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Saggio breve sulla Libertà di Stampa

Ambito politico-giuridico
Tra i fondamentali diritti di libertà e storico pilastro della democrazia è la libertà di stampa. Lo studente scriva un breve saggio su come oggi la libertà di stampa, tutelata dall'articolo 21 della nostra Costituzione repubblicana, si completi con il diritto ad un’informazione corretta e rispettosa dei lettori, oggi purtroppo insidiata da alcuni pericoli.

Il saggio può articolarsi nei seguenti punti:
  • L’art. 21 della nostra Costituzione.
  • La libertà di stampa nel passato.
  • Cosa s’intende per libertà di stampa.
  • La stampa è il quarto potere.
  • L’influenza del potere politico sulla stampa.
  • L’esigenza di un pluralismo dell’informazione stampata.
  • Conclusioni.

1) L’articolo 21 della Costituzione repubblicana italiana recita: “Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censura”.
La legge prescrive inoltre che si possa procedere a sequestro dell’attività di stampa periodica solo in caso di delitti o di violazione delle norme che la legge stessa impone e previo l’intervento dell’autorità giudiziaria o, alla occorrenza della polizia giudiziaria, la quale deve sporgere immediata denuncia all’autorità giudiziaria che ha ventiquattro ore di tempo per convalidarla; alla scadenza di tale periodo prefissato, il sequestro può considerarsi revocato e privo di ogni effetto.

2) La libertà di stampa, uno dei diritti fondamentali che uno Stato democratico riconosce ai propri cittadini, fu codificata per la prima volta nel nostro Paese nel 1848 nell'ambito dello Statuto Albertino che, come si sa, successivamente fu assunto a fondamento della legislazione del Regno d’Italia. Tale regolamentazione non venne, però, riconosciuta dal fascismo che cancellò ogni libertà, inclusa ovviamente quella d'espressione, rilegittimata solo dopo la fine della seconda guerra mondiale, con la proclamazione della Repubblica italiana.

3) Parlare di libertà di stampa in termini costituzionali significa permettere a tutti di esprimere liberamente attraverso lo scritto il proprio pensiero, senza pericolo di censura o di alcuna sanzione penale; ma il pensiero scritto, per avere una qualche valenza politica e sociale, deve essere recepito da un gran numero di persone: ecco quindi il ricorso ai mass-media, che permettono la comunicazione delle idee ad un vasto pubblico.
Il passaggio, rapido ed obbligato, da una concezione personalistica della libertà di stampa ad una, per così dire, “mass-mediale” sembra quindi essere sancito, anche se in maniera implicita, dalla nostra Costituzione.
Quest’ultima favorisce inoltre il libero confronto d’idee, anche se diverse tra di loro, ai fini dell’elevazione culturale, civile e sociale dell’intera collettività nazionale; afferma il diritto di tutti ad esprimere il proprio pensiero mediante la stampa e gli altri mezzi di comunicazione ed infine esige trasparenza sulle fonti che finanziano gli organi di stampa.
Libertà di stampa vuol dire non solo libera trasmissione o circolazione d’idee, ma anche e soprattutto facoltà d’informare, di veicolare fatti e notizie in piena autonomia, di fornire cioè un servizio efficace ed affidabile all'utenza  Se scrivere senza impedimenti di alcun tipo è un diritto dei giornalisti, farlo nel rispetto dei fruitori è un dovere: garantire un’informazione attendibile, completa, non faziosa,, spiegata nei minimi dettagli, è infatti il presupposto per uso corretto della libertà di stampa. Visto il ruolo di primo piano rivestito attualmente dai giornali, come mezzi d’informazione di massa, il problema fondamentale non è tanto difendere la libertà d’espressione come diritto individuale della persona, che rischierebbe di diventare qualcosa d’astratto, quanto piuttosto evitare che la proprietà delle testate giornalistiche sia concentrata in poche mani. Infatti, nonostante la tutela legislativa, in Italia, come in quasi tutti i paesi industrializzati dell’Occidente, la reale minaccia alla libertà di stampa è rappresentata proprio da un eventuale monopolio esercitato sugli organi di stampa dai grandi potentati economici e finanziari.

4) La stampa costituisce il quarto potere, dopo quelli tradizionali dello Stato, ed è pericoloso che esso venga gestito da pochi. Dietro i quotidiani a maggiore tiratura nazionale, vi sono noti colossi dell’economia italiana: ad esempio il gruppo FIAT è proprietario del quotidiano di Torino La Stampa, il gruppo Berlusconi de Il Giornale di Milano ecc.
Senza potenti finanziatori alle spalle, qualsiasi tentativo di offrire un’informazione alternativa ai lettori è destinato a fallire, come avvenuto, ad esempio, con il giornale satirico Cuore, molto apprezzato dai giovani, ma chiuso per mancanza di fondi.
Con gli interessi politici ed economici finiscono per condizionare il lavoro dei giornalisti ed i contenuti stessi dei giornali: non sempre è rispettata la reale opinione di chi scrive ed il modo, in cui alcune notizie vengono trattate, risente dell’influenza esercitata da chi finanzia.

5) Anche il potere politico può insidiare la libertà e la correttezza dell’informazione: pensiamo alle pressioni esercitate dalle forze politiche, sia di governo sia d’opposizione, su giornalisti, di giornali come di reti televisive per presentare certe notizie in modo favorevole alla propria parte politica. La faziosità è da sempre il rischio dell’informazione politica: conseguentemente i partiti dovrebbero poter far conoscere i loro orientamenti esclusivamente attraverso i propri organi di stampa ed i comunicati ufficialmente consegnati alle redazioni degli altri giornali e dei telegiornali, senza invadere altri spazi.

6) Nasce pertanto l’esigenza di un sostanziale pluralismo dell’informazione stampata che garantisca il rispetto dei lettori: affidare la gestione degli organi di stampa ad una pluralità di soggetti significa anche favorire una sana concorrenza tra le varie testate giornalistiche, spinte così ad un maggior impegno nella ricerca dell’oggettività, della correttezza dell’informazione e dell’attendibilità delle notizie riportate.
E’ senza dubbio necessario tutelare, attraverso la Costituzione, la libertà di stampa, ma è ancor più doveroso impedire che il cosiddetto quarto potere sia monopolizzato da pochi e non distribuito tra tanti soggetti.
Se la libertà di stampa si pone al servizio dei potentati dell’economia e della finanza, finisce per negare se stessa: non bisogna dimenticare che le sue radici affondano in quella libertà di pensiero e d’espressione che è alla base di ogni autentica democrazia.

7) In ultima analisi, quindi il diritto alla libertà di stampa deve perfezionarsi con il permettere, a chi ne è escluso per il fatto che non è chiamato ad esercitarlo professionalmente, di poter godere pienamente, oltre che del proprio diritto d’espressione, del libero accesso all'informazione  condizione questa indispensabile per l’esercizio della libertà individuale e di gruppo, nonché tra i principi fondamentali di uno Stato democratico.
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Tema sull'Eutanasia e Sperimentazioni Genetiche

Temi Svolti: Eutanasia e manipolazioni genetiche pongono problemi di coscienza non solo a medici e scienziati, ma a tutti noi.

  1. Definizione di eutanasia.
  2. Problemi giuridici, medici, umani, legati al fenomeno dell'eutanasia.
  3. I progressi della genetica.
  4. I rischi delle manipolazioni genetiche.
  5. I diritti biologici dell'individuo.
  6. Il valore assoluto della persona umana.

La parola “eutanasia” proviene dalle parole greche “eu” (= bene) e “thanatos” (= morte): significa quindi “buona parte” o “morte senza dolore”. L’eutanasia e i recenti progressi della scienza genetica hanno stimolato appassionanti dibattiti, oggetto di notevole interesse sotto il profilo etico, medico-deontologico e giuridico.
Per quanto riguarda l’eutanasia e le sue modalità di esecuzione, si è soliti distinguerla in “eutanasia attiva” e in “eutanasia passiva”. La prima consiste nell'impiego di particolari farmaci e mezzi terapeutici alla scopo di accelerare la fine del malato inguaribile ormai nella fase terminale della sua malattia; la seconda consiste invece nell'astenersi da qualsiasi azione idonea a prolungare la vita del paziente, per evitargli ulteriori inutili sofferenze. Inoltre, per quanto concerne la presenza o meno del consenso dell’ammalato, si è soliti parlare di “eutanasia volontaria” o, viceversa, di “eutanasia involontaria”.
Condizione comune delle forme di eutanasia di cui si parlato è l’esistenza di una grave e penosa malattia nella sua fase terminale. Tuttavia è sempre più difficile interpretare tali concetti adeguatamente, in quanto i rapidissimi progressi della medicina consentono di intervenire sulla vita umana, controllandone sempre più efficacemente il momento iniziale e prolungando quella terminale mediante tecniche sempre più sofisticate di rianimazione. E’ tuttora aperta la questione se la vita si esaurisca nel persistere di un certo numero minimo di funzioni vitali o se, viceversa, sia necessaria la presenza di una coscienza spirituale.
Secondo la scienza medica, la fase finale della malattia si evidenzia quando la vita manchi di coscienza e le conoscenze mediche del momento escludano la possibilità o anche solo la speranza di restituire al malato una forma di vita normale. La fase terminale suddetta si presenta quindi come una condizione patologica assolutamente incurabile, causata da malattia cui consegue la morte, che può essere solo ritardata, ricorrendo a terapie di sostentamento vitale, ma mai scongiurata.

2) Si presenta a questo punto il problema, impegnativo per la coscienza del medico, del giurista, e in genere per la coscienza umana in quanto tale, se mantenere o meno in vita, ma in una vita spesso puramente vegetativa, un ammalato: da una parte, la sofferenza dovuta alla malattia, ormai irreversibile, può suscitare l’impressione di ledere la dignità della persona umana; dall'altra parte, il dovere medico ed umano è quello di assistere e curare per evitare la morte.
D'altronde il codice di deontologia medica ribadisce tale dovere del medico, affermando che egli deve continuare ad assistere il malato ritenuto inguaribile, anche al solo scopo di lenirne le sofferenze fisiche e psichiche, di aiutarlo e confortarlo, con divieto di abbreviare la vita dell’ammalato.
La nostra legislazione non prevede assolutamente la possibilità dell’eutanasia, anzi l’atteggiamento del nostro legislatore è evidentemente orientato alla tutela della vita umana, anche nelle condizioni penose della malattia grave ed irreversibile.
Tuttavia alcuni obiettano che sarebbe necessario modificare tale normativa per scopi umanitari, vale a dire per evitare inutili e terribili sofferenze in una situazione gravemente patologica di non ritorno. In Olanda e negli U.S.A. il dibattito è aperto e, inoltre, sono stati introdotti dei meccanismi giuridici che consentono, sia pure in determinate condizioni e con procedure particolari, la pratica dell’eutanasia.

