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Riassunto vita: Benedetto Croce



La vita e le opere

Benedetto Croce nasce a Pescasseroli (L'Aquila) il 25 febbraio 1866 e muore a Napoli il 20 novembre 1952.
Subito dopo la licenza liceale perde i genitori e la sorella nel terremoto di Casamicciola, a Ischia. Viene accolto a Roma dallo zio Silvio Spaventa, ideologo della destra storica. Qui si iscrive alla facoltà di legge, ma ad ad attrarlo sono gli insegnamenti di Arturo Labriola, che introduce la conoscenza del marxismo in Italia e spinge l'allievo verso questo orientamento storico-filosofico: ne è testimone la raccolta di interventi pubblicata nel 1900, Materialismo storico ed economia marxista.
Ma negli anni successivi Croce ripensa Hegel, medita a fondo su Vico e, soprattutto sul pensiero e sull'opera di Francesco De Sanctis, modello di un esercizio critico su cui aveva già riflettuto nella Storia ridotta sotto il concetto generale dell'arte (1983).
Elabora così un proprio sistema filosofico, di tipo idealista, e ne parla nell'Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale (1902), opera che proietta la sua attenzione alla cultura italiana. Dopo aver stretto un rapporto di collaborazione con Giovanni Gentile fonda "La Critica", che esce a partire dal 1903.
A seguire progetta e dirige per l'editore "Laterza", la collana «Scrittori d'Italia», all'interno della quale inserisce autori fino all'allora trascurati o sconosciuti.
Si dedica alla dottrina della storia, da ricordare le sue opere storiche Storia del regno di Napoli (1925), che va dal XV secolo al compimento dell'unità italiana, o la Storia d'Italia dal 1871 al 1915 (1928, nostalgico ma appassionato ripensamento dei progressi fatti dal nostro paese sotto il regime liberale, in particolare durante l'età giolittiana.
Tra il 1920 e il 1920, nell'ultimo governo Giolitti, diviene ministro della Pubblica Istruzione.
Croce, dopo un un'iniziale incertezza, respinge l'azione repressiva del fascismo e compila nel 1925 - in risposta al Manifesto degli intellettuali del fascismo redatto nella stesso anno da Gentile, con il quale rompe definitivamente - il manifesto degli intellettuali antifascisti, che raccoglie molte prestigiose firme della cultura italiana (Luigi Einaudi, Eugenio Montale, Marino Moretti, Aldo Palazzeschi, ecc.).
Nell'immediato dopoguerra, nonostante l'anzianità, decide di partecipare vivamente all'attività politica senza mettere da parte il lavoro intellettuale.
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Spiegazione: Filosofia della storia di Hegel


Per Hegel la storia è storia dello Spirito che si realizza. Lo Spirito (inteso come Spirito della Ragione, ma anche come Assoluta Ragione) non ha altro scopo che ritrovare se stesso: è questo il fine della storia. Questo significa che tutti i fatti storici sono assolutamente necessari e che a noi appaiono contingenti perché il nostro punto di vista è limitato, ed incapace di cogliere con lo sguardo il Tutto. Tale Tutto è visibile solo dal punto di vista dello Spirito che ha realizzato se stesso e la cui realizzazione comporta la fine stessa della storia. Nelle "Lezioni di filosofia della storia" Hegel spiega quali rapporti lo Spirito intrattenga con gli individui singoli. Essi credono di essere protagonisti della storia, ma in realtà sono solo mezzi di cui lo Spirito si serve per realizzare i propri scopi: tali individui, cui lo Spirito concede temporaneamente di emergere, sono gli "eroi", cioè dei veggenti capaci di incarnare, in quel dato periodo storico, lo Spirito della Ragione: ad una simile personalità i popoli non possono che inchinarsi e questo spiega il motivo della fortuna che questi eroi hanno avuto nella storia (Alessandro, Cesare, Napoleone); ma essi sono solo pedine che giocano in un mondo di regole già date, e cioè date dallo Spirito. Non a caso sono i popoli che incarnano al meglio il Concetto, l'Idea, che sono i dominatori, mentre gli altri popoli vengono messi da parte (ad es. Hegel pensava che l'America sarebbe stata la nuova potenza cui l'Europa si sarebbe dovuta inchinare). Questa storia allora, è per Hegel una storia provvidenziale, portatrice di una razionalità che annulla i singoli individui per trovare nella sua realizzazione il concetto più elevato di umanità.
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Riassunto: Immanuel Kant, vita e pensiero filosofico

