costituì per Pirandello un tormento continuo.
Con la perdita delle rendite mutò anche la condizione sociale di Pirandello, che fu costretto ad integrare il suo non lauto stipendio di professore intensificando la sua produzione di novelle e romanzi, che fra il 1904 e il 1915 si fece particolarmente fitta. Lavorò anche per l’industria cinematografica, che stava allora muovendo i primi passi scrivendo soggetti per film.
Anche l’esistenza di Pirandello, come quella di Svevo, fu segnata dall’esperienza della declassazione, dal passaggio da una vita di agio borghese ad una condizione di piccolo borghese, con i suoi disagi economici e le sue frustrazioni, un fenomeno tipico della situazione sociale del tempo e in particolar modo della condizione intellettuale.
Dal 1910 Pirandello ebbe il suo primo contratto con il mondo teatrale, con la rappresentazione di due atti unici, Lumìe di Sicilia e La morsa da parte della compagnia di Nino Martoglio a Roma. Dal 1915 la sua produzione teatrale si intensificò tra il 1916 e il 1917 scrisse e fece rappresentare una serie di drammi che modificavano profondamente il linguaggio della scena del tempo, Pensaci Giacomino!, Liolà, Così è (se vi pare), Il berretto a sonagli, Il piacere dell’onestà, Il giuoco delle parti, che suscitarono nel pubblico e nella critica reazioni sconcertate.
Erano gli anni della guerra, Pirandello, in nome delle sue posizioni patriottiche aveva visto con favore l’intervento, considerandolo come una sorta di compimento del processo risorgimentale, ma la guerra incise dolorosamente la sua vita: il figlio Stefano partito volontario, fu subito fatto prigioniero dagli Austriaci, e il padre si adoperò con ogni mezzo, ma invano, per la sua liberazione. Anche in conseguenza del fatto la malattia mentale della moglie si aggravò, tanto che lo scrittore fu costretto a farla ricoverare in una casa di cura, dove la donna restò fino alla morte.
Dal 1920 il teatro di Pirandello cominciò a conoscere il successo di pubblico. Del 1921 sono I sei personaggi in cerca d’autore. I drammi pirandelliani nel corso degli anni Venti e Trenta furono conosciuti e rappresentati in tutto il mondo. La sua posizione di scrittore ne fu profondamente modificata: abbandonò la vita sedentaria e piccolo borghese del professore, lasciò nel 1922 la cattedra universitaria e si dedicò interamente al teatro, seguendo le compagnie nella loro Tournees in Europa e in America, vivendo direttamente la vita della scena e seguendo gli allenamenti dei suoi testi. Dal 1925 assunse la direzione del Teatro d’Arte a Roma, mettendo in scena spettacoli tratti da opere proprie ma anche di altri autori. Si legò sentimentalmente ma in modo platonico ad una giovane attrice della compagnia, Marta Abba, per la quale scrisse vari drammi. L’esperienza del teatro fu resa possibile anche grazie al finanziamento dello Stato.
Pirandello, nel 1924, subito dopo il delitto Matteotti, si era iscritto al partito fascista, e questo gli servì per ottenere appoggi da parte del regime.
La sua adesione col fascismo ebbe caratteri ambigui e difficilmente definibili. Da un lato il suo conservatorismo politico e sociale lo spingeva a vedere nel fascismo una garanzia di ordine; dall'altro  invece il suo spirito antiborghese lo induceva a scoprirvi l’affermazione di una genuina energia vitale che spazzava via le forme fasulle e soffocanti della vita sociale dell’Italia postunitaria. Presto si rese conto del carattere di vuota esteriorità del regime e pur evitando ogni forma di rottura o anche solo di dissenso, accentuò il suo distacco, che celava un sottile disprezzo. D'altronde la critica corrosiva delle istituzioni sociali e delle maschere da esse imposte, che era propria della visione pirandelliana, non poteva certo risparmiare il regime, che dalla falsità del meccanismo sociale era un esempio macroscopico.
Negli ultimi anni lo scrittore seguì particolarmente la pubblicazione delle sue opere, in numerosi volumi: le Novelle per un anno, che raccoglievano la sua produzione novellistica, e le Maschere nude in cui venivano sistemati i testi drammatici. Nel 1934 gli venne assegnato il Premio Nobel per la letteratura, a consacrazione della sua fama mondiale.
Era attento anche al cinema, pur essendo consapevole del pericolo che questa nuova forma di spettacolo costituiva per il teatro, e seguiva da vicino gli adattamenti cinematografici delle sue opere. Mentre negli stabilimenti di Cinecittà a Roma assisteva alle riprese di un film tratto da Il fu Mattia Pascal, si ammalò di polmonite e morì il 10 dicembre 1936, lasciando incompiuto il suo ultimo capolavoro teatrale, I giganti della montagna.

La visione del mondo e la poetica

I testi narrativi di Pirandello insistono continuamente su alcuni nodi concettuali. Alla base della visione pirandelliana vi è una concezione vitalistica: la realtà tutta è”vita, incessante trasformazione uno stato all'altro  flusso continuo, incandescente, indistinto”, come lo scorrere di un magma vulcanico. Tutto ciò che si stacca da questo flusso, e assume “forma” distinta e invidiabile si rapprende, si irrigidisce, comincia, secondo Pirandello a morire. Così avviene dell’identità personale dell’uomo. Noi non siamo che parte indistinta universalizzandole ed eterno fluire della vita ma tentiamo a cristallizzarci in forme individuali, a fissarci in una realtà che noi stessi ci diamo, in una personalità che vogliamo coerente e unitaria. In realtà questa personalità è un illusione, e scaturisce solo dal sentimento soggettivo che noi abbiamo del mondo. Noi stessi ci fissiamo in una “forma”. Anche le persone con cui viviamo in società vedendoci ciascuno secondo la sua prospettiva particolare ci danno delle determinate forme.
Un individuo può crearsi di se stesso l’immagine gratificante dell’onesto lavoratore, del buon padre di famiglia, mentre gli altri magari lo fissano senza rimedio nel ruolo dell’ambizioso senza scrupoli o dell’adultero. Ciascuno di queste forme è una maschera non c’è un volto definito, immutabile: non c’è nessuno o meglio vi è un fluire indistinto e incoerente di stati in perenne trasformazione per cui un istante più tardi non siamo più quelli che eravamo prima.
La crisi dell’idea di identità e di persona risente dei grandi processi in atto nella realtà contemporanea, dove si muovono forze che tendono proprio alla frantumazione e alla negazione dell’individuo. L’instaurarsi del capitale monopolistico, che annulla l’iniziativa individuale e nega la persona in grandi apparati produttivi anonimi; l’espandersi della grande industria e dell’uso delle macchine che meccanizzano l’esistenza dell’uomo e riducono il singolo e insignificante rotella di un gigantesco meccanismo, priva di relazioni e priva di coscienza.
L’avvertire di non essere “nessuno”, l’impossibilità di consistere in un identità, provoca angoscia ed orrore, genera un senso di solitudine tremenda. L’individuo soffre anche ad essere fissato dagli altri in forme in cui non può riconoscersi  Queste forme sono sentite come una “trappola”, come un carcere in cui l’individuo si dibatte, lottando invano per liberarsi. La società gli appare come una costruzione artificiosa e fittizia, che isola l’uomo della vita, lo impoverisce e lo irrigidisce, lo conduce alla morte anche se egli apparentemente continua a vivere. Alla base di tutta l’opera pirandelliana si può scorgere un rifiuto delle forme della vita sociale, dei suoi istituti, dei ruoli che essa impone, è un bisogno disperato di autenticità, di immediatezza, di spontaneità vitale.
La critica di Pirandello si appunta sulla condizione piccolo borghese e sulla sua angustia soffocante, mentre il teatro predilige ambienti alto borghesi. L’istituto in cui si manifesta per eccellenza la trappola della forma che imprigiona l’uomo separandolo dall'immediatezza della vita, è la famiglia. Pirandello è acutissimo nel cogliere il carattere opprimenti dell’ambiente familiare, il suo rigore avvilente, le tensioni segrete, gli odi, i rancori, le ipocrisie, le menzogne che si mescolano alla vita degli affetti viscerali ed oscuri. L’altra trappola è quella economica, la condizione sociale ed il lavoro, almeno al livello piccolo borghese: i suoi eroi sono prigionieri di una condizione misera e stentata, di lavori monotoni e frustranti, di un organizzazione gerarchica oppressiva.

La poetica: L’umorismo

Dalla visione complessiva del mondo scaturiscono anche la concezione dell’arte e la poetica di Pirandello. Possiamo trovarle enunciate in vari saggi, tra cui il più importante e il più famoso è L’umorismo, che risale al 1908. Si tratta di un testo chiave per penetrare nell'universo pirandelliano, come ha sempre riconosciuto la critica. Il volume si compone di una parte teorica, in cui viene definito il concetto stesso di umorismo. L’opera d’arte, secondo Pirandello, nasce dal libero movimento, è quasi una forma del sentimento. Nell'opera umoristica invece la riflessione non si nasconde, non è una fora del sentimento, ma si pone dinnanzi ad esso come un giudice, lo analizza e lo scompone. Di qui nasce il sentimento del contrario, che è il tratto caratterizzante l’umorismo, per Pirandello. Lo scrittore propone un esempio: se vedo una signora con i capelli tinti e tutta impellettata avverto che è il contrario di ciò che una vecchia signora dovrebbe essere. Questo avvertimento del contrario è il comico. Ma se interviene la riflessione, e suggerisce che quella donna soffre a pararsi così e lo fa solo nell'illusione di poter trattenere l’amore del marito più giovane, non possono più solo ridere: dal comico passo al sentimento del contrario, cioè all'atteggiamento umoristico.
La riflessione nell'arte umoristica coglie così il carattere molteplice e contraddittorio della realtà, permette di vederla da diverse prospettive contemporaneamente. Se coglie il ridicolo di una persona, di un fatto, ne individua anche il fondo dolente di umana sofferenza e lo guarda con pietà; o viceversa, se si trova di fronte al serio e al tragico, non può evitare di far emergere anche il ridicolo. In una realtà multiforme e polivalente, tragico e comico vanno sempre insieme, il comico è come l’ombra che non può mai essere distaccata dal corpo del tragico.

