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Figure retoriche: Pallore di bella donna di Giambattista Marino

Pallore

Si può esprimere l'amore provato per una donna senza nominarla nemmeno una volta? Assolutamente sì! Servendosi degli elementi naturali come il sole, l'alba, i fiori e affiancando ad essi aggettivi dolci, colorati e passionali e alludendo al fatto che esiste qualcosa di più potente di essi (la donna che mai nomina), il poeta Giambattista Marino è riuscito nel suo intento attraverso questa poesia intitolata "Pallore di bella donna".





Tutte le figure retoriche

Per testo, parafrasi e commento potrete approfondire leggendo la sezione ad essi dedicata intitolata Pallore di bella donna - Marino.



Anastrofe

Nel primo verso della poesia le parole sono invertite in modo da mettere in risalto l'aggettivo possessivo "mio", che lascia intendere il profondo affetto che l'autore pone verso questa persona, quasi come se gli appartenesse. L'ordine corretto sarebbe dovuto essere: "mio pallidetto sole".
Pallidetto mio sole

Nel v.3 il verbo precede il sostantivo, cioè l'ordine è invertito, infatti l'ordine corretto sarebbe dovuto essere: "l'alba vermiglia perde i suoi colori".
perde l'alba vermiglia i suoi colori



Ossimoro

Nel v.5 il termine "dolci" allude a qualcosa di colorato e giocoso mentre il termine "pallide" indica uno sbiancamento o perdita di colore. Questo abbinamento di parole che si contrastano fra loro serve a mettere in risalto la caratteristica speciale di questo sole (la donna amata).
dolci e pallide



Antitesi

In antitesi tra loro non sono il sole e l'alba bensì i loro rispettivi aggettivi, ovvero "pallidetto" (vezzeggiativo di pallido, sbiancamento) e "vermiglia" che sa ad indicare un colore rosso vivo.
pallidetto mio sole" (v.1)
alba vermiglia (v.3)

Il sole è un'insostituibile fonte di vita per via dei suoi raggi che forniscono calore e luce; ciò è in contrasto con il termine morte. In entrambi i casi utilizza l'aggettivo possessivo "mio" proprio per sottolineare questo legame fra due parole dal significato opposto.
mio sole (v.1)
mia morte (v.4)



Allitterazione

Allitterazione della L (v.5)
le tue dolci e pallide viole

Allitterazione della O (v.6)
porpora amorosa



Enjambement

Eccovi i versi dove è presente la spezzatura del verso:
a i tuoi dolci pallori / perde (vv. 2-3)
la porpora amorosa / perde" (vv. 6-7)
piaccia a la mia sorte / che dolce teco (vv. 8-9)
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Figure retoriche: Neo in bel volto di Giambattista Marino

Neo

Il fascino di una donna può essere danneggiato da un piccolissimo neo sul suo volto? Assolutamento no. Talvolta la presenza dei nei sono così naturali nel corpo di una persona che non si fa nemmeno caso se una persona ne possiede qualcuno. Il poeta Giambattista Marino invece ne parla, addirittura scrive un'intera poesia che ruota tutto su questa imperfezione del viso, ma non c'è da stupirsi dal momento che la corrente letteraria del Barocco tratta argomenti che variano dallo strano all'esotico. Difatti evidenziare un difetto potrebbe essere considerato un atto meschino e, invece, Marino sfrutta questa imperfezione per descrivere l'amore in modo dolce e soave.





Tutte le figure retoriche

Quella di Marino è una poesia breve e vi sono appena 5 figure retoriche contenute nel testo. Le più importanti contenute nel testo di "Neo in bel volto" sono sicuramente la personificazione e l'antitesi, ve ne renderete conto voi stessi leggendo la spiegazione legata a questa scelta dell'autore. Di questa poesia trovate anche il testo, la parafrasi e il commento nella sezione Neo in bel volto - Marino.



Perifrasi

Nel v.2 i peli presenti intorno al neo, la peluria delle guance, sono descritti ovviamente in forma poetica perché non poteva usare il termine "peli" (termine semplice, brutto e anche volgare in una descrizione), ma ha adottato un'espressione più romantica, infatti ha definito i peli come dei fili d'amore.
d'amate fila



Personificazione

Nel v.5 il poeta si rivolge al cuore come se fosse un individuo che dovrebbe ascoltare i suoi consigli e lo invita ad allontanarsi dal sentiero che sta percorrendo perché lo aspettano numerose nemice disposte da Cupido. Quindi non deve lasciarsi trasportare dal fuoco della passione che lo rende incauto. C'è un popolare modo di dire "al cuore non si comanda", quindi quel cuore non ascolterà i consigli del poeta e il suo destino sembra essere già segnato e ha tutta l'aria di essere poco piacevole il suo futuro (resterà ferito e verrà intrappolato).
incauto core



Anastrofe

Nel v.5 sostantivo e aggettivo sono disposti in ordine invertito proprio per mettere in risalto il cuore (core).
incauto core



Antitesi

Se in versi vicini o comunque non molto distanti tra loro vi sono termini opposti che si contrastano fra loro, vuol dire che è presente la figura retorica dell'antitesi. Nel caso in questione l'amore simboleggia la reciproca passione e felicità, invece il termine "crudele" sta per infliggere tormenti fisici o spirituali. Quini essi indicano la gioia e la sofferenza.
Amore (v.4)
crudel (v.7)



Enjambement

Solamente in un caso è presente la spezzatura del verso che poi continua in quello successivo, e questo enjambement si trova esattamente nei due versi conclusivi della poesia.
tende / le reti" (vv. 7-8)
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Figure retoriche: Donna che si pettina, Onde dorate

Capelli

Giambattista Marino, a differenza di altri poeti, sceglie di descrivere la donna in un momento della vita quotidiana per risaltare ancor di più quel che c'è di meraviglioso nella sua naturalezza. Nel caso in questione il gesto comunissimo è quello di pettinarsi i capelli, da qui il titolo della poesia "Donna che si pettina", che sono biondi e ondulati, da qui l'altro titolo "Onde dorate". Non si sa chi sia il personaggio femminile descritto, è una donna anonima che non viene idealizzata come Dante fece con Beatrice e Petrarca fece con Laura, infatti il poeta la descrive per esaltarne la sua bellezza associata alla naturalezza del gesto del pettinarsi.





Tutte le figure retoriche

Questa poesia parla di un argomento e poi si riferisce ad altro, pertanto diventa necessario analizzare il testo e individuare tutte le figure retoriche, anche per comprendere per quale motivo ce le abbia messe (c'è sempre un motivo!). Tra le figure retoriche maggiormente presenti nel testo vi sono la metafora, l'allitterazione e l'anastrofe. Per approfondire la spiegazione vi suggeriamo anche l'appunto Donna che si pettina - Marino.



Metafora

Il testo di questa poesia parte subito forte con una metafora al primo verso. Le onde dorate lasciano immaginare un mare movimentato di colore oro, ma il poeta non si trova sulla riva del mare e nemmeno lo sta osservando in lontananza. Egli sta ammirando i capelli di una donna bionda (oro) che sono ondulati (onde).
Onde dorate

La metafora prosegue nel verso successivo (v.2) dove stavolta si parla di una navicella spaziale realizzata con l'avorio. Chiaramente le astronavi non si costruiscono con questo tipo di materiale (gli elefanti ringraziano), non ci troviamo nello spazio, non c'entrano nemmeno gli astronauti, bensì un pettine. I pettini erano solitamente realizzati in avorio, materiale che si ricava dalle zanne degli elefanti, e il movimento del pettine in mano della donna per pettinarsi i capelli ha dato l'ispirazione al poeta per creare questa metafora.
navicella d'avorio

Anche nel terzo verso prosegue la metafora, e stavolta scrive che anche la mano è realizzata in avorio. Dal momento che le nostre mani non sono fatte in avorio, questa espressione può essere spiegata solamente a livello metaforico: il poeta sta facendo riferimento al colore della mano della donna che è bianca come l'avorio.
una man pur d'avorio

Quali sono gli errori presenti nella testa della donna? Il riferimento va allo ciocche dei capelli disordinati che non prendono la giusta piega, come una sorta di ribellione e, quindi, sono in errore.
errori

La metafora presente al verso 5 utilizza il termine "flutti" per indicare i capelli che sono ondulati (tremolati) e belli.
flutti tremolati e belli

Nel verso 9 i capelli biondi vengono nominato attraverso un'altra metafora che fa riferimento al mare.
aureo mar

Nel verso 13 è presente una metafora che indica lo sconvolgimento interiore del poeta quando osserva la donna.
ne la tempesta mia

