di Giovanni Verga
Confronto:
I due romanzi sembrano proporre un’ideale gerarchia delle ambizioni che muovono gli uomini nella loro incessante lotta per la vita e per il progresso: al livello di una pura lotta per la sopravvivenza si colloca la famiglia dei Malavoglia, i cui componenti ambiscono ad evadere dalla miseria e dalla precarietà in cui vivono, mentre al livello delle ambizioni di un uomo già ricco, che sogna di entrare nella società dei nobili, si colloca Mastro don Gesualdo. Al di là di questa diversa strutturazione di un identico motivo ispiratore, ci sono però, nei due romanzi, una diversa struttura narrativa e un diverso impianto ideologico, che, pur partendo da identiche premesse di pessimismo, sembrano orientare verso sbocchi opposti. Per quanto riguarda il primo aspetto, mentre I Malavoglia si presenta come un romanzo corale, in cui domina la religione della casa e del lavoro, nel secondo romanzo domina su tutti un eroe che il mito della “roba” travolge in una tragica solitudine.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, sebbene il pessimismo di Verga sia ugualmente evidente ed amaro in tutta la sua narrativa, in contrasto con certo facile ottimismo della cultura positivista, nei Malavoglia non è certo attenuato, ma, per così dire, compensato da quella forza che è la sola a cui i poveri possono ancorare la propria esistenza: gli affetti familiari, il focolare domestico (il pessimismo è infatti confermato dal fatto che chi sogna di uscire da questo romanzo, viene meno anche quella forza, in quanto il protagonista sembra completamente alienarsi nel mito della “roba” (è in sostanza suo unico affetto) e tutti i personaggi, a qualsiasi ceto sociale appartengano, sembrano travolti dalla bufera degli eventi, senza alcun ancoraggio che valga ad offrire una qualche resistenza agli eventi stessi.
Confronto:
I due romanzi sembrano proporre un’ideale gerarchia delle ambizioni che muovono gli uomini nella loro incessante lotta per la vita e per il progresso: al livello di una pura lotta per la sopravvivenza si colloca la famiglia dei Malavoglia, i cui componenti ambiscono ad evadere dalla miseria e dalla precarietà in cui vivono, mentre al livello delle ambizioni di un uomo già ricco, che sogna di entrare nella società dei nobili, si colloca Mastro don Gesualdo. Al di là di questa diversa strutturazione di un identico motivo ispiratore, ci sono però, nei due romanzi, una diversa struttura narrativa e un diverso impianto ideologico, che, pur partendo da identiche premesse di pessimismo, sembrano orientare verso sbocchi opposti. Per quanto riguarda il primo aspetto, mentre I Malavoglia si presenta come un romanzo corale, in cui domina la religione della casa e del lavoro, nel secondo romanzo domina su tutti un eroe che il mito della “roba” travolge in una tragica solitudine.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, sebbene il pessimismo di Verga sia ugualmente evidente ed amaro in tutta la sua narrativa, in contrasto con certo facile ottimismo della cultura positivista, nei Malavoglia non è certo attenuato, ma, per così dire, compensato da quella forza che è la sola a cui i poveri possono ancorare la propria esistenza: gli affetti familiari, il focolare domestico (il pessimismo è infatti confermato dal fatto che chi sogna di uscire da questo romanzo, viene meno anche quella forza, in quanto il protagonista sembra completamente alienarsi nel mito della “roba” (è in sostanza suo unico affetto) e tutti i personaggi, a qualsiasi ceto sociale appartengano, sembrano travolti dalla bufera degli eventi, senza alcun ancoraggio che valga ad offrire una qualche resistenza agli eventi stessi.