Opere di Luigi Pirandello

Tra le opere più famose si ricordano Il fu Mattia Pascal, Uno, nessuno, Centomila e L’esclusa.
Il fu Mattia Pascal che presenta già in forme pienamente mature i temi più tipici dello scrittore e sperimenta soluzioni narrative nuove. Fu pubblicato nel 1904 a puntate sulla rivista la nuova antologia e nello stesso anno in volume. Questo romanzo è l’opera più significativa della narrativa pirandelliana perché in esso sono evidenti i motivi della molteplicità delle forme sotto cui si presenta l’individuo e del carattere oppressivo di tale forma.
Il protagonista del romanzo, Mattia Pascal, è un uomo che, non sopportando più di condurre un’esistenza grigia e monotona con la moglie e la suocera, decide di allontanarsi da casa. Recatosi a Montecarlo, vince una forte somma di denaro al gioco. Durante il viaggio di ritorno egli legge casualmente la notizia del ritrovamento del suo cadavere: in realtà, si tratta di un errore in cui sono incorsi i suoi compaesani. Dopo l’iniziale comprensibile sorpresa, Mattia Pascal come una folgorazione: si sente finalmente libero e può uscire per sempre dalla condizione insopportabile in cui è vissuto fino ad allora. Si reca quindi a Roma dove si fa chiamare Adriano Meis, intenzionato a cominciare una nuova vita. Ma ben presto i problemi che insorgono, come ad esempio l’impossibilità di avere uno stato anagrafico, insomma una nuova identità, una forma che gli consente di entrare nel consorzio civile (non ha una carta d’identità, non può denunciare un furto, non può sposare la ragazza di cui si è innamorato), lo induce a rassegnarsi e a fingere un altro suicidio per rientrare nella primitiva forma di Mattia Pascal, ma, sulla via di casa, si accorge di essere ormai per sempre escluso anche da questa possibilità perché la moglie credendosi vedova, si è formata una nuova famiglia. A lui non resta altro che recarsi sulla sua tomba e portare i fiori al fu Mattia Pascal…

Nel Fu Mattia Pascal fa anche una prima prova altamente significativa la poetica dell’umorismo, che Pirandello teorizzerà quattro anni dopo nel volume omonimo. La realtà, attraverso il gioco paradossale del caso, viene grottescamente distorta, ridotta a meccanismo bizzarro, assurdo, ma al di là del riso che questo suscita vi è l’autentica sofferenza sociale, sia quando ne è escluso e ne prova una disperata nostalgia. Scatta dunque il sentimento del contrario: tragico e comico, serio e ridicolo nella vicenda di Mattia Pascal sono strettamente legati.
Il romanzo è raccontato dal protagonista stesso, in forma retrospettiva in quanto Mattia Pascal, al termine della sua vicenda affida ad un memoriale la sua esperienza, inoltre il racconto e focalizzato non sull'io narratore che ha già vissuto i fatti e quindi ne sa di più, ma sull'io narrato, sul personaggio mentre vive i fatti.

Uno, nessuno, centomila

Il romanzo avviato nel 1909 fu portato a termine molto più tardi, pubblicato nel 1925-26 sulla rivista La fiera letteraria, e infine in volume nel 1926.
Il romanzo si ricollega al Fu Mattia Pascal, riprendendo il tema della centralità della visione pirandelliana, la crisi dell’identità individuale.

Vicenda:

Il protagonista Vitangelo Moscarda scopre casualmente che gli altri hanno di lui un’immagine diversa da quella che egli si è creato di se stesso, scopre cioè di non essere uno, come aveva creduto fino a quel momento, ma di essere centomila, nel riflesso delle prospettive degli altri, e quindi nessuno. Questa presa di coscienza fa saltare tutto il suo sistema di certezze e determina una crisi sconvolgente. Vitangelo ha orrore delle forme in cui lo chiudono gli altri e non vi si riconosce, ma ha anche orrore della solitudine che lo spinge ad essere nessuno. Decide perciò di distruggere tutte le immagini che gli altri si fanno di lui, in particolare quella dell’usuraio (il padre infatti gli aveva lasciato in eredità una banca), per cercare di essere “uno per tutti”. Ricorre così ad una serie di gesti folli e sconcertanti, come vendere la banca che gli assicura l’agiatezza. Ferito gravemente da un’amica della moglie, colta da un raptus inspiegabile di follia, al fine di evitare lo scandalo cede tutti i suoi averi per fondare un ospizio per poveri, ed egli stesso vi si fa ricoverare, estraniandosi totalmente dalla vita sociale.
Proprio in questa scelta trova una sorta di guarigione dalle sue ossessioni, rinunciando definitivamente ad ogni identità e abbandonandosi pienamente al puro fluire della vita, rifiutando di fissarsi in alcuna forma, rinascendo nuovo ogni istante, vivendo tutto fuori di sé e identificandosi di volta in volta nelle che che lo circondano, alberi, vento, nuvole. Il romanzo porta alle estreme conseguenze la critica all'identità che era stata proposta più di venti anni prima col Fu Mattia Pascal: l’eroe non si limita più ad una condizione negativa, sospesa (il fu Mattia Pascal), ma trasforma la mancanza di identità in una condizione positiva, gioiosa, in liberazione completa della vita da ogni limitazione mortificante.
Uno, nessuno, centomila porta anche all'estremo la disgregazione della forma romanzesca già sperimentata con le prove narrative precedenti. Si tratta di una narrazione retrospettiva da parte del protagonista, ma essa si concreta più nella sua forma organica (per quanto parziale e provvisoria) del memoriale scritto o del diario come nei precedenti romanzi, bensì resta allo stato puramente informale, di un interrotto monologo. La voce narrante si abbandona ad un convulso, torrentizio argomentare, riflettere divulgare, che dissolve la narrazione dai fatti.
Per buona metà del libro non vi è racconto, ma solo l’arrovellarsi ossessivo del protagonista, monologamente sui temi dell’identità fittizia, dell’inconsistenza della persona. Il discorso chiama continuamente all'interlocutore immaginario, che ad un certo punto viene introdotto nella vicenda come personaggio in carne ed ossa. Solo nella seconda parte il filo di un intreccio comincia a dipanarsi, ma anche qui l’organicità del racconto, la concatenazione logica e coerente delle cause e degli effetti, salta: i gesti inconsulti del protagonista sono la negazione di ogni logica comune, sono coerenti solo all'interno della sua follia, e così pure il gesto inconsulto di Anna Rosa, l’amica della moglie che spara a Vitangelo, resta del tutto gratuito, immotivato, inspiegabile.

La costruzione della nuova identità e la sua crisi

(riportiamo un’ampia campionatura di due capitoli del romanzo Il fu Mattia Pascal, VIII e il IX, che segnano il momento centrale dell’intreccio: l’ebrezza della liberazione dalla trappola e la conseguente delusione.)
Mattia Pascal resosi conto che gli altri lo credevano morto, ormai era un uomo libero da ogni obbligo e padrone di se stesso. Voleva cambiare totalmente in modo che così avrebbe vissuto due vite. Per cambiare aspetto ad Alenga si fece accorciare la barba, si sentiva un po’ a disagio perché si vedeva spuntare un piccolo mento. C’era il naso piccolo e l’occhio storto: pensò di comprarsi un paio di occhiali e farsi crescere i capelli in modo da sembrare un filosofo tedesco. Il nome se lo creò mentre viaggiava in treno, infatti ascoltando una discussione di due signori molto eruditi che discutevano d’iconografia cristiana gli piacque il nome dell’imperatore Adriano e se lo ripeté più volte. Quando questi scesero dal treno Mattia si affacciò dal finestrino e sentì che i due parlavano di un certo Camillo de Meis, quindi tolse il de e prese Meis. Così si battezzò tra sé Adriano Meis.
Adriano Meis era felice di essere libero e tutto gli sembrava buffo. Ad un certo punto si vide nel dito l’anello del matrimonio dove era incisa la data del suo matrimonio e lo buttò, dopo un lungo girovagare senza nessuno con cui parlare cominciò a sentirsi solo e un triste giorno di novembre un vecchietto con un cane gli si mostrò davanti.
Adriano pensava di comprarlo così avrebbe avuto un amico fedele e gli domandò il prezzo, era 25 lire. Voleva acquistarlo ma pensò che non poteva perché avrebbe dovuto pagare la tassa così non lo comprò.
Questa è la prima volta che quella vita che gli era sembrata bella con una libertà sconfinata era tiranna perché non gli consentiva di tenere un cagnolino.
Il primo inverno lo passò tra gli svaghi dei viaggi e nell'ebrezza della nuova libertà e non importava se c’era nebbia o sole, freddo o caldo. Ora doveva cercarsi una dimora stabile, ma poi gli veniva il pensiero delle tasse, dei documenti, ecc. L’inverno inspirava in lui queste riflessioni malinconiche. Era Natale e desiderava il tepore di un cantuccio caro, una casa. Quindi rimpiange la sua prima casa ed immagina di andare a casa della moglie e dirle che dai superiori aveva avuto il permesso di passare le feste in famiglia.
Un giorno alla trattoria fece amicizia con il cavaliere Tito Lenzi che gli diede un biglietto da visita. Adriano Meis ci restò male perché non ne aveva. L’uomo faceva bei discorsi e conosceva il latino e faceva delle domande all'altro che rispondeva con poche parole, quando seppe che era nato in Argentina gli fece i complimenti.
Gli disse che lui abitava da solo, ma precedentemente aveva avuto storie amorose. Adriano si accorse presto che mentiva e si sentiva rattristato dal fatto che lui odiava le bugie, ma doveva dirle, inoltre non poteva avere veri amici con cui confidarsi e raccontare la sua assurda storia.
Si stava rendendo conto degli inconvenienti della fortuna, si era conciato in quel modo per paicere agli altri e la solitudine lo assaliva, quando voleva prendere decisioni usciva dall'albergo e passeggiava per Milano, la vita gli sembrava inutile e si sentiva sperduto. Il giorno dopo salì sul tram elettrico incontrò un uomo che parlava di tutto e con tutti. Quando ritornò in albergo si mise a parlare con un canarino, poi nella sua stanza gli veniva voglia di prendersi a schiaffi per la sua condotta. Bisognava che lui prendesse a ogni costo una soluzione: insomma doveva vivere.

ANALISI DEL TESTO:

La prima reazione dell’eroe dinanzi all'improvvisa e fortuita liberazione dalla trappola è un senso di euforia, di leggerezza, di libertà sconfinata. Qui Mattia commette il suo errore capitale: invece di restare in quello stato di totale indefinitezza. Sente il bisogno di darsi una nuova identità, cioè di chiudersi in un’altra trappola. Nelle sue parole vibra l’orgoglio compiaciuto di chi è convinto di potersi costruite una personalità solida, unitaria e coerente, ignaro che proprio in essa è la trappola insidiosa. L’illusione di Pascal è destinata ben presto a cadere. Infatti, dopo tanti viaggi quella libertà assoluta comincia a pesargli, poiché egli avverte la sua solitudine, sente il bisogno di una compagnia. E qui si inserisce l’episodio del cagnolino che non può acquistare, che è il primo sintomo della crisi, da cui l’eroe comincia a coglie la negatività del suo stato, a capire di aver commesso un errore. Tale errore non è l’aver scelto una libertà assoluta ed astratta, nell'aver reciso tutti i legami con la vita sociale, ma al contrario proprio il non saper rinunciare a tale legame. L’episodio del cagnolino prova quanto Mattia sia legato alla vita comune. Proprio perché è così attaccato all'identità normale la scelta della nuova identità è un errore clamoroso che egli sconta amaramente: la nuova forma ha tutti gli svantaggi della vecchia in quanto non gli consente di abbandonarsi al fluire della vita, ma non ne offre i vantaggi, il calore dei legami umani e degli affetti. In lui c’è una struggente nostalgia delle abitudini quotidiane e normali, del nido familiare, la nuova forma è insopportabile, perché p falsa. Egli rivela di aver conservato tutto il suo carattere piccolo borghese, il bisogno della casa, del tepore della famiglia, la vita gli appare senza costrutto e senza scopo. La condizione di forestiero della vita per lui non è una condizione privilegiata ma privazione e limitazione.
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Spiegazione: L'Umorismo di Pirandello

di Luigi Pirandello
Spiegazione:

(Sono alcuni passi della seconda parte del saggio, quella teorica, che tratta di Essenza, caratteri e materia dell’umorismo).
Ciò che per Pirandello costituisce la base dell’arte umoristica è la funzione della riflessione. Essa coglie così il carattere contraddittorio e disarmonico del reale (come suggerisce l’esempio della vecchia imbellettata), ma non si limita semplicemente ad avvertire quelle contraddizioni, al contrario induce a calarsi in esse, a comprenderle, a avvertire quelle contraddizioni, al contrario induce a calarsi in esse, a comprenderle, a sentirle, generando il sentimento del contrario. La realtà per Pirandello, non è un cosmo ordinato, ma un fluire continuo, noi cerchiamo di fissare in forme stabili e determinate, ma che continua a scorrere egualmente, indistinto e magmatico, sotto gli argini, al di là delle costruzioni fittizie che gli sovrapponiamo. L’arte umoristica fa saltare queste barriere fittizie, disgrega, scompone, Pirandello tende a presentare l’umorismo come una disposizione universale dello spirito, che può essere rinvenuta in ogni tempo e in ogni letteratura. In realtà nel Fu Mattia Pascal, che dell’Umorismo, quattro anni prima, era già una perfetta applicazione. L’umorismo per Pirandello è una manifestazione della realtà moderna. In effetti la definizione che lo scrittore ne dà è una definizione calzante dell’arte novecentesca. L’umorismo rappresenta infatti, per usare le parole di Pirandello stesso, la vita nuda, la natura senza ordine almeno apparente, irta di contraddizioni, lontanissima dal congegno ideale delle comuni concezioni artistiche, in cui tutti gli elementi, visibilmente, si tengono a vicenda e a vicenda cooperano. L’arte umoristica va a fondo a disgregare anche la psicologia degli uomini, ma l’effetto dell’urtarsi di tendenze contrastanti, di personalità diverse che si agitano all'interno di una presunta personalità unica. La scomposizione umoristica fa così venire alla luce il fondo oscuro della psiche, che noi non sospettiamo e in cui non ci riconosciamo.
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Frasi con GLI

Elenco di frasi con l’articolo determinativo GLI. E’ un articolo maschile plurale e viene usato solitamente prima di persone, animale o cose di quantità superiore a uno e anch'essi di genere maschile. Può essere usato anche come pronome personale, nel senso che “gli” può diventare un “a lui” in modo sottinteso.

Esempio con frasi:
  1. Gli gnomi sono personaggi delle favole molto bassi.
  2. Gli orari del treno non corrispondono quasi mai alla realtà.
  3. Tutti gli studenti hanno scioperato per far valere i loro diritti.
  4. Fare gli stupidi è la cosa che vi riesce meglio.
  5. La mamma gli diede un ceffone perché era irritata. (A lui)
  6. Quando gli dissi che non mi sentivo bene era ormai troppo tardi. (A lui)
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Il Naso di Moscarda, Pirandello

di Luigi Pirandello
Riassunto:

Anna Rosa, un’amica della moglie, gli dice che il suocero e la moglie lo vogliono fare interdire. Egli le rivela tutte le considerazioni sull'incoscienza della persona, sulle forme che gli altri ci impongono  l’affascina, fa anche saltare il suo equilibrio psichico, e la donna, con gesto improvviso e inspiegabile, gli spara, ferendolo gravemente. Ne nasce uno scandalo enorme, tutta la città è convinta che tra lui e Anna Rosa ci sia una relazione colpevole.
A Moscarda, sconsigliato da un sacerdote non resta che riconoscere tutte le colpe attribuitegli e dimostrare un eroico ravvedimento. Dona tutti i suoi averi per fondare un’ospizio di mendicità, ed egli stesso vi viene ricoverato, vivendo insieme con tutti gli altri mendicanti, vestendo la divisa della comunità e mangiando nella ciotola di legno. Moscarda ha cercato con le sue follie, di ribellarsi al sistema ferreo delle convenzioni sociali, di scardinarlo, ma è rimasto sconfitto.
Lui che voleva distruggere tutte le “forme” impostagli  deve accettare l’ennesima forma attribuitagli dalla comunità, quella dell’adultero, e scontare per essa una dura pena, del tutto immeritata. E tuttavia proprio in questa sconfitta trova una forma di guarigione dalle angosce che lo ossessionavano. Se la prima consapevolezza di non essere nessuno gli dava un senso di orrore e di solitudine tremenda ora accetta di buon grado di alienarsi totalmente da se stesso, rifiuta definitivamente ogni identità personale, addirittura il proprio nome, e si abbandona gioiosamente al fluire mutevole della vita, “morendo” ad ogni attimo e “rinascendo” sempre nuovo e senza ricordi, senza più fissarsi in alcuna forma per sé, ma identificandosi con tutte le cose fuori, gli alberi, le nuvole, il vento, in una totale estraniazione dalla società e dalla prigionia delle forme che essa impone.
L’eroe di Uno, nessuno, centomila va più a fondo nelle sue scelte, vede in definitiva più chiaro. Non si limita a confessare di non sapere chi sia, ma afferma deliberatamente di non voler essere nessuno, di rifiutare totalmente ogni identità individuale. Rifiuta cioè di chiudersi in qualsiasi forma parziale e convenzionale e accetta di sprofondare nel fluire mutevole della vita, morendo e rinascendo in ogni attimo, identificandosi con le presenza esterne occasionali, senza poter più dire “io”.
Per questo arriva a negare il proprio nome che è il segno che sancisce il rappresentarsi della “vita” nell'individualità singola. Il nome scompare del tutto. Irrigidirsi in una forma significa morira e Moscarda sceglie di vivere, fondendosi nella totalità della “vita”. Questo vivere di attimo in attimo è una condizione esaltante, gioiosa. Uno, nessuno, centomila propone un messaggio che vuole essere positivo esemplare, un programmatico insegnamento di vita.
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Frasi con LA

Elenco di frasi con l’articolo determinativoLa”. È un articolo femminile singolare e difatti viene utilizzato solitamente prima di persone, animali, cose o aggettivi qualificativi femminili. Esso può però essere usato anche come avverbio di luogo o complemento di luogo ed in questo caso si accenta e diventa “”.


Esempio con frasi:
  1. La maestra rimprovera gli alunni che si comportano male.
  2. La scuola finisce nel mese di giugno.
  3. La notte, di solito, fa più freddo che di giorno.
  4. La cipolla fa lacrimare gli occhi.
  5. Quando la formica lavorava la cicala si divertiva.
  6. Dove hai messo il libro di matematica? Là sullo scaffale.
  7. Dov’è caduta la mia matita?
  8. Ha piovuto per tutta la mattinata.
  9. La grandina ha rovinato l’uva della vite.
  10. Cosa hai fatto tutta la giornata?
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La Cultura del Fascismo

Il regime fascista, espressione degli interessi dei settori più reazionari e retrivi della borghesia italiana, mirò subito a crearsi un ampio consenso di massa, soprattutto fra gli strati della piccola borghesia. A questo erano funzionali il controllo dei giornali e del nuovo straordinario mezzo di comunicazione di massa, la radio, nonché l’asservimento della scuola all'ideologia fascista e l’ossequio da parte degli intellettuali. Soprattutto dopo la crisi determinata dal delitto Matteotti nel 1924, che aprì un breve periodo d’isolamento del regime mussoliniano, gli intellettuali furono blanditi in pgni modo dal regime e irreggimentati in gran parte nella cosiddetta Accademia d’Italia. Gli intellettuali pertanto non sfuggirono all'opera di fascistizzazione del Paese e, numerosi, sottoscrissero il Manifesto degli intellettuali fascisti redatto da Giovanni Giolitti, il filosofo del regime.
Anche se una minoranza d’intellettuali italiani, di orientamento socialista e democratico, furono sempre ostili al fascismo e alimentarono le varie correnti dell’antifascismo marxista, liberale, democratico (ricordiamo ad esempio Antonio Gramsci, Piero Gobetti, Giovanni Amendola, Ernesto Rossi, i fratelli Rosselli ecc.), la grande maggioranza tenne, nei confronti del fascismo, un atteggiamento equivoco e di sostanziale complicità. Bisogna distinguere tre fasi: quella di ascesa del fascismo, dal 1919 al 1924; infine la fase del regime, dal 1925 in poi. Nella prima fase, gli intellettuali, anche alcuni di quei liberali che poi presero le distanze dal fascismo, come ad esempio Benedetto Croce, assunsero un atteggiamento ambiguo nei confronti del fascismo reputandolo utile a sconfiggere il socialismo, considerandolo insomma come un male necessario nella realtà italiana. Dopo l’omicidio Matteotti ci fu la crisi del fascismo che, per qualche mese, si trovò sostanzialmente isolato e molti intellettuali, che avevano aderito al fascismo o lo avevano sopportato come un male necessario, se ne distaccarono. Dopo il discorso di Mussolini alla Camera del 3 gennaio 1925, con cui il capo del fascismo annunciava l’avvento del regime dittatoriale vero e proprio, tuttavia la maggior parte degli intellettuali offrì il suo contributo al consolidamento del regime o per consapevole adesione alla sua dottrina o per timore o per semplice calcolo utilitaristico. Fatto sta che il Manifesto degli intellettuali fascisti, proposto nel marzo del 1925 da Giovanni Gentile, venne sottoscritto dalla maggioranza degli intellettuali italiani.
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La Letteratura durante Il Fascismo

