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I Malavoglia: Sintesi e Analisi (temi e personaggi)



Riassunto

Il romanzo racconta la storia di una famiglia di pescatori che vive e lavora nel paese di Aci Trezza. La famiglia è nota per la sua laboriosità ed è considerata economicamente agiata. Il patriarca è Padron ‘Ntoni che vive nella Casa del Nespolo insieme al figlio Bastianazzo, sposato con Maruzza, e ai 5 nipoti: ’Ntoni, Luca, Mena, Alessi e Lia. Le disgrazie nascono col l'acquisto di una grossa partita di lupini da trasportare in barca, ma il carico naufraga assieme a Bastianazzo a causa di una tempesta. Tutti si danno dunque da fare per pagare il debito dei lupini e per riparare la barca Provvidenza. Nel frattempo, Luca muore nella battaglia di Lissa durante il servizio militare di leva, il debito non viene saldato, la casa viene tolta e la reputazione della famiglia va peggiorando. Segue un altro naufragio della Provvidenza che porta Padron ‘Ntoni a un passo dalla morte; Maruzza muore di colera. A questo punto ‘Ntoni va via dal paese in cerca di ricchezze, ma, tornato impoverito, si dà al contrabbando e finisce in galera. Padron ‘Ntoni, ormai vecchio, muore senza poter rivedere la casa; Lia lascia il paese e si abbandona alla prostituzione; Mena rinuncia al matrimonio con Alfio e rimane a casa ad accudire i figli del fratello Alessi che, continuando a fare il pescatore, ricompra la Casa e tenta di ricostruire l'onore dei Malavoglia.



Narratore

È esterno e anonimo ma non coincide con l’autore



Focalizzazione

È esterna. Si parla anche di narratore popolare o corale in quanto egli si cela dietro i personaggi fino a regredire (artificio di regressione): egli condivide con la società il modo di comportarsi, i pregiudizi, la mentalità e la cultura. Da qui deriva l’artificio di straniamento che, basandosi sul grosso divario tra il punto di vista dell’autore e quello del narratore, mostra come strano qualcosa (per es. un comportamento) che in realtà non è



Tecniche narrative

Il racconto è in terza persona.
L’adozione del narratore popolare ha permesso all’autore di servirsi di tutti e tre i tipi di discorso, ma in particolare quello diretto e indiretto libero; Verga, in questo modo, mediante il primo si è impossessato del linguaggio diretto e schietto dei personaggi e con il secondo dei loro pensieri rimanendo del tutto impersonale.



Struttura narrativa 

La fabula e l’intreccio coincidono.
Vi è una sola prolessi nel capitolo 7 che riguarda la morte di Luca



Tempo

La storia si svolge dopo l’Unità d’Italia, comprendendo un arco di tempo di circa una quindicina d’anni, ovvero tra il 1863 (quando ‘Ntoni viene chiamato per la leva militare) e il 1878.

Il tempo del racconto non è omogeneo: nei capitoli 1-4 il tempo della storia e del racconto sono uguali, nei capitoli 5-9 il ritmo della narrazione è più accelerato, nei capitoli 10-15 il tempo del racconto è di gran lunga superiore a quello della storia (sono sintetizzati 14 anni).
L’elemento dominante è la scena, utilizzata durante i numerosi dialoghi; sono frequenti le ellissi; spesso si hanno dei sommari, in quanto il ritmo è accelerato quando vengono narrate intere giornate; infine, vi sono anche delle pause per riflessioni e descrizioni.



Spazio

È reale in quanto Verga appartiene alla corrente del Verismo. La storia si svolge nel piccolo paese di Aci Trezza vicino Catania; esso è il contenitore delle vicende. Si può fare una distinzione tra lo spazio esterno (ignoto e insicuro:i personaggi si disperdono o muoiono) e quello interno del paese (rassicurante). Nonostante l’autore si preoccupi di presentare attentamente lo spazio sociale del paese, questo non viene mai descritto. Ricorrono spesso la piazza (luogo dei pettegolezzi), la farmacia (luogo di raccoglimento per i più acculturati), l’osteria e la Casa del Nespolo vista come nido domestico.



I Personaggi

Non esiste un sistema dei personaggi ma si può fare una distinzione tra personaggi principali (la famiglia Malavoglia) e quelli secondari (i compaesani).


Personaggi principali

PADRON ‘NTONI. Patriarca che conosce molti proverbi, è il simbolo della saggezza popolare; non rinuncia mai al proprio dovere e ama il suo mestiere da pescatore. Non si oppone alla società ma la rispetta con tutte le tradizioni.

BASTIANAZZO. Figlio “grande e grosso” di Padron ‘Ntoni, è altrettanto un lavoratore; muore a causa della tempesta mentre trasporta il carico di lupini.

MARUZZA. Moglie di Bastianazzo, “bada a tessere, salare le acciughe e far figliuoli da buona massaia”. La sua serenità svanisce con la morte del marito e del figlio.

‘NTONI. “Bighellone di vent’anni”, è il figlio maggiore di Maruzza. Si ribella alla sua condizione di miseria smettendo di lavorare; dopo aver ucciso il brigadiere don Michele, poiché ha una relazione amorosa con Lia, trascorre cinque anni in carcere. Infine, lascia il paese per il suo passato da detenuto.

MENA. “Soprannominata Sant’Agata perché sta sempre al telaio” e innamorata di Alfio, dopo la morte della madre si occupa di educare Lia e di portare avanti la casa.

LUCA. ‘E “un vero Malavoglia”, quindi laborioso e di buon cuore. Muore durante la battaglia a Lissa.

ALESSI. “Un moccioso tutto suo nonno”: si dà da fare dopo le disgrazie capitate alla famiglia. Alla fine i suoi sforzi vengono premiati con il riscatto della Casa e il riconoscimento dell’onore perso della famiglia.

LIA. "È la più piccola, ancora né carne né pesce"; ha una storia amorosa con Don Michele, motivo per cui ‘Ntoni, rivendicando l’onore della sorella e della famiglia, lo uccide e finisce in carcere. Poiché girano voci nel paese riguardo la sua condizione di prostituta, lascia il paese senza far sapere più nulla su di lei.



Personaggi secondari

ZIO CROCIFISSO. “Campana di legno”:è l’usuraio del paese, sempre pronto ad approfittare delle disgrazie altrui per arricchirsi; vive con la nipote, la Vespa, che sposa per interessi

PIEDIPAPERA. Astuto e profittatore, affronta qualsiasi affare, compreso il contrabbando; è sposato con Gnà Grazia, donna generosa e amica dei Malavoglia

LA LOCCA. ‘E una donna povera nonostante sia sorella di Zio Crocifisso e ha due figli: Menico che muore con Bastianazzo e l’altro che finisce nel contrabbando con ‘Ntoni.

ZUPPIDDI TURI (rimette in senso la Provvidenza), VENERA(occupazione: maritare la figlia BARBARA)

ANNA (vedova: nonostante le difficoltà non si lamenta mai)

ALFIO MOSCA (carrettiere)

PADRON CIPOLLA (il ricco del paese) e il figlio BRASI (per poco è il fidanzato di Mena)

DON FRANCO (spezziale: repubblicano e rivoluzionario)

VANNI PIZZUTO (barbiere)

DON SILVESTRO (segretario comunale, furbo e pronto a dar consigli per il proprio tornaconto)

DON MICHELE (brigadiere delle guardie doganali)

MASTRO CALLA’ (sindaco)

CINGHIALENTA (contrabbandiere e frequentatore dell’osteria)

SANTUZZA (ostessa)

MANGIACARRUBBE (“una di quelle che stanno alla finestra”)

NUNZIATA (moglie di Alessi; prima si occupa dei fratelli).



Temi

Le questioni affrontate da Verga sono molte; innanzitutto, già nella prefazione l’autore espone il suo obiettivo, cioè quello di mostrare la lotta per i bisogni fondamentali dell’uomo. Il tema economico si presenta con l’attaccamento alla roba, con cui si intendono gli oggetti, le costruzioni e gli appezzamenti; con una parola: il denaro. Ciò che Verga vuole mostrare è come gli uomini perseguano la logica della roba, divenendo i vincitori e gli oppressori della società; chi, invece, vive seguendo la logica degli affetti, come i Malavoglia, finisce per essere un perdente e dunque soffrire. I protagonisti sono portatori di valori tradizionali, i quali si oppongono completamente a quelli del paese, legati, invece, alla modernità. Rientra, perciò, anche il tema della società: i Malavoglia ne sono vittime, in quanto colpiti dai pregiudizi dei compaesani; per esempio, mentre ‘Ntoni si preoccupa per la sorte di Bastianazzo, il paese crede che gli stia a cuore il carico di lupini. Questa differenza tra la malizia del popolo e la laboriosità della famiglia è sottolineata dall’utilizzo dell’artificio di straniamento. ‘E importante anche sottolineare che le disgrazie della famiglia iniziano nel momento in cui Padron ‘Ntoni decide di trattare l’affare dei lupini con Zio Crocifisso, ovvero, cercando di guadagnare in quell’anno più soldi. Si parla, dunque, della teoria dell’ostrica, la quale consiste nell’accettare la propria condizione e mantenere le classi chiuse. Verga appare perciò determinista: nessuno può cambiare il proprio status, da cui ne deriva una sorta di pessimismo.
Altro tema fondamentale è quello della famiglia, il cui simbolo è la Casa del Nespolo. Proprio per questo motivo, per i Malavoglia è importante pagare il debito dei lupini e non perdere la casa. Ancora, è possibile analizzare altri aspetti della società: il ruolo della donna, adatto a stare sempre al telaio, e la concezione del matrimonio, visto in tutto e per tutto come un affare per migliorare le proprie condizioni economiche. Tale visione, condivisa anche da Padron ‘Ntoni, cozza, invece, con quella di Mena che, innamorata di Alfio e corrisposta, vorrebbe coronare il suo sogno d’amore.
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I lupini dei Malavoglia: legumi o molluschi?


La storia dei Malavoglia la conosciamo un po' tutti: parla di una famiglia di pescatori che investono un piccolo capitale per acquistare un carico di lupini (peraltro avariati) da un suo compaesano chiamato Zio Crocifisso che poi avrebbero rivenduto per fare affari e diventare così commercianti. Padron 'Ntoni affida l'incarico al figlio Bastianazzo perché vada a venderli a Riposto, ma durante il viaggio la barca (la Provvidenza) subisce un naufragio e così il carico di lupini si perde in mare e Bastianazzo, che era fino a quel momento la principale fonte di sostentamento della famiglia, muore.
Il debito dei lupini deve ancora essere saldato e inoltre ci sono anche le spese della Provvidenza che deve essere riparata perché si tratta del principale mezzo di sostentamento utilizzato per la pesca.
Queste disgrazie porteranno la famiglia nel disonore e nella miseria: per pagare il carico di lupini invenduti devono cedere la casa di famiglia (la casa del Nespolo) che solo verso la fine del romanzo riusciranno a ricomprare.

La curiosità principale che riguarda il primo capitolo, tra l'altro anche fonte di dibattito, è la natura dei lupini che Verga immagina trasportati sulla Provvidenza. Esistono, infatti, due tipologie di "lupini": legumi e molluschi. Chi legge il romanzo è convinto che siano legumi ignorando dell'esistenza dei molluschi o viceversa, ma solo quando gli viene fatto notare che nel romanzo non è specificato nel dettaglio di che tipo di alimento si tratta, si rendono conto di trovarsi davanti a un bel dilemma.



Prima teoria: I lupini sono molluschi

Se i lupini fossero stati molluschi, sarebbero stati delle vongole comuni (Chamelea gallina), ovvero un mollusco bivalve marino commestibile che si trova nel Mar Mediterraneo, Mar Caspio e Atlantico orientale.

Il collegamento fra lupini e molluschi è il più ovvio per chi non conosce i lupini-legumi, perché dal momento che i Malavoglia sono in possesso di una barca, è più facile pensare che la usassero per il trasporto di prodotti attinenti alla pesca e poi perché ci troviamo in un'ambientazione di mare.

Gli aggettivi "avariati" e "fradici" usati per descrivere i lupini di Zio Crocifisso, in questo caso, starebbero per "passati", con l'intento di descrivere un qualcosa che sta andando a puzzare.

I lupini di mare vivono prevalentemente nei fondi sabbiosi, in cui si nascondono per sfuggire ai predatori.



Seconda teoria: I lupini sono legumi

Se i lupini, invece, fossero stati legumi, sarebbero dei semi della leguminosa Lupinus Alba, diffusi e consumati nel catanese.

È vero che sono una famiglia di pescatori, ma è altrettanto vero che nel romanzo si insiste molto sul fatto che per l'affare dei lupini i Malavoglia si sono incaricati solo come trasportatori, e che li comprano a credenza da zio Crocifisso che sa già che sono "avariati"; questo ci fa pensare che li abbia in magazzino e che per l'umidità siano diventati mollicci. Quindi sembrerebbe che siano legumi sotto sale.