Avete mai visto uno scoglio di diamanti? Per forza, se lo sarebbero già rubati! Dunque nel verso 14 è presente una metafora perché lo scoglio rappresenta un ostacolo nell'amore tra lui e la donna che si pettina; ed è fatto di diamanti proprio per dare un'idea di ostacolo duro e resistente oppure per fare un riferimento alla donna amata (se fosse stata un'altra donna, per esempio, avrebbe utilizzato un materiale meno prezioso).
di diamante lo scoglio

Nello stesso verso, oltre allo scoglio di diamante è presente anche il golfo d'oro. Ovviamente non esiste un golfo d'oro nella vita reale e perciò l'espressione ha senso solo a livello metaforico ed è un altro riferimento ai capelli biondi della donna.
golfo d'oro



Allitterazione

Allitterazione della O (v.1).
Onde dOrate, e l'Onde

Allitterazione della I (vv. 4-5).
per questI errorI prezIosI e quellI; e, mentre I fluttI tremolantI e bellI

Allitterazione della R (v.9).
peR l'auReo mar, che RincRespando apRia

Allitterazione della S (v.10).
procelloSo Suo ... teSoro



Anastrofe

Nel v.4 le parole sono in ordine invertito. L'ordine corretto potrebbe essere "per questi e quelli preziosi errori".
per questi errori preziosi e quelli

Nei versi 5-6 è presenta l'anastrofe per la presenza di parole invertite di posizione. La forma disposta correttamente sarebbe dovuta essere: "e mentre divideva con drittissimo solco i flutti tremolanti e belli".
E, mentre i flutti tremolanti e belli con drittissimo solco dividea

L'anastrofe del verso 7 può essere riordinata nel seguente modo: "Amor cogliea l'or delle rotte fila".
l'òr delle rotte fila Amor cogliea

Nel verso 11 l'ordine corretto sarebbe dovuto essere: "il mio cuore agitato".
agitato il mio core

Nel verso 13 è presente una semplice anastrofe nel quale l'aggettivo possessivo "mia" è stato scritto dopo il sostantivo a cui fa riferimento. L'ordine corretto di questa espressione sarebbe dovuto essere: "ne la mia tempesta".
ne la tempesta mia



Personificazione

Nel verso 7 la parola "Amor", che è un termine astratto per indicare un sentimento, viene personificato usando la lettera iniziale maiuscola con lo scopo di fargli compiere un'azione, ovvero quella di "cogliere" i capelli (cogliea).
Amor



Iperbato

Nei versi 9-11 le due parti di frase che dovrebbero stare vicine sono state distanziate di circa un verso e mezzo.
Per l'aureo mar ... agitato il mio core a morte già



Ossimoro

Nel verso 12 è presente un ossimoro perché il termine ricco fa riferimento a qualcosa di positivo (la ricchezza) e il termine naufragio fa riferimento a qualcosa di negativo (perdita della nave, catastrofe).
ricco naufragio



Iperbole

Nel verso 12 il poeta esagera dicendo che muore sommerso in questo ricco naufragio. In fin dei conti sta pur sempre parlando dei capelli color oro (ricco) di questa donna e non di un naufragio vero e proprio in mare come quello dei Malavoglia.
io moro



Sineddoche

Nel verso 14 fa riferimento al golfo ma s'intende tutto il mare. Questa figura retorica è chiamata sineddoche ed è del tipo "la parte per il tutto".
golfo d'oro



Chiasmo

Nel verso 14 l'alternanza di aggettivo (di diamante) e soggetto (scoglio), soggetto (golfo) e aggettivo (d'oro), consiste nella figura retorica del chiasmo.
di diamante lo scoglio e ‘l golfo d’oro!
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Elogio della rosa, Giambattista Marino: parafrasi e analisi del testo

Venere e Adone

L'elogio della rosa è un componimento che fa parte dell'Adone, un poema di Giambattista Marino pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1623 e che ha dedicato al re di Francia Luigi XIII. Per scrivere L'Adone ha impiegato oltre vent'anni ed è considerato il poema più lungo della letteratura italiana. Esso narra dell'amore l'amore tra Venere e Adone: per quanto riguarda L'elogio della rosa, il testo è ciò che Venere pronuncia nel canto III dell'Adone.





Elogio alla rosa: scheda componimento

Di questo componimento potete trovare moltissime informazioni disposte nel seguente ordine: scheda del componimento, antefatto, testo, parafrasi, analisi del testo, figure retoriche e commento.

Titolo L'elogio alla rosa
Autore Giovan Battista Marino
Genere Poema epico mitologico
Tratto da L'Adone, canto III
Corrente letteraria Letteratura barocca
Data 1623
Temi trattati L'innamoramento
Personaggi Venere e Adone
Frase celebre «Quasi in bel trono imperatrice altera | siedi colà su la nativa sponda; | Turba d'aure vezzosa e lusinghiera | ti corteggia d'intorno e ti seconda; | e di guardie pungenti armata schiera | ti difende per tutto e ti circonda. | E tu fastosa del tuo regio vanto, | porti d'or la corona e d'ostro il manto»




Antefatto

Prima di leggere il testo vi suggeriamo di leggere l'antefatto:

Un giorno, Venere, la dea dell'amore, stava passeggiando nei boschi quando d'un tratto si accorge di essersi ferita il piede con una spina di una rosa bianca. Il sangue che fuoriesce dalla sua ferita tinge la rosa che cambia per sempre il suo colore da bianco a rosso. Poi, per pulirsi la ferita, si avvicina a una fonte d'acqua e nota un bellissimo giovane addormentato. Si tratta di Adone, e Venere si innamora di lui a prima vista.
Quando Adone si sveglia, è pronto per scappare in quanto spaventato alla vista della Dea, ma Venere lo esorta ad aiutarla a curare il suo piede ferito. Adone gentilmente le fa un bendaggio, e in quel momento entrambi si innamorano l'uno dell'altra.
A questo punto Venere pronuncia un elogio alla rosa, perché è grazie a questo fiore che è nata questa storia d'amore.



Testo

[156] Rosa, riso d'Amor, del Ciel fattura,
rosa del sangue mio fatta vermiglia,
pregio del mondo e fregio di natura,
della Terra e del Sol vergine figlia,
d'ogni ninfa e pastor delizia e cura,
onor dell'odorifera famiglia;
tu tien d'ogni beltà le palme prime,
sopra il vulgo de' fior donna sublime.

[157] Quasi in bel trono imperatrice altera
siedi colà su la nativa sponda.
Turba d'aure vezzosa e lusinghiera
ti corteggia d'intorno e ti seconda;
e di guardie pungenti armata schiera
ti difende per tutto e ti circonda.
E tu fastosa del tuo regio vanto,
porti d'or la corona e d'ostro il manto.

[158] Porpora de' giardin, pompa de' prati,
gemma di primavera, occhio d'aprile,
di te le Grazie e gli Amoretti alati
son ghirlanda a la chioma, al sen monile.
Tu qualor torna agli alimenti usati
ape leggiadra, o zeffiro gentile,
dài lor da bere in tazza di rubini
rugiadosi licori e cristallini.

[159] Non superbisca ambizioso il Sole
di trionfar fra le minori stelle,
chè ancor tu fra i ligustri e le viole
scopri le pompe tue superbe e belle.
Tu sei con tue bellezze uniche e sole
splendor di queste piagge, egli di quelle;
egli nel cerchio suo, tu nel tuo stelo,
tu sole in terra ed egli rosa in cielo.

[160] E ben saran tra voi conformi voglie:
di te fia ‘l sole, e tu del sole amante.
Ei delle insegne tue, de le tue spoglie
l'aurora vestirà nel suo levante.
Tu spiegherai ne' crini e nelle foglie
la sua livrea dorata e fiammeggiante;
e per ritrarlo ed imitarlo a pieno,
porterai sempre un picciol sole in seno.

[161] E perch'a me d'un tal servigio ancora
qualche grata mercé render s'aspetta,
tu sarai sol tra quanti fiori ha Flora
la favorita mia, la mia diletta.
E qual donna più bella il mondo onora
io vo' che tanto sol bella sia detta,
quant'ornerà del tuo color vivace
e le gote e le labra. – E qui si tace.



Parafrasi

[156] Rosa, sorriso di Amore, creatura del Cielo, rosa divenuta rossa per il mio sangue, decoro del mondo e ornamento della natura, vergine figlia della terra e del sole, delizia e preoccupazione di ogni ninfa e di ogni pastore, orgoglio della profumata famiglia profumata (dei fiori), tu sei la prima in bellezza, signora eccelsa tra i fiori comuni.