VITA
Immanuel Kant nacque a Konigsberg, nella Prussia orientale, nel 1724.
Nel 1732 entrò nel Collegium Friedercianum e dal 1740, per circa sei anni, frequentò i corsi di filosofia, matematica e di teologia dell'università della sua città natale, dove studiò la dottrina newtoniana e l'opera di Wolf.
Conclusi i suoi studi universitari, Kant divenne per circa nove anni istitutore presso alcune famiglie nobili in varie località della Prussia orientale. Nel 1755 ottenne la libera docenza all'università di Konigsberg, dove tenne dei corsi liberi, finché nel 1770 non gli venne assegnata la cattedra ufficiale di filosofia, cattedra che conservò fino al 1796.
Gli ultimi anni del suo insegnamento furono segnati da un contrasto sorto con il governo prussiano, che gli vietò l'insegnamento di alcune dottrine religiose presentate in un suo scritto. Morì a Konisberg nel 1804.


Il pensiero

Il periodo precritico
La prima fase della produzione di Kant è caratterizzata dall'interesse verso le scienze e la filosofia naturale, nell'intento di descrivere i fenomeni senza dover ricorrere a cause puramente ipotetiche. Nella Storia universale della natura e teoria del cielo, sotto l'influsso di Newton, questi applica le forze di attrazione e repulsione per elaborare una teoria meccanicistica riguardante la formazione dell'universo, senza la necessità di dover ricorrere ad argomenti teologici al fine di spiegare i fenomeni naturali. Alle opere di argomento scientifico, segue una serie di scritti tesi a tentare una riorganizzazione della filosofia, nei quali vanno progressivamente delineandosi i temi di quella che sarà poi la filosofia trascendentale kantiana. Qui Kant si propone di cercare un metodo filosofico rigoroso per approdare ad una certezza metafisica che sia paragonabile a quella raggiunta nell'ambito delle scienze sperimentali. Egli critica la metafisica tradizionale, contrapponendole una metafisica intesa come scienza dei limiti della ragione.


La Critica della ragion pura
Nella Critica della ragion pura Kant si propone di sottoporre a giudizio la ragione umana. Per critica della ragion pura qui si intende l'indagine rigorosa "della facoltà della ragione riguardo a tutte le conoscenze a cui può aspirare indipendentemente da ogni esperienza", al fine di poter stabilire la possibilità di una metafisica come scienza.
La Critica della ragion pura vuole indagare gli elementi formali, o trascendentali, della conoscenza, dove con trascendentale si intende una conoscenza "che si occupa non di oggetti, ma del nostro modo di conoscenza degli oggetti". Tale inversione nel rapporto conoscitivo per cui è l'oggetto ricevuto dalla sensibilità e pensato dall'intelletto che si adegua al soggetto conoscente e non viceversa viene definita da Kant la rivoluzione copernicana del pensiero.


La Critica della ragion pratica
Scopo della Critica della ragion pratica è la ricerca delle condizioni della morale. Nell'uomo è presente una legge morale che comanda quale imperativo categorico, vale a dire incondizionatamente.
Questa legge deve essere universale, principio oggettivo valido per tutti: indica come fine il rispetto della persona umana e afferma l'indipendenza della volontà come pure l'autonomia della ragione.
I postulati della legge sono innanzitutto e fondamentalmente la libertà (se l'uomo non fosse libero non ci sarebbe moralità), l'immortalità dell'anima (poiché nel nostro mondo non si realizza mai la piena concordanza della volontà alla legge che rende degni del sommo bene) e l'esistenza di Dio (che fa corrispondere la felicità al merito acquisito). Così le idee della ragione (anima e Dio), solo pensabili nella Critica della ragion pura, ora si presentano come postulati della moralità.