Il regime fascista, coerentemente con la sua vocazione totalitaria, cercò di tenere sotto controllo il mondo delle arti e delle lettere. Ma, se alle origini il fascismo poté riscuotere un ampio consenso, sia pure ambiguo, tra gli intellettuali che non esitarono a sottoscrivere il Manifesto di Giovanni gentile, successivamente, in particolare durante gli anni ’30, il rapporto tra il regime e gli intellettuali fu alquanto controverso. I movimenti culturali di Strapaese e Stracittà si dichiararono entrambi intenzionati ad esaltare un’arte fascista, ma si contraddicevano nella misura in cui Stracittà (Massimo Bontempelli) esaltava il suo modernismo e il suo cosmopolitismo eludendo così la direttiva del regime di richiamarsi alla tradizione italiana e di esaltare il primato italiano; mentre Strapaese (Malaparte, Bilenchi, Brancati, Tobino ecc.), appellandosi alla tradizione popolare ed anti-letteraria, disattendeva il progetto del regime di assorbire i quadri della vecchia classe dirigente borghese. Dall'altra parte la prosa d’arte (Comisso, Bertolini, Angioletti) propugnavano l’autonomia delle lettere, ostacolando così il tentativo del regime di esercitare un’egemonia sul mondo culturale. Pertanto la stessa politica culturale del fascismo negli anni ’30 fu costretta ad un atteggiamento bivalente, oscillante fra la tentazione d’imporre un’arte fascista, puramente celebrativa delle imprese del regime, e l’acquiescienza a un’arte pura che, con il suo disimpegno, non disturbasse il regime. Quest’ultimo tuttavia non poté impedire che, nel corso degli anni ’30, in opposizione alle sue scelte sempre più totalitarie, come le leggi razziali, l’avvicinamento alla Germania nazista, le guerre coloniali, la guerra di Spagna, maturasse una ben diversa consapevolezza in numerosi intellettuali i quali non nascondevano una sempre più chiara avversione al carattere autoritario del fascismo. Ecco quindi che, soprattutto sulla rivista Solaria, cominciarono ad apparire interventi più consapevoli, evidenziati una maggiore attenzione alle più significative esperienze della narrativa americana e un recupero dei moduli narrativi di Verga e di Svevo. Cominciava quindi a farsi strada, in scrittori come Corrado Alvaro, Ignazio Silone, Romano Bianchi, Cesare Pavese, Elio Vittorini, Carlo Bernari, Vasco Pratolini, Carlo Levi e soprattutto Alberto Moravia, una propensione sempre più netta a rappresentare la realtà sociale italiana in quegli aspetti che l’oratoria ufficiale del regime cercava di mascherare. Il romanzo, in una forma espressiva che si richiamava sia al verismo sia al romanzo psicologico secondo i moduli sveviani, e che preludeva al neorealismo del secondo dopo-guerra, quindi tornava ad affermarsi, aprendo una nuova stagione letteraria. Ma la censura fascista non mancò tuttavia d’intervenire proibì Gli indifferenti di Moravia, sequestrò i numeri della rivista Solaria su cui era apparso a puntate il romanzo di Vittorini Il garofano rosso, mandò al confino gli scrittori Cesare Pavese e Carlo Levi. Anche gli ermetici, che pure avevano coltivato un modello di poesia sradicata dalla storia, furono avversati. La nuova narrativa che maturò nel clima della rivista Solaria diede subito dopo la caduta del regime e la fine della guerra, con l’avvento della stagione del neorealismo.
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Tema sugli Anziani

Temi Svolti: In passato l’anziano era rispettato e considerato depositario del sapere. Oggi, seppur emarginato, è sempre in grado, grazie alla sua esperienza, di fornire preziosi consigli ai giovani.

C’erano una volta gli anziani, quelli che avevano diverse proprietà terriere, quelli che avevano tanti figli e tanti nipoti e che non permettevano a loro di muovere una foglia senza il loro permesso.
Adesso la saggezza degli anziani serve ben poco sembra quasi che siano diventati un peso mal sopportabile. Eppure il numero di anziani è in continuo aumento e ciò comporta che aumenterà il numero di pensionati e quindi mancheranno le persone attive nel mondo del lavoro.
L’anziano che ha finito di lavorare e si sta gustando la sua pensione viene emarginato dalla società perché lo si considera un buono a nulla che passa il suo tempo a vagabondare nelle piazze, davanti ai bar o a fare le partite a carte con gli amici.
Quindi quello che doveva essere il suo meritato riposa si trasforma per l’anziano come un accumulo di sofferenza, angoscia e solitudine fino alla morte. Ciò non avviene per fortuna a chi ha una famiglia difatti può condividere la vecchiaia con la propria moglie, e passare più tempo coi propri figli che certamente hanno bisogno di aiuti in particolar modo se hanno già dei figli, e quindi se l’anziano è già nonno può comportarsi come un baby-sitter a portare a spasso i propri nipotini.
L’anziano anche se non più nel ruolo di capo famiglia non deve essere visto come un peso perché pur non essere una forza attiva nel mondo del lavoro è sempre utile per dare consigli basate sulle sue esperienze di vita, basti ricordare che sul web tra le cose più cercate vi sono parole come “i consigli della nonna, come si cucina questo, come si stira quello” ecc.. Sono tutti consigli che persone anziane saprebbero rispondere in tempo reale.
Infine, ma non per questi cosa meno importante, si deve dare la possibilità agli anziani di scegliere liberamente come trascorrere l’ultimo periodo della loro esistenza. C’è chi decide volontariamente di abitare in una casa di riposo per la terza età, perché vive da solo o male con figli e parenti: con un po’ di fantasia e fortuna, può vivere bene come in un albergo (quando la struttura che lo ospita, non certo gratuitamente, lo permette), accudito dal personale e sempre in compagnia di persone che condividono la sua stessa situazione. C’è anche chi è autosufficiente e accetta volentieri l’idea di starsene tranquillamente in solitudine, magari sperando (e non sarebbe un caso unico) di rincontrare l’amore.
C’è invece chi non può fare a meno dei familiari, dell’affetto dei nipoti, dei films o delle partite in televisione da vedere e commentare con i parenti. Chi si annoia in casa, può scegliere, quando la salute ed il clima lo permettono, di passare molte ore in giro per le strade del paese o della città, di leggere il giornale seduto sulla panchina di un parco, di giocare a carte con gli amici nei circoli o in osteria in compagnia di un buon bicchiere di vino.
In conclusione, pur restando grave la condizione di molti anziani emarginati, abbandonati ed in condizioni gravi di salute essi rimangono degli esseri umani e che continuano ad avere gli stessi diritti di vita di quando erano giovani; le famiglie più strette (in fatto di parentela) devono prendere seriamente la condizione che egli possa abitare insieme a loro anche a costo di fare sacrifici. E comunque è raro che l’anziano non abbia figli o fratelli e sorelle ancora in vita, se questi questi sono in ottimo stato di salute potrebbero tenerselo in casa anche a turno per alleviare la fatica di badare ad un anziano che solitamente è in grado di autogestirsi.
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Tema: Interruzione di Gravidanza e Diritto alla Vita

Temi Svolti: Un fenomeno che sta colpendo il mondo intero è l’aborto. Si tratta di una delle tematiche più delicate in assoluto dove spesso ne fuoriescono idee più o meno condivisibili.

L’interruzione di gravidanza può essere naturale, volontaria e terapeutica. L’interruzione di gravidanza naturale avviene per svariati motivi: da quelle genetici a quelli esterni: gravi cadute, ad esempio, che compromettendo la vita del feto, biologicamente viene espulso senza concorso volontario della gestante.
Quella terapeutica viene consigliata dai sanitari quando il feto può presentare un pericolo per la stessa madre che dopo il concepimento può subire danni psicologici e il bambino potrebbe nascere con gravi problemi.
L’aborto volontario, viene invece richiesto dalla futura madre per svariati motivi. Per la scienza medica, il feto non può dirsi individuo se non da certe formazioni che nascerebbero dopo determinati mesi. Per evitare ciò la donna avrebbe dovuto pensare durante lo svolgimento dell’atto sessuale quanto meno a delle precauzioni, ed in questo modo non si sarebbe dovuta sottoporre ad un intervento.
La chiesa cattolica è contro ogni interruzione di gravidanza ma anche contro l’suo degli anticoncezionali non solo per questioni morali ma perché teme troppa permissività sessuale. E’ un ragionamento valido ma non sempre condiviso dagli italiani che, spesso hanno avuto pareri contrastanti su questo argomento. Alla fine con il Referendum hanno avuto la meglio le idee dei laici.
Questo è stato un passo importante per l’emancipazione delle donne che erano viste come un essere di piacere. Inoltre molte donne sono morte, e tutt'ora oggi muoiono, per via dell’interruzione della gravidanza che comunque sia non è certamente una cosa di cui vanno fiere. Tuttavia la legge sull'aborto è nata non per favorire le pratiche abortive ma per mettere fine alle pratiche clandestine. Certamente l’assistenza ospedaliera è sicuramente meglio che abortire di nascosto attraverso l’uso di farmaci venduti da gente senza scrupoli.
Secondo me abortire semplicemente per il fatto che non si è ancora pronti per gestire un figlio mi sembra una stupidaggine, in questo caso ci si doveva pensare prima attraverso l’uso di anticoncezionali. Però non sono nemmeno contro alla legge sull'aborto infatti come già detto le persone in gravidanza intenzionate ad abortire farebbero di tutto pur di liberarsi del figlio in grembo, anche ad affidarsi a persone che venderebbero farmaci a prezzi altissimi e che oltre ad essere illegali potrebbero essere anche essere mortali. Da questo punto di vista si è fatto un passo avanti in difesa delle donne e per limitare la criminalità almeno in questo campo; un altro buon motivo per abortire potrebbe essere anche la nascita di un figlio nato per la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, mi riferisco a tutti quei casi di stupro che spesso si sentono parlare in tv, e sarebbe proprio vergognoso e umiliante avere un figlio da un mostro approfittatore di donne indifese.
La Chiesa la fa troppo semplice la questione dicendo che un figlio va preso per com'è  che bisogna andare piano con i rapporti sessuali ecc ecc. Ma è facile per loro che (molto probabilmente) non hanno mai avuto una relazione vera con una donna “reale” e che non hanno mai avuto l’esperienza o anche l’intenzione della possibilità di diventare padri. Non voglio dilungarmi troppo sul fattore religioso ma secondo me la legge che c’è adesso va benissimo, ma se è possibile migliorarla è ancora meglio.
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Tema sui Valori di Oggi

Temi Svolti: L’uomo contemporaneo, chiuso nella morsa del cieco egoismo, dominato dalla vita frenetica, proteso sempre alla ricerca di nuovi beni di consumo, avverte nell'animo un senso d’insoddisfazione: ecco perché, da più parti, s’invoca la riscoperta piena dei valori e degli ideali che avevano sorretto le precedenti generazioni.

Viviamo in un periodo storico dove sembra che i valori etici e gli ideali che erano dei punti di riferimento per le generazioni passate adesso non ci sono più o per lo meno che si stanno cancellano nel corso del tempo. Nella nostra epoca quello che prevale sui valori importanti della vita è la logica di interesse e il profitto personale, il denaro e il materialismo si impongono prepotentemente nella scala dei valori. Intanto riemergono e si riacutizzano problemi sociali come la disoccupazione, il razzismo, la criminalità e il degrado ambientale. L’uomo moderno tende a non vedere certe cose, preferisce “fingersi cieco” ed andare avanti come se niente stesse accadendo continuando nella sua ricerca del piacere, nel suo lusso insfrenato, anche se nel profondo del suo animo avverte un inspiegabile senso di insoddisfazione.
Molti giovani sostengono che mancano dei punti di riferimento sicuri ed anche per questo motivo accolgono volentieri tutto quello che è più facilmente a portata di mano, rifiutando il sacrificio. Tale modo di agire prende il nome di “cultura dell’immediato”, cioè che al momento attuale va tutto bene ma nel giro di qualche anno potrebbe crollare il mondo addosso perché manca un progetto di vita.
Un po’ di colpe le hanno il progresso della scienza e della tecnica che hanno cambiato la mentalità e il rapporto con i valori umani come l’amicizia, l’altruismo, la fratellanza, la giustizia, la famiglia, il rispetto e la religione.
Ad esempio con l’era di internet, molti giovani, (ma non tutti) preferiscono comunicare tra loro attraverso un messaggio online anziché andare in piazza come facevano un tempo prima della conoscenza dei mezzi di comunicazione informatici.
Su internet, inoltre è possibile creare legami con persone che nemmeno si conoscono tramite siti web di incontri online e anche attraverso le chat. Da questi luoghi sul web è possibile trovare anche l’amore, è possibile fare nuove e meravigliose amicizie ma si corre anche il rischio di parlare con persone senza scrupoli disposte a tutto pur di rubare, violentare e uccidere le persone.
Anche da un punto di vista religioso c’è stato un forte cambiamento: un tempo le persone andavano in chiesa tutte le domeniche, adesso invece pare che sia diventato un passatempo, anzi una frustrazione, in particolar modo per tutte quelle persone che vedono la domenica come unico e indispensabile giorno di riposo. Perché una persona che ha lavorato per 6 giorni consecutivi, ed il giorno prima anche di notte dovrebbe alzarsi la domenica così presto? Stessa cosa vale anche per tutti quei ragazzi che frequentano le scuole superiori o l’università che per prendere i mezzi pubblici sono costretti a svegliarsi molto presto.
I tempi cambiano è certamente bisogna farsene una ragione, anche l’uomo primitivo aveva paura del fuoco ma poi questa paura si è trasformata nella sua arma da difesa per tenere alla larga gli animali feroci. Stessa cosa per i valori di oggi che sembrano troppo strani ma che col tempo diventeranno abituali e che in futuro cambieranno nuovamente, perché lo sviluppo e la ricerca sono ciò che muove il mondo, senza di essi probabilmente nel giro di qualche anno col finire del petrolio dovremmo spostarci a piedi o in bicicletta ed invece possiamo ancora sperare a qualcosa di migliore e anche più ecologico come l’energia pulita e rinnovabile.
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Contatore di parole e caratteri online