[157] Tu stai (sullo stelo) dove sei nata come una superba imperatrice su di un bel trono. Un vorticare di brezze dolci e piacevoli ti corteggiano e ti accarezzano e una schiera armata di guardie pungenti (le spine) ti protegge e ti circonda da ogni parte. E tu porti una corona d'oro (gli stami), e il manto porporino (i petali), orgogliosa della tua regalità.

[158] Rosso dei giardini, orgoglio dei prati, germoglio di primavera, luce di aprile, di te le Grazie e gli Amoretti alati fanno ghirlande per i capelli, gioielli per il seno. Quando un'ape gentile o un venticello leggero tornano a suggere da te gli alimenti consueti (il nettare), tu offri loro da bere gocce di rugiada e di nettare in un calice rosso (come il rubino).

[159] Non si inorgoglisca il sole ambizioso di troneggiare fra le stelle minori, perché tu mostri (trionfando) le tue grazie superbe e belle anche fra i ligustri e le viole. Con le tue bellezze incomparabili tu sei lo splendore di questi luoghi terreni, il sole lo è di quelli (del cielo), egli nella sua orbita è la rosa del cielo, tu, sul tuo stelo, sei il sole della terra.

[160] E giustamente i vostri desideri saranno similari, tu sarai amante del sole, e il sole lo sarà di te. Egli, al suo sorgere, vestirà l'aurora del colore dei tuoi petali. Tu distenderai nei tuoi petali e nelle [tue] foglie la sua veste dorata e luminosa; e per somigliargli e imitarlo completamente, porterai sempre un piccolo sole dentro di te (il pistillo).

[161] E perché ancora ci si aspetta da me una ricompensa di un tale servizio (creando la situazione per far sbocciare l'amore), tu sola sarai la mia favorita, la mia diletta, tra quanti fiori possiede la (dea) Flora. E qualunque donna il mondo onora più bella, io voglio che sia detta bella soltanto quanto ornerà le guance e le labbra del tuo vivido colore. E qui tace.


Analisi del testo e commento

Schema metrico: sei strofe costuite da 8 versi (ottave) di endecasillabi. Schema rimico: ABABABCC.

Il poeta descrive la rosa utilizzando 7 termini differenti: riso, fattura, pregio, fregio, delizia e cura, onor, donna.



Commento

Attraverso queste parole, Venere esprime la sua gratitudine in modo poetico e affettuoso per la rosa bianca che ferendola con le sue spine le ha permesso di incontrare, in modo del tutto casuale, il suo Adone. Ella descrive la rosa come un simbolo di bellezza e regalità, parangonandola dapprima a un Sole che sta sulla terra, e poi a una regina sul trono rispetto agli altri fiori. Quindi la rosa è la regina dei fiori, le spine sono le sue guardie, i venti rappresentano coloro che le girano intorno per corteggiarla, gli stami sono la sua corona. Per la Dea è diventata adesso la rosa il suo fiore preferito e desidera che qualsiasi donna considerata bella debba essere definita tale solamente quando le sue guance e le sue labbra abbiamo lo stesso colore rosso vivo della rosa.



Figure retoriche

  • Paronomasia e consonanza = "rosa, riso" (v.1).
  • Allitterazione della R = "Rosa, riso d'Amor" (v.1).
  • Metafora = "riso d'Amor" (v.1).
  • Paronomasia = "pregio / fregio" (v.3).
  • Antitesi = "delizia e cura" (v.5).
  • Anastrofe = "d'ogni ninfa e pastor delizia e cura" (v.5). Cioè: "delizia e cura d'ogni ninfa e pastor".
  • Similitudine = "Quasi in bel trono imperatrice altera" (v.9).
  • Endiadi = "vezzosa e lusinghiera" (v.11).
  • Metafora = "guardie pungenti armata schiera" (v.13).
  • Anastrofe = "armata schiera" (v.13). Cioè: "schiera armata".
  • Perifrasi = "armata schiera" (v.13). Per indicare le spine.
  • Anastrofe = "regio vanto" (v.15). Cioè: "orgogliosa regalità".
  • Anastrofe = "d'or la corona e d'ostro il manto" (v.16). Cioè: "la corona d'or e il manto d'ostro".
  • Perifrasi = "d'or la corona" (v.16). Per indicare gli stami.
  • Perifrasi = "d'ostro il manto" (v.16). Per indicare i petali.
  • Allitterazione della P = "Porpora de' giardin, pompa de' prati" (v.17).
  • Metonimia = "occhio d'aprile" (v.18). Al posto di occhio, s'intende la luce.
  • Chiasmo = "le grazie e gli amoretti alati / son ghirlanda a la chioma, al sen monile" (vv. 19-20).
  • Metafora = "tazza di rubini" (v.23). Per indicare la corolla del fiore.
  • Personificazione e anastrofe = "ambizioso il sole" (v. 25).
  • Endiadi = "superbe e belle" (v. 28).
  • Metafora = "tu sole in terra" (v.32). La rosa è descritta come un sole che sta per terra.
  • Chiasmo = "egli nel cerchio suo, tu nel tuo stelo, / tu sole in terra ed egli rosa in cielo" (vv. 31-32).
  • Anastrofe = "insegne tue" (v.35).
  • Metafora = "un picciol sole" (v.40). Per indicare il pistillo del fiore.
  • Paronomasia = "fiori / Flora" (v.43)
  • Anastrofe = "favorita mia" (v.44).
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Errori di bella chioma, Marino: parafrasi, analisi, commento

Chioma

Errori di bella chioma, anche conosciuta con il titolo Chiome erranti, è una poesia di Giambattista Marino scritta nel XIII secolo e appartenente alla raccolta La Lira.





Testo

O chiome erranti, o chiome
dorate, inanellate,
oh come belle, oh come
e volate e scherzate!
Ben voi scherzando errate,
e son dolci gli errori;
ma non errate in allacciando i cori.



Parafrasi

Chiome vaganti, chiome
dorate, arricciate,
quanto siete stupende, quanto
e svolazzate e giocherellate!
E sta bene che vagate felici,
e che gli errori sono piacevoli;
ma non sbagliate intrecciando i cuori.



Analisi e commento

Si tratta di un madrigale con rime ababbcC.

In questa poesia incentrata sulla bellezza e sulla naturalezza dei capelli delle donne, il poeta appare affascinato da questi capelli biondi che fluttuano liberamente quasi sembrano giocare in modo vivace nell'aria. I capelli svolazzano soprattutto quando sono lunghi, perché c'è vento oppure perché ci si muove di scatto (un salto, una corsa, un voltarsi velocemente) e quando ciò accade essi non sempre ritornano perfettamente alla loro posizione originale, alcuni rimangono fuori posto o si attorcigliano fra loro, è questo quello che intende l'autore con il termine "erranti".

Nei primi 4 versi si parla dei capelli esaltando la loro lucentezza, leggerezza e la spensieratezza (dorate, volate, scherzate); nei tre versi finali invece vi è quasi un ammonimento verso questi capelli che in modo implicito definisce provocatori perché possono indurre gli altri (uomini) a pensare che ci sia dell'altro dietro questo movimento di capelli, ad esempio un gesto d'amore (una tecnica per sedurre). E il poeta sostiene che va benissimo scherzare con i gesti (dei capelli) fino a quando non ci va di mezzo il cuore (intrecciando i cuori), ovvero i sentimenti, in quanto le persone non vanno ingannate.

Questa poesia lascia pensare che l'autore potrebbe aver recepito in modo sbagliato i gesti di una donna che era felice quando i capelli le svolazzavano e, probabilmente, quando ciò accadeva stava anche guardando negli occhi il poeta. Quest'ultimo potrebbe aver pensato che ci stava provando con lui e quando i due si sono chiariti, egli si è sentito ferito perché ha creduto a qualcosa (l'amore) che non era nemmeno iniziato. Ovviamente è solo una nostra interpretazione, e non necessariamente il vero significato di questa poesia.



Figure retoriche

  • Enadiplosi = "o chiome" (v.1); "o come" (v.3).
  • Figura etimologica = "scherzate, scherzando (vv. 4-5); "erranti, errate, errori, errate" (v.1; v.5; v.6; v.7)
  • Enjambement = "chiome / dorate" (vv. 1-2).
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Neo in bel volto: Marino: parafrasi, analisi, commento

Neo

Neo in bel volto è una poesia di Giambattista Marino contenuta nella raccolta La Lira. Ha come tema principale il volto di una donna affascinante caratterizzato dalla presenza di un neo.