La Critica del giudizio
Tra il mondo dei fenomeni, di cui si dà scienza, e il regno dei fini, sottratto al determinismo e del tutto libero, c'è eterogeneità, eppure il mondo noumenico (cioè "pensato quale deve essere secondo i dettami della legge morale") deve avere qualche riflesso su quello sensibile perché la libertà possa attuarvisi.
L'attività del giudizio, argomento della Critica del giudizio, deve proprio scorgere questo riflesso del regno dei fini sul mondo fenomenico e lo può fare in due modi: quale giudizio determinante o quale giudizio riflettente. Il caso del giudizio determinante è quello del giudizio gnoseologico e morale, in cui è già data una norma universale che permette all'intelletto e alla volontà di determinare il particolare, ossia il dato della scienza o l'azione della morale (per esempio: la combustione del legno è dovuta al fuoco; questa azione è giusta). L'esigenza del giudizio riflettente consiste nel fatto che, dato il molteplice empirico, è necessario trovare il suo principio unitario, la finalità della natura, formulato dalla facoltà di giudizio riflettendo su se medesima e sulla propria esigenza di unità.
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Riassunto: Immanuel Kant e il suo tempo

Immanuel Kant nasce e vive in Prussia, proviene da una famiglia di artigiani.
Mostra interesse e studio per materie fisiche, matematiche e la filosofia, ma rimane sempre molto vicino all'ideale illuminista.

La vita di Kant si svolge nell'età dell'illuminismo e delle due rivoluzioni:
  • quella americana, in cui si ha la prima costituzione scritta che richiama ai "diritti inalienabili" dell'uomo che risalgono a leggi della Natura;
  • quella francese, che riprende i principi di quella americana nella dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino(1789) e nella costituzione del 91 e 93.

Tali rivoluzioni influenzano la riflessione kantiana. Infatti Kant ne segue le vicende e ne condivide le istanze liberatrici ma non la violenza.

Gli studiosi distinguono solitamente due periodi nella produzione teorica di Kant: i periodi pre-critico e critico.

Gli scritti del primo periodo affrontano alcuni temi della scienza, della logica, della metafisica che segnano il passaggio del filosofo dal razionalismo wolffiano all'empirismo. Il punto di svolta che segna il passaggio al secondo periodo è costituito dalla pubblicazione della Critica della Ragion Pura alla quale seguono la Critica della ragion pratica e la Critica del Giudizio. Le tre critiche affrontano i problemi della conoscenza, della metafisica, della morale, dell’estetica e della filosofia della natura.


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Riassunto: Critica del giudizio, Kant

La Critica del giudizio è la terza critica di Kant, con essa si vuole superare il dualismo tra ragion pratica e ragion pura.

Il problema
Kant, nelle due critiche precedenti ha visto l'uomo come appartenente a due mondi:
  • al mondo naturale, visto come oggetto dei giudizi, dove l'intelletto determina a priori le leggi fondamentali del mondo fenomenico;
  • al mondo della libertà, visto come oggetto dei giudizi morali, dove la ragione esercita un dominio sulle facoltà dell'uomo, trovando accesso al noumeno.

Il giudizio riflettente
Nella critica del giudizio Kant cerca di definire una prospettiva unitaria (tra determinismo e libertà), cerca di conciliare il determinismo della scienza col postulato della libertà morale.
Il punto di connessione tra mondo della natura e sfera della moralità viene individuato nel sentimento che poggia sul giudizio riflettente: questi, a differenza del giudizio determinante (con cui si determinano sul piano conoscitivo i fenomeni mediante le leggi dell’intelletto), riflette sulle realtà particolari, guardando ad esse dal punto di vista del fine,”sentendole” come se esse fossero destinate all’attuazione di un fine. È una considerazione puramente soggettiva della realtà, che è mediata dal sentimento e non dall’intelletto.

Kant distingue due diversi tipi di giudizio riflettente: il giudizio estetico e il giudizio teleologico.

Nel giudizio estetico, una realtà viene intuita come “bella”, cioè armonicamente costituita secondo un’interna finalità, che si accorda col soggetto e suscita in lui un piacere senza interesse. Più intenso del sentimento del bello è quello del sublime, che va distinto dal bello perché è informe ed illimitato. Inoltre, mentre la bellezza può essere attribuita agli oggetti naturali, il vero sublime non può essere riferito a tali oggetti, ma è un sentimento dell'animo

Nel giudizio teologico, il soggetto pensa ogni cosa naturale come un organismo in cui il tutto procede e governa le parti orientandole verso un fine. Anche la natura e l’ordine delle cose sono orientati verso un fine, attribuitogli da Dio, inteso come autore dei fini. Ma questo finalismo non è dimostrabile sul piano conoscitivo.
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Riassunto: Hegel - La fenomenologia dello spirito

Nella fenomenologia dello spirito Hegel cerca e comprende l'assoluto.
In tale scritto cerca di descrivere il percorso che l'assoluto ha compiuto per giungere ad una compiuta conoscenza di sé. Identifica i diversi momenti dello sviluppo della coscienza con determinati momenti storico-culturali nell'evoluzione dello spirito umano.
La prima parte della fenomenologia si divide in tre momenti: coscienza (tesi), autocoscienza (antitesi) e ragione (sintesi).