Anche perché non avrebbe poi così senso che una famiglia di pescatori vada a comprare dei "prodotti del mare" da altri e a maggior ragione quando questi non sono in un buono stato. Bisogna considerare anche che le vongole hanno una durata minore rispetto ai legumi, sarebbero resistiti a un ulteriore viaggio?



Il risultato? 

Una meravigliosa lezione sul fatto che la letteratura è il regno dell'indeterminato, delle sfumature, delle interpretazioni. Ci insegna anche l'importanza del contestualizzare e storicizzare. Alla fin fine sembra che la spuntano i legumi, ossia che i lupini siano quei legumi giallastri. Non se ne ha l'assoluta certezza perché quella avrebbe potuta darcela solo Verga,. ma da come il romanzo ci presenta la scena sembra più un "lavoro extra" che non avevano mai fatto prima.

Possiamo immaginare che essendo pescatori avranno avuto modo di trasportare in passato dei molluschi, ma dei legumi? Sembra più un'occasione del momento, una scommessa azzardata di Padron 'Ntoni che aveva previsto che con la partenza di 'Ntoni per la leva sarebbe venuto a mancare alla famiglia il suo contributo economico e che quindi bisognava fare qualcosa.
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Confronto tra i Malavoglia e Mastro don Gesualdo

di Giovanni Verga
Confronto:

I due romanzi sembrano proporre un’ideale gerarchia delle ambizioni che muovono gli uomini nella loro incessante lotta per la vita e per il progresso: al livello di una pura lotta per la sopravvivenza si colloca la famiglia dei Malavoglia, i cui componenti ambiscono ad evadere dalla miseria e dalla precarietà in cui vivono, mentre al livello delle ambizioni di un uomo già ricco, che sogna di entrare nella società dei nobili, si colloca Mastro don Gesualdo. Al di là di questa diversa strutturazione di un identico motivo ispiratore, ci sono però, nei due romanzi, una diversa struttura narrativa e un diverso impianto ideologico, che, pur partendo da identiche premesse di pessimismo, sembrano orientare verso sbocchi opposti. Per quanto riguarda il primo aspetto, mentre I Malavoglia si presenta come un romanzo corale, in cui domina la religione della casa e del lavoro, nel secondo romanzo domina su tutti un eroe che il mito della “roba” travolge in una tragica solitudine.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, sebbene il pessimismo di Verga sia ugualmente evidente ed amaro in tutta la sua narrativa, in contrasto con certo facile ottimismo della cultura positivista, nei Malavoglia non è certo attenuato, ma, per così dire, compensato da quella forza che è la sola a cui i poveri possono ancorare la propria esistenza: gli affetti familiari, il focolare domestico (il pessimismo è infatti confermato dal fatto che chi sogna di uscire da questo romanzo, viene meno anche quella forza, in quanto il protagonista sembra completamente alienarsi nel mito della “roba” (è in sostanza suo unico affetto) e tutti i personaggi, a qualsiasi ceto sociale appartengano, sembrano travolti dalla bufera degli eventi, senza alcun ancoraggio che valga ad offrire una qualche resistenza agli eventi stessi.
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Trama breve dei I Malavoglia

di Giovanni Verga
Trama in sintesi breve:

I Malavoglia sono una famiglia di pescatori di Acitrezza: il loro nome era Toscano. Essi vivono nella “Casa del nespolo” da tante generazioni e possiedono una barca, la “Provvidenza”, a cui affidano le sorti della loro vita, ma la “Provvidenza” naufraga, trascinando nella rovina l’intera famiglia. Nel naufragio scompare Bastianazzo, la barca è andata distrutta e così non avevano i soldi nemmeno per pagare il carico di lupini che non sono riusciti a vendere a seguito dell'incidente. Per sanare il debito si vedono costretti a cedere la Casa del nespolo. Il padre di Bastianazzo, il vecchio Padron ‘Ntoni, muore all'ospedale,  più tardi muore anche la moglie di Bastianazzo, Luca muore nella battaglia di Lissa, il giovane ‘Ntoni cerca di far fortuna col contrabbando, ma viene arrestato, Lia prende una cattiva strada, e Mena, non essendosi potuta sposare per la cattiva fama della sorella, va a vivere con la famiglia dell’ultimo suo fratello, Alessi, il quale, dopo tante sventure, riuscirà a formare una sua famiglia e a ricomprare la “Casa del nespolo”.


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Temi del romanzo I Malavoglia

di Giovanni Verga
Riassunto e commento:

I Malavoglia, che avrebbe dovuto costituire il primo dei cinque romanzi del “ciclo dei vinti”, è centrato sul tema della lotta per l’esistenza e per il miglioramento delle condizioni di vita al livello più basso della scala sociale, quello di una povera famiglia di pescatori siciliani. E’ quindi il tema della lotta per la sopravvivenza, per il pane quotidiano, ad essere proposto. E’ una sorta di romanzo corale, sia perché i protagonisti sono i componenti di una famiglia la cui forza è nell'unione  nel lavorare insieme di tutti, sia perché protagonista dell’azione, in senso più ampio, sembra un intero paese che assiste alle disgrazie della famiglia. E’ evidente una sorta di “religione del focolare domestico”, in quanto è il vivere uniti nel nucleo familiare che consente meglio di resistere alle avversità della natura e della società; chi se ne allontana, come alcuni dei figli di Bastianazzo, è destinato a ritrovarsi solo ed indifeso; certo, l’ambizione ed il desiderio di far fortuna portano alcuni lontano dalla famiglia, ma questi, sradicati definitivamente  vanno irrimediabilmente incontro alla sconfitta.
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Commento Introduzione I Malavoglia

di Giovanni Verga
Commento:

Nella prefazione ai Malavoglia, il Verga accoglie senz'altro la tesi positiva dell’infinito progresso dell’umanità, ma osserva come la “fiumana del progresso”, travolgendo gli individui, comporti l’infelicità degli stessi. Proprio per questo, lo scrittore siciliano parla di “vinti”, a significare che il progresso, se considerato nel suo insieme (o, come dice l’autore, “visto da lontano”), si presenta grandioso: in realtà comporta sempre la sconfitta dei singoli, per cui il destino generale dell’umanità non coincide assolutamente con i destini individuali. L’ingenua ottimistica fiducia nel progresso, che era propria del positivismo  si converte così nel suo opposto, cioè in una sostanziale pessimismo consistente nell'osservare come la “fiumana del progresso” travolga tutti, anche quelli che, “vincitori d’oggi”, affrettati anch'essi di arrivare… saranno sorpassati domani”.
La tendenza al miglioramento  che è la molla stessa del progresso, si trasforma quindi paradossalmente in una condanna degli individui alla sconfitta ed all'infelicità.
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Descrizione personaggi dei I Malavoglia

Può essere considerata protagonista l’intera famiglia dei Malavoglia, presentata direttamente dal narratore all'inizio del romanzo. Come per tutti gli altri personaggi non c’è presentazione fisica, quasi a significare che tutte le persone che vivono in queste pagine possono essere considerati dei tipi. Il narratore non si fa mai portavoce dei pensieri dei personaggi, ma li lascia parlare liberamente .La famiglia viene paragonata alle dita della mano: padron Ntoni era il “patriarca”, sapeva molti proverbi simbolo della saggezza popolare, Bastianazzo definito “ grande e grosso”, La Longa (Maruzza) era la buona massaia e poi seguivano i figli: ‘Ntoni che si ribellerà ai destino dei vinti, Luca più giudizioso, Mena che lavorava e tesseva sempre tanto da essere soprannominata “Sant’Agata”, Alessi che rappresenta la fiducia nel futuro ed infine la piccola Lia. Questi personaggi sono la personificazione tipologica della famiglia di pescatori sconvolta dalle disgrazie ma che cerca sempre di andare avanti a testa alta; il loro spessore psicologico è dato dalle loro stesse parole attraverso il discorso diretto libero.


Personaggi principali


Padron ‘Ntoni: è il capofamiglia, il più anziano. È un uomo caparbio che non rinuncia mai a fare il suo dovere. Amante del mare e quindi del suo mestiere di pescatore. Inizialmente il narratore non descrive in modo dettagliato il personaggio, dice solo che è un vecchi curvo, ma in seguito, quando si ammala, lo descrive con maggiore attenzione, come se attraverso la descrizione fisica emergesse anche il profilo psicologico e affettivo.
Padron ‘Ntoni non si oppone alla società del suo tempo, né la subisce, la rispetta, con tutte le sue credenze e tradizioni.
Il suo animo sereno nel primo capitolo va cambiando attraverso le disgrazie che dovrà affrontare. Negli ultimi capitoli troviamo un uomo stanco della vita, che, ormai giunto ad una età avanzata, non aspetta che la morte.

Bastianazzo: è il figlio di Padron ‘Ntoni, è un uomo di buon cuore e lavoratore. Muore ancora giovane in mare durante una tempesta.

Maruzza (la Longa): è la moglie di Bastianazzo. Si dà da fare per contribuire al bilancio familiare.
La sua serenità svanisce con la morte prematura del marito, e poi del figlio Luca. Il dolore per le numerose perdite la invecchia precocemente. La sua vita viene spezzata da una grave malattia: il colera.

‘Ntoni: è il figlio maggiore di Bastianazzo e Maruzza. È un ragazzo giudizioso, anche se a volte troppo impulsivo. Col passare degli anni, la sua voglia di lavorare diventa sempre minore, si ribella alla sua condizione di miseria e povertà, in un modo insolito: smette di lavorare e va a cercare guai all’osteria. Questa vita lo porterà a scontare cinque anni di galera. Dopo essere stato rilasciato, lascia il paese d’origine.

Mena: è una figlia giudiziosa e riservata. È soprannominata Sant’Agata per il suo assiduo lavoro al telaio. Dopo la morte della madre sa educare la sorella minore Lia e mandare avanti la casa.
Le disgrazie e i dispiaceri la invecchiano assai precocemente: a soli ventisei anni le sembra già di essere vecchia. È molto influenzata dalla società del suo tempo, infatti decide di non sposarsi con Alfio Mosca, di cui era innamorata, perché questo avrebbe riportato sulla bocca di tutti la triste sorte della sorella.

Luca: “un vero Malavoglia”, giudizioso e di buon cuore, come il padre, muore prematuramente in guerra.

Alessi: è un bravo ragazzo, si dà da fare per tirare su la famiglia dopo la morte del nonno, del padre, della madre e la “fuga” di ‘Ntoni . Riesce a riscattare la casa del Nespolo e ricostruisce la famiglia dei Malavoglia. Sposa una brava ragazza, Nunziata.

Lia: La più piccola della famiglia Malavoglia. Finisce sulle bocche di tutti dopo il processo del fratello, e per questo lascia Aci Trezza. Nessuno avrà più sue notizie. Solo Alfio Mosca sa la verità.


ALTRI PERSONAGGI

Il “secondo protagonista” del romanzo è l’intero paese, composto da personaggi uniti da una stessa cultura ma divisi da antiche rivalità, tipi che parlano e si confondono tra loro creando un effetto corale che nei primi capitoli quasi disorienta il lettore. La Santuzza, l’ostessa che simboleggia l’inganno, don Michele, il brigadiere corrotto, don Silvestro, il segretario che gestisce come una marionetta il sindaco, Alfio Mosca, il carrettiere rassegnato al suo destino di lavoratore, Campana di Legno, un ricco e avaro signore sono alcuni tra i più importanti. Al contrario di ciò che si può pensare anche l’asino di Alfio Mosca ha un’importanza nell’economia del romanzo. Questo animale è il simbolo dei vinti, dei poveri che devono soltanto lavorare per guadagnare una miseria: “Carne d’asino - borbottava ‘Ntoni - ecco cosa siamo! Carne da lavoro!”.
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Descrizione: Mena dei I Malavoglia

Mena, diminutivo di Filomena, è una delle protagoniste del romanzo. E’ una ragazza giovane, nipote di padron ‘Ntoni e figlia di Bastianazzo e della Longa, che Verga ci descrive con queste parole: "La Mena entrava nei diciassett'anni, e cominciava a far voltare i giovanotti quando andava a messa". Fin dall'inizio del romanzo viene delineato il suo carattere pacifico “Ella era giudiziosa come sua madre” sottomesso alla volontà della famiglia: questa è la prima descrizione che di lei viene data: “Mena soprannominata «Sant’ Agata» perché stava sempre al telaio, e si suol dire «donna di telaio, gallina di pollaio, e triglia di gennaio»”. Dopo la morte della madre, sarà lei a doversi occupare della casa e dell’educazione della sorella minore, Lia. Subisce molto l’influenza della società del suo tempo, tanto che alla fine non sposerà Alfio, pur avendone la possibilità, temendo che si torni a parlare della fuga della sorella Lia. In conclusione possiamo dire che il personaggio, nel corso delle vicende narrate da Verga, mantiene una certa staticità dovuta soprattutto ad un carattere troppo fragile ed alle condizioni in cui si trova la società in cui la protagonista viene collocata.