Testo

Quel neo, quel vago neo,
che fa d’amate fila ombra vezzosa
a la guancia amorosa,
un boschetto è d’Amore.
Ah, fuggi, incauto core,
se pur cogliervi brami o giglio o rosa!
Ivi il crudel si cela, ivi sol tende
le reti e l’arco, e l’alme impiaga e prende.



Parafrasi

Quel neo, quell'appena percettibile neo,
che crea una piacevole ombra di peluria
all'amorevole guancia,
è un piccolo boschetto di Amore.
Ah, comincia a correre, cuore imprudente,
se desideri proprio in quel luogo cogliere gigli o rose!
Lì il crudele (Cupido) si nasconde, lì tende solamente
le sue trappole e il suo arco, ferendo e catturando le anime.



Analisi e commento

I nei sono delle piccole macchie sulla pelle e tutti ne possediamo almeno uno, e possono variare nel numero, nelle dimensioni, nel colore e nella forma. Solitamente sono innocui ma è bene monitorarli nel caso dovessero mutare di forma e colore. Questo sonetto però parla del neo sotto un altro aspetto: vi è una donna bellissima, dal bel volto, che presenta un neo, un'imperfezione, proprio su di esso. L'attenzione dell'autore è rivolta proprio su quel neo: ciò può sembrare strano ma è tipico della letteratura barocca focalizzarsi sui particolari e sulle stranezze come per esempio fare una descrizione minuziosa e bizzarra di questo piccolo dettaglio dell'aspetto fisico della donna. Non si sofferma solamente sulla presenza del neo, ma fa notare che in esso, sulla guancia ove si trova il neo, vi sono dei peli a cui fa ombra. Questa peluria (boschetto) dice che appartiene ad Amore (Cupido), un essere crudele verso coloro che tentano di raccogliere "i fiori" in questo posto (metaforicamente potrebbe essere inteso come l'atto del baciare la donna o comunque ad avvicinarsi al suo viso), infatti si nasconde aspettando che la vittima di turno cada in trappola (rete) per poi ferirla al cuore col suo arco (tipica arma di Cupido col quale scocca le frecce) e infine cattura la sua anima. E il poeta si sente di dare un suggerimento a coloro che posseggono un cuore incauto e vogliono ugualmente provare a raccogliere questi "fiori", ed è quello di scappare, o meglio iniziare già a correre, per poter sperare di sfuggire al pericolo.



Figure retoriche

  • Perifrasi = "d'amate fila" (v.2). Per indicare i peli sul neo.
  • Personificazione = "incauto core" (v.5). Al cuore vengono attribuite caratteristiche umane.
  • Anastrofe = "incauto core" (v.5). L'ordine corretto sarebbe dovuto essere "core incauto".
  • Antitesi = le parole "Amore" (v.4) e "crudel" (v.7) sono in contrasto fra loro e mettono in evidenza il fatto che il pericolo si può nascondere anche nelle cose belle.
  • Enjambement = "tende / le reti" (vv. 7-8).
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Pallore di bella donna, Marino: parafrasi, analisi, commento

Pallore

Pallore di bella donna è una poesia di Giambattista Marino contenuta nella raccolta La Lira nel quale celebra la bellezza e la sua forte devozione per la donna amata.





Testo

Pallidetto mio sole,
a i tuoi dolci pallori
perde l'alba vermiglia i suoi colori.
Pallidetta mia morte,
a le tue dolci e pallide viole
la porpora amorosa
perde, vinta, la rosa.
Oh, piaccia a la mia sorte
che dolce teco impallidisca anch'io,
pallidetto amor mio.



Parafrasi

O mio caro sole pallido, l'alba perde i suoi colori vermigli dinnanzi al tuo dolce pallore. Mia adorata morte pallida, la rosa perde il suo colore purpureo fatto d'amore di fronte alle tue dolci e pallide viole. Oh, possa il mio destino permettermi di impallidire dolcemente con te, mio caro pallido amore.



Analisi del testo

A livello metrico è un madrigale, che trae a sua volta ispirazione dal madrigale "Al tuo vago pallore" di Torquato Tasso. Un'altra poesia simile è quella di Jacopo da Lentini scritta nel XIII secolo ed intitolata Madonna ha 'n sé vertute con valore: anche qui la donna amata è superiore al fascino della natura stessa.

Da segnalare le rime baciate (colori / pallori, amorosa / rosa, anch'io / mio).

Presenza di parole etimologicamente simili: "pallidetto, pallori, pallide, impallidisca".



Figure retoriche

  • Anastrofe = "Pallidetto mio sole" (v.1). Avrebbe dovuto avere questo ordine "Mio pallidetto sole".
  • Ossimoro = "dolci e pallide" (v. 5). I due aggettivi sono apparentemente in contrasto fra loro.
  • Antitesi = "pallidetto mio sole" (v.1) e "alba vermiglia" (v.3); "mio sole" (v.1) e "mia morte" (v.4).
  • Enjambement = "a i tuoi dolci pallori / perde" (vv. 2-3); "la porpora amorosa / perde" (vv. 6-7); "piaccia a la mia sorte / che dolce teco" (vv. 8-9).
  • Allitterazione della L = "le tue dolci e pallide viole" (v.5).
  • Allitterazione della O = "porpora amorosa" (v.6).
  • Anastrofe = "perde l'alba vermiglia i suoi colori" (v.3). L'ordine corretto sarebbe dovuto essere "l'alba vermiglia perde i suoi colori".



Commento

In questa poesia, il poeta esprime i suoi sentimenti verso la persona amata. Egli non nomina mai una donna ma usa il vezzeggiativo "pallidetta" (con tono amorevole) ed espressioni come "mio sole" e "mia morte" per esaltarne la sua bellezza. La sua carnagione chiarissima influenza tutto ciò che la circonda in natura, come l'alba e la rosa, che messi a confronto a lei perdono i loro colori (= sembrano sbiaditi) perché ella li supera in bellezza; anche la donna stessa è a sua volta influenzata dalla natura attraverso il linguaggio poetico, dal momento che viene nominata in tanti modi tranne che come donna. Il termine "impallidire" è usato col significato di inchinarsi con rispetto di fronte alla bellezza dell'amata.
Nei tre versi conclusivi, l'autore esprime il desiderio di poter essere anche lui impallidito (= influenzato) dalla donna amata, proprio come ella ha influenzato la natura. Questa parte sottolinea il fatto che il poeta sia disposto a tutto per lei, anche a sacrificarsi o a scomparire, rendendo evidente il suo profondo amore e devoto attaccamento nei confronti dell'amata.
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Bella schiava, Giambattista Marino: parafrasi, analisi, commento

Nera

Bella schiava è una poesia di Giambattista Marino scritta nel 1614 (XVII secolo) e contenuta nella raccolta La Lira.





Bella schiava di Giambattista Mario

In questa pagina trovate tutto ciò che riguarda la poesia Bella schiava di Giambattista Marino: la scheda della poesia, il testo, la parafrasi, l'analisi del testo, le figure retoriche e il commento.

Titolo Bella schiava
Autore Giovan Battista Marino
Genere Poesia lirica
Raccolta La lira
Corrente letteraria Letteratura barocca
Data 1614
Temi trattati Il fascino di una donna dalla pelle nera
Frase celebre «Un sole è nato, un sol che nel bel volto porta la notte, et ha negli occhi il giorno.»




Testo

Nera sì, ma se’ bella, o di Natura
fra le belle d’Amor leggiadro mostro.
Fosca è l’alba appo te, perde e s’oscura
presso l’ebeno tuo l’avorio e l’ostro.
Or quando, or dove il mondo antico o il nostro
vide sì viva mai, sentì sì pura,
o luce uscir di tenebroso inchiostro,
o di spento carbon nascere arsura?
Servo di chi m’è serva, ecco ch’avolto
porto di bruno laccio il core intorno,
che per candida man non fia mai sciolto.
Là ’ve più ardi, o sol, sol per tuo scorno
un sole è nato, un sol che nel bel volto
porta la notte, et ha negli occhi il giorno.



Parafrasi

Sì, sei nera, ma sei bella,
o magnifico dono della natura
cara fra le donne scelte dal Dio Amore.
L'alba, in confronto a te, si oscura
l'avorio e la porpora perdono
la loro brillantezza e si oscurano
accostati al nero (della tua pelle)
Ma quando, ma dove il mondo antico o il nostro
videro mai tanta luce sprigionarsi
dall'inchiostro tenebroso
o uscire tanto calore dal carbone spento?
Sono servo della mia stessa schiava
i cui bruni capelli legano il mio cuore
che da nessuna mano candida (di carnagione bianca) può essere sciolto.
O sole, là dove tu splendi, solo per umiliarti,
è nato un altro sole che richiama nel suo volto la notte
se pur ha il giorno nei suoi occhi.