3) Per quanto riguarda le ricerche nel campo della genetica, queste hanno consentito di raggiungere utili risultati nella lotta alla sterilità coniugale, ma la possibilità di intervenire in modo sempre più ampio sull'embrione umano ha aperto il campo a possibilità di manipolazione genetica, di selezione della riproduzione umana, di predeterminazione di sesso e tipologie caratteriali, di sfondamento perfino delle barriere biologiche che impediscono in età avanzata di avere figli. Molte di queste scoperte, lungi dall'esaltare  lasciano invece perplessi, dato che è evidentemente distorcono equilibri naturali interni alla stessa specie umana e consentono situazioni psicologicamente ed eticamente ambigue.

4) Si può correre infatti il rischio, in un futuro chissà poi quanto lontano, di scindere la società in persone sane, da una parte, e persone malate, dall'altra  e di determinare, sulla base delle informazioni biologiche, chi sarà escluso da certi vantaggi sociali e chi, invece, potrà fruirne. Già varie equipe di medici e biologi sono riuscite a diagnosticare la presenza di eventuali malattie genetiche, già solo pochi giorni dopo il concepimento, su un embrione ancora di pochissime cellule; così come, ormai da alcuni anni, si è in grado di conservare per molto tempo, teoricamente per molti anni, embrioni umani congelati, magari facendoli sopravvivere alla scomparsa dei rispettivi genitori. E’ evidente che l’intervento sugli embrioni umani, se si svilupperà (e non c’è motivo di credere che ciò non avvenga), permetterà alle tecniche diagnostiche di aprire il passo a quelle terapeutiche.
La possibilità di una diagnosi così precoce significa infatti la possibilità di individuare una predisposizione alle malattie generiche in uno stadio in cui la vita è poco più di un agglomerato di cellule. In questo modo, l’uomo, e non lo scienziato ma semplicemente il medico, può definire con decisione crescente il profilo genetico di una persona.
Possiamo pensare che tutto questo non si svilupperà fino a quelle estreme conseguenze che prima sono state paventate?
Difficile pensarlo, tant'è che i legislatori francesi, di gran lunga più attenti a queste tematiche in Europa, si sono preoccupati di stilare le prime norme che definiscono i diritti del corpo umano, visto come corpo biologico non più solo come soggetto politico, cellule e non solo pensiero.
Certamente il pericolo è grande ed investe la possibilità di aprire per la prima volta una grandissima strada all'eugenetica, capace di realizzare anche sull'uomo quando da sempre praticato da giardinieri e allevatori di animali per selezionare i migliori.
Tuttavia si deve trovare il rimedio al rischio di eugenetica più nella politica, nella società civile, nella morale e nel diritto, che nelle mani degli scienziati .
Il pericolo è che un embrione di pochi giorni non potrò mai, ovviamente, suscitare le stesse emozioni di un essere già formato. L’eugenetica rischia purtroppo di avere a che fare molto con il mondo del profitto.
Una persona che ha nei cromosomi una fragilità relativa ad alcune malattie, costerà molto allo Stato o alla sua azienda, quindi nel futuro si rischierebbe di veder discriminare i più deboli. In questo scenario futuribile, resta la domanda rivolta ai ricercatori: che cosa fare? Interrompere le ricerche? Impedire che altri le facciano? Chiunque conosca il mondo della scienza sa bene che queste domande possono avere soltanto risposte negative: non si può fermare la conoscenza e non si può impedire che altri facciano ciò che la coscienza ci nega di fare. I ricercatori possono solo segnalare, assumere una posizione moralmente impegnativa, ma questo è tutto, in quanto non è in loro potere fare di più.

5) Allora la parola passa necessariamente alla politica. D'altronde siamo in presenza di una espansione dei nuovi diritti; basti notare che in leggi recenti, sentenze, documenti internazionali, si individuano nuovi diritti: diritto di procreare, diritti di un patrimonio genetico non manipolato, diritto ad una famiglia con due genitori ( di sesso diverso), diritto di conoscere la propria origine (biologica), diritto di non sapere (ad esempio le informazioni che precocemente annunciano un destino tragico), diritto alla malattia (nel senso di non essere discriminato specialmente per malformazioni o predisposizioni genetiche), diritto di morire, diritto di morire con dignità.
E’ questa una delle nuove frontiere della politica, non della scienza. La scienza e gli scienziati possono solo spostare in avanti o indietro la realtà dell’applicazione di questi diritti, ma mai determinarli.

6) Nel parlare di eutanasia e genetica, non si può prescindere dal valore assoluto della persona umana: questa non è mai strumento per altri fini, né oggetto di arbitrari interventi manipolatori.
Lo scienziato che compie in libertà le sue ricerche, il politico che fissa le condizioni di tale libertà, il giurista che valuta la fruizione di tale libertà, devono tutti fondare la loro opera su solidi principi morali che, indipendentemente dall'osservanza di una possibile confessione religiosa, affermino la centralità dell’uomo e la sua dignità.
E’ auspicabile che anche nella nostra legislazione venga introdotta una qualche possibilità di liberare da un’agonia irreversibile e penosa esseri umani inutilmente condannati a soffrire, ma questo non deve essere un fenomeno generalizzato e deve in ogni modo tutelare la dignità dell’uomo.
Analogamente devono proseguire le ricerche scientifiche in genetica e nella lotta alla sterilità coniugale, ma questo non deve significare libertà di violare le norme della naturale che garantiscono gli equilibri della nostra specie e che consentono all'individuo condizioni di normalità affettiva e psicologica.
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Ricerca: La Fame nel Mondo

Il problema della fame nel mondo resta ancora oggi drammatico e richiede urgenti misure di cooperazione fra gli Stati per essere concretamente avviato a soluzione.

  1. La contraddizione tra l'opulenza dei pochi e la miseria dei molti.
  2. Le conseguenze della mondializzazione dell'economia.
  3. Lo scambio ineguale e il peso del debito.
  4. Il rovesciamento delle aspettative di progresso.
  5. L'aggravarsi delle condizioni dei Paesi del Terzo Mondo.
  6. Due prospettive sul problema della fame nel mondo.
  7. La necessità della cooperazione internazionale.

1) Il mondo è attraversato da inquietudini e tensioni profonde, con contraddizioni e squilibri rilevanti tra le esigenze di sviluppo generale ed ostacoli alla sua attuazione. La via del progresso sociale ed economico è lastricata da innumerevoli ostacoli che si frappongono al desiderio di libertà degli individui e dei popoli, alla loro volontà di emancipazione e alle loro aspettative di benessere.
Sistemi di organizzazione sociale repressivi ed autoritari, egoismi di gruppi e di Stati, nuove aberranti forme di schiavitù e di dominio psicologico, economico e politico rappresentano ancora oggi delle barriere di tante ricchezze e di ampie possibilità economiche; eppure la maggior parte degli uomini soffre la miseria e la fame in condizioni di possibilità economiche, disponibilità e abitudini alimentari dei popoli ricchi ed evoluti, da una parte, e l’estrema condizione di bisogno dei Paesi sottosviluppati dall’altra, è uno degli elementi che più gravemente turbano sia la coscienza dell’uomo moderno sia le stesse possibilità di pace universale. All'opulenza di alcune nazioni, allo spreco di beni sovrabbondanti e superflui da parte di alcuni popoli, si contrappongono la morte per fame, le malattie, il dolore, l’impossibilità di progredire, sul piano della civiltà, da parte degli abitanti della maggior parte del Pianeta. E’ la stessa contraddizione, in fondo, che si nota, tra lo sviluppo della scienza, della tecnica, dell’industrializzazione, dell’educazione, dell’economia degli Stati più avanzati e potenti, e l’arretratezza, l’immobilismo l’analfabetismo delle popolazioni condannate ad essere emarginate dal flusso della storia contemporanea.

2) Lo scenario sta diventando sempre più tragico: una minoranza vive arroccata a difesa dal suo castello pieno di privilegi, circondata da una massa di diseredati. Le statistiche dell’ONU sullo sviluppo dell’economia mondiale rilevano che oltre l’8% della ricchezza mondiale è controllato da un quinto della popolazione mondiale contro appena l’1% detenuto dai Paesi più poveri. E’ ormai incontestabile che la forbice del divario fra Nord e Sud del pianeta si stia allargando sempre di più e che la cosiddetta mondializzazione dell’economia, sotto l’imperio della legge del mercato, favorisca di fatto questa discriminazione, alimentando lo scambio ineguale tra Paesi ricchi, esportatori di merci ad alto valore aggiunto, e Paesi poveri, che possono contare solo sulla loro manodopera e sulle loro materie prime.

3) Alimentato da tale scambio ineguale, s’instaura un paradossale trasferimento di risorse economiche, finanziarie e umane dai poveri agli opulenti: basti pensare come l’immigrazione svuoti i Paesi del Terzo Mondo delle migliori risorse o a come il debito strangoli le loro economie, azzerando ogni abbozzo di programma economico per uscire dal sottosviluppo. Calcoli approssimati per difetto stimano in 500 miliardi di dollari il costo del servizio del debito dei Paesi del Terzo Mondo a favore dei Paesi ricchi, cioè il pagamento dei soli interessi sul debito.
I Paesi poveri non hanno la possibilità di esportare eccedenze di manodopera a bassa qualificazione per le restrizioni all’immigrazione in atto nei Paesi industrializzati, dove si preferisce accogliere tutt’al più il personale qualificato proveniente da quei Paesi, che sono così depredati ancora di più delle loro migliori risorse umane. La liberalizzazione del commercio mondiale ha funzionato solo a favore dei Paesi ricchi che, con la caduta delle barriere commerciali, hanno potuto imporre la vendita dei loro prodotti in tutto il mondo, mentre i cosiddetti Paesi in via di sviluppo non riescono a piazzare i loro in Occidente. La liberalizzazione, ad esempio, del tessile e dell’agricoltura, i tradizionali settori economici dei Paesi in via di sviluppo, è ancora oggi ostacolata dalla resistenze dei Paesi industrializzati.