COSCIENZA
Il primo momento ideale è quello della coscienza.
È sensazione con la quale avvertiamo una molteplicità di oggetti particolari. A prima vista ci appare come la più vera ed autentica, ma appena ci volgiamo altrove non vediamo più questa cosa, ma un’altra.
È percezione con la quale si sottendono le proprietà o qualità.
È intelletto, il quale cerca l’universale al di là del particolare come qualcosa che costituisca il fondamento del particolare.


AUTOCOSCIENZA
Il secondo momento è quello dell’autocoscienza, poiché la coscienza coglie se stessa come soggetto di rappresentazioni.
L’autocoscienza si presenta come appetito sensibile, si manifesta come impulso, come desiderio di un oggetto di cui si vuole avvalere come strumento per soddisfare un bisogno.
L’autocoscienza è la coscienza di sé, è anche coscienza dell’altro.
Fra uomo e uomo c’è antagonismo, conflitto, lotta per la vita.


DIALETTICA SERVO-PADRONE
In tale lotta per la vita ogni soggetto prova paura della morte. Si configura come guerra in cui chi sta per morire sceglie la sottomissione diventando schiavo. Da quella lotta si esce con l’assoggettamento di un soggetto all’altro. È l’avvio della dialettica servo-padrone. Dal momento in cui si è costituito un legame di dipendenza dello schiavo nei confronti del padrone, il padrone esercita il suo potere usando il servo per soddisfare i suoi bisogni. Eppure tale rapporto di dipendenza gradualmente si inverte: il padrone dipende dal servo per soddisfare i suoi bisogni, e il servo, attraverso il lavoro, afferma la propria indipendenza sulla natura trasformandola. Così il lavoro appare come un fattore di umanizzazione.


LA COSCIENZA INFELICE
I passaggi del processo di emancipazione spirituale sono tre.
Nella figura dello stoicismo, il saggio diventa libero perché disprezza la natura e si eleva sopra di essa, sentendosi libero.
Nella figura dello scetticismo in cui si dubita radicalmente di tutto, ci si esce affidandosi al divino, che è solo in apparenza una liberazione, perché è portatore allo stesso tempo di infelicità. L’individuo avverte un distacco abissale fra se e Dio. Diviene coscienza infelice in quanto coscienza lacerata e scissa.


RAGIONE E MODERNITÀ
L’autocoscienza si trasforma in ragione. Dapprima come ragione osservativa in cui il mondo appare come in un terreno. La ragione lo esplora, lo osserva, ma divenendo essa stessa una cosa fra altre cose cerca di riscattarsi facendo leva sull’individualità, cioè sull’essere. Una volontà che cerca di affermarsi sulle cose. Così diviene ragione attiva che si dispiega in tre figure.
Si manifesta:
  • come faustismo, cioè come ricerca sfrenata del piacere ma trova un ostacolo nei limiti della propria natura e vive il fallimento;
  • come legge del cuore, come sentimento romantico e dell’armonia della natura con il mondo; dell’uomo segue una inesorabile legge di necessità;
  • come legge kantiana del dovere, dove cerca di imporsi al mondo attraverso le proprie esigenze.


SPIRITO E L’ETHOS
Per Hegel la ragione diventa spirito. Va realizzata nell’ethos del popolo di cui un individuo fa parte.
Hegel identifica la religione il momento di piena affermazione di tale auto-consapevolezza dello spirito. Egli vede nella filosofia il modo più adeguato in cui l’assoluto conosce se stesso e giunge a compimento il processo che lo ha visto svolgersi come spirito, lungo l’intera storia dell’umanità.
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Riassunto: Hegel - Gli scritti teologici giovanili

Negli scritti giovanili il tema di fondo è quello della religione intesa come un'esperienza di vita descritta come religione del popolo, poi come religione del dovere ed infine come religione positiva, storica di cui è affermato il valore.