Analisi del testo

Schema metrico: ABAB BABA CDC DCD

Marino è noto per il suo stile barocco e le sue poesie amorose, ma in questa poesia fa uso di alcune metafore di ispirazione petrarchesca, nello specifico quando accosta la bellezza della donna al colore bianco e pallido già dal primo verso. Lo stile barocco ribalta lo stile classico e in questa poesia attraverso antitesi e ossimori tende ad esaltare lo strano e l'esotico. Per questo viene inclusa la bellezza di una donna, sebbebe sia una schiava e pure nera, definendola ancor più affascinante delle altre.

Il concetto espresso in questa poesia era già stato proposto nel Cantico dei Cantici della Bibbia ove è presente l'espressione "Nigra sum sed formosa", che sta a significare "Bruna sei tu, ma bella".



Figure retoriche

Nel testo della poesia sono presenti diverse figure retoriche che contribuiscono alla sua bellezza e al suo significato.
  • Antitesi = "Nera sì, ma se’ bella" (v.1). Considerando che l'ideale di bellezza in quell'epoca era la carnagione molto chiara, di conseguenza la carnagione nera era vista come "brutta", egli vuole sottolineare la bellezza della donna nonostante la sua carnagione scura.
    "porta la notte, et ha negli occhi il giorno" (v.14). Per il contrasto notte e giorno.
  • Ossimoro = "leggiadro mostro" (v.2). Il termine leggiadro è inteso come bello, grazioso ed elegante e chiaramente il termine mostro è l'opposto di questi tre aggettivi.
  • Iperbato = "mostro ... di Natura" (vv.1-2); "bruno laccio avvolto intorno il core" (vv. 9-10). 
  • Anastrofe = "Fosca è l'alba" (v.3). Anziché "l'alba è fosca".
  • Metafora: "un sol che nel bel volto porta la notte" (vv. 13-14); "et ha negli occhi il giorno" (v.14).
  • Allitterazione della i = "vide sì viva mai, sentì sì pura" (v. 6).
  • Allitteazione della R = "uscir di tenebroso inchiostro" (v.7).
  • Apostrofe = "O sol" (v.12). Si rivolge al Sole.
  • Paronomasia = "sol, sol" (v. 12). Il primo è riferito al sole, il secondo è inteso come "solo".



Commento

Questa poesia di Giambattista Marino celebra la bellezza di una donna con la pelle nera. Questo ad oggi può sembrare normale ma nella letteratura petrarchesca la bellezza in una donna era caratterizzato dalla sua belle bianchissima. Nonostante la sua carnagione scura, il poeta la considera tra le donne più belle mai create dall'amore. Egli afferma che la sua eccezionale bellezza fa sembrare pallide anche le donne con la pelle chiara come l'avorio e l'ostro ostro (= colore roseo).
Il poeta si chiede se in tutto il mondo, sia nell'antichità che nel suo tempo, si sia mai vista una bellezza così viva e pura, che sembri emergere da un fondo nero e oscuro come l'inchiostro o da una bruciante oscurità come il carbone spento. Egli si descrive come un servitore devoto di questa donna, che è una schiava, il cui cuore è legato da un sentimento profondo che non può essere sciolto nemmeno da una mano bianca e candida.
Infine, il poeta nota che quando questa donna brilla al massimo, sembra che un nuovo sole sia nato. Questo sole può portare la notte nel suo volto, ma ha il giorno nei suoi occhi. In altre parole, la donna ha un fascino irresistibile che può alternare tra l'oscurità e la luce, rendendola affascinante e unica.
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Guerra di baci, Giambattista Marino: parafrasi, analisi, commento

Baci

Guerra di baci è una poesia del XVII secolo scritta da Giambattista Marino che ha come tema principale il sentimento d'amore e, in particolare, l'atto del baciarsi, spiegato insolitamente usando termini legati alla guerra.





Guerra di Baci - Giambattista Marino

In questa pagina trovate tutto ciò che riguarda la poesia Guerra di baci di Giambattista Marino: il testo, la versione parafrasata, l'analisi del testo, le figure retoriche e un commento personale.

Titolo Guerra di baci
Autore Giovan Battista Marino
Genere Poesia
Raccolta La lira
Corrente letteraria Letteratura barocca
Data XVII secolo
Temi trattati Il potere terapeutico del bacio
Frase celebre «Sian saette le lingue e piaghe i baci»




Testo

Feritevi, ferite,
viperette mordaci,
dolci guerriere ardite
del Diletto e d'Amor, bocche sagaci!
Saettatevi pur, vibrate ardenti
l'armi vostre pungenti!
Ma le morti sien vite,
ma le guerre sien paci,
sian saette le lingue e piaghe i baci.



Parafrasi

Infliggetevi danno, infliggetevi,
piccole vipere pronte a mordere,
coraggiose guerriere del Piacere e dell'Amore, bocche astute!
Lanciatevi pure, scagliate con passione
le vostre armi affilatissime!
Ma le morti diventino vite,
le guerre si trasformino in pace,
le frecce siano lingue e le ferite i baci.



Analisi e commento

In questa poesia le parole dicono una cosa ma il loro significato è totalmente opposto, ad esempio nel primo verso l'autore invita due persone a ferirsi, ma in realtà non intende promuovere la violenza. Il poeta sta invitando queste due persone a baciarsi reciprocamente con piacere (diletto) e amore, come allo stesso modo si mordono a vicenda due vipere e stringendosi forte in un abbraccio come due coraggiose guerriere si avvinghiano forte durante la lotta a mani nude. Questo lo si può intuire inizialmente dal titolo "Guerra di baci": sì, fa riferimento alla guerra ma l'espressione è da intendere come "raffiche di baci". Quindi è un'espressione dolce e amorevole.
Nella parte centrale del testo (vv.5-6), il poeta continua ad utilizzare la terminologia di guerra. Egli dice che questi due amanti debbano colpirsi a vicenda con le loro armi pungenti, ma con passione (ardenti) e desiderio, in quanto è un invito a dirsi parole e a lanciarsi sguardi seducenti.
Negli ultimi tre versi (vv.7-9) il poeta dà il suo punto di vista per quanto riguarda il concetto di amore, sempre adottando termini di guerra. Egli afferma che possono esserci delle guerre e anche dei morti (metaforicamente s'intendono i conflitti, i litigi e le incomprensioni) ma queste non devono abbattere i due amanti in quanto è normale che queste situazioni pima o poi arrivano e che bisogna affrontarle e superarle (paci), così la relazione diventerà ancora più solida e viva (vite).
Il verso conclusivo sovrappone le due immagini, le frecce sono le lingue e le ferite i baci, cioè rivela il significato delle sue parole senza ulteriori giri di parole. Se si vuole "aggiustare" una relazione amorosa si deve ritornare a baciarsi anche più di prima.



Figure retoriche

Di seguito trovate le figure retoriche contenute nel testo.
  • Figura etimologica = "feritevi, ferite" (v.1).
  • Allitterazione della R = "guerriere ardite" (v.3).
  • Anastrofe = "l'armi vostre pungenti!" (v.6) invece di "le vostre armi pungenti".
  • Antitesi = "morti - vite" (v.7); "guerre - paci" (v.8); "saette - lingue" (v.9); "piaghe - baci" (v.9).
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Beltà crudele, Giambattista Marino: parafrasi, analisi, commento

Beltà

Beltà crudele è una poesia di Giambattista Marino del XVII secolo che esprime l'ammirazione e l'adorazione del poeta per una donna di straordinaria bellezza, ma anche di grande freddezza e insensibilità nei confronti dei suoi sentimenti.





Beltà crudele - Giambattista Marino

In questa pagina trovate tutto ciò che riguarda la poesia Beltà crudele di Giambattista Marino: il testo, la parafrasi, l'analisi del testo, le figure retoriche e il commento.

Titolo Beltà crudele
Autore Giovan Battista Marino
Genere Poesia
Raccolta La lira
Corrente letteraria Letteratura barocca
Data XVII secolo
Temi trattati L'amore non corrisposto
Frase celebre «Tutta di pietre la formò la natura»




Testo

E labra ha di rubino
ed occhi ha di zaffiro
la bella e cruda donna ond'io sospiro.
Ha d'alabastro fino
la man che volge del tuo carro il freno,
di marmo il seno e di diamante il core.
Qual meraviglia, Amore,
s'ai tuoi strali, ai miei pianti ella è sì dura?
Tutta di pietre la formò la natura.