4) Oggi possiamo affermare senza dubbio che le aspettative di progresso, che caratterizzavano un po’ tutta l’umanità nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale e che erano state favorite dalla vittoria della libertà sul nazi-fascismo, dall'impetuoso processo di emancipazione dei popoli colonizzati e dall'affermazione di alcune rivoluzioni nel Terzo Mondo prime fra tutte quella cinese e quella cubana, oggi si sono rovesciate e un diffuso pessimismo si è impadronito degli uomini, inducendoli a guardare con preoccupazione al futuro.
Oggi l’umanità sembra trovarsi a un bivio: nel suo insieme ha mezzi e le possibilità concrete per creare condizioni universali di pace, di libertà e di progresso, ma sembra prevalere la strada opposta dell’accentuazione dello squilibrio e delle contraddizioni, con l’aggravarsi di situazioni di oggettiva dipendenza economica e sociale e, in alcuni casi, perfino di oggettiva schiavitù e di graduale regresso. E’ incontestabile che i mercati mondiali favoriscono di fatto questa involuzione, aggravando sempre di più le condizioni di vita dei Paesi e degli strati più poveri della popolazione degli stessi Paesi ricchi, consentendo, d’altra parte, ai più ricchi di aumentare la loro opulenza. Per gli estensori dei periodici rapporti del programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, le tragiche immagini di miseria e di fame, che ogni giorno i grandi mezzi di comunicazione ci trasmettono, non sono però una calamità inevitabile: il divario tra Nord e Sud del Pianeta è provocato da una perversa gestione dei mercati mondiali che non sono, in verità, né liberi né efficienti. Quella degli estensori dei rapporti delle Nazioni Unite per lo sviluppo non è una denuncia del capitalismo, ma la rivendicazione di interventi statali e di completa riorganizzazione di tutti gli organismi internazionali, a partire dalla stessa Organizzazione delle Nazioni Unite. E’ la richiesta di una non più differibile campagna di massicci interventi nei Paesi in via di sviluppo, avente un solo obiettivo: puntare sulle risorse umane per annullare il gap che esiste nelle conoscenze e nell'uso delle nuove tecnologie.

5) Finché sul pianeta dominava il bipolarismo USA-URSS, i Paesi del Terzo Mondo avevano la possibilità, all'interno del conflitto Est-Ovest, di schierarsi con l’uno o con l’altro dei contendenti e quindi contrattare gli aiuti di cui avevano bisogno; adesso che il blocco filo-sovietico non c’è più, che anzi i Paesi dell’Europa Orientale sono diventati concorrenti nella spartizione dell’assistenza, i paesi in via di sviluppo sono in balia dei Paesi ricchi dell’Occidente e delle sue istituzioni finanziarie. Ad esempio, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, anziché diventare strumenti di reali aiuto allo sviluppo dei Paesi poveri, mettendo, ad esempio, a disposizione di questi ultimi la necessaria liquidità finanziaria per fronteggiare il loro indebitamento, hanno costretto molti Paesi del Terzo Mondo ad accettare i cosiddetti piani strutturali di aggiustamento, cioè l’adeguamento al libero mercato delle loro strutture economiche. Questo aggiustamento ha funzionato solo a senso unico, perché i Paesi in via di sviluppo sono stati costretti ad aprire le loro frontiere, ma quelli più ricchi non hanno abbassato le loro barriere commerciali nei confronti delle importazioni da quelli poveri: quest’ultimi sono stati costretti a smantellare le loro pur inadeguate strutture di protezione sociale, per poter ottenere l’accesso al credito delle banche occidentali e a tassi anche più elevati.
Tutto questo ha determinato l’avvitarsi diabolico del debito, con nuovi prestiti che vengono sottoscritti per poter pagare solo gli interessi sul debito pregresso. In questo modo, i Paesi indebitati dei Paesi ricchi è una situazione che crea una disparità incredibile sul mercato mondiale e nei rapporti di forza fra gli Stati ricchi e quelli poveri. Ma è una situazione che vede ben 850 milioni di persone soffrire per denutrizione cronica: persone che mangiano troppo poco e non soddisfano il loro fabbisogno energetico minimo, stabilito in 2.200 calorie giornaliere. I più esposti sono, come al solito, i bambini: ogni anno quasi 13 milioni di bambini sotto i 5 anni muoiono per gli effetti diretti o indiretti della fame.
Secondo i rapporti della FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’agricoltura e l’alimentazione, ben 88 sono i Paesi a basso reddito con un deficit alimentare tale da determinare diffuse situazioni di malnutrizione nella popolazione. Di questi paesi, 41 sono nell'Africa sub-sahariana, 14 in Asia e 7 in America latina. La situazione di malnutrizione causa la morte di 35.000 bambini al giorno e le stime prevedono che la popolazione mondiale, dagli attuali 6 miliardi di individui, passerà entro il 2030 a quasi 9 miliardi. S’impone quindi il problema di come garantire la sicurezza alimentare a chi attualmente soffre la fame e di come assicurare un equilibrio fra la produzione delle risorse e la loro conservazione.

6) Sulle prospettive per affrontare il problema della fame nel mondo, si scontrano oggi due tesi che riflettono un diverso modo di considerare le responsabilità della situazione presente: da una parte, c’è la tesi di coloro che puntano sulla soluzione tecnologica per aumentare la produzione, come la ricerca di nuove varietà di sementi ad alto rendimento manipolate geneticamente e, dall'altra parte, la tesi di chi sostiene che la fame non sia dovuta a mancanza di cibo, ma essenzialmente alla sua diseguale distribuzione e, pertanto, punta il dito sui problemi dell’accesso alla terra e alle acque, in particolare, del controllo dei meccanismi del commercio e della distribuzione delle risorse alimentari. Infatti i sostenitori di questa tesi affermano che oggi paradossalmente non esiste complessivamente nel mondo un deficit di risorse alimentari, anzi la produzione di cereali, di carni, di pesce, non è in assoluto deficitaria.
Sono piuttosto leggi di mercato che impediscono una distribuzione adeguata di queste risorse, poiché s’incentiva, ad esempio, la distribuzione delle eccedenze, che sono notevoli nell'agricoltura  per mantenere alti prezzi dei prodotti e ricompensare adeguatamente i produttori.

7) Oggi tutti i Paesi industrializzati destinano risorse al sostegno dei produttori agricoli e comprano consistenti eccedenze di produzione per distruggerle. Pertanto ogni proposta che voglia concretamente avviare a soluzione il problema della fame non può prescindere dall'adozione di misure che favoriscono la stabilità e l’equità del commercio internazionale. Per questo diventa indispensabile che i governi dei Paesi più ricchi, che sono anche quelli che controllano la produzione e il commercio dei prodotti alimentari, s’impegnino in un effettivo programma di cooperazione con i Paesi del Terzo Mondo, sia promuovendo l’esportazione dei prodotti alimentari nel terzo Mondo, sia promuovendo investimenti economici al fine di garantire l’autosufficienza alimentare.
E' questa una scelta di lungimiranza perché, se l'egoismo dei popoli ricchi dovesse prevalere, il mondo sarebbe fatalmente avviato a perpetuare le attuali disuguaglianze di giustizia, con grave minaccia alla pace e all'equilibrio degli stessi Paesi più ricchi. Basti pensare alla pressione dell'immigrazione e ai contraccolpi sociali che si determinerebbero al loro interno. Se invece, alla politica di potenza e di dominio economico, all'egoismo dei più ricchi, si sostituiranno la solidarietà internazionale e la cooperazione economica, si getteranno le basi per un progresso generale pacifico ed armonico, tale da avviare a soluzione i molti mali di cui ancora soffre l'umanità.
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Tema sui Fenomeni di Violenza

Temi Svolti:

In questi ultimi decenni in Italia come del resto negli altri paesi industrializzati dell’Occidente, l’esodo delle campagne e l’immigrazione nei capoluoghi di provincia, nelle città medio grandi, nelle aree metropolitane, ha prodotto nuove situazioni di conflittualità sociale.
In tutto il paese si manifesta una preoccupante ondata di violenza caratterizzata da atti di teppismo, furti, omicidi, pestaggi, taglieggiamenti.
Questo preoccupante fenomeno riflette la crisi di alcuni valori di fondo, tra cui il rispetto della vita e della proprietà altrui.
Ad aggravare la situazione si aggiunge la criminalità organizzata che si dedica soprattutto al traffico della droga e delle armi, alle estorsioni e ai rapimenti, imponendo la propria legge di violenza e di paura soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia.
Un altro preoccupante fenomeno urbano è il tifo organizzato, che rappresenta uno dei terreni di coltura della criminalità. Sugli spalti degli stadi e nelle vicinanze i tifosi stringono alleanze e complicità, assumono comportamenti aggressivi, si esercitano in atti di teppismo e di violenza che provocano danni a cose e persone. La violenza è frutto di una vita sregolata ma anche di un sistema politico che è tutt’altro che una democrazia democratica. Si può fare poco per fermare la violenza nel mondo ma se ognuno nel proprio io riuscisse a comportarsi bene già sarebbe un grande passo avanti sia per se stesso che nella società in cui vive.
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Chi era Pitagora?

Biografia in sintesi:
Pitagora, matematico e filosofo del 6° secolo a.C., nacque a Samo in Grecia, poi si trasferì a Crotone nella Magna Grecia, dove fondò la prestigiosa scuola pitagorica.
A questa scuola vengono attribuiti studi matematici di notevole importanza; famosa è la dimostrazione note come teorema di Pitagora.
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Le Terne Pitagoriche

Per determinare le basi delle piramidi o per fissare i limiti di qualche terreno, gli antichi Egizi ricorrevano spesso alla costruzione dell’angolo retto.

Ma come procedevano?
Usavano il metodo della corda: prendevano una corda suddivisa con dei nodi in dodici unità di lunghezza, fissavano nel terreno due paletti alla distanza di quattro unità, poi, come è rappresentato nella figura, sistemavano una parte della corda intorno ai due paletti e tendevano le parti di tre e di cinque unità finché i due estremi si incontravano in un punto dove veniva posto un terzo paletto.

Il triangolo che si ottiene è rettangolo e i tre numeri corrispondenti alle unità dei lati sono tali che:

3² + 4² = 5²

Si pensa che altri triangoli rettangoli siano stati individuati dagli antichi; agli indiani e ai Cinesi si attribuisce la scoperta del triangolo rettangolo con i lati costituiti da 5, 12 e 13 unità di lunghezza e ai Babilonesi quello con i lati formati da 18, 24, 30 unità.