RAPPORTO CON GLI ALTRI PERSONAGGI
Rapporto con Alfio Mosca: l’amore tra Alfio e Mena, due tipici “vinti” verghiani, si tinge nel corso del romanzo di malinconia e di amarezza. Dapprima la ragazza si sacrifica alla religione della casa e rinuncia all'amore per Alfio, che è solo un povero carrettiere, per seguire la volontà del nonno che vorrebbe sposarla a Brasi Cipolla (figlio di padron Cipolla, il benestante del paese). Poi il matrimonio va a monte, ma intanto Alfio ha lasciato il paese e con molti sacrifici è riuscito a migliorare la propria condizione economica. Segno palese del mutamento, quando dopo otto anni ritorna, è il mulo grosso e lucente con cui ha sostituito l’asino. Il seguente passo, tratto dal capitolo finale del romanzo, sottolinea questo cambiamento: “Giacché tutti si maritavano, Alfio Mosca avrebbe voluto prendersi comare Mena, che nessuno la voleva più, dacché la casa dei Malavoglia s’era sfasciata, e compar Alfio avrebbe potuto dirsi un bel partito per lei, col mulo che ci aveva; così la domenica ruminava fra di sé tutte le ragioni per farsi animo, mentre stava accanto a lei, seduto davanti alla casa, colle spalle al muro, a sminuzzare gli sterpolini della siepe per ingannare il tempo. Anche lei guardava la gente che passava, e così facevano festa la domenica: – Se voi mi volete ancora, comare Mena, – disse finalmente; – io per me son qua. La povera Mena non si fece neppur rossa, sentendo che compare Alfio aveva indovinato che ella lo voleva, quando stavano per darla a Brasi Cipolla, tanto le pareva che quel tempo fosse lontano, ed ella stessa non si sentiva più quella. – Ora sono vecchia, compare Alfio, – rispose, – e non mi marito più”.

Rapporto con la Maruzza detta la Longa: il rapporto tra questi due personaggi non è descritto in modo molto approfondito nel corso della narrazione, tuttavia un eventuale elemento di contrasto tra i due protagonisti può essere individuato in questo breve passo che ci descrive l’atteggiamento rispettivamente prima di Mena e poi della Longa di fronte al futuro matrimonio, poi fallito, della prima con Brasi Cipolla: “(Riferito a Mena) Ella sola, poveretta, non sembrava allegra come gli altri, e pareva che il cuore le parlasse e le facesse vedere ogni cosa in nero, mentre i campi erano tutti seminati di stelline d'oro e d'argento, e i ragazzi infilavano le ghirlande per l'Ascensione, ed ella stessa era salita sulla scala per aiutare sua madre ad appendere le ghirlande all'uscio e alle finestre. […] (Riferito alla Longa) La mamma invece, poveretta, si sentiva dentro tutta in festa, perché la sua ragazza andava in una casa dove non le sarebbe mancato nulla, e intanto ella era sempre in faccende a tagliare e cucire”.

Rapporto con Brasi Cipolla: il suo promesso sposo è Brasi di padron Cipolla “Il quale, dopo compare Naso il beccaio, passava pel più grosso partito del paese, e le ragazze se lo mangiavano con gli occhi”. Mena non è contenta di questo matrimonio, ma non si oppone alla festa di fidanzamento. Dopo poco tempo le condizioni economiche dei Malavoglia entrano in crisi e padron ‘Ntoni è costretto a vendere la casa del Nespolo allo zio Crocifisso, con conseguente umiliazione ed emarginazione della propria famiglia. Il matrimonio allora va a monte, “Mena però era tranquilla, e s’era rimessa la spadina d’argento nelle trecce da se stessa, senza dir nulla. [...] Sua madre la covava cogli occhi, mentre lavorava accanto a lei, e l’accarezzava col tono della voce, quando le diceva: - Dammi la forbice, o, tiemmi la matassa - che se la sentiva nelle viscere, la sua figliuola, ora che tutti le voltavano le spalle; ma la ragazza cantava come uno stornello, perché aveva diciotto anni, e a quella età se il cielo è azzurro vi ride negli occhi, e gli uccelli vi cantano nel cuore. Per altro il cuore non ce lo aveva mai avuto per quel cristiano, lo disse all’orecchio della mamma, mentre ordinavano la trama”.

Rapporto con Lia: come già detto, dopo la morte della madre, Mena si ritrova a doversi occupare della casa e dell’educazione della sorella minore, Lia. Il problema tra le due sorelle tuttavia comincia a sorgere quando Lia, attratta da don Michele, il brigadiere, comincia ad ignorare gli ordini della sorella maggiore, opponendosi ad essa: “La povera Mena, mentre stava là sulla porta, ad aspettare il fratello che tornava a casa ubriaco, si sentiva così stanca ed avvilita che le cascavano le braccia quando voleva tirare in casa la sorella, perché passava don Michele, e Lia le rispondeva: - Hai paura che mi mangi? Già, nessuno ne vuole di noi altri, ora che non abbiamo più niente. Non lo vedi come è andato a finire mio fratello, che non lo vogliono nemmeno i cani!”. In altre parole, Mena condivide gli ideali di padron ‘Ntoni ed è una ragazza legata alla vita contadina ed onesta mentre Lia invece è una ragazza che vuol crescere in fretta, vestirsi da donna, passando dai fazzoletti (con cui le donne si coprono il capo) da bambina a quelli da ragazza. Quest’ultima non sembra particolarmente legata agli ideali di padron ‘Ntoni tanto che scapperà in città finendo con diventare una prostituta, con lo scopo di voler migliorare la propria condizione, in maniera sbagliata e potremmo dire anche con un po’ di smania.

Rapporto con ‘Ntoni: nemmeno il rapporto tra Mena e ‘Ntoni può essere considerato uno dei migliori, infatti, verso la fine del romanzo possiamo assistere ad una discussione cruda, ma allo stesso tempo fragile che mette in luce le mentalità dei due personaggi: “- Non ti rammenti che tua madre ti ha raccomandato la Mena? gli diceva padron 'Ntoni. - Che aiuto posso darci alla Mena se resto qui? ditelo voi! Mena lo guardò cogli occhi timidi, ma dove ci si vedeva il cuore, tale e quale come sua madre, e non osava proferir parola. Ma una volta, stringendosi allo stipite dell'uscio, si fece coraggio per dirgli: - A me non me ne importa dell'aiuto, purché tu non ci lasci soli. Ora che non c'è più la mamma mi sento come un pesce fuori dell'acqua, e non m'importa più di niente. Ma mi dispiace per quell'orfanella che resta senza nessuno al mondo, se tu vai, come la Nunziata quando l'è partito il padre. - No! diceva 'Ntoni, no! Io non posso aiutarti se non ho nulla. […] La Mena, poiché 'Ntoni voleva andarsene a ogni costo, gli metteva in ordine tutta la roba, come avrebbe fatto la mamma, e pensava che laggiù, in paese forestiero, suo fratello non avrebbe avuto più nessuno che pensasse a lui, come compare Alfio Mosca. E mentre gli cuciva le camicie, e gli rattoppava i panni, la testa correva lontano lontano, a tante cose passate, che il cuore ne era tutto gonfio”.
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Riassunto per capitoli I Malavoglia


L'opera è ambientata tra i poveri pescatori di Aci Trezza, vicino a Catania; essa venne concepito come il primo di una serie di romanzi (il ciclo dei Vinti) in cui l'autore intendeva esplorare le varie forme sociali che assume la sconfitta nella lotta per la vita. Al livello più basso si pongono i poveri pescatori di Trezza: il narratore li ritrae nel momento in cui il progresso mostra le sue prime novità, spingendoli quindi a una ricerca del meglio che però si rivelerà completamente fallimentare.
L'idea di volgersi a un terreno letterariamente inesplorato, qual è la vita della povera gente della sua terra, venne a Verga, quasi per caso, nel 1874, allorché scriveva il bozzetto Nedda: la sua prima, pur se acerba, opera verista. Altre ne seguiranno, tali da promuovere una rivoluzione letteraria nell'ambito della tradizione italiana, sul piano sia dei contenuti sia del linguaggio, volutamente antiletterario: il narratore si nasconde dietro ai pensieri e alle stentate parole dei suoi personaggi, così da realizzare il massimo grado di oggettività e impersonalità narrativa.



Lista riassunti per capitolo

CAPITOLO 1
Il romanzo si apre con la descrizione della famiglia protagonista, che vive ad Aci Trezza, un paesino di pescatori sulla costa orientale della Sicilia, pochi chilometri a nord di Catania. I Toscano, chiamati Malavoglia, pur essendo dei lavoratori, possiedono principalmente la casa del nespolo, dalla pianta che le cresceva accanto, e la barca della Provvidenza, che nel corso del romanzo si rivelerà la negazione della Provvidenza stessa. La famiglia è composta da Padron 'Ntoni, il dito grosso della mano, che ha un figlio, Bastianazzo, grande, grosso e obbediente; quest'ultimo è sposato con Maruzza, chiamata anche la Longa, una brava moglie e massaia, che gli ha dato cinque figli. Il primo di questi è 'Ntoni, un bighellone di vent'anni; seguono Luca, che è più giudizioso del fratello maggiore, Mena, soprannominata "Sant'Agata" dalla sua passione per il telaio, Alessi, un moccioso ancora incapace di soffiarsi il naso, ma con già il temperamento del nonno, e infine Lia, la più piccola. La vita familiare viene sconvolta quando viene chiamato alle armi il giovane 'Ntoni , che, dopo un inutile tentativo di corruzione delle autorità del paese da parte del nonno 'Ntoni, parte per Napoli dalla stazione di Aci Castello: prima però saluta la madre affranta e la giovane Sara di comare Tudda, alla quale invierà una sua foto. Padron 'Ntoni, per riparare al disagio per la perdita di due braccia da lavoro così forti come quelle del suo nipote maggiore, tenta un affare: compera ,a credito da "quell'usuraio di Zio Crocifisso", una grossa partita di lupini, che poi si riveleranno quasi avariati; li carica sulla "Provvidenza" ed affida al figlio Bastianazzo il compito di andarli a vendere a Riposto.


CAPITOLO 2
Nel capitolo viene descritta la figura di Mena, amica della coetanea Nunziata, che deve assistere una "nidiata di fratellini" lasciati a lei dal padre per educarli: le due amiche parlano dei ragazzi del paese rivelando un comune interesse per Compare Alfio Mosca, un giovane rimasto senza parenti e senza amici. Dopo la partenza di Bastianazzo e l'amico Menico sulla "Provvidenza", Padron 'Ntoni discute con alcuni paesani sul buon fine dell'operazione, legato a determinate condizioni atmosferiche: queste ultime, però, sembrano non essere favorevoli al viaggio.


CAPITOLO 3
I parenti di Bastianazzo e Menico, imbarcatisi in una tempestosa notte di settembre, si riuniscono in chiesa per pregare affinchè non si verifichi la disgrazia che è già nell’aria. Gli altri personaggi commentano l’ormai presentito fallimento dell’impresa nell’osteria della Santuzza, dove si beve, si impreca e si ride delle spiritosaggini dette per dare coraggio ai parenti dei disgraziati. Inutile il tentativo della disperata Mariuzza, che continua a invocare il nome della Vergine, di scorgere l’imbarcazione del marito dall’alto della “sciara”(=lava) che, dalle pendici dell’Etna arriva sino al mare.


CAPITOLO 4
Ormai Mariuzza è venuta a conoscenza della disgrazia per la quale la barca è naufragata, i lupini sono stati ingoiati dal mare e soprattutto Bastianazzo è annegato. Padron ‘Ntoni deve provvedere a saldare il debito dei lupini; intorno alla sua disgrazia si concentra l’attenzione degli abitanti del villaggio: chi per curiosita’, chi per compassione, chi per egoismo (come lo zio Crocifisso, che vuole I soldi dei lupini). Durante la commemorazione del defunto Bastianazzo alcuni paesani cercano di trovare una soluzione al nuovo problema economico che la famiglia smembrata deve affrontare; le amiche dell’affranta Mariuzza, che non riesce più a dire e a fare nulla (nemmeno a dare da mangiare ai suoi figli), cercano invece di confortarla, come la cugina Anna, che bada ai piccini.