Ma quanto sono lunghi gli articoli che abbiamo scritto? C’è chi è incostante e si dedica alla scrittura solo per passatempo o per sfogo, c’è invece chi ha la media di un articolo al giorno e scrive per aggiornare un blog personale e chi invece scrive tantissimo arrivando anche a 50 articoli giornalieri, ma lo fa per scopi lavorativi. Per sapere quante parole sono contenute nel nostro articolo, o ancora più precisamente, quanti caratteri sono contenuti nelle parole dell’articolo, bisogna affidarsi a un contatore di parole e caratteri.



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A cosa serve?

È poco usato il calcolatore di parole online, non perché non sia utile ma perché si trova già integrato in molte piattaforme di blogging e nei più usati editor di testo.
Sul web esistono articolisti o editori cioè persone che scrivono articoli su siti importanti che vengono pagate per questo compito, per loro è indispensabile contare le parole correttamente proprio perché alcuni di loro vengono pagate circa 1 centesimo a parola. Anche in ottica SEO è bene contare il numero di parole infatti si dice che la lunghezza media di un buon articolo sia tra le 450 le 650 parole.


I contatori si somigliano un po' tutti, questo è il nostro.


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Frasi con TO HAVE al Present Simple (verbo avere in inglese)


Uno degli esercizi di inglese che non può mancare dopo aver studiato il verbo avere in inglese (To Have) è quello di scrivere frasi a piacere che contengano il suddetto verbo in tutte le forme possibili (affermativa, negativa, contratta, interrogativa). Nel caso in questione il verbo have verrà usato nelle frasi sottostanti solo al Present Simple: solitamente impiegato per indicare qualcosa che si possiede come un oggetto, un parente, un malessere, un animale.



TO HAVE: Forma affermativa

I have a brother and a sister.
Ho un fratello e una sorella.
He has got a new computer.
Lui ha un nuovo computer.
They have got a big room.
Loro hanno una grande stanza.
I have got a book on the table.
Io ho un libro sul tavolo.
I have got a little dog.
Io ho un cagnolino.
My friends has got a cold.
I miei amici hanno il raffreddore.
We have got a test of history today.
Oggi abbiamo una verifica di storia.
Giada has got a pony.
Giada ha un pony
They have got vocabulary book.
Loro hanno un vocabolario.
Giorgio has got a videogame.
Giorgio ha un videogioco.
Maria has got three parrot.
Maria ha tre pappagalli.
This school has got ten classes.
Questa scuola ha dieci classi.
Sandra has got a picture of Brad Pitt.
Sandra ha una foto di Brad Pitt.
We all have brown eyes.
Abbiamo tutti gli occhi marroni.
I see that your brother has a new girlfriend.
Vedo che tuo fratello ha una nuova ragazza.
Anna has a good job now.
Anna ha un buon lavoro adesso.
Laura has very long hair.
Laura ha i capelli molto lunghi.
This houses have big rooms.
Queste case hanno stanze grandi.
I have the keys.
Ho le chiavi.



TO HAVE: Forma negativa

She hasn't got her books with her.
Lei non ha i suoi libri con sé.
You haven’t got any window in your class.
Non hai alcuna finestra nella tua classe.
The Bradford family have not got a cat.
La famiglia Bradford non ha un gatto.
I have not got a pet.
Io non ho un animale domestico.
Tom has not got a bird.
Tom non ha un uccello.
You have not got a hamster.
Lui non hai un criceto.
She has not got a pony.
Lei non ha un pony.
The children have not got a computer.
I bambini non hanno un computer.
James has not got a rabbit.
James non ha un coniglio.
They have not got a car.
Loro non hanno un auto.



TO HAVE: Forma interrogativa

Have you got much money?
Hai molti soldi?
Has Sarah got new CD?
Sarah ha un nuovo CD?
Has Mark got a cat?
Mark ha un gatto?
Has Mr. Brown got a pet?
Il signor Brown ha un animale domestico?
Has Daisy got a black rabbit?
Daisy ha un coniglio nero?
Have they got the new games?
Hanno i nuovi giochi?
Have Sarah and Daisy got stereos?
Sarah e Daisy hanno degli stereo?
Have you got a watch?
Hai un orologio?
Has Jim got and italian friend?
Jim ha un amico italiano?
Have you got a video?
Hai un video?
Has he got a computer?
Lui ha un computer?
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Differenza ipotenusa cateto di un Triangolo Rettangolo

In un triangolo rettangolo l'ipotenusa è 13/5 di un cateto , mentre la loro differenza e'di 16 cm. Calcola l'area.(dovrebbe venire 130 cm).

Svolgimento:
C=cateto I= Ipotenusa A=Area

I = C*13/5
I-C=16

C=I-16
I=(I-16)*13/5
I=2.6I-41.6
2.6I-I=41.6
1.6I=41.6
I=26
C=26-16
C=10
A=10*26/2
A=130
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Calcolare l'ampiezza di un angolo del Pentagono

Calcola l'ampiezza dell'angolo B di un pentagono sapendo che: A+C=D+E=4B.

Svolgimento:
La somma degli angoli interni di un pentagono è 540° se la somma di 4 di loro è 4 volte il 5 angolo vuol dire che il 5 angolo è 1/5 del totale quindi 540/5 = 108°
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Con l'ipotenusa Calcolare l'Area di un Triangolo Rettangolo

Calcola l'area di un triangolo rettangolo avente l'ipotenusa e un cateto lunghi rispettivamente 39 cm e 15 cm.

Svolgimento:
Cateto2= radice quadrata (quadrato ipotenusa-quadrato cateto1)
Cateto2= rad.q (39*39 – 15*15)
Cateto2= rad.q (1521-225)
Cateto2= rad.q(1296)
Cateto2=36
Area= cateto1*cateto2 /2
Area= 15*36/2
Area= 270 cm²
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Differenza cateti di un triangolo rettangolo

La differenza dei cateti di un triangolo rettangolo misura 42 cm e uno e i 12/5 dell'altro calcola perimetro e area del triangolo.

Dati:
C = cateto maggiore
c = cateto minore

Svolgimento:
differenza unità frazionarie : 12 - 5 = 7

unità riferita : 42 cm : 7 = 6

C = 6 x 12 = 72 cm

c = 6 x 5 = 30 cm

Ipotenusa = √(C² + c²) = √[(72 cm)² + (30 cm)²] = √(5184 cm² + 900 cm²) = √6084 cm² = 78 cm

Perimetro = C + c + i = 72 cm + 30 cm + 78 cm = 180 cm

Area = (C x c)/2 = (72 cm x 30 cm) / 2 = 1080 cm²
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Dimostrazione del Teorema di Pitagora

Il teorema di Pitagora è la relazione (dimostrata, come avviene per tutti i teoremi) che sussiste tra i tre lati di un qualsiasi triangolo rettangolo:

i² = C²+c² (relazione pitagorica)

La sua applicazione permette di calcolare la misura di un lato di un triangolo rettangolo conoscendone gli altri due.

i = √(C² + c²)
C= √(i² - c²)
c = √(i² - C²)

Non ha tutti questa cosa può entrare subito in testa, e per fortuna che nel web è possibile trovare dimostrazioni di questo teorema anche senza l'uso di formule, ad esempio Elena Maria Rossi, ha voluto proporci alcune sue idee che sono le seguenti:

METODO CREATIVO
  1. Prendete un cartone e disegnate su di esso un rettangolo di dimensioni note. Disegnate i quadrati sui cateti e sull'ipotenusa.
  2. Stendete uno strato di pongo (va bene anche plastilina o das) di altezza nota ed uguale per tutta la superficie del quadrato costruito sull'ipotenusa e recuperare il materiale (pongo o plastilina o das).
  3. Con il materiale recuperato stendete uno strato della stessa altezza (di quello precedentemente distribuito sull'ipotenusa) sul quadrato costruito su un cateto e sul quadrato costruito sull'altro cateto.
  4. Verificate che non manchi materiale e che tutte e due le superfici siano perfettamente ricoperte.

METODO CON  PERLINE COLORATE
  1. Disegnate un triangolo rettangolo su di un foglio di carta.
  2. Allestite un solo strato di perline colorate sul quadrato costruito sull'ipotenusa.
  3. Recuperate il materiale
  4. Stendete il materiale recuperato sul quadrato costruito sul cateto maggiore e sul quadrato costruito sul cateto minore.
  5. Verificate che tutta la superficie sia ricoperta e che non manchi nulla.
  6. Verificate che il materiale non sia stato aggiunto o perso durante il travaso.
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Tema sulla Violenza negli Stadi

Temi Svolti: Il teppismo allo stadio: una deprecabile manifestazione di violenza a margine dello sport. Scrivi un articolo di commento per trattare questo fenomeno che rattrista il mondo dello sport.