Parafrasi

Ha le labbra rosso rubino e gli occhi color zaffiro, la bellissima ma crudele donna per cui sospiro. La sua mano, che frena il carro (d'amore), è bianca come l'alabastro più fine, il suo seno è sodo come il marmo e il suo cuore è freddo come il diamante. Non è incredibile, Amore, che nonostante le tue frecce e le mie lacrime, lei rimanga così insensibile? La natura l'ha creata completamente di pietra.



Analisi del testo

Già dal titolo è possibile intuire quale sarà il tema di questa poesia, infatti "beltà" sta per bellezza, mentre "crudele" sta per qualcosa di brutto.

La bellezza di questa donna è paragonata a pietre preziose (rubino, zaffiro, diamante) e materiali di grande valore (alabastro, marmo), ma questa bellezza è accompagnata da un'anima fredda e insensibile. Il contrasto tra questi due aspetti crea un senso di conflitto e tormento nel poeta, che è affascinato dalla bellezza della donna ma soffre per la sua mancanza di empatia.

Nella prima parte, il poeta descrive l'oggetto del suo desiderio. Le sue labbra sono paragonate al rubino per il loro colore rosso intenso, mentre i suoi occhi sono paragonati allo zaffiro per il loro splendido azzurro. Questa donna è la causa dei suoi sospiri e dei suoi pensieri.

Nella parte centrale, il poeta continua a descriverla usando termini di materiali preziosi. La mano che tiene le redini del carro dell'amore è d'alabastro (cioè lei ha metaforicamente messo il freno a questa relazione che non può nemmeno incominciare), il seno è di marmo e il cuore è di diamante. L'immagine che il poeta ha creato della donna usando questi materiali rendono ancor più evidente il rapporto tra la sua perfezione esteriore e la sua freddezza interiore.
Nella parte finale, il poeta si rivolge ad Amore, chiedendo se non è assurdo che questa donna sia così insensibile ai suoi sguardi appassionati e alle sue suppliche. La poesia si conclude con un'osservazione sulla natura stessa della donna, suggerendo che è stata creata interamente di pietra (= cuore di pietra), cioè fredda e insensibile.



Figure retoriche

Di seguito trovate tutte le figure retoriche contenute nel testo.
  • Metafora = "labra ha di rubino" (v.1); "occhi ha di zaffiro" (v.2); "ha d'alabastro fino la man" (vv.4-5); "di marmo il seno" (v.6).
  • Anastrofe = "labra ha di rubino" (v.1) invece di "ha le labbra di rubino"; "occhi ha di zaffiro" (v.2) invece di "ha gli occhi di zaffiro"; "ha d'alabastro fino la man" (vv.4-5) invece di "ha la mano di alabastro fino"; "di marmo il seno" (v.6) invece di "il seno di marmo"; "Tutta di pietre la formò natura" (v.9) invece di "la naturà la formò tutta di pietre".
  • Antitesi = "bella e cruda" (v.3). Il primo è un aggettivo positivo per descrivere una persona invece il secondo è un aggettivo negativo.
  • Perifrasi = "la man che volge del tuo carro il freno" (v.5). Per indicare il suo disinteresse amoroso.
  • Domanda retorica = "Qual meraviglia, Amore, s'a' tuoi strali, a' miei pianti ella è sì dura? (vv.7-8).
  • Sineddoche = "tutta di pietre" (v.9) invece di "tutta di pietra". Il plurale per il singolare.



Commento

Il poeta vede nella donna di cui si è infatuato un forte contrasto tra la sua bellezza (esteriore) e la sua freddezza emotiva (interiore). Come fa ad essere tanto calda (seducente) vista da fuori e così fredda (insensibile) nel suo cuore? Il poeta in pieno tormento si sta chiedendo se c'è del sentimento d'amore in lei e se c'è, come mai il suo corteggiamento non riesce ad avere alcun effetto sulla donna. Si rende conto che non solo non riesce a penetrare nel suo cuore ma nemmeno a scalfirlo, che sembra quasi rivestito di una corazza (parte di un'armatura) per quanto sia impenetrabile. E alla fine il poeta giunge a una conclusione: questa donna è fatta totalmente di pietra.

Da questa poesia si può apprendere che le persone non vanno giudicate solamente per la loro apparenza. C'è un noto detto che dice che un libro non si giudica dalla copertina. Nel caso in questione la bellezza esteriore non corrisponde alla bellezza interiore, infatti la donna è emotivamente fredda e insensibile. Un altro insegnamento che si può trarre da questa poesia è che le relazioni amorose sono molto complesse: ci si può innamorare di una persona ma se l'amore non è ricambiato c'è poco che si possa fare, per cui si viene a creare una lotta tra il desiderio amoroso e la realtà dei fatti. E in queste situazioni bisogna saper accettare la realtà e avere il coraggio di andare avanti.
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Poesie di Giovan Battista Marino più belle e famose

Marino

Giovan Battista Marino, anche chiamato Giambattista Marino (Napoli 1569 - 1625) è stato un poeta e scrittore italiano. È considerato il fondatore della poesia barocca. Il suo stile poetico è caratterizzato da un linguaggio ricco e ornato da immagini dettagliate e da una inclinazione per i temi mitologici e amorosi.



Quali sono le poesie più famose di Giovan Battista Marino?

Giambattista Marina ha scritto diverse poesie durante la sua carriera. Queste sono alcune delle poesie più belle e celebri di Giambattista Marino.
  1. Donna che si pettina - Onde Dorate
  2. Donna che cuce
  3. Guerra di baci
  4. Bella schiava
  5. Beltà crudele
  6. Neo in bel volto




Poesie di Giambattista Marino: testo delle più celebri

In questa pagina trovate i testi di tutte le poesie più celebri di Giovan Battista Marino. Le abbiamo elencate partendo dalle più note e di seguito troverete i titoli, i testi, una brevissima descrizione, l'anno in cui sono state pubblicate e, inoltre, se il titolo di quella specifica poesia risulta cliccabile vuol dire che l'abbiamo analizzata minuziosamente in un'altra lezione (= un'altra pagina) con tanto di parafrasi, commento e individuazione delle figure retoriche.



Donna che si pettina - Onde Dorate

Donna che si pettina o Onde dorate (1613): è una poesia che parte dall'immagine di una donna che sta pettinando i suoi lunghi e folti capelli biondi e poi si sposta su quella della navigazione, e per entrambe fa da sfondo l'animo del poeta, sofferente e vicino alla morte.
Onde dorate, e l’onde eran capelli,
navicella d’avorio un dì fendea;
una man pur d’avorio la reggea
per questi errori preziosi e quelli;

e, mentre i flutti tremolanti e belli
con drittissimo solco dividea,
l’òr delle rotte fila Amor cogliea,
per formarne catene a’ suoi rubelli.

Per l’aureo mar, che rincrespando apria
il procelloso suo biondo tesoro,
agitato il mio core a morte gìa.
Ricco naufragio, in cui sommerso io moro,

poich’almen fur, ne la tempesta mia,
di diamante lo scoglio e ‘l golfo d’oro!



Donna che cuce

Donna che cuce (1613): descrive una donna che sta cucendo usando un filo di colore rosso e il poeta "innamorato" paragona l'atto del cucire a quello di Cupido che scaglia le sue frecce d'amore.
È strale, è stral, non ago
quel ch’opra in suo lavoro
nova Aracne d’Amor, colei ch’adoro;
onde, mentre il bel lino orna e trapunge,
di mille punte il cor mi passa e punge.
Misero! E quel sì vago
Sanguigno fil che tira
Tronca, annoda, assottiglia, attorce e gira
La bella man gradita
È il fil de la mia vita.



Guerra di baci

Guerra di baci: questa poesia sembra un invito al conflitto e alla lotta, ma in realtà, attraverso un ricco linguaggio simbolico e figurato, promuove il contrario, cioè la pace e l'amore.
Feritevi, ferite,
viperette mordaci,
dolci guerriere ardite
del Diletto e d'Amor, bocche sagaci!
Saettatevi pur, vibrate ardenti
l'armi vostre pungenti!
Ma le morti sien vite,
ma le guerre sien paci,
sian saette le lingue e piaghe i baci.



Bella schiava

Bella schiava: la poesia è incentrata sulla bellezza di una schiava nera, che fa da contrasto alla donna petrarchesca dalla carnagione chiara.
Nera sì, ma se’ bella, o di Natura
fra le belle d’Amor leggiadro mostro.
Fosca è l’alba appo te, perde e s’oscura
presso l’ebeno tuo l’avorio e l’ostro.