CAPITOLO 5

Filomena viene a sapere da Compare Alfio Mosca che dovrà sposare il ricco Brasi di Padron Cipolla, per risollevare le sorti della famiglia. E mentre Alfio, che possiede solo un asino, le spiega i suoi progetti futuri di carrettiere, lei arrossisce e lascia intendere che sarebba disposta a intraprendere una vita nomade insieme a lui. Mentre si avvicina sempre più il 2 novembre, scadenza ultima per pagare i lupini presi in credenza, la “Provvidenza” viene gettata inservibile sulla spiaggia dalle onde: mentre qualcuno scaglia con disprezzo un calcio sulla barca, imprecando contro il suo nome, altri si propongono di rimetterla in sesto. Il ritorno del giovane ‘Ntoni da Napoli riempie ancora una volta di gente la “casa del nespolo”: il fratello Luca esprime il desiderio di partire per la leva al posto di ‘Ntoni, che, dal canto suo, non intende rimanere una settimana nella casa del padre defunto.


CAPITOLO 6
‘Ntoni rimane deluso quando viene a conoscenza del matrimonio tra Sara di Comare Tudda, la ragazza che amava di più, con un altro paesano, ma si reca lo stesso a pescare coi fratelli e il nonno: tutti si danno da fare per guadagnare i soldi necessari a pagare Tino Piedipapera, un clandicante del paese, cui Zio Crocifisso finge cedere il credito per i lupini. Mariuzza e Mena tessono su commissione, Padron ‘Ntoni e il giovane ‘Ntoni pescano di notte e rivendono di giorno, Luca lavora sul ponte della ferrovia, mentre Alessi va in cerca di esche da rivendere ai pescatori. Dopo l’inutile tentativo di padron ‘Ntoni di persuadere il creditore affinchè si soddisfi sulla “Provvidenza”, quasi rifatta a nuovo, e sulla “casa del nespolo”, egli si reca insieme al nipote ‘Ntoni da un avvocato, il quale consiglia loro di non estinguere il debito per il momento, non essendo quest’ultimo provato da alcun documento. Però, l’intera famiglia, non essendo sicura della via consigliata, si reca dall’esperto in legge del paese, Don Silvestro, che suggerisce a Mariuzza di rinunciare alla dote per poter rendere cedibile la casa.


CAPITOLO 7

Poco dopo il Natale, Luca è chiamato alle armi e parte come il fratello, assicurando la madre che prima di tornare la avviserà, cosicchè potrà venire a prenderlo dalla stazione. Nel frattempo la “Provvidenza” restaurata è nuovamente varata con grande festa per il paese: il giovane ‘Ntoni conosce Barbara Zuppidda, mentre l’ingenua Mariuzza informa l’accorata Mena sul suo futuro matrimonio col ricco Brasi Cipolla. Segue la descrizione della ribellione degli abitanti del paese verso le autorità del paese stesso, rappresentate dal segretario comunale Don Silvestro, a seguito della sua decisione di introdurre un dazio sulla pece, necessaria per riparare eventualmente la “Provvidenza”: infatti quest’ultimo era innamorato di Barbara Zuppidda e geloso del giovane ‘Ntoni. Nell’insurrezione si scontrano i pareri della Zuppidda e di Piedipapera: quando ‘Ntoni ne viene a conoscenza decide di battersi con Piedipapera, per assicurarsi la ragazza. Ma la ferma negazione che Padron ‘Ntoni dà al giovane quando questi gli chiede di potersi sposare costringe ‘Ntoni a rinunciare.


CAPITOLO 8
‘Ntoni è risoluto a levarsi davanti tutti gli uomini che sposerebbero Barbara Zuppidda, cioè Vanni Pizzuto e soprattutto il brigadiere Don Michele. Quest’ultimo, però, per levarsi di mezzo ‘Ntoni, chiede aiuto a Piedipapera, che coglie al volo l’occasione per “ridurre come si deve ‘Ntoni e la sua parentela”. Padron ‘Ntoni e Padron Cipolla fanno incontrare i nipoti Mena e Brasi nella casa dei Malavoglia, ma, mentreil ragazzo dimostra interesse per la ragazza, Mena rimane con gli occhi abbassati e non gli offre nulla. La ragazza tiene però un diverso comportamento quando incontra Alfio Mosca, in procinto di partire per il paese di Bicocca: prima di montare sull’asino, il ragazzo dichiara il proprio amore a Mena, che, con le lacrime agli occhi, si conforta pensando che è Dio che li vuole separati.


CAPITOLO 9
Padron ‘Ntoni supplica Compare Tino (=Piedipapera) affinchè gli conceda la dilazione del debito fino a settembre, ma quest’ultimo sostiene di non aver più pane da mangiare e gli consiglia di vendere la “casa del nespolo”. Segue il convito organizzato dai Malavoglia in occasione della spartizione dei capelli della futura sposa Mena, come vuole la tradizione siciliana. Ma la notizia della battaglia di Lissa, dove la nave “Re d’Italia” è affondata con tutto l’equipaggio, guasta l’atmosfera gioiosa della “casa del nespolo”. Allora Padron ‘Ntoni e la nuora Maruzza si recano dalla capitaneria del porto di Catania per informarsi sulla salute del giovane Luca, il cui nome è però scritto nella lista dei caduti in mare: Maruzza “sdrucciola pian piano a terra mezza morta”. La famiglia si trasferisce ora nella casa di un beccaio, che Padron ‘Ntoni ha affittato dopo la vendita della “casa del nespolo”. Senza quest’ultima i Malavoglia non hanno più “nè casa nè regno” e quindi rimandano al futuro i progetti di matrimonio per Mena e ‘Ntoni. Ormai i Malavoglia sono convinti che “bisogna vivere come e dove si è nati”.


CAPITOLO 10
I Malavoglia cercano di risollevare le sorti economiche della famiglia con la barca, visto che la “Provvidenza” è l’ultima cosa a loro rimasta. Ma in una sera di brutto tempo Alessi, ‘Ntoni e il nonno devono fronteggiare il mare in tempesta, rischiando di morire annegati in seguito a uno schianto della barca: nello scontro Padron ‘Ntoni sembra aver perso la vita. Ma l’abile ‘Ntoni porta la barca al sicuro e alcuni personaggi dagli scogli riescono a salvare i tre disgraziati con una fune. Padron ‘Ntoni viene dunque curato e confortato dai membri della famiglia e anche degli abitanti del paese: pian piano si rimette in sesto per poter ritornare a pescare coi nipoti e per poter riacquistare la “casa del nespolo”, nella quale desidera morire.


CAPITOLO 11
Il giovane ‘Ntoni non pensa ad altro che “a quella vita senza pensieri e senza fatica” che vorrebbe condurre dopo essersi arricchito in città. Inutili saranno i proverbi del nonno finalizzati a convincere il giovane che è meglio che rimanga “al suo paesello”; inutili saranno anche le lacrime della Longa, che, resa vecchia e stanca dalle disgrazie, non vedrà la partenza del figlio. Infatti ella si ammala di colera che da Catania raggiunge presto Aci Trezza; quest’ultimo è isolato e come blindato, a causa degli sbarramenti agli usci di ogni abitazione. I figli della Longa rimangono “sbalorditi” dalla velocità con cui il morbo porta via la donna, anche se ‘Ntoni decide ugualmente di partire alla ricerca della fortuna tanto bramata. Abbandona quindi i fratelli, in preda a due stati d’animo contrastanti: il pentimento, ossia il rimorso per aver tradito la religione della casa, e la testardaggine, che ha però la meglio.


CAPITOLO 12
Durante l’assenza del giovane ‘Ntoni, il nonno e i nipoti si organizzano per poter ritornare nella “casa del nespolo”. Il serio Alessi progetta di sposare la Nunziata, giovane e onesta contadina nonchè allevatrice dei suoi numerosi fratellini: con il loro lavoro i due sperano di poter riacquistare la “casa del nespolo”. ‘Ntoni parte in cerca di fortuna ma ritorna umiliato e più povero di prima: allora fugge dalla propria famiglia, che avrebbe bisogno di lui, e sogna una vita basata su ricchezza, divertimento e ozio.


CAPITOLO 13
Solo per una settimana ‘Ntoni riprende a lavorare col nonno e gli altri nipoti. Ma a nulla servono le prediche del nonno, in quanto il vizio della vita notturna e del brigantaggio spingono il giovane a frequentare sempre l’osteria della Santuzza. Il brigadiere Don Michele, anch’egli frequentante quell’osteria, corteggia Lia, presentandosi regolarmente a casa sua, col pretesto di informare la ragazza che ‘Ntoni è diventato contrabbandiere. Nel frattempo Zio Crocifisso, per ottenere una chiusa, si sposa con la nipote Vespa, che non fa altro che spendere il suo denaro; il figlio di Padron Cipolla, Brasi, scappa con la Mangiacarrube, un’altra giovane di Aci Trezza.


CAPITOLO 14

Una sera ‘Ntoni, che è venuto a sapere delle intenzioni di Don Michele con Lia, viene sorpreso dalle guardie doganali insieme ad altri coetanei ubriachi, ferisce Don Michele e viene portato in questura proprio da quest’ultimo. Padron ‘Ntoni, con i risparmi, paga un avvocato per il processo; l’avvocato Scipioni afferma che il ferimento di don Michele non è avvenuto a causa del contrabbando ma a causa di donne. Padron ‘Ntoni allora pensa che si riferisca alla rivalità per la Santuzza, ma quando capisce che l’avvocato intende Lia sviene e viene portato via dai carabinieri. ‘Ntoni ottiene cinque anni di lavori forzati, pur negando ciò che l’avvocato dice al processo. Compare Piedipapera torna in paese per riferire a Lia ciò che è stato detto di lei al processo: ma, mentre Mena accetta lo sgomento della nuova tragedia, la sorella Lia non sostiene l’apparenza del disonore. Decide quindi di allontanarsi da casa, andando lei stessa incontro al disonore.


CAPITOLO 15
Dei Malavoglia ormai sono rimasti solo Padron ‘Ntoni, Mena e Alessi, senza contare la Nunziata, che ormai vive con loro ed è diventata una ragazza “alta e sottile come un manico di scopa”. Il nonno invece non riesce più ad alzarsi dal letto e deve essere ricoverato. Alfio Mosca, tornato con il nuovo mulo a carcare Mena, accompagna sul suo carro il vecchio all’ospedale, dal quale quest’ultimo non uscirà vivo. Compare Mosca chiede dunque la mano di Mena, ormai ventiseienne, la quale rifiuta in quanto sostiene di non poter più maritarsi dopo le disgrazie della famiglia. Mena infatti si rifugerà in soffitta “come le casseruole vecchie” e si preoccuperà solamente di allevare i figli di Nunziata e Alessi. Lia ha seguito la brutta strada del fratello ‘Ntoni, in quanto è stata avvistata da Alfio sull’uscio di un postribolo. Alessi e Nunziata riescono ad acquistare la “casa del nespolo” e comunicano tale notizia al nonno morente, il quale concede loro un ultimo sorriso. Una sera, infine, il vagabondo ‘Ntoni ritorna dopo tanti anni alla “casa del nespolo” per avere informazioni della famiglia che ha abbandonata. I fratelli, nonostante lo considerino ormai un estraneo, lo invitano a restare, ma il giovane spiega che deve andarsene perché non può più stare in quella casa piena di brutti ricordi. Così, dopo aver dato un’ultima malinconica occhiata al paese natale, ‘Ntoni ritorna alla sua vita sregolata.
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Prefazione I Malavoglia

Il romanzo è introdotto da questa Prefazione, datata dall’autore 19 gennaio 1881. Verga la scrisse, dunque, quando aveva ormai concluso la stesura del romanzo, come accompagnamento all’imminente pubblicazione in volume presso Treves.
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Analisi: I Malavoglia, Verga

di Giovanni Verga
Analisi del testo:

Verga cominciò nel 1875 a progettare un bozzetto marinaresco (cioè un abbozzo narrativo ambientato nel mondo dei pescatori) da intitolarsi Padron 'Ntoni; nel maggio di tre anni dopo (1878) annunciò all'amico scrittore Luigi Capuana che il bozzetto si era trasformato in un romanzo, I Malavoglia.
Alla base di questa ambiziosa evoluzione era l'approfondimento della poetica del Verismo, fatta propria da Verga grazie all'amicizia con Capuana e alla comune lettura del romanzo L'assomoir (L'ammazzatoio) di Emile Zola. Fu forse la diffusione (1876) dell'Inchiesta di Franchetti e Sonnino sulle condizioni della Sicilia postunitaria a suggerire a Verga l'ambientazione del racconto tra i miseri  pescatori di Aci Trezza, un borgo vicino a Catania.

I Malavoglia nacque dunque come un romanzo epistolare, secondo la nuova poetica del naturalismo francese. La sperimentazione non riguarda solo la forma e l'impianto narrativo, ma anche i contenuti, i temi sociali, il modo di pensare e di parlare dei personaggi. A tale scopo, Verga consultò gli studi etnografici sul folklore e le tradizioni locali catanesi del medico siciliano Giuseppe  Pitré (1841-1916), studioso di tradizioni popolari e storia locale, per conferire al racconto un'impronta più oggettiva. L'opera dunque assume le caratteristiche di uno studio sociale con la precisione di un'analisi scientifica.