La violenza negli stadi che si manifesta mediante il tifo di persone senza scrupoli è un fenomeno ricorrente nelle domeniche calcistiche del nostro Paese, nonostante le misure preventive come il massiccio schieramento delle forze dell’ordine, in particolare nelle partite considerate a rischio e il servizio di scorta per i tifosi ospiti dalla stazione ferroviaria sino allo stadio. Il calcio che dovrebbe essere uno spettacolo è oggetto di cronaca non solo per i goal ed i gesti atletici ma per gli scontri tra tifosi prima della partita che si cimentano a lanciare lacrimogeni e petardi ai pullman dei tifosi rivali e alla polizia se questi arriva in loro soccorso. La polizia che viene attaccata il più delle volte è costretta anch'essa a controbattere l’attacco per difendersi attraverso l’uso dei manganelli. Spesso queste guerriglie che si vengono a creare fuori dallo stadio oltre a causare parecchi danni ad auto, negozi, muri, cassonetti finiscono col causare numerosi feriti innocenti ed anche vittime.
Le morti da stadio rappresentano ovviamente l’aspetto più drammatico del teppismo legato al gioco del calcio. Dei non pochi momenti tristi che accompagnano la storia di questo amatissimo e seguitissimo sport la strage dello stadio Heisel di Bruxelles avvenuta il 29 maggio 1985 a Bruxelles nel corso della partita di Coppa dei Campiono tra Juventus e Liverpool, dove i supporter inglesi, ubriachi ed insoddisfatti dell’andamento della partita abbatterono la parete divisoria che li separava dai tifosi italiani e ciò comportò 32 vittime italiane e moltissimi feriti. Inoltre la partita fu giocata ugualmente nonostante i morti presenti ancora sugli spalti per motivi di ordine pubblico.
Il tifo è un’emozione fortissima e soprattutto contagiosa, esso può causare rabbia e frustrazione al tifoso che ha pagato il biglietto dello stadio, tra l’altro molto costoso, per vedere giocare la propria squadra malissimo. Per questa ragione i tifosi che non sanno controllare queste emozioni e che prendono molto sul serio l’aspetto della partita tendono a aggredire chi vicino a loro, magari esulta al gol della squadra avversaria, oppure prende in giro un giocatore rivale in modo evidente.
Questi tifosi che solitamente se la prendono più del solito sono quelli che vanno a sedersi solitamente nelle curve e prendono il nome di ultrà. Essi seguono la propria squadra del cuore fuori casa e legano anche con persone che non si conosco ma che comunque tifano per la stessa squadra un forte legame, questo è una cosa bella se non fosse che in questi gruppi, vi è una minoranza di persone che fa della delinquenza il suo principale obbiettivo e si finge tifoso solamente per creare episodi di violenza.
Gli ultrà non sono però persone da emarginare o da escludere dallo stadio, anzi sono proprio loro che danno la carica alla squadra del cuore a tenere duro in campo, e gli stessi dirigenti agevolano tali gruppi di persone e finanziano le loro coreografie. L’unica cosa che si può fare è riorganizzare il tifo, ed è quello che si sta facendo pian piano. Ad esempio bisogna educarli ai sani valori dello sport e della società, facendo capire loro che non è sbagliato parteggiare in modo caloroso e colorito per la loro squadra, ma lo è farlo contro l’altra ed i suoi tifosi; che non è scorretto seguirla in ogni incontro, emozionarsi per le sue azioni, gioire per le vittorie e rattristarsi per le sconfitte, ma lo è esasperare e drammatizzare in maniera violenta le passioni che nascono dal mondo del calcio e che lo sostengono.
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Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere, Leopardi

di Giacomo Leopardi
Commento:

Il Dialogo, scritto nel 1832, riproduce un’immaginaria conversazione tra un passante ed un venditore di almanacchi, dalla quale si evince che nessuno dei due è contento del proprio passato poiché le sofferenze sono state maggiori delle gioie, ed allora è meglio non fare pronostici per il futuro. Nell'operetta si comprende come, per il Leopardi, la felicità non è mai data al presente, ma è sempre sospesa tra un passato, in cui in alcune occasioni ha pure rotto il continuo dolore umano, ed un futuro fatto di vane speranze; il tono del dialogo, nonostante il forte pessimismo che lo sottende, è sottilmente ironico, agile, rapido e privo di punte polemiche.
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Dialogo di Platino e di Porfirio, Leopardi

di Giacomo Leopardi
Commento:

Il Dialogo, scritto nel 1827, propone un’immaginaria conversazione tra l’antico filosofo neo-platonico Plotino e il suo discepolo Porfirio sui temi della vanità ed inutilità della vita e della sconvenienza del suicidio. Quest’ultimo, dice Plotino, sembra un mezzo di liberazione della sofferenza del vivere, ma in realtà è un atto di debolezza e di egoismo, causa anche di dolore per amici e parenti. Il saggio deve essere forte d’animo e, consapevole della vanità della vita, deve così poco curarsi di essa da non respingerla né desiderarla. Viviao, Porfirio mio, esorta Plotino, e confortiamoci insieme… Si bene attendiamo a tenerci compagnia l’un l’altro… per compiere nel miglior modo questa fatica della vita… E quando la morte verrà, allora non ci dorremo…
Il Dialogo sembra anticipare l’esortazione alla fratellanza ed alla solidarietà che conterrà la successiva poesia La ginestra.
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Dialogo della Natura e di un islandese, Leopardi

di Giacomo Leopardi
Commento:

Con tale dialogo il Leopardi passa da una concezione positiva della natura ad una negativa, immaginando la conversazione tra un viaggiatore islandese, giunto nel cuore dell’Africa, e la Natura, impersonata da una gigantesca donna, che però non risponde ai quesiti che l’uomo le pone, riguardanti i male da essa inflitti agli individui. Il poeta ritiene che causa dell’infelicità umana, non siano più i mali interiori e psicologici dell’uomo stesso, ma i mali esterni, causati dalla Natura che è anche indifferente ad essi; nel Dialogo, quindi, il pessimismo leopardiano assume un carattere cosmico nella consapevolezza che la sofferenza investe tutti gli esseri viventi, nessuno escluso.
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Come creare riquadri su Blogger

Se usate blogger e riuscite ad impararlo in fretta vi accorgerete che è un mondo piuttosto piccolo e che col tempo può andarvi anche stretto. Ci sono poche cose nel pannello di amministrazione e si possono fare poche personalizzazioni. A molte cose però si può rimediare agendo direttamente nella modalità HTML.

Ad esempio con Blogger non c’è un pulsante per creare un riquadro ma se volete far apparire una tabella "unica" tipo queste, dovrete inserire il codice che è contenuto al suo interno e copiarlo nella parte HTML del post.

1° Riquadro

<table align="center" bgcolor="#00aa66" border="1" style="width: 600px;"><tbody>
<tr>  <td bgcolor="#99ffdd" width="600">INSERIMENTO DEL TESTO</td>  </tr>
</tbody></table>

Si possono effettuare molte personalizzazioni in questa tabella, ad esempio il 1° bgcolor serve per modificare il colore del bordo della tabella, border per variarne le dimensioni, width per variarne la larghezza. Il 2° bgcolor serve per inserire il colore di sfondo, il width per impostare la lunghezza del colore di sfondo, questo valore si consiglia di metterlo della stessa misura del width precedente.
Dove ho scritto "INSERIMENTO DEL TESTO" ovviamente potete inserire il testo che vorrete visualizzare all'interno della tabella.

2° Riquadro

<div style="background-color: #99ffdd; border: 3px solid #00aa66; height: 200px; width: 550px;">TESTO</div>

Questa tabella invece non si espande man mano che gli scrivete all'interno, per ingrandirle dovrete modificare ogni volta i parametri di larghezza (width) e altezza (height). Per utilizzarlo copiate il codice presente al suo interno.

Nota bene: Questo genere di tabelle funziona ovviamente anche per piattaforme diverse da blogger, l'importante che l'andrete ad incollare sulla parte HTML.

Inoltre è possibile realizzare riquadri simili a quelli visti in precedenza racchiudendo un testo fra i tag blockquote, per ottenere questo risultato dovete leggere la guida su come personalizzare le citazioni di Blogger.

LEGGI ANCHE: Creare tabelle con righe e colonne su Blogger
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Diagonali quadrilatero perpendicolari problema di geometria

Le diagonali di un quadrilatero sono perpendicolari e una è i 3/7 dell'altra, sapendo che la diagonale maggiore supera la minore di 6,4, calcola il perimetro di un quadrato la cui area supera di 2,28 cm quella del quadrilatero.

Svolgimento:

Diagonale 1 = D
Diagonale 2 = d

D = d + 6.4
d = 3/7 * D

Quindi

D = 3/7 * D + 6.4
D = 11.2
d = 4.8

Area = D * d * 1/2 = 26.88

Aggiungi 2,28

26,88 + 2,28 = 29,16

Lato = Radice quadrata di 29,16 = 5,4 cm

Perimetro = 5,4 x 4 = 21,6 cm
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Significato: Zibaldone, Leopardi

di Giacomo Leopardi
Significato:

Lo Zibaldone (dalla parola toscana che significa “pietanza formata da vari ingredienti”) riunisce tutti gli appunti del Leopardi, scritti su consiglio di Giuseppe Antonio Vogel, un ecclesiastico alsaziano esiliato a Recanati. L’opera, composta con ritmo disuguale tra il 1817 ed il 1832, consta di 4526 facciate di quaderno e fu pubblicata postuma in sette volumi negli anni 1898-1900. Il contenuto è vario: ricordi di vita reale e sognata, abbozzi di poesie, prose, resoconti di letture fatte, riflessioni ed osservazioni filosofiche, filologiche, letterarie, politiche ecc. E’ un’opera di grande utilità per ricostruire il pensiero e seguire il percorso letterario ed umano del Leopardi.
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Ricerca su Giacomo Leopardi

Biografia:
Nasce nel 1798 a Recanati, nelle Marche, allora appartenente al culturalmente chiuso e retrivo Stato Pontificio. I suoi genitori sono il conte Monaldo, che si disinteressa del patrimonio di famiglia, dilettandosi di poesia, e Adele Antici, capace di essere meglio una rigida amministratrice del patrimonio trascurato dal marito che una mamma affettuosa  Giacomo cresce, così, allietato soprattutto dalla compagnia dei fratelli Carlo e Paolina ed attratto dagli studi che compie, in pratica da solo, grazie alla fortissima biblioteca paterna. Sette anni di studio matto e disperatissimo gli consentono di raggiungere un’erudizione vastissima, al punto da permettergli di scrivere di filosofia e di tradurre dal latino, dal greco e dall'ebraico. Ma la sua salute è rovinata per sempre con danni alla vista ed agli occhi.
Il Leopardi matura quindi una conversione estetica, scoprendo la poesia e passando così dall'erudizione al bello e al vero. Gli è di grande aiuto l’amicizia del classicista Pietro Giordani, che intrattenne con lui una fitta corrispondenza e lo incita ad avere fiducia in sé e a scrivere.
Il 1819 è un anno di crisi, segnato dal fallito tentativo di evadere da quello che ormai chiama il natio borgo selvaggio. Ma nel 1822 può finalmente allontanarsi da Recanati e di soggiorni nelle maggiori città d’Italia, come Bologna, Firenze, Milano.
Nel 1818 compone le due canzoni All'Italia e Sopra il monumento Dante a cui seguono, qualche anno più tardi, le canzoni Ad Angelo Mai, Nelle nozze della sorella Paolina, Bruto minore. L’ultimo canto di Saffo, i piccoli idilli. Questi ultimi sono pubblicati solo nel 1825.
Nel 1824-25 scrive la maggior parte delle Operette morali e negli anni tra il 1828 e il 1830 i grandi idilli. Nel 1830 a Firenze, conosce il napoletano Antonio Ranieri con cui entra in amicizia. Insieme si trasferiscono prima a Roma e poi a Napoli dove il Leopardi trascorre gli ultimi anni della sua vita. Un amore non ricambiato, quello per la fiorentina Fanny Targioni Tozzetti ispira al poeta il ciclo delle cinque poesie dette di Aspasia. Durante il soggiorno napoletano vengono scritte La ginestra, una sorta di testamento spirituale, e il tramonto della luna.
Leopardi muore nel 1837 a Napoli, dove è sepolto. Postumo viene pubblicato lo Zibaldone, un insieme di appunti e note che formano una sorta di diario informale.