Anche per queste terne che, come quella precedente, sono chiamate terne pitagoriche, dal nome del famoso matematico greco Pitagora, si ha che:

5² + 12² = 13²

18² + 24² = 30²

Cioè il quadrato del numero maggiore è uguale alla somma dei quadrati degli altri due numeri.
Le terne 3, 4, 5 e 5, 12, 13 sono dette primitive perché costituite da numeri primi fra loro.
Ora se moltiplichiamo e dividiamo per 2 i numeri di queste terne, possiamo facilmente verificare che:

6² + 8² = 10²
1,5² + 2² = 2,5²
10² + 24² = 26²
2,5² + 6² = 6,5²

In generale, possiamo dire che da una terna primitiva possiamo ottenere un’altra terna pitagorica moltiplicando o dividendo per uno stesso numero, diverso da 0, tutti i numeri della terna.
Se vogliamo trovare terne primitive dobbiamo sostituire a n un numero maggiore o uguale a 2 nelle seguenti formule:

a = n

b = (n² - 1) / 2

c = (n² + 1) / 2

Con questa regola intuita da Pitagora possiamo ottenere terne pitagoriche primitive formate da tre numeri, a, b, c tali che:

a² + b² = c²

Ad esempio, se n = 7 otteniamo:

a = 7

b = (7² - 1) / 2 = 24

c = (7² + 1) / 2 = 25

Verifichiamo ora che i numeri 7, 24 e 25 primi fra loro, costituiscono una terna pitagorica:

7² + 24² = 25²

infatti:

49 + 576 = 625
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Tema: Fenomeni di Miseria

Temi svolti:

Un ulteriore problema delle aree urbane è l'estrema povertà che colpisce alcune fasce della popolazione. Essa è radicata in particolare fra gli immigrati dei paesi sottosviluppati, i soggetti senza fissa dimora e gli zingari. Agli extracomunitari sono riservati in genere i lavori più umili e pesanti, ma molti di essi restano disoccupati o sono impiegati nel cosiddetto lavoro nero, cioè sottopagato e privo di qualsiasi tutela previdenziale e sindacale. Sprovvisti quasi tutti di una casa, trovano alloggio per lo più in dormitori di fortuna, senza i servizi igienici, l'acqua, la luce, il riscaldamento.
A questa condizione di difficoltà materiale si aggiungono altri gravi problemi, come quello della lingua, che ostacola la conoscenza delle leggi, l'adeguamento alla mentalità corrente, l'inserimento dei bambini nella scuola.
Le persone senza fissa dimora sono rappresentate in genere da coloro che vivono nel più completo isolamento, in condizioni di grave emarginazione. Si tratta dei cosiddetti barboni, i quali considerano la strada la loro casa, dormono di solito nei giardini pubblici, sotto i ponti, nei pressi delle stazioni. Le loro fonti di sussistenza più comuni sono l'accattonaggio e i paesi distribuiti dalle amministrazioni comunali e dalle associazioni del volontariato.
Gli zingari, infine, sono un'etnia composta da comunità sedentarie o itineranti. I loro problemi sono connessi ai campi-sosta alle particolari forme di lavoro che svolgono (suonatori, venditori ambulanti, artigianato), alla difficoltà dei loro figli di frequentare la scuola e di stabilire rapporti sociali positivi nell'ambiente in cui vivono a causa dei loro costumi e del forte attaccamento  alle loro tradizioni culturali.
Negli ultimi anni, in Italia si sta avendo un'invertimento di tendenza, se prima erano gli extracomunitari, adesso invece sono gli italiani che a causa appunto dell'approdo di gente straniera che si accontenta di guadagnare poco per poi ritornare al proprio paese, non riesce a trovare un lavoro che gli possa garantire di sfamare una famiglia e quindi di condurre una vita normale.
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Preistoria in Italia - Riassunto

Riassunto di storia

Se osserviamo la carta fisica dell’Italia, notiamo una grande varietà di ambienti naturali: pianure fertili, fiumi, colline, montagne.
La nostra penisola penetra profondamente nel Mediterraneo. Le lunghissime coste, ricche di insenature naturali, sembrano fatte apposta per favorire la navigazione, e sono a poca distanza da zone di antica civiltà. Durante la bella stagione, imbarcazioni anche rudimentali possono varcare i tratti di mare che separano l’Italia dalla penisola balcanica e dal Nord Africa.
A nord la grande catena delle Alpi, profondamente solcata da ampie vallate, non ha mai rappresentato un ostacolo per chi arrivasse dall'Europa centrale e settentrionale. Non dobbiamo dunque stupirci se l’Italia sia stata caratterizzata fin dalle epoche più antiche da una grande varietà di popoli e culture.

Il popolamento dell’Italia risale alle prime fasi dell’età della pietra. Le prime tracce di presenza umana datano oltre un milione di anni fa e sono riferibili all'Homo erectus, un nostro antico antenato che usava rozzi strumenti in pietra.
Man mano che ci avviciniamo al nostro tempo, i ritrovamenti si fanno più frequenti. In una grotta del monte Circeo, nel Lazio, è stato trovato un esemplare dell’Uomo di Neanderthal, un antico tipo di uomo già capace di costruire complessi attrezzi in pietra (circa 75000 anni fa).
La località ligure dei Balzi Rossi, vicino al confine francese, fu frequentata dall'uomo per oltre 200000 anni. Alcune sepolture databili intorno a 20000 anni fa mostrano il ricco corredo di oggetti decorativi indossati dai defunti.
Un patrimonio artistico particolarmente interessante è rappresentato dalle incisioni rupestri della Val Camonica. Migliaia di graffiti su rocce rappresentano la vita di popolazioni vissute alcune migliaia di anni fa. E’ difficile stabilire l’età di queste incisioni, ma le più antiche risalgono forse agli ultimi tempi dell’età della pietra.
All'inizio dell’età dei metalli (circa dal 2000 al 1600 a.C.) risalgono i villaggi su palafitte della Pianura Padana. Numerosi insediamenti nascevano nelle zone umide e fertili dell’Emilia e della Romagna.
Le costruzioni in legno e frasche, decomponendosi col tempo, hanno lasciato le cosiddette terramare, depositi di materiale organico che furono sfruttati per secoli come fertilizzante prima che ne venisse riconosciuto il valore archeologico.

Nell'ultima fase della preistoria cominciano a comparire civiltà con caratteri locali chiaramente riconoscibili. Nel resto d’Europa questa è l’età dei megaliti (= grandi costruzioni in pietra), di cui abbiamo moltissimi esempi dalle isole britanniche a Malta.
Una civiltà megalitica con aspetti particolari si affermò in Sardegna, dove ancor oggi si possono vedere grandi costruzioni a forma di torre, i nuraghe. L’immagine di questo popolo ci è stata tramandata da statuette in bronzo che raffigurano guerrieri.
A nord-ovest invece si insediarono i Liguri, un popolo di montanari e guerrieri, che occupava un’area molto più vasta dell’attuale Liguria: la Provenza, gran parte dell’arco alino occidentale, il Piemonte, l’Appennino ligure.
I Liguri mantennero a lungo propri caratteri culturali, opponendosi alle influenze straniere, e resistettero aspramente alla conquista romana. La loro immagine è fissata nelle statue tele, figure di guerrieri su lastre di pietra.
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Tema sull'Educazione Sessuale

Temi svolti: Dell'esigenza dell'educazione sessuale impartita dalle scuole.

Educare significa condurre sulla retta via qualcuno affinché possa affrontare con maggiori possibilità le varie problematiche che della vita con sano senso di responsabilità e raziocinio.
Diventa assai importante affrontare senza falsi pudori lo studio della fisiologia sessuale ma soprattutto non aridamente e parzialmente. Questo stadio successivo che interessa la psicologia giovanile per la sua importanza di base è l'aspirata educazione sessuale.
Giornali, radio, tv, sbandierano l'argomento, riproponendo all'attenzione degli educatori anche il fatto che l'AIDS sta mietendo vittime.
Donde utilità pratica e conoscere il proprio corpo con influssi indubbi sulla strutturazione della personalità, si presentano alla riflessione del docente e della comunità intera, in maniera scottante oggi più che ieri. Ricordiamoci che i rudimenti del sesso, sovente distorti, il giovane li apprende per strada, questo sia detto per inciso affinché non sfugga alla nostra attenzione.
Impariamo da certe istituzioni straniere o italiane (riunioni di quartiere e di genitori suscettibili a tali problematiche). Si invitano dapprima psicologi, medici ed esperti i quali insegnano ai genitori come affrontare le domande imbarazzanti senza che provino scandalo e si preparino ad un dialogo sul sesso e le sue ripercussioni se mal interpretato sulla personalità. Al di là dell'aspetto fisiologico o delle notizie che si trovano su certi giornaletti che vanno in mano all'adolescente, esiste la via radicale nevvero parlare chiaro e con amore di un fattore sì delicato, senza slegarlo dagli aspetti psichici.
Dall'educazione all'igiene,a che cosa sono e provocano i contraccettivi nonché il sesso selvaggio o l'aborto: tematiche infinite sempre da inserire in un più vasto contesto non distorcente e inquinato.
I pareri di tutti i genitori non collimano anzi sono contrastanti: chi, da un lato, auspica una educazione sessale materia obbligatoria nelle scuole e chi, dall'altro canto, persiste nel tacere su certi argomenti considerati scabrosi e pericolosi.
Mi torna in mente una frase di Fra Cristoforo quando riceve Lucia e la madre nel convento ed un frate si scandalizza ed il celebre personaggio manzoniano esclama: omnia munda mundis, ovvero chi è pulito di cuore non può temere.
Qualsiasi argomento può venir trattato come scandaloso e scabroso. Pericolo esiste semmai nel far sembrare il sesso come vergognoso, lì si avranno davvero storture da non augurare a nessun figlio o figlia. Anzi, tacendo ed ignorando, si incuriosisce il giovane, si fa apparire una cosa naturale come sporca, si potenzia l'insana malizia.
Dalle scuole elementari, ed esistono seri libri di editrici cattoliche e laiche, si dovrebbe iniziare con cautela a parlare delle differenze fisiologiche e non solo tra uomo e donna e non mentire vergognosamente. Si può, con il suddetto atteggiamento, evitare che il fanciullo giunga a conclusioni personali sbagliate ed incorra in tabù inibenti, nonché paure immotivate.
Ovviamente tali aspetti toccano altri frangenti, secondo i quali, caso per caso, bisognerà impartire interpretazioni diversificate. V'è da tener conto della maturità mentale e di quella affettiva degli alunni, la loro disponibilità ad accettare determinate tematiche in maniera serena, non angosciante, non tralasciando l'ambiente e la famiglia in cui il giovane si trova a vivere.
I genitori restano di certo la prima fonte di una esperienza unica per il giovane: dalla loro propensione a parlare francamente, ad eliminare certe cariche ansiogene sovente dipende il futuro autonomo del giovane. Affrontare con tranquillità, abituando il figlio a capire ciò che è retto da ciò che è perverso, le tematiche di vita vera è già una grande lezione non solo per il figlio ma per gli stessi genitori che avranno certamente meno dispiaceri in futuro nonché più stima dei figli.
E' innegabile nascondercelo: il sesso riveste un ruolo nella vita molto importante eppure esistono dei forti pregiudizi nell'affrontarlo e si sente tale timore in certe frasi tipo come ho imparato io da solo, così imparerà anche mio figlio.
Ma se si è in grado di dare maggiori pungoli educativi, perché negarlo?
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Problema sul Perimetro del Rombo