Nello scritto Religione popolare e Cristianesimo, Hegel contrappone la religione popolare (il cui modello tipico è fornito dalla religione greca) intesa come moralità sociale, costume politico, vita associata, al Cristianesimo, da lui rappresentato come religione che rompe i legami con la comunità terrena, che considera ogni uomo solo come un singolo che stabilisce con Dio (trascendente) un rapporto di totale subordinazione tale da renderlo uno schiavo.

In altre parole, se la religione greca incarna l’idea illuministico - tedesca di un soggetto che pone i suoi scopi e i suoi valori, la religione cristiana impone un universo di dogmi e di comandi ad un soggetto considerato come recettività e passività.

Il Cristianesimo viene considerato come religione della positività, dove con positività, Hegel designa l’accettazione del corpus dottrinale, la passività di fronte alle norme, il ricorso ad un principio estraneo di autorità.
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Critica della ragion pratica, Kant

di Immanuel Kant
Riassunto:

La ragion pratica opera sul piano della morale e sul piano della libertà. La legge morale deve essere oggettiva e universale per essere giusta.

L’autonomia morale
Secondo Kant ciò che distingue la filosofia pratica è l’agire libero dell’uomo che si svolge secondo regole. A presiedere alla scienza della ragione Kant pone la ragione, operante sul piano della morale e della libertà. La ragione decide liberamente in base a regole e a principi che trova in se stessa. Si afferma quindi come volontà, come la facoltà di determinare la causalità dell’agire mediante la rappresentazione di regole, presenti nell’interiorità della coscienza. La volontà umana è in grado di rappresentarsi tali comandi e di decidere se rispettarli o meno; proprio questa possibilità di scegliere liberamente permette di imputare agli individui la responsabilità delle scelte che compiono. Un ruolo essenziale nell’agire morale è giocato proprio dalla coscienza.

Un’etica del dovere
Un agire secondo regole oggettive è necessario proprio perché la natura dell’uomo è finita. L’uomo non è né santo né animale. Una volontà santa mossa dalla ragione e non turbata da passioni e desideri, per agir bene non avrebbe bisogno di regole. D’altra parte se l’uomo agisse solo in base ad istinti ciechi la sua volontà sarebbe non libera, ma necessitata, condizionata dalla necessità espressa da quegli istinti. In realtà l’operare umano è condizionato sia dagli impulsi sia dalla ragione. Ma proprio per questa duplice natura dell’uomo, che è ragione e sensibilità, la legge dell’agire umano si configura come un dovere, come necessità di sottomettere alla legge della ragione la sensibilità.
Le leggi morali hanno il carattere di una necessità incondizionata e si presentano, nella coscienza degli individui, sotto la forma di un comando, di un imperativo (tu devi!).
La sua è un’etica del dovere per il dovere, fondata su regole della ragione, su imperativi.

Imperativi ipotetici e categorici
Kant distingue due tipi di comandi, di imperativi: gli imperativi ipotetici nei quali l’azione è valida non in sé ma solo come mezzo per qualche cosa, e gli imperativi categorici nei quali un’azione viene comandata perché necessaria per se stessa, indipendentemente dal risultato che consegue. Gli imperativi ipotetici possono essere di due tipi, a seconda che il fine che essi perseguono sia solo possibile (incerto) oppure sia reale (certo).
Nel primo caso sono imperativi dell’abilità, perché fanno riferimento alle modalità tecniche, alle operazioni funzionali a quello scopo. In altre parole chi vuole il fine vuole anche il mezzo; non importa sapere se il fine sia buono o meno ma solo quale sia il mezzo migliore per conseguirlo.
Nel secondo caso, imperativo assertorio, il fine è già dato: è il fine della felicità e del benessere.
Solo gli imperativi categorici sono moralmente significativi. Essi considerano un’azione come oggettivamente necessaria per se stessa; ciò che in quell’azione vi è di buono consiste soprattutto nell’intenzione con cui essa viene compiuta, la quale deve essere disinteressata indipendentemente dal risultato che ha conseguito.


Tre sono le formule dell’imperativo categorico:
  • il criterio dell’azione morale deve avere la forma dell’universalità; 
  • l’uomo deve essere considerato come fine e mai solo come mezzo; 
  • l’uomo è legge a se stesso, principio della legislazione morale universale.

La prima spiega che nell'agire dobbiamo chiederci se il nostro agire è valido per tutti gli uomini e periodi. Egli comanda di operare in modo razionale ed universale affinché l'azione sia moralmente significativa.