Formazione culturale
La formazione culturale del Leopardi è avvenuta nell'ambito dell’illuminismo e del sensismo: in particolare, dal Rousseau egli ha tratto la lezione dell’inconciliabilità di natura e ragione. La vasta biblioteca paterna ha permesso al Leopardi di leggere i classici ed imparare il latino, il greco e l’ebraico: tale grande erudizione ha avviato il poeta marchigiano alla ricerca di un linguaggio poetico personale, di stampo classico. Fondamentale è stata anche l’amicizia con pietro Giordani, che ha permesso al Leopardi di andare al di là del chiuso ed arretrato ambiente natio (Recanati) e di aderire completamente agli ideali dell’illuminismo.

Polemica classico romantica
Nel 1816, nella Lettera ai compilatori della Biblioteca italiana, il Leopardi intervenne nella polemica seguita alla lettera della Stael, schierandosi a favore del classicismo e criticando la scrittrice francese. Per il Leopardi, la poesia doveva essere essenzialmente imitazione della natura: da ciò discendeva la superiorità degli antichi sui moderni e la critica del romanticismo che, preferendo cantare l’incivilimento e il progresso, aveva distrutto la fantasia e le illusioni. In realtà, il poeta di Recanati, anche se aveva condannato i romantici, ne rivelava un atteggiamento simile a quando si schierava contro l’imitazione dei classici ed in difesa della spontanea creazione poetica; anche le sue scelte linguistico-espressive, pur ancorate alla formazione illuminista e classicista, rifiutavano i modelli e le regole seguite dai neoclassicisti, pervenendo ad un’espressione lirica originale, rivelatrice di una sensibilità romantica.

I componenti che s’intrecciano nella sua opera
Illuminismo, classicismo e romanticismo s’intrecciano nella complessa personalità poetica del Leopardi, la cui visione laica della vita si fonde con la consapevole dolorosa accettazione del vero quale forza vitale della poesia.

Canzoni civili
Le canzoni civili più importanti del Leopardi sono: All'Italia  Sopra il monumento di Dante, Nelle nozza della sorella Paolina e Ad Angelo mai. Le canzoni civili sono definite in questo modo per l’aspirazione patriottica ed oratoria: generalmente traggono spunto da un fatto di cronaca e manifestano l’insofferenza del poeta per il tempo presente in contrapposizione al passato eroico dell’Italia.

Canzoni filosofiche
Tra le canzone più filosofiche del Leopardi ricordiamo l’Inno ai Patriarchi, Alla primavera, Bruto minore e l’Ultimo canto di Saffo. Soprattutto nelle ultime due canzoni, traspare la tragica e dolorosa condizione umana, esistente sia nel passato sia nel presente; in particolare, nell'Ultimo canto di Saffo è evidente l’idea di una natura crudele ed ostile che condanna la poetessa greca a non essere felice a causa del suo fisico deforme.

Poesie degli Idilli
Bisogna distinguere idilli, composti entro il 1821, dai grandi idilli, composti dal 1828 al 1830 tra Pisa e Recanati. I primi sono: La sera del di di festa, L’infinito, Alla luna, Il sogno, La vita solitaria e Lo spavento notturno; i grandi idilli sono: A Silvia, Le ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, Il passero solitario ed il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia.
Gli idilli del Leopardi si distaccano da quelli della tradizione bucolica, meri quadretti di scena campestre o pastorale aventi funzioni d’evasione, in quanto sono originati da elementi esterni (un paesaggio, un’immagine, una sensazione visiva o uditiva) che vengono poi interiorizzati nella meditazione del poeta. Lo stesso Leopardi ha definito gli idilli “avventure dell’animo”, attraverso cui è possibile contemplare la antura e rievocare le speranze ed i sogni della giovinezza.

Il motivo della poesia L’infinito
La poesia L’infinito evidenzia il contrasto tra il carratere finito delle sensazioni e l’infinito del tempo (l’eternità) e dello spazio (l’immensità), possibilità all'immaginazione  Ne deriva uno smarrimento dinanzi all'immensità che porta all'animo una fuggente dolce sensazione: Così in questa immensità s’annega il pensier mio e il naufragar m’è dolce in questo mare.

Motivi nella poesia La sera del di di festa
I motivi che ricorrono in questa poesia sono la fragilità e la labilità di tutte le cose che passano e se ne vanno, grandi eventi della storia come piccoli episodi del nostro vivere quotidiano. Allo stesso modo è passato il giorno di festa, così come la giovinezza del poeta che ha lasciato il posto all’angoscia per l’inevitabile trascorrere del tempo.

Motivi delle poesie di grandi idilli
In A Silvia, la morte per tisi dell’ancora adolescente Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, diventa il motivo per rappresentare la fine prematura delle speranze e dei sogni giovanili. Nella poesia Laquiete dopo la tempesta, la descrizione del villaggio natio, che si rianima dopo un temporale, diventa il pretesto per affermare la cessazione momentanea del dolore come unico piacere possibile per l’uomo: si apprezza la serenità solo dopo essere scampati ad un pericolo. Nella poesia Il sabato del villaggio la metafora del sabato come giorno più bello della settimana, poiché si aspetta la domenica di festa, esprime la delusione per il presente in quanto si può essere felici solo nell'attesa e nella speranza di qualcosa che verrà e che poi, come accade nel giorno di festa, immancabilmente delude le aspettative. Nella poesia Il passero solitario il tema fondamentale è a solitudine, con il rimpianto della giovinezza perduta. Le ricordanze evidenziano la componente nostalgica del poeta: il ricordo dei tempi che furono, del paese natio, di nerina, una fanciulla morta prematuramente. Infine, nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia viene rappresentata tutta l’infelicità del genere umano; il poeta s’identifica nel pastore nomade che chiede alla luna il perché della vita, non ottenendo alcuna risposta: la natura è indifferente alle sofferenze dell’umanità.

Poesie del ciclo di Aspasia
Si tratta di cinque poesie d’amore scritte tra il 1831 ed il 1835 ed ispirate da un amore non corrisposto per Fanny Targioni Tozzetti. Particolarmente significativi sono i componimenti: Il pensiero dominante, Amore e mote ed A se stesso.

Componimenti dell’ultima fase della poetica leopardiana
Bisogna ricordae La ginestra ed il tramonto della luna, poesie scritte entrambe nel 1836, un anno prima della morte del poeta. In particolare, La ginestra può essere considerata una sorta di testamento spirituale del Leopardi. Il motivo del componimento, ispirato dal fiorellino giallo che cresce sulle falde del Vesuvio ed ammirato dal poeta durante il suo soggiorno napoletano, è la critica alle ideologie ottimiste del XIX secolo che illudono gli uomini con la loro fede nel progresso. Su di esse si staglia il messaggio del Leopardi: gli uomini sono fragili ed impotenti nei confronti della natura, a cui possono solo cercare di resistere promuovendo una “confederazione” di tutti, accomunati dallo stesso destino di dolore. Così il poeta invita gli uomini alla fratellanza ed alla solidarietà nella consapevolezza del proprio destino: l’esempio da seguire è quello della ginestra, né vile né superba, che continua a vivere sotto la minaccia del Vesuvio, simbolo della natura ostile a cui l’uomo deve resistere avendo il coraggio di guardare in faccia la realtà, senza avvilirsi indecorosamente né insuperbirsi stoltamente.

Il pessimismo di Leopardi
Non c’è alcun rapporto tra il suo pessimismo e la sua sofferenza personale, anche se sicuramente la sua sofferenza ha contribuito a far cogliere al Leopardi il dolore presente nel mondo. Lo stesso poeta recanatese, in una lettera al critico svizzero. De Sinner, escluse che la causa del suo pessimismo fosse da ricercare nelle precarie condizioni fisiche, poiché la sua visione dolorosa della vita era unicamente un prodotto dell’intelletto. Quindi il pessimismo del Leopardi nasce dalla constatazione, in termini meramente razionali, che nel mondo domina di dolore.

Cosa sono le Operette morali
Prendono questo nome perché il Leopardi si fa promotore di una nuova moralità, intesa come accettazione coraggiosa del destino umano fatto di dolore e sofferenza.
Le Operette morali sono una raccolta di 24 scritti in prosa, composti tra il 1824 ed il 1832, che trattano di vari argomenti (la superiorità degli antichi sui frivoli moderni, l’inutilità della gloria letteraria, la nullità della vita umana, il richiamo alla morte come unica realtà, il tema del suicidio e delle illusioni), tutti però riconducibili ad un motivo di fondo: l’impossibile felicità dell’umanità, di cui viene tracciata un’evoluzione nelle operette morali sono da ricordare: Dialogo della Natura e di un Islandese, Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere, Vantico del gallo silvestre, Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez, Dialogo di Plotino e di Porfirio, Dialogo tra un fisico ed un metafisico, Dialogo di un folletto e di uno gnomo.

La critica
I critici della prima metà dell’800 hanno decisamente avversato il Leopardi, prendendo le distanze dal suo ateismo e dal suo materialismo: soprattutto gli intellettuali cattolici e spiritualisti gli furono ostili. Solo Pietro Giordani gli è stato amico ed ha ammirato le sue opere. La critica successiva ha espresso giudizi generalmente più sereni e meditati. Il De Sanctis, che apprezzava maggiormente la poesia degli idilli rispetto a quella delle canzoni civili e filosofiche e dei componimenti del periodo napoletano, ha affermato che l’arte del Leopardi scaturisce dal contrasto tra il cuore e la ragione. Il giudizio del De Sanctis è stato condiviso, in buona sostanza, dal Croce il quale, applicando il metodo della distinzione tra poesia e non poesia, ha apprezzato il carattere poetico degli idilli e di qualcuna delle Operette morali, ritenendo il resto della produzione leopardiana appesantita da elementi filosofici, allegorici  satirici, quindi non poetici. A questo proposito, c’è da dire che il complesso rapporto fra l’ispirazione e l’espressione poetica del Leopardi, da una parte, e la sua filosofia. Cioè la sua concezione del mondo e dell’uomo, dall'altra  ha condizionato non poco la critica leopardiana, facendo pendere l’ago della bilancia ora veso la filosofia ora verso la poesia. Ad esempio, il Timpanaro ha affermato  diversamente dal Croce, che la componente ideologico-filosofica, non è stata un elemento esterno e di ostacolo alla poesia leopardiana, bensì un fattore fondamentale della stessa, nella misura in cui ne ha indirizzato l’ispirazione e le ha conferito capacità conoscitiva. Anche Walter Binni ha riconosciuto, nell'ideologia materialista del Leopardi, un elemento capace di fare slancio alla sua poesia, evitando così di farla cadere nel patetico. Questi critici hanno individuato una poeticità nella canzoni dell’ultimo periodo, quello del soggiorno napoletano, altrettanto valida quanto quella degli idilli e hanno proposto il riferimento ad un pessimismo eroico evidente nelle opere dell’ultima fase.
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Rapporto fra Illuminismo – Neoclassicismo – Romanticismo