Sono dati due rombi: l'area e la diagonale minore del primo quadrilatero sono rispettivamente 840 cm² e 24 cm. La diagonale maggiore del primo rombo è congruente alla diagonale minore del secondo rombo. Sapendo che la diagonale maggiore è i 12/5 della minore, calcola il perimetro del secondo rombo.
[Soluzione: 364 cm]

Svolgimento:

DATI:
A = 840 cm²
d1 = 24 cm
d1 = D2
D1 = 12/5 d1


Per prima cosa ci troviamo il valore della diagonale maggiore del primo rombo.
D1 = 2A / d1 = 1680 / 24 = 70 cm


Adesso ci possiamo calcolare anche la diagonale maggiore del secondo rombo, dato che conosciamo la diagonale minore il cui valore è 70.
D2 = (70 : 5) x 12 =  168 cm


Con questa formula, che non so' se la conosci, ci troviamo il lato.
l = √ (D/2)² + (d/2)² = √ (168/2)² + (70/2)² = √ 7056 + 1225 = 91 cm


Al solito per calcolare il perimetro devi fare semplicemente la somma dei 4 lati che essendo tutti uguali basta semplicemente fare:

P = l x 4 = 91 x 4 = 364 cm
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Formule del Parallelogramma


Si chiama parallelogramma un quadrilatero avente i lati opposti paralleli.

AB || DC
AD || BC

La distanza fra un lato assunto come base e il suo lato opposto, si chiama altezza del parallelogramma relativa alla base considerata. Naturalmente ogni lato può essere assunto come base.

Per esempio nel parallelogramma ABCD:
DH = è l'altezza relativa alla base AB

Per diagonali si intendono DB e AC, ciascuna diagonale divide il parallelogramma in due triangoli che coincidono perfettamente e quindi sono congruenti.

Possiamo dire che i lati opposti sono congruenti e anche gli angoli opposti sono congruenti.
AB = DC;   AD = BC
A = C;   B = D

Il punto di incontro delle due diagonali si chiama centro del parallelogramma.

A + B = 180°;
B + C = 180°
C + D = 180°

In un parallelogrammo gli angoli adiacenti a ciascun lato sono supplementari.


Formule del Parallelogramma

A= area, p= perimetro, b= base, h= altezza, l= lato obliquo, d= diagonale.

Perimetro = 2l + 2b
Base = (p - 2l) / 2
Base = A / h
Lato obliquo = (p - 2b) / 2
Altezza = A / b
Area = b x h
Diagonale = √b² + l²
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Calcolare i lati di un triangolo isoscele

La base di un triangolo isoscele è i 3/5 del lato obliquo. Sapendo che il perimetro è 81,9 calcola la misura dei lati.

Svolgimento:
Si divide il perimetro in parti uguali secondo il rapporto frazionario che c'è tra i tre lati del triangolo.

81,9 = base ( 3 parti ) + lato ( 5 parti ) + lato ( 5 parti ) = 13 parti uguali

81,9 / 13 = 6,3 cm --- lunghezza di una parte, l'unità frazionaria

6,3 * 3 = 18,9 cm --- base

6,3 * 5 = 31,5 cm --- lato obliquo
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Come si calcolano Area e Perimetro del Rettangolo

In un rettangolo la diagonale misura 16 cm. L'altezza misura 12 cm. Calcola la misura del perimetro e dell'area.


Svolgimento:

Avendo l'altezza e la diagonale, all'interno del rettangolo si forma un triangolo e quindi devi applicare il teorema di Pitagora e così trovi la base.


Quindi tu devi fare:

BASE = √16² - 12² = √256 - 144 = 10,58 cm


Fai la somma dei quattro lati che sono uguali a due a due.
P = 10,58 + 10, 58 + 12 + 12 = 45,16 cm

Infine moltiplichi la base per l'altezza e ti trovi l'area del rettangolo.
A = base x altezza = 10,58 x 12 = 126,96 ---> arrotondiamo 127 cm²
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Origine del nome Italia

Il poeta romano Virgilio, vissuto nel I secolo a.C., così scriveva: C’è un luogo che i Greci chiamano Esperia (cioè terra d’Occidente). E’ una terra antica, potente nelle armi e molto fertile nel suolo. Ci fu un tempo in cui si chiamò Enotria (cioè terra del vino).
Ma è fama che adesso i suoi abitanti la chiamino Italia dal nome di un eroe di quel luogo (cioè il mitico Italo).
Fin qui la tradizione. Quel che possiamo aggiungere è che in origine il termine Italia indicava l’estremità meridionale della penisola, corrispondente ad una parte dell’attuale Calabria. Nel corso dell’antichità, venne, man mano applicato a tutte le terre a sud delle Alpi.
L’autentica origine della parola Italia risulta invece sconosciuta. Sappiamo solo che gli scrittori antichi come, Virgilio, la facevano risalire ad un eroe chiamato Italo. Questi avrebbe introdotto l’agricoltura nel meridione.
E’ molto probabile che il mito di Italo sia stato inventato successivamente, per spiegare il termine Italia di cui nessuno ricordava l’origine.
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Distanza dei centri di due circonferenze tangenti

la distanza dei centri di due circonferenze tangenti esternamente misura 12 cm. calcola la misura dei due raggi sapendo che è uno il doppio dell'altro.

Svolgimento:
Le circonferenze sono fra loro tangenti esternamente se la distanza fra i due centri e' uguale al valore della somma dei due raggi.

d=r+r'
d=12
r=2r'
12=2r'+r'
120=3r'
r'=12/3=4
r=2(4)=8
diametro= 4x2=8
diametro = 8x2=16
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Rettangolo isoperimetrico a un triangolo

Un rettangolo è isoperimetrico a un triangolo equilatero avente il lato lungo 34cm. Calcola la lunghezza delle dimensioni del rettangolo sapendo che sono una quadrupla dell' altra.

Svolgimento:
Per definizione isoperimetro significa che il perimetro del rettangolo è uguale a quello di un triangolo.

P = 34 x 3 = 102 cm (Perimetro sia del triangolo che del rettangolo)

b = x (base del rettangolo)
h = 1/4 x (altezza del rettangolo)

Risolviamo con una semplice equazione:

1/4x + 1/4x + x + x = 102
fai il minimo comune multiplo e poi isola la x, il risultato finale sarà 40,8 cm (Base)

h = 40,8 : 4 = 12,75 cm

P = 12,75 + 12,75 + 40,8 + 40,8 = 102 cm (Risulta perché è uguale al triangolo).
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Nomadi e Sedentari: differenze

Le nuove tecniche dovute alla rivoluzione neolitica si diffusero con velocità molto diverse nelle varie regioni della Terra. Alcuni popoli rimasero per lungo tempo legati ai vecchi modi di vita: la caccia e la raccolta.
Questi popoli non vivevano sempre nello stesso territorio: erano nomadi. L'arrivo dell'inverno, per esempio, riduceva la disponibilità di selvaggina e di vegetali e li obbligava a trasferirsi in un'altra zona.
I popoli che si dedicarono prevalentemente all'agricoltura, invece, si fissarono in modo stabile in un determinato territorio. Questi popoli che abitano sempre nello stesso luogo si definiscono sedentari.
Altri popoli, infine, si diedero soprattutto alla pastorizia. Questi erano continuamente alla ricerca di pascoli e di acqua per il loro bestiame. Perciò si spostavano da un territorio all'altro: anch'essi nomadi.



Le differenze:

In tutta la storia antica noi troviamo la rivalità fra popoli sedentari e popoli nomadi.
I popoli sedentari avevano una vita organizzata, sicura per quanto era possibile a quei tempi, ma spesso non libera.
I nomadi avevano un minor benessere ma erano più liberi.
I popoli sedentari conobbero presto la differenza tra ricchi e poveri, l'oppressione e la schiavitù.
I nomadi, nei loro continui spostamenti, divennero non solo pastori, ma spesso mercanti o predoni.



Crebbe la popolazione e si svilupparono villaggi e città

L'agricoltura e l'allevamento migliorarono decisamente le condizioni di vita. Gli uomini ebbero a disposizione più cibo. Ciò determinò un aumento della popolazione.
Nacquero comunità più ampie. Sono stati trovati resti di numerosi villaggi dell'età neolitica che potevano contenere centinaia di persone.
Le case erano costruite utilizzando i materiali che il territorio metteva a disposizione: legno, pietra, fango seccato, paglia.
Quando le case sorgevano in riva ad un fiume o ad un lago erano appoggiate su pali di legno conficcati dove l'acqua era poco profonda.
Queste abitazioni sono dette palafitte. Aiutavano l'uomo a difendersi dalle bestie feroci e dall'umidità.
Quasi 10000 anni fa in Medio Oriente nacquero comunità più grandi che possiamo già chiamare città.
A Gerico, in Palestina, si possono ancora vedere tracce di un'antichissima città risalente all'8000 a.C.
In Anatolia, presso un villaggio turco attualmente chiamato Catal Huyuk, gli scavi archeologici hanno portato alla luce una antichissima città neolitica. Essa poteva ospitare più di cinquemila abitanti.