La seconda ci dice che il nostro agire deve rispettare la dignità umana. Gli altri uomini non devono essere visti come mezzo perché solo l'uomo è un fine in sé.

Nella terza, l'uomo non è solo sottoposto alla legge morale ma anche al creatore. Per il principio e fine, l'uomo è legislatore di se stesso.


Eteronomia e autonomia
Sono considerate eteronome (cioè fondate su leggi esterne) tutte le concezioni morali che fanno dipendere il valore delle norme da qualcosa che è esterno alla coscienza degli individui. Sono i sistemi nei quali come “motivi determinanti della vita morale”sono indicati: il piacere o la felicità, il sentimento morale, la perfezione, la volontà di Dio, l’educazione e il governo civile. La volontà di Dio e la perfezione morale sono motivi legati all’esigenza e alla ricerca della felicità e non giustificano il carattere incondizionato della legge morale. Il dovere fa riferimento a una regola e a un’autorità interiore, non si identifica con uno specifico tipo di azioni e assume sempre il carattere dell’universalità.

I postulati della ragion pratica
I tre postulati kantiani della ragion pratica (libertà, immortalità dell’anima e esistenza di Dio) offrono una prospettiva all’interno della quale sia possibile superare l’antinomia che sussiste fra virtù e felicità. La libertà,indimostrabile teoreticamente, ma è necessaria come fondamento della vita morale. L’immortalità dell’anima è un postulato in quanto è una condizione per essere degni della felicità. È quindi necessario che l’esistenza dell’essere razionale continui all’infinito ovvero che l’anima sia immortale. Dio è qualcosa di più: è garanzia della speranza e della prospettiva del sommo bene, perché proprio Dio permette di dare la felicità. Anche se sul piano conoscitivo non è possibile provare l’esistenza di Dio, nell’interiorità della coscienza morale troviamo il fondamento e la certezza soggettiva di tale esistenza. Con tali postulati è possibile acquisire la certezza soggettiva della possibilità di conciliare la virtù con la felicità. E proprio perché consentono di attingere alla sfera del mondo soprasensibile - che era invece inattingibile sul piano teoretico - su di essi si fonda il primato della ragion pratica.

Il diritto
Il diritto per Kant consiste nella “limitazione della libertà di ciascuno alla condizione che essa si accordi con la libertà di ogni altro”. In tal modo la libertà di ciascuno viene pienamente riconosciuta solo in quanto coesista con la libertà degli altri. Il filosofo conferma il suo giudizio pessimistico sulle tendenze della natura umana, sulla facilità con cui l’uomo si abbandona alle pulsioni istintive. È proprio tale felicità a richiedere l’esistenza di norme giuridiche capaci di regolare e garantire un’ordinata convivenza sociale.

L’insocievole socievolezza e lo sviluppo umano
Le stesse tendenze egoistiche della natura umana, in una società civile regolata dal diritto, possono tradursi in un fattore positivo. Ciò che caratterizza la società è l’antagonismo: ossia una insocievole socievolezza degli uomini, cioè la loro tendenza a unirsi in società. Tale tendenza ad associarsi per la propria sicurezza e nello stesso tempo a dissociarsi per volgere tutto al proprio tornaconto è proprio il mezzo di cui la natura si serve per attuare lo sviluppo delle disposizioni umane.

Il contratto sociale come principio di ragione
L’ordinamento civile ha la sua genesi in un contratto originario che richiama il modello giusnaturalistico. Per Kant l’uscita dallo stato di natura non è dettata solo da motivi di opportunità ma costituisce un vero e proprio principio di ragione. Come tale, essa non è un evento storico, bensì è un principio regolativo su quale riposa il diritto. L’uomo abbandonando la libertà selvaggia dello stato di natura, non perde, ma ritrova la sua libertà. E questa non è diminuita dalla dipendenza legale dell’individuo perché questa dipendenza scaturisce dalla sua stessa volontà legislatrice.

La libertà e i limiti dell’azione dello Stato
Come nel Liberalismo classico, il compito dello Stato è solo negativo, in quanto mira a garantire la sfera di libertà di ciascuno contro chiunque altro. Tale orientamento liberale si scontra con il dispotismo prussiano. Il filosofo ripropone, fra l’altro, l’idea di una divisione dei poteri e afferma la necessità di uno Stato Repubblicano che sia basato su tre principi della ragione: la libertà, l’uguaglianza davanti alla legge, l’indipendenza dell’individuo in quanto cittadino. Kant rifiuta di identificare la costituzione repubblicana da lui auspicata con una costituzione democratico-giacobina.