Or quando, or dove il mondo antico o il nostro
vide sì viva mai, sentì sì pura,
o luce uscir di tenebroso inchiostro,
o di spento carbon nascere arsura?

Servo di chi m’è serva, ecco ch’avolto
porto di bruno laccio il core intorno,
che per candida man non fia mai sciolto.

Là ’ve più ardi, o sol, sol per tuo scorno
un sole è nato, un sol che nel bel volto
porta la notte, ed ha negli occhi il giorno.



Beltà crudele

Beltà crudele: descrive l'ammirazione e il sentimento verso una donna bellissima ma il cui amore non è ricambiato.
E labra ha di rubino
ed occhi ha di zaffiro
la bella e cruda donna ond'io sospiro.
Ha d'alabastro fino
la man che volge del tuo carro il freno,
di marmo il seno e di diamante il core.
Qual meraviglia, Amore,
s'ai tuoi strali, ai miei pianti ella è sì dura?
Tutta di pietre la formò la natura.



Neo in bel volto

Neo in bel volto è una poesia che parla di una donna dal volto stupendo e, insolitamente, si parla di lei di quello che potrebbe essere il suo unico e piccolissimo difetto, ovvero un neo sulla sua guancia.
Quel neo, quel vago neo,
che fa d’amate fila ombra vezzosa
a la guancia amorosa,
un boschetto è d’Amore.
Ah, fuggi, incauto core,
se pur cogliervi brami o giglio o rosa!
Ivi il crudel si cela, ivi sol tende
le reti e l’arco, e l’alme impiaga e prende.
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Donna che cuce - Marino: parafrasi, analisi, commento

Cuce

La poesia "Donna che cuce" è stata scritta nel 1613 da Giambattista Marino e fa parte della raccolta La lira.






La donna che cuce

In questa pagina trovate tutto ciò che riguarda la poesia "La donna che cuce" di Giovan Battista Marino come il testo della poesia, la versione parafrasata, l'analisi del testo, le figure retoriche e il commento.

Titolo Donna che cuce
Autore Giovan Battista Marino
Genere Poesia
Raccolta La lira
Corrente letteraria Letteratura barocca
Data 1613
Temi trattati L'atto del cucire, la donna amata
Frase celebre «Sanguigno fil che tira ... È il fil de la mia vita»




Testo

È strale, è stral, non ago
quel ch’opra in suo lavoro
nova Aracne d’Amor, colei ch’adoro;
onde, mentre il bel lino orna e trapunge,
di mille punte il cor mi passa e punge.
Misero! E quel sì vago
Sanguigno fil che tira
Tronca, annoda, assottiglia, attorce e gira
La bella man gradita
È il fil de la mia vita.



Parafrasi

È una freccia, una freccia, non un ago qualunque
quello che usa nel suo lavoro domestico
la nuova tessitrice d'amore, la donna che adoro
per cui, mentre decora e ricama sulla bella tela,
attraversa e punge il mio cuore con mille punte.
Ahimè ! E quel così debole
rosso filo che tira
taglia, annoda, assottiglia, attorciglia e ritorce
la bella mano che m'attira
è il filo della mia vita.



Analisi del testo

Schema metrico: madrigale con rime che seguono lo schema ABBCCADDEE.

Il titolo "Donna che cuce" fa riferimento a una donna che il poeta osserva mentre sta cucendo.


Adesso andiamo ad analizzare il testo della poesia verso per verso:

È strale, è stral, non ago / quel ch’opra in suo lavoro = Lo strale è un sinonimo di freccia, e il poeta dice che non si tratta di un semplice ago ma di una vera e propria freccia quella che sta usando nel suo lavoro. Il termine lavoro non specifica se questa sia la sua vera professione o se sta volgendo questo lavoro in casa per uso personale, più probabile la seconda dal momento che si parla di azioni quotidiane.

Nova Aracne d’Amor, colei ch’adoro = La donna che cuce è una donna che il poeta adora, e la paragona ad Aracne, figlia di un tintore di porpora della Lidia (antica regione storica nell'Asia minore). Si narra che Aracne fosse un abile tessitrice e girava voce che imparò l'arte della tessitura dalla dea Atena (o Pallade), mentre lei affermava il contrario, ovvero che era stata la Dea ad averla appresa da lei. Così Aracne lancio una sfida alla dea Atena, e nel corso della sfida la dea Atena si infuriò per l'arroganza dimostrata dalla donna e trasformò Aracne in un ragno costretto a filare e tessere per tutta la vita dalla bocca. Ovviamente in questi versi viene nominata Aracne per l'abilità nella tessitura e non per l'aspetto mostruoso di ragno.

Onde, mentre il bel lino orna e trapunge, di mille punte il cor mi passa e punge = e in questo verso descrive l'azione della donna che decora (orna) ed esegue un ricamo (trapunge) la sua tela e questa azione la ripete più volte (mille) usando il suo ago; e il poeta a ogni movimento di ago avverte nel suo cuore come delle frecce d'amore che lo infilzano.

Misero! E quel sì vago / Sanguigno fil che tira / Tronca, annoda, assottiglia, attorce e gira / La bella man gradita / È il fil de la mia vita = il filo rosso che la donna gira, annoda e rigira (tutte le operazioni del ricamo) il poeta dice che non è altro che il filo della sua vita. Ciò evidenzia il potere che la donna ha sul poeta, quindi avviene come una seconda metamorfosi, stavolta come le Parche nella mitologia romana o le Moire nella mitologia greca che stabilivano il destino degli uomini.



Figure retoriche

  • Epanalessi = "È strale, è stral" (v. 1).
  • Metafora = "è stral, non ago" (v. 1).
  • Metafora = "Nova Aracne d’Amor" (v. 3).
  • Endiadi = "Orna e trapu = nge" (v. 4).
  • Anastrofe = "Di mille punte il cor mi passa e punge" (v. 5). Cioè: "mi passa e punge il cor di mille punte".
  • Anastrofe e metafora = "Sanguigno fil" (v. 7). Cioè: "filo sanguigno, filo rosso".
  • Enumerazione e climax ascendente = "Tira Tronca, annoda, assottiglia, attorce e gira" (vv. 7-8).
  • Metafora = "È il fil de la mia vita" (v. 10).



Commento

Il gesto quotidiano di una donna che cuce è simile a quello di un'altra poesia di Giambattista Marino: nella poesia Onde dorate vi è una donna che si pettina. Leggendo questa poesia risulta di immediata comprensione l'accostamento fra l'ago che usa la donna per cucire e lo strale, ovvero la freccia d'amore di Cupido, e in questo caso a essere colpito è il cuore del poeta, talmente è rimasto affascinato dalla visione di questa donna che cuce. Da qui in poi si può intuire che il poeta sente di essere la tela che lei tiene nelle mani e che sta decorando e cucendo: in essa lei passa più volte l'ago con il filo (e il poeta lo averte sul proprio corpo questa sensazione pungente che si ripete). Per la sua abilità nella tessitura egli paragona la donna ad Aracne. Il filo in questione non poteva che essere di colore rosso, il colore della passione, e attraverso i numerosi verbi legati all'atto del cucire riesce con arguzia a creare un rapporto di somiglianza tra il filo usato dalla donna e il filo della vita del poeta, entrambi nelle mani dell'amata.
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Donna che si pettina - Onde Dorate - Marino: parafrasi, analisi, commento

Donna

La poesia "Donna che si pettina", conosciuta anche con il titolo "Onde dorate", è stata scritta nel 1613 da Giambattista Marino e fa parte della raccolta La lira.






Donna che si pettina - Onde dorate

In questa pagina trovate tutto ciò che riguarda la poesia di Giovan Battista Marino intitolata "Donna che si pettina - Onde dorate": dal testo alla parafrasi, dall'analisi del testo e le figure retoriche al commento personale.

Titolo Donna che si pettina
Autore Giovan Battista Marino
Genere Poesia
Raccolta La lira
Corrente letteraria Letteratura barocca
Data 1613
Temi trattati L'atto del pettinarsi, la donna amata
Frase celebre «Ricco naufragio, in cui sommerso io moro ... di diamante lo scoglio e ‘l golfo d’oro!»




Testo

Onde dorate, e l’onde eran capelli,
navicella d’avorio un dì fendea;
una man pur d’avorio la reggea
per questi errori preziosi e quelli;

e, mentre i flutti tremolanti e belli
con drittissimo solco dividea,
l’òr delle rotte fila Amor cogliea,
per formarne catene a’ suoi rubelli.