I villaggi favorirono lo sviluppo del commercio

La rivoluzione neolitica spinse le comunità umane a diventare sedentarie. Ciò rese necessario il commercio: divenne indispensabile, infatti, ottenere prodotti che non si potevano trovare nel proprio territorio. Lo sviluppo del commercio fu favorito anche dalla specializzazione del lavoro: gli uomini cioè iniziarono a svolgere un solo tipo di lavoro. Per esempio, al contadino servivano i prodotti dell'allevatore o dell'artigiano, e quindi offriva i propri prodotti in cambio di ciò di cui aveva bisogno.
Questa forma di scambio è chiamata baratto: perché si dà una cosa in cambio di un'altra, senza utilizzare il denaro.
Il trasporto terrestre era molto lento e difficoltoso. Le merci venivano trasportate sul dorso degli animali. Le strade erano semplici piste battute e in parecchi mesi dell'anno non potevano essere utilizzate per la pioggia o la neve.
Per questi motivi risultava più conveniente caricare i prodotti su barche e navigare lungo le coste del mare o nei fiumi. Molti villaggi, infatti, sorgevano sulle rive del mare o lungo i fiumi. E probabilmente già alla fine del paleolitico gli uomini riuscirono a costruire delle barche.
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Riassunto: Il Neolitico

La fine dell’ultima glaciazione (10.000 a.C.) trasformò completamente il paesaggio della Terra.
L’Europa si coprì di un’unica, sterminata foresta. Il livello del mare s’innalzò. Si formarono così nuove isole, come la Sicilia che fino ad allora era unita al continente.
Le terre meridionali diventarono più calde e meno ospitali. Il Nord Africa incominciò a perdere la sua ricca vegetazione, e si formò il deserto del Sahara. E’ in questo nuovo paesaggio che ebbe inizio l’ultima fase dell’età e della pietra. Questo periodo va dall’VIII al IV millennio a.C. Viene chiamato età neolitica (nuova età della pietra) a causa dell’uso di una nuova tecnica nella lavorazione della pietra.
Una volta che l’oggetto aveva ottenuto la forma voluta attraverso la scheggiatura, veniva pazientemente levigato. Si otteneva così una superficie liscia ed una forma spesso arrotondata. Nel neolitico si diffusero anche altri materiali e nuove tecniche. Nacque la tessitura: fibre animali e vegetali intrecciate per ottenere stuoie, tappeti, tessuti di vario genere.
Comparve la ceramica. L’argilla dei fiumi veniva modellata ed essiccata; poi l’oggetto era messo in una buca nel terreno e ricoperto di brace ardente. La cottura induriva l’argilla, che non veniva più rammollita dall'acqua. Vasi in ceramica divennero contenitori per ogni genere di prodotti, liquidi e solidi.

All'inizio dell’età neolitica l’osservazione della natura portò ad una grande scoperta. I semi di alcune piante, caduti per caso sul terreno germogliavano e davano vita a nuove piantine.
Dove la terra era più fertile, diveniva conveniente fermarsi a vivere e provocare la crescita delle piante di cui gli uomini si cibavano. Iniziava l’agricoltura.
Più o meno nel medesimo periodo gruppi di cacciatori trovarono conveniente non uccidere subito gli animali che avevano catturato, ma tenerli in vita fino al momento di cibarsene. Questa fu l’origine dell’allevamento del bestiame.

La scoperta dell’agricoltura e dell’allevamento causarono un cambiamento profondo nel modo di vita dell’uomo. Per questo si parla di rivoluzione neolitica.
L’agricoltura e l’allevamento hanno modificato anche la natura. L’agricoltore coltiva più volentieri la varietà di grano che fornisce il maggior numero di chicchi; l’allevatore preferisce la pecora che gli dà più lana, il bovino che lo segue più docilmente al pascolo.
SI sono così diffusi gli animali e le piante che meglio soddisfano i bisogni dell’uomo. Le specie domestiche, quelle allevate e coltivate dall'uomo  si sono affermate. Esse non potrebbero più vivere da sole in natura, senza essere continuamente curate dall'uomo.

Già prima della scoperta dell’agricoltura gli uomini raccoglievano radici selvatiche scavando la terra. Usavano un bastone appuntito che portava vicino all'estremità inferiore un peso in pietra per aumentare la forza con cui veniva spinto nel terreno. Altri tipi di piante selvatiche venivano raccolti con una specie di falce. Questa falce era formata da un bastone di legno in cui veniva incastrata, nel senso della lunghezza, una fila di sottili scaglie di pietra: si otteneva così una lunga lama tagliente.
Questi attrezzi vennero poi utilizzati dai primi agricoltori, insieme con vari tipi di zappe e asce in pietra. Si deve invece attendere la fine del periodo neolitico per incontrare i primi aratri. La rivoluzione neolitica trasformò completamente la vita quotidiana della gente comune.
La stragrande maggioranza della popolazione del mondo da allora in poi rimase per millenni legata al lavoro dei campi. Nasceva il mondo contadino, sempre uguale a se stesso, nonostante il sorgere e il tramontare di imperi e civiltà.

La rivoluzione neolitica cominciò verso l'8000 a.C nel Medio Oriente, nella cosiddetta mezzaluna fertile: una zona, bagnata da abbondanti piogge, che comprende territori palestinesi, siriani, turchi e iracheni, la cui forma è appunto a mezzaluna.
L'agricoltura si estese ben presto nelle valli dei grandi fiumi. In queste valli la disponibilità di acqua era assicurata dalle periodiche inondazioni del Nilo (Egitto) e del Tigri e dell'Eufrate (Mesopotamia) che rendeva assai fertili i terreni.
Tra il 7000 e il 3000 a.C. l'agricoltura si diffuse nei paesi europei affacciati sul Mediterraneo.
Intorno al V millennio a.C. si affermò nelle valli dei grandi fiumi dell'India e della Cina, in Asia.
Anche le antiche civiltà americane, benché del tutto isolate, svilupparono verso il 5000 a.C un agricoltura basata su un tipo di pianta sconosciuta in Europa e in Asia: il Mais.

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Dalla preistoria alla storia

L'uomo imparò ad utilizzare i metalli: il rame, il bronzo e il ferro.
Il rame si trova in natura allo stato puro. E' quindi anch'esso una pietra, sia pure un po' particolare. Infatti se proviamo a martellarla scopriamo che non si rompe ma che si schiaccia fino a ridursi ad una sottile lamina. Gli uomini del neolitico fecero questa scoperta e incominciarono a lavorare così non solo il rame, ma anche l'oro, l'argento e lo stagno.
Gli archeologi hanno ritrovato vari oggetti realizzati con questa tecnica i più antichi risalgono all'VIII millennio a.C.
Verso il 5000 a.C. gli uomini impararono a fondere il rame. Per raggiungere la temperatura necessaria è sufficiente un piccolo forno in pietra, alimentato con carbone di legna.
Quando diventa liquido si versa il metallo nella forma. L'oggetto ricavato viene poi rifinito a freddo: per esempio, se è una spada o una falce, deve essere affilato. Quando l'oggetto si rovina si può fondere per riutilizzare nuovamente il metallo. E' questo il grande vantaggio rispetto alla pietra e alla ceramica, che quando divengono inutilizzabili vanno buttate via. Aggiungendo dello stagno al rame si ottiene una lega, il bronzo. Questa lega è molto più resistente dei due metalli che la compongono.
Gli uomini iniziarono a produrre il bronzo nel corso del III millennio a.C.
Con questo nuovo materiale vennero realizzati vari oggetti: spade, asce, falci, vasi e piatti.
In seguito fece la sua comparsa il ferro. Era lavorato tra i monti del Caucaso già agli inizi del II millennio a.C., ma il suo uso si diffuse molto lentamente.
Gli storici distinguono diversi periodi a seconda del tipo di metallo che veniva lavorato:
  • l'età del rame, dal 5000 al 3000 a.C;
  • l'età del bronzo, dal 3000 al 1100 a.C;
  • l'età del ferro, a partire dal 1100 a.C.
Gli oggetti di metallo comunque restarono rari e costosi. Per questo la maggior parte degli strumenti d'uso comune continuarono per secoli ad essere fatti con materiali più tradizionali ed economici.

Riassumiamo:
L'uomo ormai può vivere in una città di circa 5000 abitanti.
Indossa abiti tessuti con fibre animali o vegetali.
Probabilmente si è specializzato in un mestiere (contadino, allevatore, cacciatore, artigiano, commerciante) e baratta con altri uomini i prodotti del suo lavoro.
Ha una ricca vita spirituale: seppellisce i suoi morti; ama le decorazioni che ornano i prodotti dell'artigianato; apprezza anche i prodotti dell'arte, statuette e disegni; adora le divinità in veri e propri templi.
Gli archeologi hanno scoperto che Gerico era protetta da fossati, torri e spesse mura. Opere come questo potevano essere realizzate da un gruppo organizzato di uomini comandati da qualcuno ma non si sa' nulla perché non vi sono documenti scritti.
Verso il 3000 a.C., però, le grandi valli del Nilo, del Tigri e dell'Eufrate conobbero l'invenzione della scrittura. Gradatamente in queste terre si passò dalla preistoria alla storia. In Europa, invece, la preistoria durò ancora per oltre due millenni.
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Formule del Rettangolo


Il rettangolo è un parallelogramma, con i quattro angoli retti.
In un rettangolo i lati consecutivi sono perpendicolari, quindi, se consideriamo i lati AB e BC, abbiamo che:

BC è l'altezza del rettangolo relativa alla base AB e, viceversa, AB è l'altezza del rettangolo relativa alla base BC.
Base e altezza di un rettangolo vengono dette dimensioni. per i rettangoli valgono tutte le proprietà che caratterizzano i parallelogrammi; inoltre, essendo tutti gli angoli retti, si ha che:

AB = CD;   AD = BC
A = B = C = D = 90°
A + B = B + C = C + D = D + A = 180°

Sappiamo già che ciascuna diagonale divide il rettangolo in due triangoli congruenti; ora verifichiamo che anche le due diagonali sono congruenti. Infatti se consideriamo i triangoli DAB e CBA, osserviamo che:

DAB = CBA = 90°;   DA = CB
AB = in comune.

Quindi, per il primo criterio di congruenza, i due triangoli sono congruenti.
Da ciò, si ha che: DB = AC; cioè:
In un rettangolo le due diagonali sono congruenti.

Può essere verificata anche la validità della proprietà inversa:
un parallelogrammo con le diagonali congruenti è un rettangolo.

Dalla congruenza delle diagonali che, come in tutti i parallelogrammi, si dividono scambievolmente a metà, si ha che: AO = OC = BO = OD

Formule del Rettangolo Dirette e Inverse

A = area;
b = base;
h = altezza,;
2p = perimetro;
d = diagonale.


Area
Base
Base
Base
Altezza
Altezza
Altezza
Diagonale
Perimetro


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Problemi di Geometria sulle Intersezioni

Ho un problema che non mi esce di algebra potreste risolvermelo per piacere ? Grazie Siano dati gli insiemi A e B tali che A contenuto B. A ed il suo complementare rispetto a B costituiscono una partizione di esso? Motiva la tua risposta.