La pace perpetua e i suoi sentimenti
Kant evidenzia la necessità di connettere due forme autonome e distinte dell’agire umano: l’agire politico e quello morale. Egli ribadisce la sua convinzione circa la necessità di porre fine alle politiche di potenza degli Stati e a quelle guerre di sterminio che rischiano di dar luogo solo ad una pace perpetua nel grande cimitero del genere umano. Per il filosofo l’eliminazione della guerra è un problema cruciale. Esso può essere affrontato positivamente solo uscendo dallo stato di natura. Proprio ispirandosi ad un principio di universalità, rinunciano a scelte dettate da interessi egoistici, il politico morale può avvicinare l’obiettivo della pace.

Una politica di pace può reggersi su alcuni divieti volti a impedire l’uso di metodi politico-diplomatici prevaricatori e su almeno tre condizioni positive che sono:
  • una costituzione repubblicana opposta quindi al regime in cui gli individui sono sudditi e non cittadini; 
  • un federalismo di liberi stati costituendo una lega della pace;
  • il dovere dell’ospitalità universale, che dovrebbe essere realizzata sulla base di un diritto cosmopolitico e che riguarderebbe non tanto il rapporto di uno stato con i propri cittadini ma il rapporto con i cittadini degli altri Stati.


La libertà e i limiti dello Stato
Kant afferma la necessità di uno Stato repubblicano basato su tre principi della ragione:
  1. libertà;
  2. uguaglianza davanti alla legge;
  3. Indipendenza dell'individuo in quanto cittadino.
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Riassunto: Hegel - La filosofia dello spirito

Lo spirito è il momento in cui l'idea diviene cosciente di sé e ritorna in se stessa. Per Hegel ciò avviene a tre livelli: spirito soggettivo, spirito oggettivo e spirito assoluto, quest’ultimo attraverso le esperienze culturali dell'arte della religione e della filosofia.
Questi livelli non sono separati l'uno dall'altro in quanto l'individuo è anche cittadino e uomo di cultura, quindi è in grado di viverli e rifonderli pienamente in se stesso, nel corso della propria esistenza.

Lo spirito si manifesta nell'interiorità di ciascuno individuo e spirito soggettivo. Questo viene descritto attraverso tre tipi: l'anima, la coscienza e lo spirito.
  • La riflessione sull'anima che è oggetto dell'antropologia, studia lo strettissimo legame che sussiste tra l'uomo e l'ambiente. 
  • Lo sviluppo della coscienza che è oggetto della fenomenologia dello spirito, mostra i processi attraverso i quali nell'individuo si afferma una graduale spesa di coscienza di sé. 
  • Lo spirito con la coscienza di sé raggiunge il livello più alto. Lo spirito è oggetto della psicologia. È unità di attività teorica e pratica; l'individuo è capace di conoscenza e di volontà e si afferma come spirito libero.


I processi dello spirito operano a livello di vita collettiva, nelle istituzioni e nella storia delle società umane. Si affermano come spirito oggettivo, nel quale l'essenza e lo scopo degli uomini è la libertà. La libertà si realizza solo nelle istituzioni storiche.

I momenti dello spirito oggettivo sono: il diritto, la moralità e l'etica.
  • Il diritto regola la condotta esteriore degli individui. 
  • Il riconoscimento della legge garantisce la sfera esterna della libertà degli individui stessi che diventano persone in senso giuridico. Quando il diritto viene violato scatta la pena come strumento di punizione e di formazione di colui che ha compiuto un delitto.
  • Con la moralità si ha il riconoscimento interiore di una colpa e la possibilità di un riscatto. Lo spirito opera nell’interiorità,cioè come volontà di superamento dell’egoismo come volontà del bene.
  • L’eticità. in cui i valori sono operanti nella vita sociale. 


