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La Cultura del Fascismo

Il regime fascista, espressione degli interessi dei settori più reazionari e retrivi della borghesia italiana, mirò subito a crearsi un ampio consenso di massa, soprattutto fra gli strati della piccola borghesia. A questo erano funzionali il controllo dei giornali e del nuovo straordinario mezzo di comunicazione di massa, la radio, nonché l’asservimento della scuola all'ideologia fascista e l’ossequio da parte degli intellettuali. Soprattutto dopo la crisi determinata dal delitto Matteotti nel 1924, che aprì un breve periodo d’isolamento del regime mussoliniano, gli intellettuali furono blanditi in pgni modo dal regime e irreggimentati in gran parte nella cosiddetta Accademia d’Italia. Gli intellettuali pertanto non sfuggirono all'opera di fascistizzazione del Paese e, numerosi, sottoscrissero il Manifesto degli intellettuali fascisti redatto da Giovanni Giolitti, il filosofo del regime.
Anche se una minoranza d’intellettuali italiani, di orientamento socialista e democratico, furono sempre ostili al fascismo e alimentarono le varie correnti dell’antifascismo marxista, liberale, democratico (ricordiamo ad esempio Antonio Gramsci, Piero Gobetti, Giovanni Amendola, Ernesto Rossi, i fratelli Rosselli ecc.), la grande maggioranza tenne, nei confronti del fascismo, un atteggiamento equivoco e di sostanziale complicità. Bisogna distinguere tre fasi: quella di ascesa del fascismo, dal 1919 al 1924; infine la fase del regime, dal 1925 in poi. Nella prima fase, gli intellettuali, anche alcuni di quei liberali che poi presero le distanze dal fascismo, come ad esempio Benedetto Croce, assunsero un atteggiamento ambiguo nei confronti del fascismo reputandolo utile a sconfiggere il socialismo, considerandolo insomma come un male necessario nella realtà italiana. Dopo l’omicidio Matteotti ci fu la crisi del fascismo che, per qualche mese, si trovò sostanzialmente isolato e molti intellettuali, che avevano aderito al fascismo o lo avevano sopportato come un male necessario, se ne distaccarono. Dopo il discorso di Mussolini alla Camera del 3 gennaio 1925, con cui il capo del fascismo annunciava l’avvento del regime dittatoriale vero e proprio, tuttavia la maggior parte degli intellettuali offrì il suo contributo al consolidamento del regime o per consapevole adesione alla sua dottrina o per timore o per semplice calcolo utilitaristico. Fatto sta che il Manifesto degli intellettuali fascisti, proposto nel marzo del 1925 da Giovanni Gentile, venne sottoscritto dalla maggioranza degli intellettuali italiani.



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