Poi avrei anche quest'altro. Considera i seguenti insiemi:
A= {a;b;c;d;e;f }
B = {b;f;h;i;a;d}
C={g;h;i;l;m}.
Determina A U B U C A intersezione B intersezione C C intersezione ( A - B )
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Come calcolare il perimetro di un quadrato equivalente alla somma

Un quadrato ha l'area di 256 m quadrati ed è equivalente ai 16/9 di un altro quadrato.Calcola il perimetro di un quadrato equivalente alla somma dei primi due. (Perimetro= 80 m)

Svolgimento:

Dobbiamo moltiplicare 256 per il rapporto 16/9.
256 x 9 / 16 = 144 m² (Area del 2° quadrato)

Avendo l'area di entrambi, se li sommiamo troviamo l'area del quadrato misterioso.
144 + 256 = 400 m² (Area del 3° quadrato)


Se facciamo la radice quadrata dell'area troviamo il lato del quadrato misterioso.
√¯ 400 = 20 m  (Lato del 3° quadrato)


Infine basta semplicemente moltiplicare il lato per 4 oppure sommarlo per 4 volte e ci ricaviamo il perimetro.
20 * 4 = 80 m  (Perimetro 3° quadrato)
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Formule del Rombo

Un parallelogrammo con i quattro lati congruenti si chiama rombo.
Ogni lato può essere assunto come base, ad esempio se consideriamo come base i lato AB, la distanza DH della base AB dal lato opposto DC, si dice altezza del rombo relativa al lato AB.


Tutte le proprietà che caratterizzano i parallelogrammi valgono anche per i rombi, inoltre, essendo i lati del rombo congruenti possiamo verificare la validità di altre proprietà.

Immaginate che nel rombo soprastante ci fosse disegnato solamente la diagonale minore BD, osserviamo che i lati obliqui di ciascun triangolo sono congruenti perché lati del rombo; inoltre, se ritagliamo e sovrapponiamo i due triangoli possiamo verificare che coincidono perfettamente.
Possiamo quindi affermare che i due triangoli sono isosceli e congruenti.

Da ciò, si ha che:

ADB = BDC
ABD = CBD

cioè DB è la bisettrice degli angoli D e B.

Analogamente possiamo dimostrare che la diagonale AC è la bisettrice degli angoli A e C..
L'angolo AOB, così come AOD , COD, BOC sono triangoli di tipo rettangolo avente angolo di 90°.

Le diagonali di un rombo sono perpendicolari tra loro e sono bisettrici dei rispettivi angoli.


Formule del Rombo dirette e inverse

A = area;
L = lato;
d1 = diagonale maggiore;
d2 = diagonale minore;
r = raggio;
2p = perimetro;
h =  altezza relativa all'ipotenusa = raggio del cerchio inscritto;
c = circonferenza inscritta nel rombo.


DATI FORMULE
Area
Area
Area
Diagonale maggiore
Diagonale minore
Perimetro
Lato
Lato
Lato
Semi-diagonale maggiore
Semi-diagonale minore
Raggio della circonferenza inscritta
Altezza (con raggio del cerchio inscritto)
Altezza relativa all'ipotenusa
Circonferenza inscritta (con altezza e Pi greco)
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Simbolo di Intersezione - U al contrario


Quello che molti chiamano U al contrario non è altro che un simbolo di geometria che indica un'intersezione.



Simbolo di intersezione: definizione

Intersezione è l'incontro in uno o più punti di due rette, di una parabola o una retta...se tu hai due equazioni per esempio di una parabola e di una retta metti a sistema queste due equazioni e svolgendo il sistema trovi i punti in cui si intersecano.



Intersezione: come si scrive

Simbolo Descrizione
Intersezione
Unione


Simbolo di intersezione: 

Se invece cercavate l'altra U, quella di unione, il simbolo invece è questo: 
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Simboli matematici

Qui di seguito trovate la lista di tutti i simboli matematici che è possibile trovare nella mappa dei caratteri di un computer e che è possibile farli apparire usando una precisa combinazione di tasti. Se vi state chiedendo come mai sul web è possibile trovare scritte le frazioni o cose ancora più complesse, è perché stanno utilizzando LaTeX.

Simboli più usati

√ radice quadrata
x² elevato al quadrato
x³ elevato al cubo
π Pi greco
∩ intersezione
∪ unione
* x ⋅ moltiplicazione
+ addizione
: / divisione
- sottrazione
Α α alpha
Β β beta
Γ γ gamma
Δ δ delta
Ε ε epsilon
Ζ ζ zeta
Η η eta
Θ θ theta
Ι ι iota
Κ κ kappa
Λ λ lambda
Μ μ mu (mi)
Ν ν nu (ni)
Ξ ξ xi
Ο ο omicron
Π π pi
Ρ ρ rho
Σ σ ς sigma
Τ τ tau
Υ υ upsilon
Φ φ phi
Χ χ chi
Ψ ψ psi
Ω ω omega
≠ diverso
< minore
> maggiore
≤ minore o uguale
≥ maggiore o uguale
⊥ perpendicolare
∈ appartiene
∉ non appartiene
( ) parentesi tonda
[ ] parentesi quadra
{ } parentesi graffa
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Formule del Quadrato


Consideriamo il quadrilatero ABCD con i lati e gli angoli congruenti:

AB = BC = CD = DA

A = B = C = D

Questo quadrilatero regolare si chiama quadrato.

Pertanto:
Si chiama quadrato un parallelogrammo che ha i lati congruenti e gli angoli congruenti.

Ora siccome la somma degli angoli interni di un quadrilatero è di 360°, si ha che ogni angolo di ABCD è retto:

A = B = C = D = 90°


Il quadrato è quindi:
  1. Un particolare rettangolo perché ha gli angoli congruenti e retti.
  2. Un particolare rombo perché ha i lati congruenti.
E' evidente che tutte le proprietà dei rettangoli e dei rombi valgono anche per i quadrati, in particolare possiamo affermare che:

Le diagonali di un quadrato sono congruenti e perpendicolari:

AC = BD;  AC ⊥ BD

Anche in questo caso vale la proprietà inversa, cioè:
se un parallelogrammo ha le diagonali congruenti e perpendicolari è un quadrato.



Formule del Quadrato dirette e inverse

L = lato;
A = area;
d = diagonale;
2p = perimetro.


Area
Area
Area
Lato
Lato
Lato
Diagonale
Diagonale
Perimetro
Perimetro
Perimetro



GUARDATE ANCHE: Problemi sul Quadrato
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Formule del Trapezio


Si chiama trapezio ogni quadrilatero con due soli lati opposti paralleli.
I lati paralleli AB e CD si dicono basi e precisamente: AB è la base maggiore, CD la base minore.
I lati non paralleli AD e BC si dicono lati obliqui o, semplicemente, lati.
La distanza DH fra le due basi si chiama altezza, i segmenti AH e KB sono le proiezioni ortogonali, rispettivamente, dei lati obliqui AD e BC sulla base maggiore AB.
Ora, se consideriamo il trapezio ABCD, osserviamo che:

A + D = 180°, perché angoli coniugati interni formati dalle rette parallele AB e CD tagliate dalla trasversale AD.

Analogamente possiamo verificare che B + C = 180°.

Quindi:
In un trapezio gli angoli adiacenti a ciascun lato obliquo sono supplementari.

Rispetto ai lati obliqui il trapezio si dice rettangolo o isoscele, quello rappresentato in alto è isoscele perché i lati obliqui sono congruenti, mentre se fosse stato rettangolo uno dei due lati obliqui è perpendicolare alle basi.

Formule di un Trapezio Qualsiasi

Area = [(b1 + b2) x h] : 2
Perimetro = b1 + b2 + l1 +l2
Altezza = 2A / (b1 + b2)
b1 + b2 = 2A / h
Altezza = 2A / (B + b)

Oppure guarda:
Formule del Trapezio Isoscele
Formule del Trapezio Rettangolo
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Calcolare il Perimetro del Rettangolo Equivalente al precedente

Un rettangolo ha le dimensioni di 18 cm e 24 cm. calcola il perimetro del rettangolo equivalente al precedente e avete una dimensione d 30 cm.

Svolgimento:
A = b x h = 18 x 24 = 432 cm² (Area del primo rettangolo)

Essendo il secondo rettangolo equivalente, deduciamo che il valore dell'area sia uguale. Usando la formula inversa, avendo una delle dimensioni, supponendo che 30 sia l'altezza ci calcoliamo la base.

b = A / h = 432 / 30 = 14,4 cm² (base del secondo rettangolo)


Avendo sia la base che l'altezza, abbiamo solamente due lati del rettangolo su quattro, però siccome i lati del rettangolo sono uguali a due a due possiamo calcolarci il perimetro.

P = L1 + L1 + L2 + L2 = 30 + 30 + 14,4 + 14,4 = 88,8 cm (Perimetro del secondo rettangolo).
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Sintesi dal Medioevo all'Età Moderna

Sintesi:

Le invasioni barbariche determinarono nel 476 la caduta dell'Impero Romano d'Occidente. Iniziò così il Medioevo, cioè l'epoca compresa tra il 476 e il 1492. Dopo la caduta dell'Impero, l'Occidente attraversò una grave crisi. I territori che erano appartenuti all'impero vennero conquistati da varie popolazioni barbariche e nacquero i regni romano-barbarici.
L'Impero Romano d'Oriente, invece, sopravvisse fino al 1453. Questo impero è chiamato anche bizantino da Bizanzio, antico nome greco di Costantinopoli, la capitale dell'impero.
Il più grande imperatore d’Oriente fu Giustiniano (527-565). Egli riuscì a riunificare almeno parzialmente i territori del vecchio Impero. Giustiniano riconquistò l’Italia e il Mediterraneo tornò ad essere un lago romano. Ma si trattava di una fragile vittoria.
Pochi anni dopo la morte di Giustiniano, infatti, l’Impero fu aggredito lungo tutti i suoi confini da varie popolazioni barbariche e dai Persiani. Molti dei territori d’Occidente appena riconquistati furono rapidamente perduti.
L’Italia nel 568 fu invasa dai Longobardi che, nel giro di pochi anni, ne conquistarono buona parte. L’Italia perse così la sua unità: ci vorranno ben tredici secoli prima che torni ad essere un paese unito.

L’avversario più insidioso dell’Impero d’Oriente, però, sorse da un movimento religioso che si sviluppò nella penisola arabica agli inizi del VII secolo. Il suo fondatore fu Maometto (570-632) che si proclamò profeta dell’unico Dio, Allah.
Siccome i fedeli dovevano essere talmente devoti ad Allah ed ubbidire alla sua volontà, la nuova religione fu detta islamismo (in arabo islam vuol dire sottomissione). Essa, comunque, è anche nota come religione maomettana o musulmana (muslim, in arabo, significa sottomessi alla volontà di Dio). L’immagine di Maometto o Allah non può essere rappresentata in quanto è proibita dalla religione stessa.

Alla morte di Maometto (632), la maggior parte della penisola arabica aveva riconosciuto l’autorità religiosa e politica del Profeta. Era nato così un nuovo e potente Stato.
I successori di Maometto furono per lungo tempo capi sia politici che religiosi. Sotto la loro guida gli arabi conquistarono vastissimi territori: buona parte della Spagna, l’Africa che si affaccia sul Mediterraneo, il Medio Oriente, la Persia.