Così com'è ricostruito nei Malavoglia, il mondo arcaico-rurale di Aci Trezza è certamente vero.
  • è realistico, infatti, l'articolarsi del suo tempo etnologico, cioè di un ritmo di vita invariabile, legato a una serie di tradizioni: i proverbi (la tradizione della casa, incarnata in padron 'Ntoni, l'uomo-proverbio), il ciclo delle stagioni e il lavoro dei campi (la tradizione della terra), le liturgie (la tradizione religiosa);
  • anche lo spazio è puntigliosamente vero: i luoghi del romanzo sono quelli tipici di un paese tutto messo in piazza: la farmacia, dove s'incontrano gli intellettuali; il sagrato, dove si ritrovavano i commercianti e gli affaristi; l'osteria di Santuzza, in cui si vedono i proletari e gli sfaccendati; il lavatoio e la fontana, punto di riferimento delle comari.

La ricchezza dei particolari narrativi serve a Verga per mettere in scena una pluralità di piccole storie, individuali e familiari, che s'intrecciano e si sviluppano. Viene così ricostruita il più fedelmente possibile la complessa realtà della vita di un villaggio tipico, colta nella ricchezza anche contraddittoria delle sue relazioni umane. Lo scrittore assume l'ottica del microscopio, teorizzata in Fantasticheria: Bisogna farci piccini anche noi, chiudere tutto l'orizzonte fra due zolle, e guardare col microscopio le piccole cause che fanno battere i piccoli cuori.


Una società arcaica scossa dai primi segni del progresso

Aci Trezza è un mondo povero ma sereno, fedele da sempre alle sue tradizioni. Verga è però consapevole del fatto che anche quella realtà è soggetta a trasformazioni: il suo scopo (dichiarato nella Prefazione del romanzo) è osservare che cosa accade allorché il nuovo, il progresso, penetra nella quiete di una società arcaica, apparentemente immutabile. Poiché secondo la concezione verghiana il mondo è dominato da una logica di tipo economico, il contrasto tra vecchio e nuovo si pone anzitutto a livello economico e produttivo.
Nei Malavoglia questo motivo viene incarnato da due personaggi tra loro opposti:
  1. da una parte c'è padron 'Ntoni, il vecchio patriarca, capo della casa del nespolo, immagine di colui che resta fedele al suo lavoro di pescatore tramandato da generazioni.
  2. dall'altra c'è Zio Crocifisso, simbolo del nuovo modo di lavorare e guadagnare; è lui, scrive Verga, l'usuraio che si pappava il meglio della pesca senza pericolo.
I due personaggi sono portatori di valori molto diversi: padron 'Ntoni difende l'onestà, incondizionata; zio Crocifisso l'utile, a qualsiasi costo.


La trama del racconto s'incentra esattamente sul punto di passaggio dal vecchio al nuovo: ritrae infatti la tentazione di cui persino padron 'Ntoni cade vittima. Anch'egli, infatti, cede alla brama di meglio, al desiderio di migliorare la propria condizione economica: da pescatore vorrebbe farsi piccolo imprenditore della pesca. Per questo motivo s'impegna in un affare (il negozio dei lupini) per il quale ha bisogno di un prestito; lo chiede a zio Crocifisso, ma non sarà più in grado di risarcirlo a causa del naufragio della barca (la Provvidenza) e di tutto il suo carico. La disgrazia manderà in rovina 'Ntoni e la sua famiglia.

Verga non si limita a illustrare il contrasto tra due logiche economiche differenti, ma ritrae il conflitto tra nuovo e vecchio mostrando l'arcaico mondo di Aci Trezza alle prese con novità recenti, che sconvolgono la sua staticità. Si tratta di:
  • novità politiche: l'Italia unita;
  • novità sociali: la leva militare e la scuola elementare obbligatorie;
  • novità economiche: il capitalismo dei proprietari e le tasse;
  • novità tecnologiche: il telegrafo, la nave a vapore.
Di fronte al nuovo che avanza ci sono due risposte possibili:
- da una parte la fedeltà verso la tradizione, personificata dall'anziano padron 'Ntoni;
- dall'altra, all'opposto, la ribellione, incarnata nel romanzo da zio Crocifisso ma anche dal giovane 'Ntoni, nipote di padron 'Ntoni.

Padron 'Ntoni sa che il mondo va così, e non abbiamo il diritto di lagnarcene; sa che bisogna vivere come siamo nati, che più ricco è in terra chi meno desidera. Il suo è l'ideale dell'ostrica, il mollusco che vive fedelmente abbarbicato al proprio scoglio, di cui Verga aveva parlato nella novella Fantasticheria (1879). Tocca al suo antagonista, il giovane 'Ntoni, il compito, nel romanzo, di mettere in discussione il proprio nucleo di appartenenza: è lui a fuggire dal paese in cerca di fortuna e di nuove esperienze. Verga ritrae le sofferenze che questa scelta comporta, ma non lo condanna interamente: sa infatti che lo slancio verso il nuovo è una spinta ineludibile dell'animo umano.


Il significato de I Malavoglia

Il significato generale del romanzo viene anticipato della Prefazione dell'opera, che promette d'illustrare le prime irrequietudini del benessere; e quale perturbazione debba arrecare in una famigliola vissuta fino allora relativamente felice, la vaga bramosia dell'ignoto, l'accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe star meglio. L'esito di tutto ciò è tragico, come le immagini apocalittiche della Prefazione sottolineano (i vinti sono travolti e annegati, ciascuno colle stimmate del suo peccato): nel cupo pessimismo verghiano, ogni tentativo di cambiare condizione porta alla sconfitta personale e alla disgregazione del nucleo familiare.
A cedere alla tentazione è il vecchio patriarca, padron 'Ntoni. Nessuno meglio di lui, il custode della casa e delle tradizioni di famiglia, dovrebbe sapere che pigliare il cielo a pugni porta solo alla sconfitta e all'infelicità; eppure, paradossalmente, è proprio lui a impegnarsi nel fatale affare dei lupini. Padron 'Ntoni pagherà il prezzo più alto all'infrazione della norma non scritta che impone di accettare il proprio destino; per il giovane 'Ntoni, invece, sembra prospettarsi un esito diverso, per quanto incerto e appena accennato, nell'ultima pagina del romanzo, in cui si narra la sua partenza all'alba, una specie di ricominciamento, da un'Aci Trezza intorpidita.


Il linguaggio del romanzo

Sul piano narrativo, il romanzo di Verga si segnala anzitutto per la novità del linguaggio. La lingua dei Malavoglia non è il dialetto siciliano, ma una sorta di italiano dialettizzato. E' cioè una lingua che, nella realtà, non esiste e viene così dire ricostruita a tavolino dallo scrittore. Essa diventa l'espressione viva di una cultura popolare, colta in tutte le sue dimensioni: i proverbi, i modi di dire, le credenze religiose e le usanze tradizionali, i riti religiosi e le pratiche mediche, le favole e le consuetudini riguardanti matrimonio, morte, lavoro dei campi in mare.

In particolare, Verga utilizza la struttura dell'erlebte Rede, il discorso rivissuto o discorso indiretto libero. Si tratta di una tecnica narrativa già nota e sfruttata da altri romanzieri ottocenteschi, ma che nessuno aveva mai applicato in maniera così sistematica come fa Verga. Il narratore dei Malavoglia, infatti fa parlare i suoi personaggi in modo diverso da come avviene nel racconto tradizionale: evita di dare loro la parola nel discorso diretto (usando la terza persona) o di usare il discorso indiretto (egli diceva che) per riferire quanto essi dicono. In questo modo, l'autore annulla la distanza che lo separa dai personaggi: fa sue le loro parole e le confonde con le proprie, l'esteriorità del racconto e l'interiorità dei personaggi vengono a sovrapporsi e a rimescolarsi, e si annulla ciò che Verga chiama la lente (sempre deformante) dello scrittore (Lettera-prefazione a L'amante di Gramigna).
Possiamo esemplificare quanto detto con un passo tratto dal capitolo IV:

Compare Cipolla raccontava che sulle acciughe c'era un aumento di due tarì per barile, questo poteva interessargli a padron 'Ntoni, se ci aveva ancora delle acciughe da vendere; lui a buon conto se n'era riserbato un centinaio di barili; e parlavano pure di compare Bastianazzo, buon'anima, che nessuno se lo sarebbe aspettato, un uomo nel fiore dell'età, e che crepava di salute, poveretto!

Le parole di compare Cipolla sono riferite, all'inizio, mediante il discorso indiretto (raccontava che... per barile). Però subito dopo, all'interno di questa stessa costruzione, vengono riprodotte le frasi come escono dalla bocca di chi parla: questo poteva interessargli a padron 'Ntoni.
Il discorso indiretto libero è ancora più evidente nel periodo successivo, che inizia con parlavano pure di compare Bastianazzo e si conclude con l'esclamazione poveretto!, presa dal parlato. Da notare anche l'uso libero del che (corrispondente al siciliano ca), elemento dal valore variabile: in questo caso, che nessuno se lo sarebbe aspettato significa la morte del quale nessuno se se la sarebbe aspettata, e costituisce dunque un richiamo implicito alla morte (in mare) del personaggio.
La prosa verghiana è ricca di allusioni a fatti o aspetti noti ai personaggi ma non al lettore, che quindi deve decifrarli.



La voce del popolo

Utilizzando questa tecnica narrativa, Verga asseconda l'esigenza di oggettività: può dunque rappresentare sulla pagina quel coro dei parlanti che è il vero protagonista-narratore del romanzo. Il narratore ha scelto di raccontare gli avvenimenti come si riflettono nei cervelli e nei cuori dei suoi personaggi (Leo Spitzer). Sono i personaggi del coro ad accollarsi l'iniziativa del racconto, imponendo la loro soggettività. Tuttavia, il narratore non scompare mai del tutto: egli indossa di volta in volta la maschera del personaggio che gli interessa, assume i pensieri e le parole ora dell'uno ora dell'altro dando l'impressione che sia un'intera comunità a parlare, a pensare, ad agire.
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Riassunto 15 capitolo I Malavoglia

Riassunto:

La gente diceva che Lia era andata a stare con don Michele; i Malavoglia non avevano nulla da perdere e almeno lui le avrebbe dato il pane. Padron ‘Ntoni era vecchio, fumava la pipa e se qualcuno gli domandasse che stesse facendo seduto con le spalle al muro diceva che aspettava la morte. Nessuno in casa parlava di Lia, e Mena piangeva sempre quando rimaneva sola in casa. I denari se ne erano andati con ‘Ntoni, Alessi era sempre lontano per guadagnarsi il pane e tornava il sabato e veniva a contare i denari che aveva guadagnato come se il nonno avesse ancora il giudizio e sosteneva che entro due anni avrebbero finito di accumulare i denari per ricomprare la casa. Padron ‘Ntoni era vecchio, non ragionava più, vedeva poco, un giorno domandò alla Nunziata se erano vere le chiacchiere su Lia ed ella rispose di no, perché non lo sapeva neaanche lei. Una sera si fermò nella strada del Neo Alfio Mosca col carro, aveva la faccia gialla e la pancia gonfia come un otre. Alfio Mosca (sapeva dov’era Lia e l’aveva vista con i suoi occhi), parlava a Mena e le diceva che se uno se ne andava da paese era meglio che non ritornasse più. Mena stava zitta. Intanto Alessi gli raccontava che voleva pigliarsi la Nunziata e Alfio gli rispose che faceva bene. La Nunziata aveva anche lei la sua dote, dacché i fratellini avevano buscato qualche soldo e non aveva voluto comprare né oro né roba bianca. Lei era una buona ragazza con i capelli neri, magra e alta, aspettava che tornasse il padre per darle il consenso, ma poi decisero di non farlo; inoltre i denari c’erano e si poteva ricomprare la casa del nespolo. Zio Crocifisso li aspettava a braccia aperte perché nessuno voleva quella casa scomunicata, inoltre sperava che tra la Vespa e Alfio sarebbe nato qualcosa, macché la Vespa non ne voleva sentire parlare e gli stava attaccato come una cagna. Compare Alfio era stato mandato dai Malavoglia da parte di zio Crocifisso per la casa, ma padron ‘Ntoni era contrario perché la Mena non si poteva più sposare e poi dei Malavoglia non c’era più nessuno. Il vecchio era stanco di vivere e diceva agli altri che stava per andarsene. Don Ciccio che gli tastava ogni giorno il polso gli consigliò che era meglio se lo portassero all’ospedale, ma aveva il timore che lo mandassero all’albergo. La Mena cercava di non fargli pensare alla morte raccontandogli storie come ai bambini. Infine non si alzava più dal letto e don Ciccio disse che era proprio finita, è in quel letto ci poteva stare anche degli anni. Quindi Mena, la Nunziata e Alessi a turno facevano la guardia. Padron ‘Ntoni capita la situazione disse alla Nunziata che era meglio per tutti che lo portassero all’ospedale, quando non c’erano Mena e Alessi perché avevano un buon cuore. Tutti criticavano i Malavoglia che non portavano il vecchio all’ospedale. Un giorno egli fece chiamare Alfio e si fece portare all’ospedale sul suo carro, quel giorno Alessi era a Riposto e Mena era uscita. Al passare del caro tutti si affacciavano alla porta e il vecchio guardava dappertutto per imprimere nella mente l’immagine del suo paesello. Alfio Mosca mentre guidava il carro raccontò di non dirlo a nessuno e gli disse che l’aveva vista mentre lavorava al telaio ed era andata a vivere con don Michele. Padron ‘Ntoni poté vederli finché non ne se ritornarono a casa. Alessi e la Mena si preoccuparono e si disperavano quando non videro più il nonno e Compare Alfio cercava di confortarli rammentando quei momenti felici di prima che se ne era andato lui. Un giorno si seppe che padron Fortunato si maritava con Barbara perché la sua roba non se la godesse la Mangiacarrubbe. Alfio Mosca avrebbe voluto prendersi comare Mena, ma lei rispondeva che era vecchia e non si era offesa ma gli avrebbe detto di si se c’era la Provvidenza e i suoi parenti sarebbero vissuti (insomma circa 8 anni fa). Ora aveva 26 anni e per lei era passato il tempo di maritarsi; non era per il tempo ma c’erano altri motivi che non ha voluto dire ad Alfio. Alessi aveva sposato la Nunziata e aveva comprato la casa del nespolo, a Mena le diedero le stanze della soffitta e lei aspettava che venissero i nipotini. Avevano le galline, il vitello ecc. e intanto erano nati i bambini e Mena le faceva da mamma. Alfio Mosca tornava a dir di Mena la solita storia e lei gli disse che non si sposava perché allora in paese avrebbero cominciato a parlare di Lia. Quindi Alfio Mosca si mise il cuore in pace e Mena continuò a portare spesso i nipotini. Padron ‘Ntoni aveva intrapreso un viaggio senza ritorno. E ogni volta che entrava lui nei loro discorsi l’ultima volta che l’avevano visto felice quando gli avevano detto che avevano riscattato la casa del nespolo, ma quel lunedì quando se l’erano venuti a prendere già non c’era più. Una sera sul tardi bussarono alla porta, Alessi andò ad aprire: era ‘Ntoni. Nessuno osava fargli festa e persino il cane gli abbaiava, gli offrirono la minestra e se la mangiò e gli disse che era venuto per vederli l’ultima volta perché non era degno di rimanere in quella casa. Chiese del nonno e poi di Lia, nessuno rispose e lui capì che erano morti. Fece un ultimo giro per vedere se tutto era apposto, Alessi gli disse che se voleva rimanere c’era un letto anche per lui ma questi disse che ora era meglio che se ne andasse e prima di partire rammentavano i momenti belli quando tutti erano felici. Quindi chiese scusa, disse addio e se ne andò nella buia notte ascoltando il rumore del mare che infrange nei faraglioni, mentre camminava pensava alla sua storia e quasi si pentiva, guardò il mare e per lui era arrivato il tempo di andarsene perché ormai comincerà a passare gente.
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Riassunto 14 capitolo I Malavoglia

Riassunto:


Quando ‘Ntoni incontrò don Michele per dargli il resto fu un brutto affare, di notte mentre diluviava, all’angolo della sciara presso il Rotolo mentre era con Rocco Spatu e Cinghialenta. Don Michele aveva detto a Mena di dirgli di non andare di notte nel Rotolo insieme ai due amici di ‘Ntoni, ma quest’ultimo era sordo e non aveva paura di lui e poi quando l’avrebbe incontrato gli avrebbe dato il resto. Avevano passato la sera all’osteria fin quando era l’ora di chiusura e per la Santuzza c’era il rischio che prendesse una multa perché non era lecito tenere il locale aperto a quell’ora. Quindi ‘Ntoni vistosi cacciare fuori col temporale aveva giurato di infilzare don Michele con il coltello. Mentre Cinghialenta cercava di calmarlo, videro don Michele che faceva avanti e indietro con la divisa, gli altri dissero a ‘Ntoni di poter rimandare quello che voleva fare perché era ubriaco e gli altri volevano andare a bere qualcosa da compare Pizzuto. Lui dapprima non voleva aprire perché era tarda notte ma siccome era implicato nella faccenda dovette farlo. Si dissero che con quel tempo era difficile sbarcare la roba e dovevano stare attenti alle guardie che volevano far pagare il dazio per forza. Vanni Pizzuto gli disse che se l’affare andava bene la roba la potevano depositare nella loro casa. Di Piedipapera non si potevano più fidare e neanche di don Silvestro e se qualcosa andava male voleva riferire tutto a don Michele. Quando se ne andarono Pizzuto raccomandò loro che se accadeva loro qualcosa non c’erano stati a casa. Mentre camminavano sotto la pioggia ‘Ntoni disse alla compagnia di stare zitti perché se passavano davanti a casa sua li avrebbero uditi. Rocco Spatu gli disse che se Mena era alla porta era perché aspettava don Michele. ‘Ntoni s’infuriò. Don Michele qualche ora prima era passato per dire a Lia che se veniva ‘Ntoni lo dovevano chiudere in casa se non volevano che andasse in prigione, però non dire che l’aveva avvisata lui. Passarono lì davanti ma i quattro non si fecero sentire, dalla sciara non si udiva altro che il brontolio del mare. Per vedere se quelli c’erano dovevano fare il verso della civetta ma con quel temporale non ce ne erano e correvano il rischio di essere scoperti dalle guardie doganali. Quindi pensarono di ritornare indietro sempre in silenzio ad un tratto sentono dire <> e cominciano a scappare. ‘Ntoni scavalcò il muro e si trovò faccia a faccia con don Michele, il quale aveva una pistola in pugno, quindi la sua pistola volò in aria perché era stato pugnalato al petto da ‘Ntoni, lui voleva fuggire ma le guardie doganali gli furono addosso e legarono lui e il figlio della Locca, invece Cinghialenta e Rocco Spatu erano riusciti a scappare. La mattina seguente la gente si affollò davanti alla bottega di Pizzuto per vedere che cosa era successo quella notte. Quando la cugina Anna disse a padron ‘Ntoni che lo avevano arrestato insieme al figlio della Locca perché aveva accoltellato a don Michele. Tutti non guardarono la casa dei Malavoglia, solo la Nunziata che andò a piangere con Mena. La Locca cercava il figlio e pretendeva che glielo dessero ma questo non era possibile. Padron’Ntoni seguitava a buttare i soldi dietro gli avvocati e mangia carte, sperando che qualora sarebbe lasciato libero sarebbe ritornato con loro come quando era ragazzo. Don Silvestro accompagnò padron ‘Ntoni dall’avvocato e gli disse che se la poteva cavare con quattro o cinque anni di galera. Mena aveva domandato al nonno che gli avesse detto l’avvocato, ma questi non ce la faceva a rispondere. Arrivò la citazione per testimonianza ad alcuni e il paese fu messo in subbuglio, e questi continuavano a dire che non sapevano niente. Ogni volta che l’avvocato andava a parlare con ‘Ntoni, don Silvestro lo accompagnava, padron ‘Ntoni voleva vederlo ma non ce la faceva ad entrare. L’avvocato gli disse che stava bene, era ingrassato ma per quelle cose ci voleva tempo. Intanto i denari della casa se ne andavano. Finalmente attivò il giorno della citazione, molti andarono a vedere ‘Ntoni dietro le sbarre. Mentre parlavano i testimoni, i giudici, c’erano molti pettegolezzi in giro e dicevano che Lia se la intendeva con don Michele e questi gli avrebbe dato la pugnalata. Tutto il paese e anche padron ‘Ntoni, voleva andarci, pure Lia ma Mena la fermò. L’avvocato cercava di difendere ‘Ntoni dicendo che lui era capitato per caso, e poi fra lui e don Michele c’erano ruggini a causa di donne e poi l’avevano visto con Lia quella sera quando era stato accoltellato e lo potevano affermare in molti. Padron ‘Ntoni si sentì male e non udì più nulla, quindi lo coricano su un tavolo nella sala dei testimoni e gli versarono l’acqua addosso. Quando rinvenne sentì dire l’avevano condannato ai ferri per 5 anni. Quando ritornò il nonno disse a Lia che era una scellerata perché al tribunale avevano detto che se la intendeva con don Michele. Il nonno si sentì male e la sera come portarono il nonno sul carro, Mena era corsa ad incontrarlo, Lia uscì dal cortile e come aveva detto prima se ne andò da quella casa e nessuno la vide più.
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Riassunto 13 capitolo I Malavoglia

Riassunto:


Padron ‘Ntoni quando vedeva il nipote tornare a casa ubriaco lo mandava a letto senza che gli altri lo vedessero. La mattina quando dovevano andare a lavoro lo lasciavano a casa perché non serviva a nulla. ‘Ntoni dapprima si vergognava ma poi ci fece l’abitudine. Il nonno sosteneva che continuando così avrebbe trascinato i fratelli in una brutta strada che stava intraprendendo e quindi cercava di persuaderlo e quando ci riusciva scoppiava in lacrime. ‘Ntoni vedendo che tutti piangevano per lui tornò a lavorare come prima, e si svegliava prima degli altri due. Quindi il nonno si rallegrò perché lui aveva pregato, e quindi lo considerò un miracolo. Quella domenica non andò neanche all’osteria, non era un bambino ma non era grande come il nonno, non sapeva che fare e quindi si mesi a sbadigliare, durante la settimana lavorava come un cane per dimenticare la disgrazia, tanto che ritornò a bere all’osteria. Quindi quando ritornava c’era ad aspettarlo la Mena con i lacrimoni. ‘Ntoni cominciò ad alzare la voce con la sorella, andava a letto di cattivo umore e bestemmiava dalla mattina alla sera. Il nonno non sapendo più che fare per toccargli il cuore, un giorno gli parlò in un cantuccio e gli animò il ricordo della madre, egli piangeva ma poi la sera andava insieme a Rocco Spatu e Cinghialenta all’osteria per scacciare la malinconia. Lui si andava a lagnare della sua condizione e chi lo ascoltava, anche se sapeva leggere, perché glielo avevano obbligato, non leggeva perché non ci guadagnava nulla. Quelle povere Malavoglia erano arrivate al punto che andava sulla bocca di tutti per colpa del fratello Don Michele visto che la Zuppidda non lo guardava aveva gettato gli occhi su Lia. Mena se ne era accorta e diceva alla sorella di non stare alla porta, però Lia vanerella era peggio di ‘Ntoni e stava alla porta a far vedere il fazzoletto con le rose. ‘Ntoni in cuor suo voleva levarsi dinanzi don Michele. La Santuzza dopo che l’aveva rotta con don Michele, aveva preso a ben volere ‘Ntoni, così lui poteva mangiare e bere a sazietà. Suo zio Santoro le diceva che avevano bisogno di lui per far entrare il vino al contrabbando, ma lei non voleva perdonarlo dopo che gli aveva fatto quella partaccia con la Zuppidda. Intanto il nonno disapprovava il comportamento di ‘Ntoni. Zio Crocifisso si era sposato con la Vespa, questa era diventata la padrona e spendeva sempre, talché lui se lo avesse saputo prima non l’avrebbe maritata. Invece Brasi era fuggito con la Mangiacarubbe. Zio Crocifisso sperava che la moglie gli avrebbe fatto le corna così l’avrebbe potuta cacciar di casa. ‘Ntoni era fiero del mestiere che faceva, poiché non doveva faticare, al contrario dei suoi familiari che lavoravano senza sosta con fatica. Il nonno provava vergogna per il nipote, per la vita che conduceva, ma questi non voleva tornare indietro perché secondo lui era assurdo fare sacrifici per niente come faceva il nonno. Il nonno rimase desolato dal comportamento di ‘Ntoni. Intanto anche i vicini avevano abbandonato i Malavoglia e quando passava don Michele, la Mena non faceva entrare la Lia e le due ascoltavano le sue barzellette. Quando la Lia era sola le faceva i complimenti, si sedeva accanto a lei guardandola come il basilisco. Ella si alzava, ma don Michele la faceva accomodare e le diceva che lei era fatta per vivere in città come i ricchi. Un giorno don Michele voleva regalare a Lia un fazzoletto che aveva comprato col denaro del contrabbando, ma Lia non lo accettò. Lia quando vedeva don Michele aveva paura che ritornava per darle un fazzoletto, questi un giorno entrò nella casa e disse a Mena di dire a ‘Ntoni di cambiare vita poiché si stava mettendo in una brutta faccenda di contrabbando. Le povere ragazze non ebbero più pace e avevano paura e la sera lo aspettavano fino a tardi e avevano paura di sentire da un momento all’altro le schioppettate. Al nonno non era stato detto nulla. La Mena quando lo vedeva in casa gli diceva di non stare con quelli che erano guardati male ed era andato in certi pasticci. ‘Ntni negava e andava nell’osteria. Don Michele diceva a ‘Ntoni di cambiare e non andavano d’accordo dopo quell’affare con la Santuzza. Inoltre per don Michele e gli altri sbirri non ci faceva niente se faceva entrare le cose di contrabbando mentre per gli altri se venivano pescati venivano imprigionati. Parlando di dazi don Franco dice che servono per pagare i soldati e critica don Giammaria che guadagna 3 tarì a messa, entra ‘Ntoni e sentendo queste chiacchiere disse che un girono o l’altro avrebbe dato sul muso la sua sciabola; quindi lo speziale lo applaudì. ‘Ntoni lo sapeva che così sarebbe andato in galera, la Santuzza non lo guardava più perché suo zio Santoro gli aveva detto che con don Michele alla porta veniva più gente all’osteria e poi senza di lui non potevano passare le cose di contrabbando. Quindi la Santuzza cominciò a trattarlo male e gli disse che se voleva da mangiare doveva guadagnarselo spaccando la legna. ‘Ntoni cominciò a lavorare, si era accorto della Santuzza che lo trattava male, a casa non poteva ritornare e i familiari lo trattavano come se fosse morto, non preparavano più la tavola e mangiavano quel poco con la scodellina sulle ginocchia. La Lia quando Mena le diceva di entrare, questa neanche l’ascoltava e si vergognavano di essere sorelle di ‘Ntoni. Mena un giorno andò a cercare ‘Ntoni come ogni volta per fargli cambiare idea, ma questi rispondeva che voleva farla pagare a don Michele e alla Santuzza e dir loro il fatto suo. La Santuzza per non vedere ‘Ntoni davanti alla piazza della chiesa se ne andava a Messa ad Acicastello. Padron ‘Ntoni quando vedeva zio Crocifisso gli diceva che era pronto ad andare dal notaio perché già avevano tutti i denari. Don Silvestro consigliò a zio Crocifisso di concludere quell’affare al più presto lui però ne aveva abbastanza di notai a causa della Vespa che spendeva il suo patrimonio. Intanto don Michele era ritornato nell’osteria della Santuzza e anche massaro Filippo. ‘Ntoni Malavoglia si era visto scacciato dall’osteria come un cane senza un soldo in tasca. Rocco Spatu e Cinghialenta che prendevano sempre in giro. Tante gliene dissero che un giorno si montò la testa andò all’osteria e disse ad alta voce che lì non ci aveva messo più piede perché il vino che vendeva la Santuzza era solo acqua colorata e fregavano i soldi. La Santuzza toccata nel debole disse che lui non ci veniva più, perché erano stanchi di tenerlo per carità e l’avevano cacciato con la scopa. ‘Ntoni cominciò a gridare e a rompere i bicchieri, quindi si arruffò con don Michele e cominciarono a darsi pugni, mentre la gente cercava di separarli. Ci riuscì Peppe Naso con la sua cinghia di cuoio. Don Michele raccolse la sciabola che aveva persa e se ne andò, mentre ‘Ntoni era rimasto a terra col naso sanguinante e gli diceva mentre si asciugava il sangue dal naso che la prossima volta gli dava il resto.
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Riassunto 12 capitolo I Malavoglia