Riassunto:
L’illuminismo aveva esteso il suo razionalismo anche all'arte  ponendo così le premesse dello sviluppo del neoclassicismo (i requisiti di ordine e di armoniosa compostezza dei classici sembravano rispondere ad un criterio di razionalità nell'arte , ma questo, avvertendo l’esigenza di rivolgersi alla civiltà della Grecia antica, contraddiceva l’anti storicismo e l’esaltazione del ‘700, propri degli illuministi. La stessa tendenza ad evadere nel mondo di bellezza ideale creato dall'arte aveva ricevuto impulso dall'incapacità di leggere una realtà che, per il tumultuoso accavallarsi degli avvenimenti rivoluzionari, sembrava sfuggire al potere indagatore della ragione. La parabola del neoclassicismo s’incrociava così con una fiducia sempre più generalizzata nei lumi della ragione. Il romanticismo, nonostante tutti gli elementi di contrasto con l’illuminismo, ne aveva proseguito l’esaltazione della centralità umana, non più però legata alla ragione, ma all'io inteso come potenza creatrice. Non dimentichiamo che, in quegli anni, nella filosofia, l’idealismo tedesco affermava un superiore ordine razionale emergente dal divenire storico. Infine, anche se i romantici rifiutavano l’imitazione dei modelli del passato propugnata dai neoclassici bisogna ricordare che, in tantissimi poeti e scrittori romantici, fu presente una forte formazione classica che valse a suggerire una misura di equilibrio e di ordine stilistico alla loro creazione artistica.
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La Polemica Classico-Romantica - Riassunto

Ritratto di Madame de Stael

La polemica fra classicisti e romantici durò per circa un decennio e fu avviata da un articolo della scrittrice francese Madame de Stael, intitolato Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni ed apparso l'1 gennaio 1816 nel primo numero della rivista "Biblioteca italiana", in cui criticava i classicisti per la loro staticità nelle tematiche, ormai antiche e ripetitive (mitologia greco-romana); consigliava inoltre di prendere spunto dalle letterature europee come quella inglese e tedesca, e di tradurne un maggior numero di opere, perché esse rappresentavano, invece, grande innovazione e modernità.

Nell'articolo era implicita l’accusa di arretratezza rivolta i letterati italiani, alcuni dei quali, diceva la Stäel, erano degli eruditi che andavano "continuamente razzolando nelle antiche ceneri, per trovarvi forse qualche granello di oro"; altri erano superficiali e leggeri, capaci solo di scrivere opere ricche di belle parole, ma vuote d’ogni pensiero, che stordivano le orecchie e lasciavano sordi i cuori altrui.

L’articolo suscitò molte polemiche: i neoclassici italiani, che identificavano la purezza artistica nella nostra tradizione letteraria, lo considerarono poco meno che un’offesa; i romanici, invece, disponibili ad affrontare nuove tematiche culturali, lo ritennero un invito forte a rinnovare la nostra letteratura.


Il punto di vista di Pietro Giordani

Fra i grandi sostenitori del classicismo italiano che risposero all'articolo della de Staël, vi fu Pietro Giordani, "cara e buona immagine paterna" di Giacomo Leopardi. Il quale rispose che l’imitazione dei poeti stranieri contemporanei era inutile quanto dannosa per gli Italiani.

Era inutile, perché i letterati italiani erano da secoli sulla via dell’imitazione dei poeti classici, che avevano raggiunto la perfezione attingendo la bellezza ideale, eterna ed immortale.
Era poi dannosa, perché l’imitazione dei poeti stranieri avrebbe offuscato l’italianità della letteratura. Già nel Settecento la traduzione delle opere francesi, tedesche ed inglesi aveva causato l’imbarbarimento della nostra lingua e c’era voluto lo sforzo dei Puristi per depurarla dai barbarismi. Pertanto aprirsi alle letterature contemporanee straniere significava correre il rischio di un nuovo e più nocivo imbarbarimento.



Il parere di Leopardi e Monti

Nella polemica intervennero altri classicisti, dei quali meritano particolare menzione Giacomo Leopardi e Vincenzo Monti.

Il Leopardi partecipò ad essa nel 1816, quando, poco più che adolescente, scrisse una lettera ai compilatori della "Biblioteca italiana", che però non venne pubblicata, e nel 1818, quando scrisse il Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica. Nei due interventi Leopardi si dichiara contrario alle traduzioni di opere straniere, specialmente di autori nordici, che infarciscono le loro poesie di esagerazioni e di scene truculente, di paesaggi foschi, uccisioni, orrori, incesti, streghe, spettri, scheletri e creature mostruose, tutte cose lontanissime dalla "vera, castissima, santissima, leggiadrissima natura".

Il Monti interviene nella polemica più tardi, nel 1825, col Sermone sulla mitologia, un epitalamio in endecasillabi sciolti, composti per celebrare le nozze del figlio della marchesa Antonietta Costa di Genova. Il De Sanctis definì il Sermone "l'ultimo rantolo della scuola classica", sia perché esso era stato composto quando la polemica classico-romantica andava spegnendosi e il Romanticismo sembrava ormai vittorioso, sicché il Monti, settantenne, si sentiva un sorpassato, sia per il tono elegiaco con cui il Monti rimpiangeva le belle favole della mitologia classica, spazzate via dal Romanticismo, definito sprezzantemente audace scuola boreale (cioè nordica, con allusione alla sua origine germanica) e sostituite dal nudo, arido vero, ossia dalla squallida realtà quotidiana, che è la "tomba" della poesia.



I romantici italiani e Berchet

I romantici italiani mossi anch'essi da un sincero amor di patria ritennero giuste le critiche di Madame de Stäel, riconoscendo la decadenza italiana nel contesto della cultura europea ed impegnandosi a vivificarla e a modernizzarla. Essi si proposero pertanto di educare il popolo, abbattere lo steccato che da secoli il classicismo aveva innalzato tra gli intellettuali e le masse popolari, di creare una letteratura nuova, moderna, libera, nazionale, democratica. Anche se non accettarono i principi rivoluzionari del Romanticismo tedesco, tuttavia incondizionatamente accettarono l'altro principio romantico, quello del vero come argomento di poesia. Le fonti della poesia dovevano essere la storia, la religione, le tradizioni nazionali e popolari. Allo scopo poi di conquistare il più vasto pubblico possibile, i romantici italiani proposero l'uso di un linguaggio antiletterario, chiaro, semplice, comprensibile, veramente popolare.
L'organo di diffusione delle idee romantiche fu la rivista "Il Conciliatore", così intitolato, perché mirava a "conciliare i sinceri amatori del vero" , come scrisse il suo redattore capo Silvio Pellico. Furono collaboratori del "Conciliatore" Giovanni Berchet ed altri letterati italiani. Erano tutti di idee liberali e ben presto attirarono i sospetti e gli interventi della censura austriaca. Perciò la rivista che aveva iniziato la pubblicazione nel settembre del 1818, venne soppressa dall'Austria nell'ottobre del 1819. Nello stesso anno in cui l'articolo di Madame de Stäel accendeva la polemica tra classicisti e romantici, apparve la Lettera semiseria di Grisostomo di Giovanni Berchet, che viene considerata il manifesto del Romanticismo italiano. La Lettera sembra scritta sotto l'influenza stessa dell'articolo sull'utilità delle traduzioni, perché il Berchet, sotto il falso nome di Grisostomo, finge di inviare al figlio, che è lontano in un collegio, la traduzione di due ballate del poeta tedesco Gottfried Bürger - Il cacciatore feroce e l'Eleonora - di argomento fortemente romantico per la presenza di elementi drammatici, avventurosi, lugubri. Tale occasione offre al Berchet lo spunto per parlare della nuova letteratura romantica e per metterne in evidenza, con notevole rigore logico, la modernità e la superiorità sulla poesia classica.
Tutti gli uomini - dice il Berchet - hanno una tendenza naturale alla poesia, ma questa tendenza è attiva in pochi privilegiati, che sono appunto i poeti; negli altri è passiva, simile ad una corda che vibra al solo tocco delle dita. Ma non tutti quelli che hanno la tendenza passiva sono in grado di comprendere la poesia: non la comprendono, ad esempio, gli Ottentotti (popolo dell'Africa meridionale qui assurto a simbolo di ignoranza e di barbarie), come il Berchet chiama gli uomini rozzi, ignoranti ed analfabeti, costretti ad essere privi di sensibilità e di vita intellettuale, ed i Parigini, che sono gli uomini eccessivamente raffinati, sofisticati, razionali, troppo civilizzati.
La comprendono invece e la gustano, traendone vitale nutrimento, quelli che appartengono al popolo, una categoria di gente che il Berchet identifica con la piccola e media borghesia.

Va qui notato che la diffidenza del Berchet e degli altri intellettuali verso la plebe e le masse contadine era un'eredità dell'Illuminismo e costituisce il grande limite del nostro Risorgimento. Il Berchet poi divide i poeti, coloro cioè che hanno la tendenza attiva alla poesia, in due categorie: quelli che, infatuati della loro presunta perfezione artistica, imitano i poeti greci e latini, rimasticandone i sentimenti, le credenze e la mitologia, e quelli che interrogano direttamente o la natura, ricavandone i misteri e la morale della religione cristiana, o l'animo degli uomini contemporanei, ricavandone passioni, ideali e sentimenti veri, genuini, reali ed attuali.
La poesia dei primi è "classica", e, poiché ricalca le orme dei poeti antichi, può definirsi "poesia dei morti"; la poesia dei secondi è romantica, ed essendo poesia moderna, nuova, originale, può definirsi "poesia dei vivi"; Perciò i poeti se vogliono essere veramente moderni, invece di rifriggere cavoli già putridi, come fa chi imita la poesia classica, devono essere coevi al loro secolo e interrogare l'animo del loro popolo e nutrirlo di pensiero e non di vento. Dalla nuova poesia romantica tutti gli Italiani potranno trarre giovamento, perché essa, ispirandosi ai sentimenti della gente comune, può educarli moralmente e civilmente e creare una comune patria letteraria, come premessa di una comune patria politica. Il Berchet conclude il suo discorso fingendosi di ritrattare le idee esposte, come se si fosse trattato di uno scherzo (perciò la lettera è detta semiseria), e facendo un'ironica esaltazione della poesia classica ed un'altrettanto ironica denigrazione della poesia romantica. Le idee esposte nella lettera non sono né profonde né originali, ma sono dettate dal buon senso; perciò esse ebbero una straordinaria diffusione, e per la loro efficacia divulgativa attirarono sul Berchet le simpatie dei romantici e le invettive dei classicisti.

Sicuramente più profonde ed originali sono invece le opere del Manzoni che trattano i problemi connessi con la nuova estetica romantica. Esse sono la prefazione al Carmagnola , la Lettera a Monsieur Chauvet e la Lettera sul Romanticismo diretta al marchese Cesare D'Azeglio.
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