Nella stessa epoca in cui si affermava l’Impero islamico, l’Occidente attraversava una grave crisi:

la popolazione diminuì per effetto delle guerre e delle carestie;
diminuirono le terre coltivate; inoltre molte delle tecniche agricole utilizzate dai Romani furono dimenticate: i prodotti, così, erano appena sufficienti a sfamare gli uomini;
i commerci si arrestarono quasi completamente;
le città si spopolarono: molti le abbandonavano, perché erano la prima meta dei barbari;
aumentò l’analfabetismo per la chiusura delle scuole che avevano sede nelle città.

In questa drammatica situazione, ciascuno era abbandonato a se stesso perché praticamente non esisteva più lo Stato. In Italia, l’Impero Romano d’Oriente non riusciva a governare neanche i suoi possedimenti. Sempre più spesso toccò alla Chiesa supplire alle carenze dello Stato. In particolare i vescovi dovettero amministrare la giustizia e proteggere le popolazioni inermi trattando con i sovrani barbarici. La Chiesa assunse così un ruolo politico e giunse, sul finire dell’VIII secolo, a dominare su un proprio Stato. Il papa cioè divenne sovrano di una parte dell’Italia centrale: lo Stato della Chiesa.

Tra i vari Stati barbarici che avevano sostituito l’Impero d’Occidente, uno era destinato ad avere lunga vita: quello dei Franchi, situato nell’attuale Francia.
Furono i Franchi, infatti, a fermare nel 732 a Poitiers l’avanzata degli Arabi che avevano già conquistato le coste africane del Mediterraneo e la Spagna.
Ma soprattutto fu un sovrano franco, Carlo Magno, a rifondare l’Impero in Occidente. Carlo conquistò vasti territori (l’Italia settentrionale, l’Austria, buona parte della Germania, la Francia occidentale e la Spagna orientale) e la notte di Natale dell’800, fu incoronato imperatore da papa Leone III.
Nasceva così il Sacro Romano Impero:
  • sacro, perché Carlo impose la religione cristiana a tutti i popoli che dominava e perché si credeva che Dio lo avesse scelto per governare;
  • romano, perché questo impero si considerava erede di quello romano.

Dopo la morte di Carlo Magno (814) l’Impero venne diviso tra i suoi eredi e l’Occidente conobbe un nuovo periodo di crisi. Nel corso del IX e del X secolo, infatti, l’Europa subì una nuova ondata di invasioni:
  1. riattaccarono gli Arabi, in Italia chiamati anche Saraceni, che realizzarono numerose incursioni piratesche e conquistarono la Sicilia. Nell’846 entrarono addirittura a Roma, dove saccheggiarono le basiliche di San Paolo e di San Pietro;
  2. dall’Europa del Nord provenne l’attacco dei Normanni. Marinai molto abili, condussero inizialmente azioni di pirateria. Poi si stabilirono nella regione francese che da loro ha preso il nome di Normandia. Nel corso dell’XI secolo, infine, i Normanni conquistarono l’Inghilterra e l’Italia meridionale;
  3. da est attaccarono gli Ungari. Erano guerrieri crudelissimi e raggiunsero più volte la Germania, la Francia e l’Italia. Nel corso del X secolo, però, vennero ripetutamente sconfitti. Allora divennero sedentari, si convertirono al cristianesimo e diedero vita al regno d’Ungheria.

La reazione dell’Occidente contro gli Ungari fu guidata dalla Germania, in particolare dal re Enrico di Sassonia. Fu suo figlio Ottone I che nel 955 sconfisse definitivamente gli Ungari nella battaglia di Lechfeld.
Nel 962 Ottone I riuscì anche ad ottenere la corona imperiale. In Europa così nacque il Sacro Romani Impero che divenne Germanico, perché da questo momento il titolo imperiale fu sempre controllato da dinastie tedesche.

In questo periodo la società europea subì una profonda trasformazione: si affermò la società feudale. I signori, in genere il re o l’imperatore, non erano in grado di governare direttamente i loro domini. Per questo li divisero in tante parti chiamate feudi, cioè territori. E le assegnarono a persone loro fedeli, i vassalli.
Il vassallo poteva dividere il suo feudo in parti più piccole, per darle a sua volta in feudo a uomini che gli giuravano fedeltà, i valvassori. La stessa cosa, poi, potevano fare i valvassori con altre persone, i valvassini.

Il vassallo riceveva insieme con il feudo anche alcuni privilegi, chiamati immunità:
- Il diritto di governare il territorio a lui assegnato con tutti i suoi abitanti.
- Il diritto di riscuotere le tasse.
- Il diritto di amministrare la giustizia. In cambio il vassallo doveva garantire l'aiuto militare. Con questa organizzazione i re e l'imperatore cercavano di risolvere due problemi:
  1. quello del governo di un territorio troppo vasto per essere controllato direttamente;
  2. quello di garantirsi un'adeguata difesa militare.
In realtà però finirono per dipendere dai feudatari, i quali iniziarono ben presto a considerare come propri i feudi che erano stati concessi loro.
Con la fine delle invasioni di Saraceni, Normanni e Ungari la situazione cambiò. In particolare cambiò a partire dall'anno Mille, quando tutta l'Europa conobbe un grande risveglio: la rinascita dell'Occidente.
La popolazione riprese ad aumentare e si estesero le zone coltivate. Migliorarono anche le tecniche e gli strumenti impiegati nella coltivazione.
I commerci tornarono a svilupparsi e rinacquero le città. Ciò avvenne soprattutto in due zone: nell'Italia-centro-settentrionale e nelle Fiandre.
In italia le prima città ad affermarsi furono le Repubbliche marinare: Amalfi, Venezia, Pisa e Genova.
Poi, a partire dal 1100 circa, nacquero i Comuni, cioè delle città che si organizzarono come piccoli Stati indipendenti.

La rinascita dell'Occidente segnò anche l'inizio di un cambiamento del rapporto tra gli Europei e gli altri popoli.
Da secoli ormai l'Occidente segnò anche l'inizio di un cambiamento del rapporto tra gli Europei e gli altri popoli. Da secoli ormai l'Occidente subiva invasioni e scorrerie. A partire dall'XI secolo invece prese l'avvio un processo che portò gli Europei a conquistare nuovi territori.
Particolarmente importante fu la riconquista della Spagna, chiamata in spagnolo Reconquista, che avvenne in varie tappe a partire dal 1000 fino al 1492.
Gli Europei tentarono anche di riconquistare la Palestina, la Terra Santa che ospita i luoghi in cui visse e morì Gesù, all'epoca controllata dai Turchi.
Per raggiungere questo obiettivo gli Europei organizzarono tra il 1096 e il 1270 sette guerre contro i Turchi: le Crociate, così chiamate perché i guerrieri cristiani, i crociati, indossavano una sopravveste bianca con una croce rossa. Ma la potenza militare dei Turchi era troppo forte e la conquista definitiva della Palestina risultò impossibile.

Tra il 1000 e il 1300 la scena politica fu dominata dallo scontro tra Papato e Impero. I papi volevano affermare la loro supremazia su tutte le autorità politiche, compreso l'imperatore. Mentre gli imperatori volevano controllare la Chiesa.
Lo scontro tra Papato ed impero terminò con la sconfitta di entrambi i contendenti. Mentre gli imperatori si logoravano nello scontro con il Papato, in Germania cresceva il potere dei grandi feudatari e in Italia si affermavano i Comuni. L'impero non era più in grado di avere una piena sovranità neanche sui territori controllati direttamente. Ancor più dura fu la sorte del Papato. All'inizio del Trecento papa Bonifacio VIII tentò di riaffermare la superiorità del papa su tutte le autorità politiche. A questo tentativo si oppose il primo re di Francia Filippo IV.
Il papa si preparava a scomunicare Filippo IV, ma il re inviò i suoi uomini in Italia; questi catturarono e imprigionarono il papa che si trovava nella cittadina di Anagni. Bonifacio VIII venne liberato dai cittadini di Anagni e poté rientrare a Roma, ma circa un mese dopo morì.
A Bonifacio successe un papa francese Clemente V che fece trasferire la sede papale da Roma ad Avignone. Iniziò così il periodo di cattività (cioè prigionia) avignonese che durò dal 1305 al 1377: in tutti questi anni i papi furono sempre francesi e sottomessi al re di Francia.
Anche quando la sede papale tornò a Roma i problemi della Chiesa continuarono. Molti vescovi, infatti, non accettarono il trasferimento ed elessero un antipapa. Si giunse fino ad avere tre papi contemporaneamente. Questo periodo è chiamato Scisma d'Occidente e durò dal 1378 al 1417.

La vicenda di Bonifacio VIII dimostrò il grande potere di cui ormai disponevano i sovrani. Mentre il Papato e l'Impero si scontravano, le monarchie si rafforzavano e riuscirono ad imporre il loro potere sull'intero territorio nazionale.
Nel Quattrocento, infatti, l'Europa si presentava come un insieme di Stati e molti di questi Stati erano monarchie nazionali: era questa la prova più evidente della crisi del Papato e dell'Impero.
Le monarchie più importanti erano la Francia, l'Inghilterra e la Spagna.

La Spagna fu, con il Portogallo la principale protagonista della grande avventura che chiuse il Medioevo: le scoperte geografiche. Spinti dalle esigenze economiche e dal desiderio di nuove conoscenze, gli Europei iniziarono a navigare gli oceani alla ricerca di un più rapido collegamento con l'Oriente.
Vennero organizzate molte spedizioni, ma la più famosa è certamente quella finanziata dalla Spagna che ebbe come protagonista il navigatore italiano Cristoforo Colombo. Colombo il 12 ottobre 1492 scoprì un continente ancora sconosciuto: l'America.

Mentre si formavano le grandi monarchie nazionali, l'Italia restava divisa in molti Stati. Per questo un'area politicamente debole. Tuttavia la nostra penisola svolse un ruolo molto importante, soprattutto nella cultura. Nel Quattrocento, infatti, si affermò nelle città italiane una nuova visione del mondo: una nuova cultura che poneva al centro della sua attenzione l'uomo.
Questa nuova cultura è stata chiamata Umanesimo e umanisti sono stati definiti i suoi protagonisti. Gli umanisti giudicavano molto severamente la cultura medievale. Essi consideravano gli autori classici e greci e latini come dei modelli a cui ispirarsi per far rinascere le arti. Per questo chiamarono la loro epoca Rinascimento: un termine che anche noi continuiamo ad utilizzare per indicare il periodo in cui si sviluppò la cultura umanistica.
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