Per l’aureo mar, che rincrespando apria
il procelloso suo biondo tesoro,
agitato il mio core a morte gìa.
Ricco naufragio, in cui sommerso io moro,

poich’almen fur, ne la tempesta mia,
di diamante lo scoglio e ‘l golfo d’oro!



Parafrasi

I capelli erano onde dorate, che un giorno una navicella d'avorio stava solcando;
una mano bianca come l'avorio la conduceva attraverso quelle preziose e disordinate ciocche di capelli.
Mentre la navicella creava dei solchi attraverso i capelli, l'Amore raccoglieva l'oro dei fili di capelli spezzati, per formare catene con cui imprigionare coloro (i capelli) che osavano ribellarsi a lui (ad Amore).
Il mio cuore agitato andava incontro alla morte alla vista di questo mare dorato, che mostrava il suo biondo e tempestoso tesoro.
Muoio sommerso nelle sue acque in questo ricco naufragio,
ricco perché nella mia tempesta, lo scoglio è di diamante e il golfo d'oro.



Analisi del testo

Schema metrico: ABBA ABBA CDC DCD.


Il titolo "Donna che si pettina" fa riferimento alla persona e all'azione che sta svolgendo; il titolo "Onde dorate" è una metafora e fa riferimento solo ed esclusivamente ai capelli della donna.


Adesso andiamo ad analizzare il testo della poesia verso per verso:

Onde dorate, e l’onde eran capelli = il poeta chiarisce sin dal primo verso che le onde dorate di cui parlerà in questo sonetto non sono altro che i capelli, che sono capelli di una donna lo si capisce sia da uno dei titoli

Navicella d’avorio un dì fendea = la navicella non è quella spaziale, bensì una piccola nave o barca, e dal momento che è di materiale avorio sta a significare che si sta parlando del pettine che, in un giorno non specificato, reggeva per pettinarsi i capelli.

Una man pur d’avorio la reggea = la mano che reggeva il pettine (la navicella) è del colore dell'avorio, cioè bianca.

Per questi errori preziosi e quelli = gli errori sono le ciocche di capelli sparsi qua e là e sono preziosi perché sono del colore dell'oro.

E, mentre i flutti tremolanti e belli con drittissimo solco dividea = col pettina creava una riga sottilissima che divideva quei capelli ondulati e belli.

L’òr delle rotte fila Amor cogliea, per formarne catene a’ suoi rubelli = e Amore (con la lettera iniziale maiuscola perché è la personificazione del sentimento) raccoglieva i capelli che durante la fase di pettinatura si sono ribellati, cioè si sono spezzati, e li attorcigliava come a formare delle catene per imprigionare gli altri capelli che si sarebbero spezzati.

Per l’aureo mar, che rincrespando apria il procelloso suo biondo tesoro, agitato il mio core a morte gìa = il mare dorato che, increspandosi, lasciava trapelare il suo tesoro biondo e tempestoso (fa riferimento al colore biondo, agitato dalla tempesta della pettinatura). E il cuore del poeta è agitato perché sa di stare andando in contro alla morte.

Ricco naufragio, in cui sommerso io moro poich’almen fur, ne la tempesta mia, di diamante lo scoglio e ‘l golfo d’oro! = : la tempesta che fa naufragare il poeta, lo getta contro uno scoglio di diamante (la bellezza impenetrabile della donna, o la fronte di essa) dentro un golfo d'oro (i capelli in cui si è svolta tutta la scena).


Nella poesia si ripetono numerosi vocaboli con il suono "ORO", per sottolineare questa metafora dei capelli biondi.



Figure retoriche

  • Metafora = "onde dorate" (v. 1). Cioè i capelli sono biondo color oro e ondulati.
  • Allitterazione della O = "Onde dorate, e l’onde" (v.1).
  • Metafora = "navicella d'avorio" (v. 2). Il pettine è realizzato in avorio e il modo in cui viene usato lo fa sembrare come una piccola imbarcazione che naviga nella sua capigliatura.
  • Metafora = "una man pur d’avorio" (v. 3).
  • Anastrofe = "per questi errori preziosi e quelli" (v.4).
  • Metafora = "errori" (v.4). Per indicare le ciocche disordinate.
  • Allitterazione della I = "per questi errori preziosi e quelli; e, mentre i flutti tremolanti e belli" (vv. 4-5).
  • Anastrofe = "E, mentre i flutti tremolanti e belli con drittissimo solco dividea" (vv. 5-6).
  • Metafora = "flutti tremolati e belli" (v. 5). Per indicare i capelli ondulati e belli.
  • Personificazione = "Amor" (v.7).
  • Anastrofe = "l’òr delle rotte fila Amor cogliea" (v.7).
  • Latinismo = "rubelli" (v. 8).
  • Allitterazione della R = "per l’aureo mar, che rincrespando apria" (v. 9).
  • Latinismo = aureo (v. 9).
  • Metafora = "aureo mar" (v. 9). Per indicare i capelli biondi che sembrano un mare dorato.
  • Allitterazione della S = procelloso suo ... tesoro" (v. 10).
  • Latinismo = procelloso" (v. 10). Cioè agitato dalla tempesta, un altro riferimento ai capelli ondulati.
  • Iperbato = "Per l’aureo mar ... agitato il mio core a morte già" (vv. 9-11).
  • Anastrofe = "agitato il mio core" (v. 11). Cioè: "il mio core agitato".
  • Anastrofe = "a morte già" (v.11). Cioè: "già a morte".
  • Ossimoro = "ricco naufragio" (v. 12). Il naufragio è ricco perché sta avvenendo nell'oro, nei capelli dorati. Ha accostato due parole dal significato contrastante.
  • Iperbole = "io moro" (v.12).
  • Anastrofe = "ne la tempesta mia" (v. 13). Cioè: "nella mia tempesta".
  • Metafora = "di diamante lo scoglio" (v. 14). Lo scoglio rappresenta l'ostacolo, ovvero l'amore non corrisposto dalla donna, ed è di diamante perché il rifiuto di questo amore non viene da una donna qualunque, ma dalla donna amata.
  • Sineddoche e metafora = "golfo d'oro" (v. 14). La parte per il tutto, il golfo è una parola che rimanda al mare.
  • Chiasmo = "di diamante lo scoglio e ‘l golfo d’oro!" (v. 14). Per la struttura aggettivo + sostantivo, sostantivo + aggettivo.



Commento

Il tema di questo sonetto si focalizza su una parte in particolare della donna descritta, ovvero i suoi capelli. Questi sono così lunghi, biondi ed ondulati che sembrano un mare d'oro, nel quale si muove una navicella, ovvero il pettine. Il mare assume man mano contorni minacciosi che conducono il poeta, dopo le 'tempestose onde d'oro' a un naufragio. Si ripropone così il rapporto particolare fra amore e morte: alla fine del sonetto, la morte non viene percepita come turbamento e conclusione di ogni cosa, anzi, si ritiene come fortunato perché il suo naufragio lo definisce "ricco", dal momento che, nella sua tempesta (= la sua sofferenza d'amore), lo scoglio in cui si infrange il suo cuore è di diamante (un materiale duro e impenetrabile), e il golfo in cui si trova questo scoglio è d'oro (per il colore biondo dei capelli della donna).

Marino fu uno dei maggiori esponenti della lirica barocca in Italia e la letteratura barocca era caratterizzata da estrosità, fantasia, esagerazione, gusto del bizzarro. Tutto ciò è evidente in questo componimento in cui vengono accostate due situazioni diverse in contemporanea: l'azione di pettinarsi e quella della navigazione.

La donna bionda che si pettina ricorda le donne della tradizione lirica, infatti vi è una certa somiglianza con il sonetto "Erano i capei d'oro a l'aura sparsi" di Francesco Petrarca. A differenza della lirica dove ogni azione che svolgevano le donne veniva idealizzata (cioè descritta secondo uno schema di perfezione ideale), qui l'atto di pettinarsi appare come un gesto comunissimo e quotidiano.
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Biografia: Giambattista Marino

Biografia:
Giambattista Marino nasce a Napoli nel 1569 e vi muore nel 1625. Dopo una vita scapestrata che lo porta due volte in carcere e a soggiorni nelle maggiori città italiane, si reca nel 1615 a Parigi dove, protetto dalla regina Maria de' Medici, trascorre otto anni tra grandi onori.
Rientrato in Italia, ha accoglienze trionfali e a lui si inneggia come al più grande poeta del tempo.
Considerato il maggior rappresentante del gusto poetico del Seicento, Marino ritiene che il fine della poesia sia la meraviglia che egli sa suscitare con immagini ardite e bizzarre e un linguaggio ricco e sapientemente musicale.
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