Riassunto:

Padron ‘Ntoni e Alessi non bastavano per governare la barca, e quindi si doveva prendere a giornata qualcuno. Invece a zio Crocifisso il colera non gli ha fatto nulla. Però il guadagno per i Malavoglia non bastava a pagare le spese quindi padron ‘Ntoni dopo averci pensato un pezzo si decise a parlare con Mena di vendere la Provvidenza che non rendeva più nulla, era vecchia e aveva bisogno di denari per essere rattoppata e qualora sarebbe tornato ‘Ntoni e quando avrebbero messo insieme i denari della casa, avrebbero comprato un’altra barca. La domenica andò a parlarne a Piedipapera, perché nessuno la voleva comprare, in modo che convincesse zio Crocifisso ed acquistarla come se fosse un’afare d’oro. Zio Crocifisso voleva sposare la Vespa per accaparrarsi la chiusa ed era indeciso sul da fare. Padron ‘Ntoni aspettava la risposta e andava a veniva per la piazza. Per lui gli parve che gli strappassero le budella dallo stomaco quando si sono portati via anche gli attrezzi della pesca. Piedipapera promise a padron ‘Ntoni e ad Alessi un lavoro a giornata purché si accontentassero un poco, infatti convinse don Cipolla di prenderli perché il vecchio aveva molta esperienza. Padron Cipolla prese quasi per carità, perché avevano fatto il broncio da quando il matrimonio era stato mandato in aria. Brasi stava dietro alla Mangiacarrubbe la quale gli aveva messo gli occhi addosso e passava davanti a lui ben vestita e lo guardava con un occhiata assassina. Brasi così rimaneva come un bietolone ad ammirare la Mangiacarrubbe e questa per conquistarlo si cambiava ogni giorno i fazzoletti di seta e la collana di vetro. La gente criticava padron Cipolla perché era meglio dare il figlio in sposo a Mena che a Mangiacarrubbe. Mena non metteva fuori il naso dalla porta, perché doveva fare le faccende di casa e fare la mamma alla piccina. La Zuppidda predicava a don Michele che gli avrebbe cavato gli occhi se guardava la Barbara, e quindi questi guardava la bella Malavoglia. La sera quando dovevano cenare il tavolo era abbastanza grande per loro, dopo aver cenato si sedevano davanti alla porta. Padron ‘Ntoni pensava sempre alla casa del nespolo e alla Provvidenza. Ogni tanto veniva anche la Nunziata e la cugina Anna e parlavano tutti insieme. Alessi e Nunziata si sedevano in disparte e ragionavano insieme come se fossero stati adulti. Alessi domandava alla Nunziata se lo voleva per marito da grande, questa imbarazzata diceva che c’era tempo. Poi discutevano di Mena, del nonno che voleva ricomprare la casa del nespolo e a proposito di questo diceva che quando le sorelle si sarebbero sposate e quando avrebbero potuto ricomprare la casa del nespolo si sarebbero sposati e il nonno lo facevano abitare nella stanza grande, poi si dovevano apportare delle modifiche, infatti in cucina si doveva rifare il focolare. Nunziata sapeva tutto di quella casa che poteva andarci anche con gli occhi chiusi. La cugina Anna era un po’ preoccupata per il figlio Rocco il quale andava sempre a bere all’osteria. Un pensiero fu rivolto a ‘Ntoni e il nonno soggiunse che non doveva andarsene. Quando ritornò ‘Ntoni era senza una scarpa ai piedi, più lacero di prima ma i familiari gli fecero festa ugualmente, perché era passato molto tempo dalla sua partenza. Per otto giorni ‘Ntoni non ebbe il coraggio di mettere piede sulla strada perché tutti lo desideravano. ‘Ntoni non pensava più né alla Zuppidda né alla Sara, perché volevano un marito che lavorasse come un cane per mantenere la famiglia, tutto l’opposto di quel che voleva diventare ‘Ntoni. Lui cominciò a fare prediche, almeno era quello che aveva imparato liberamente all’osteria poiché il nonno non gli avrebbe tirato le orecchie. Il nonno contava su ‘Ntoni infatti gli diceva che con un altro po’ di denari avrebbero comprato la barca o la casa . A ‘Ntoni non gliene importava nulla, lui era stanco di andare a giornata ma ancora non ce la faceva a dire di no e invidiava chi come Piedipapera, Rocco Spatu ed altri si sedevano sulle spiagge a chiacchierare e ‘Ntoni qualche volta ascoltava i loro discorsi. Parlavano di soldi che sono fondamentali, per esempio zio Crocifisso voleva sposare la Vespa per accaparrarsi la chiusa, poi ci sono quelli che anche se non fanno nulla guadagnano lo stesso, specie quelli che facevano parte dello stato che erano solo dei ladri, invece lo speziale si riteneva fortunato perché il padre gli aveva insegnato quel mestiere. Tra loro ‘Ntoni si sentiva a disagio poiché lui per guadagnare doveva lavorare come un cane.
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Riassunto 11 capitolo I Malavoglia

Riassunto:

Una volta ‘Ntoni Malavoglia aveva visto due giovanotti che si erano imbarcati qualche anno prima a Riposto e quando erano tornati spendevano meglio di comare Cipolla e le ragazze gli stavano dietro. Intanto era il periodo della salatura delle acciughe e tutti erano felici e si raccontavano storie ai ragazzi per tenerli allegri. ‘Ntoni parlava di volere andarsene da Trezza per arricchirsi, ma tutti erano contrari. La cugina Anna raccontava della storia di un principe che si portava la figlia Mara, ma ‘Ntoni disse che era impossibile perché le mancava la dote. La cugina Anna ribatté che è stato lasciato da Barbara. Perché erano diventati poveri. Intervenne la Mena e pensando ad Alfio Mosca disse che è beato l’uccello che fa il nido al suo passerello. Dunque ‘Ntoni cominciò a brontolare e andò a letto di cattivo umore. D’allora in poi lui stanco della solita vita e voleva cercare fortuna, ne parlò con la madre ma questa cercava di distoglierlo dall’idea. Il nonno vedendo che c’era qualcosa ce non andava chiamò in disparte ‘Ntoni per chiedergli che cosa voleva. Questi cominciò a parlare della sua idea di andare in cerca di fortuna e di voler diventare ricco. Ma il nonno cerca anche lui di distoglierlo da queste idee e gli dice con fermezza che la sua è paura di vivere e parla di sua madre, di sua sorella e di tutti gli altri che soffrono ma non hanno paura di lavorare e faticare per vivere. In conclusione ‘ntoni si mise a piangere. Continuò i giorni seguenti ad essere imbronciato e la madre gli disse che se voleva partire poteva andarsene ma al ritorno non l’avrebbe più trovata perché ormai era molto stanca e cominciava a piangere e se lo teneva stretto al collo. Così ‘Ntoni decise di rimanere per volere della madre, perché la sua partenza avrebbe provocato molti danni alla famiglia. La Longa era molto stanca e pallida, e non sapeva che lei doveva partire per un viaggio senza ritorno. A Catania c’era il colera e la gente scappava dalle campagne e si rifugiava in città. Le acciughe non venivano più acquistate e quindi per potere vendere i barilotti si abbassavano i prezzi. La Longa vendeva uova e pane fresco ai forestieri per fare qualche soldo. Col colera in gira non si doveva accettare niente dagli sconosciuti, camminare lontano dai muri e non sedersi sui sassi. Un giorno la Longa molto stanca si sedette su un sasso e prese il colera, quindi tornò a casa con le occhiaie nere e il viso giallo. Mena e Lia terrorizzate, cominciarono a piangere mentre le preparavano il letto. Poi vennero padron ‘Ntoni e i nipoti, e la Longa era già a letto. Non c’era in giro nessun dottore e quindi attorno a lei c’erano i suoi cari che quella sera vegliarono con la candela accesa. Sul tardi vennero a pigliarsi la Longa, ma nessuno venne a fare la visita del morto, perché avevano paura del colera. Ormai in strada c’era solo don Michele, tutti gli altri erano rintanati come conigli, e guardava la Mena. Intanto Lia si era fatta una bella ragazza. Tutti sentivano la mancanza della Longa ma soprattutto Mena che aveva preso il suo posto. Quando finì il colera dei denari raccolti con molta fatica ne erano rimasti solo la metà, ‘Ntoni voleva andare in cerca di fortuna, ma a Mena importava che lui rimanesse con loro. Stavolta il nonno disse che i genitori non c’erano più e poteva fare quello che voleva, e agli altri ci badava lui fin quando rimaneva in vita. Mentre preparava la borsa al fratello la Mena piangeva come se non lo avrebbe più rivisto. Il nonno gli dette il denaro e dei consigli, la vicine lo vennero a salutare. Infine salutò tutti e se ne andò coi lacrimoni agli occhi Mena e Lia si misero in un cantuccio e continuarono a piangere ad alta voce, perché un altro se ne era andato. La Nunziata che era con loro disse che così se ne era andato anche suo padre.
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Riassunto 10 capitolo I Malavoglia

Riassunto:

‘Ntoni andava a mare tutti i santi giorni anche quando il mare era cattivo, perché i Malavoglia dovevano guadagnarsi il pane, anche se era rischioso. I Malavoglia quando facevano buona pesca erano contenti e il prezzo siccome lo stimava il sensale Piedipapera, quando avevano del denaro una parte lo consegnavano per il debito e l’altro per la spesa. Mena poté ritornare in chiesa e qualcuno le metteva gli occhi addosso. ‘Ntoni era infuriato poiché Barbara gli aveva chiuso la porta in faccia. Il nonno rassicurò i nipoti dicendo loro che col tempo ritorneranno come prima e nessuna li tratterà in quel modo. La pesca non era sempre buona, spesso il tempo era nuvoloso, andavano in mare anche se pioveva e quando ritornavano si mettevano davanti al focolare che accendeva la Longa. Quando ritornavano con tanta pesca e ci volevano più ceste correvano tutti in processione anche Nunziata. Il loro gioco era rischioso, una sera c’era un brutto tempo con molte nuvole e nebbia, non si vedeva nulla, il nonno, ‘Ntoni e Alessi non sapevano che fare. Ad un tratto arriva un’ondata che buttò la Provvidenza in aria. Il nonno disse a ‘Ntoni di ammainare la vela. Mentre la barca cavalcava le onde corsero a remare, ma la forza del mare era molto forte, e si affidavano a Dio. Ad un tratto la Provvidenza si schiantò sugli scogli e si era sentito un grido di qualcuno. Quando il vento si portò via la vela che copriva tutto i fratelli videro che il nonno giaceva a terra con la testa rotta, gli rizzarono i capelli e non sapevano che fare. Li videro le guardie della dogana e arrivarono con lanterne e corde per dare soccorso. I fratelli afferarono la corda e lasciarono il nonno lì perché credevano che fosse morto, poiché aveva la faccia sporca di sangue. Invece era vivo e quando si svegliò volle essere portato a Trezza su una scala. I Malavoglia quando lo videro arrivare gioirono nel vedere che era ancora vivo. Si radunò molta gente del paese a vedere cosa era successo e chiacchieravano sul fatto. Don Franco gli fece la fasciatura ma se non veniva la febbre se ne andava. Per due o tre giorni padron ‘Ntoni fu più la che di qua. Gli venne la febbre ma era troppo forte e aveva molta sete. Don Ciccio ogni mattina andava a medicare il ferito e non era molto contento. I familiari erano preoccupati e nessuno poteva dormire. Verso sera il nonno volle vederli tutti ad uno ad uno e domandò loro che gli aveva detto il medico. Tutti erano tristi ma il nonno si rivolse a ‘Ntoni che piangeva e gli disse che diventava lui il capofamiglia, dava agli altri consigli e gli diceva di rimanere tutti uniti, gli disse che per prima si doveva sposare Mena con un marinaio, poi disse a tutti che con i risparmi dovevano comprare la casa del Nespolo, e di non vendere la barca anche se è vecchia. Dopo disse che voleva chiamato il prete don Giammaria perché si doveva confessare. Egli venne a confessarlo, ma il medico disse che stava meglio e i Malavoglia lo considerarono un miracolo. I pettegolezzi vanno per Barbara la quale aveva messo gli occhi su don Michele ( e già aveva 23 anni) e c’erano scommesse in atto. Padron ‘Ntoni dovette far riportare la Provvidenza da mastro Zuppiddo, ‘Ntoni andava all’osteria e quando gli davano da bere cominciava a bestemmiare perché don Michele gli aveva rubato la ragazza. Don Michele negava e per un po’ di tempo non si fece vedere in giro e ce l’aveva con la Santuzza che metteva in giro certe voci. Massaro Filippo diceva di far pace con la Santuzza, ma egli non voleva. La Santuzza andava a confessarsi la domenica stavolta lo fece di lunedì e ci stette molto. Donna Rosalina sorella del vicario voleva sapere i suoi segreti ma il prete disse che c’era il sigillo della confessione. La Zuppidda quando seppe queste voci cominciò a bestemmiare e non voleva che la figlia avesse a che fare con quella gente lì. Per il paese girano molte chiacchiere sul conto della Zuppidda e di don Michele. Alcuni dicevano che certe voci le aveva messe in giro don Silvestro per guadagnare dodici tarì. Però siccome don Silvestro era molto amico di don Michele e le chiacchiere andavano in fumo. Un giorno donna Rosalina si andò a confessare in un'altra chiesa e incontrò don Silvestro e cominciarono a parlarsi male, poiché ella aveva rubato quaranta onze al fratello e li aveva dati a don Silvestro per metterli nella Banca a nome suo, solo che ora questa era fallita. Tutti sapevano che don Silvestro era un prepotente. Il nonno stava meglio, lo mettevano davanti alla porta dell’uscio e per passare il tempo osservava tutto quello che succedeva. Quando ricominciò a camminare lo portavano a sederlo nella riva, egli era felice di avere scampato la morte. Col tempo il nonno riuscì a camminare e si imbarcò nuovamente. I Malavoglia avevano rattoppato di nuovo la Provvidenza. Padron ‘Ntoni ogni volta che vedeva zio Crocifisso gli diceva che avrebbero potuto pagare il debito e volevano ritornata la casa. Zio Crocifisso gli propose di far sposare Mena con Alfio Mosca, arriva Piedipapera e dice di aver visto la Vespa con Brasi che facevano progetti di fuga. Mena non si era messa il fazzoletto nero quando Brasi l’aveva piantata, anzi era felice. Ora veniva il periodo più bello per tutto il paese perché c’era da guadagnare per tutti. I rigattieri cercavano i Malavoglia per comprare le acciughe, ma questi diceva di tenere duro perché li voleva vendere a un prezzo più alto. Tutti guadagnavano e ormai mancavano pochi denari. Mentre tutti in paese lavoravano chi è colto e non fa niente critica gli altri perché non amano il cambiamento, poiché don Giammaria disse che il cambiamento portava a nuovi ladri come loro. E parlano di Brasi il quale per non farsi pescare dal padre dorme in chiesa nel pollaio. ‘Ntoni che lavora tutto il giorno e quando può va nell’osteria, come fa Rocco Spatu. Dopo un po’ la discussione si ruppe. Tutti sapevano che donna Rosolina aveva rubato le 25 onze a don Giammara ma nessuno andava a dirglielo.
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Riassunto 9 capitolo I Malavoglia

Riassunto:

Né i Malavoglia, né alcun altro in paese sapevano di quel che stavano almanaccando Piedipapera con lo zio Crocifisso. Il giorno di Pasqua padron ‘Ntoni prese quelle cento lire per portarle a zio Crocifisso e Piedipapera dicendogli che il resto glielo dava alla Madonna dell’Agnina. Lo pregò in ginocchio e gli disse di aspettare perché doveva maritare la nipote. Padron ‘Ntoni tornò a casa e ne parlò con la nuora, perché non voleva che il matrimonio di Mena andasse in fumo. Tutti in paese sapevano del matrimonio ed erano entusiasti, non lo era per niente Piedipapera che aveva comprato il debito senza che sua moglie grazia lo sapesse. La Barbara regalò a Mena il vaso del basilico per farsela comare. La Longa si era levata il fazzoletto nero e avevano mandato a dire anche a Luca la bella notizia. Era la festa dell’Ascensione e come d’uso si appendevano ghirlande a porte e finestre, solo la casa di Alfio Mosca era chiusa e Mena era molto triste, anche se si doveva sposare. Il girono di S. Giovanni lei si doveva togliere la spadina d’argento dalle trecce per spartirle i capelli sulla fronte. La famigliola così era ritornata a sorridere, i ragazzi guardavano tutti, anche la Provvidenza, e si e si erano fatti i conti che a S. Giovanni avrebbero finito di pagare il debito. Padron Cipolla e padron ‘Ntoni parlavano seduti sugli scalini della chiesa. Brasi andava sempre a casa dei Malavoglia. Quella domenica per spartire i capelli alla sposa chiamarono comare Grazie Piedipapera, avevano invitato anche lo zio Crocifisso, il vicinato, amici, e parenti. Comare Venera la Zuppidda era gelosa di comare Grazia perché toccava a lei di pettinare i capelli alla sposa, Barbara, la figlia, non aveva potuto mettere la veste nuove e si pentiva di aver speso i soldi per il basilico. ‘Ntoni era venuto a prenderle ma esse uscirono col pretesto di infornare il pane. La casa del nespolo era piena di gente, tutti facevano complimenti a Mena perché era molto carina. Anche gli ospiti erano molto contenti. La Longa e padron ‘Ntoni avevano dimenticato quasi i loro guai dalla contentezza. Nunziata si accorse che Mena non era contenta e la cugina Anna per mettere allegria ruppe un boccale di vino. C’era molta folla come all’osteria della Santuzza. Piedipapera si accorse che nella piazza c’erano alcune persone che parlavano e andò a vedere. C’erano due soldati di marina che raccontavano che si era persa una bottiglia in mare e tutti i soldati erano morti. Don Silvestro osservò che re d’Italia c’era anche il figlio della Longa. Questi giovanotti avevano bevuto e poi non c’era solo una barca con quel nome così e non si diede peso alle loro parole. Anche padron Cipolla era accorso e tutti cominciarono a prlare, alcuni dicevano che i giornali raccontavano solo menzogne. Intanto continuavano a raccontare che la guerra è brutta sempre a sparare e la morte può sopraggiungere da un momento all’altro. Padron Cipolla credeva che i soldati erano pazzi e don Silvestro gli spiegò che se non volevano combattere li uccideva il loro generale. Fino a sera a casa dei Malavoglia tutti erano felici. Un giorno dopo si seppe che era affondato un bastimento ed era morta tanta gente così le vicine chiedevano a Maruzza se li c’era suo figlio Luca e se erano arrivate sue notizie. Da allora La Longa cominciò disperata a stare sempre sulla porta e vedeva sempre suo figlio pallido e immobile che la guardava con certi occhi sbarrati e lucenti. Col passare dei giorni La Longa non vedendo arrivare la sua lettera non ce la fece a lavorare, neanche padron ‘Ntoni si imbarcava e stava sempre con la nuora. Alcuni gli consigliarono di chiedere notizie a Catania, tutta la famiglia andò dal capitano del porto. Egli si mise a cercarlo nella lista dei morti, quando lo trovò disse che era morto quaranta giorni fa nella battaglia di Lissa. La Longa svenne, la dovettero portare a casa su di un carro, fu malata per alcuni giorni. Da quel giorno fu presa di una gran devozione per l’Addolorata. La Zuppidda borbottava che ora la famiglia rimaneva sulle braccia di ‘Ntoni. ‘Ntoni disse a Barbara che quando Mena si maritava gli lasciava la stanza di sopra, ma lei non voleva. San Giovanni era arrivato e il debito non era stato pagato. L’avvocato non finiva mai di scrivere le carte prima di mandare l’usciere. I Malavoglia erano nei guai (era inutile andare dall’avvocato), Piedipapera gli diceva che se gli davano la casa gli lasciavano la Provvidenza. I Malavoglia dovettero sgomberare la roba e la trasportarono di notte, nella casuccia del baccaio che avevano presa in affitto. Si misero a sedere su dei pagliericci che erano ammonticchiati nel mezzo della camera, era molto triste per tutti lasciare quella casa. Maruzza guardava la porta dove erano usciti Bastianazzo e Luca. Piedipapera ha rivenduto il debito a zio Crocifisso, questi appena i Malavoglia se ne furono andati erano venuti falegnami e muratori per aggiustare la casa. Anche la Vespa andò a darvi un occhiata. I Malavoglia non si fecero vedere più per le strade né in chiesa, e andavano ad Acicastello per la messa. Nessuno più parlava con i Malavoglia, Brasi ci era rimasto male perché voleva sposare Mena. Mena cercava di tirarsi su il morale e aiutava la mamma a mettere tutto apposto. Le comari erano le sole che non avevano voltato le spalle ai Malavoglia. Di tanto in tanto si vedeva la Nunziata. La Zuppidda consigliò a ‘Ntoni di andarsene dalla famiglia, ma egli non se la sentiva, anche se la donna gli diceva che non gli avrebbe dato la Barbara. E poi ogni volta gli rinfacciava che i Malavoglia al suo posto hanno voluto la Piedipapera. La piccola Lia non ne sapeva di quelle chiacchiere e andava a giocare nel cortile dei Zuppiddi ma la signora la rimproverava sempre e così la bambina non ci andò più. Maruzza e la Zuppidda non si potevano vedere. ‘Ntoni, stregato dagli occhi di Barbara voleva mettere pace. Barbara diceva a ‘Ntoni che la madre non voleva che si vedessero. Così la salutò e riprese il lavoro da lunedì a sabato come un cane senza nessuno che lo voglia, non parlava, non bestemmiava, non rimproverava i fratelli, la sera mangaiva ingrugnato, la domenica girovagava all’osteria, oppure stava ore intere seduto sugli scalini della chiesa a vedere passare la gente. Desiderava quelle cose che aveva visto da soldato e invidiava la gente che si poteva permettere di viaggiare in una carrozza.
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