L’eticità si articola: nella famiglia, nella società civile e nello stato.
  • La famiglia eleva l’uomo dallo stato di naturalità. L’individuo si inserisce in essa attraverso un sentimento di comunione: l’amore. La famiglia è un livello di organizzazione caratterizzato dal caso e dalla transitorietà.
  • La società civile è la comunità più vasta in cui si colloca la famiglia. È il luogo in cui si svolgono le attività volte al soddisfacimento dei bisogni. Costituisce il dominio dell’economia, degli interessi delle persone, dei rapporti sociali. Il legame che unisce gli individui è il legame universale che il mercato crea tra i produttori. Per Hegel proprietà e lavoro sono due fattori mediatori per la soddisfazione dei bisogni.
  • Lo stato è la realtà dell’idea etica e realizza l’unità della famiglia e della società civile. Nello stato gli individui in quanto cittadini si propongono consapevolmente la conservazione e lo sviluppo della comunità. Hegel respinge il modello contrattualistico di stato. L’idea cioè che alla base della vita associata ci sia un “patto” tra gli individui diversi. Egli osserva che il popolo fuori dallo stato è una moltitudine informe cioè disorganizzata. Rifiuta la concezione borghese e liberale dello stato. Lo stato non è un mezzo per la difesa della proprietà privata, ma è l’unione tra libertà oggettiva e soggettiva. Chi si pone fuori dallo stato è fuori dalla realtà. Hegel considera la monarchia costituzionale come l’esito più maturo dello stato moderno e vede la Prussia come modello di questa fase suprema di sviluppo dello stato. Lo stato è universalità dotata di forza e si afferma come potenza, in rapporto conflittuale con altre potenze. Così la guerra assume un valore morale, in quanto preserva un popolo contro il rafforzarsi degli interessi particolari.
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Riassunto Hegel: la filosofia della storia e lo spirito assoluto

FILOSOFIA DELLA STORIA
Il contenuto della storia del mondo è razionale: non un succedersi slegato e causale di eventi, ma un tutto unitario nel quale si attua la libertà. Lo spirito vive come spirito del mondo, che incarna i vari popoli e costituisce il fine della storia, mentre suoi mezzi sono gli individui con le loro passioni: l’astuzia della ragione usa le passioni per conseguire risultati diversi da quelli perseguiti dagli individui. La storia è storia della libertà.


LO SPIRITO ASSOLUTO
Nello spirito assoluto, lo spirito diviene pienamente cosciente di sé. Diviene tale solo nelle forme dell’arte, della religione e della filosofia, considerate forme supreme della cultura umana. Il sapere assoluto è così raggiunto. Arte, religione e filosofia non si differenziano per il contenuto ma per la forma che le caratterizza. L’assoluto viene contemplato dall’arte, rappresentato dalla religione e compreso alla filosofia. Il primato della filosofia sta nell’adeguatezza del concetto, nella sua capacità di esprimere l’assoluto. Hegel con ciò riafferma il primato della razionalità, della filosofia sull’arte e sulla religione.

Nell’arte, l’autocoscienza si manifesta in forme sensibili. Il “bello” è apparenza sensibile dell’idea ed assume un essenziale contenuto razionale.

Vi sono tre fasi di sviluppo dell’arte: simbolica, classica e romantica.
  • Nell’arte simbolica la forma sensibile tende a prevalere sull’idea che è in essa contenuta. In questa fase vi è l’architettura che da forma, ordine e significato alla materia, alla pietra.
  • Nell’arte classica si è raggiunto un equilibrio fra l’idea e la forma. Il linguaggio artistico che prevale è la scultura, disciplina nella quale il corpo umano viene riprodotto in una perfezione ideale.
  • Nell’arte romantica la spiritualità dell’opera tende a forzare i limiti della forma sensibile, a superarli continuamente. Il divino viene concepito come puro spirito e la bellezza viene spiritualizzata. Forme d’arte sono la poesia e la musica.

L’arte riconosce la necessità di andare oltre se stessa, cioè nella religione. La religione si afferma come “futuro dell’arte”. In essa l’assoluto si esibisce come realtà e unione di infinito e finito.

La religione si è sviluppata attraverso tre fasi.
  • La prima è la fase delle religioni orientali più vicine a identificare dio con la natura.
  • La seconda è la fase delle religioni dell’individualità spirituale cioè giudaica, greca e romana.
  • La terza è la fase della religione assoluta (quella cristiana) nella quale dio si manifesta come l’assoluto spirituale.

Anche la religione presenta dei limiti,essi sono limiti propri della rappresentazione, nella quale l”Assoluto si manifesta sempre come trascendente, come un divino "giustapposto all'umano".
E, quindi, nel seno stesso della religione cristiana che tende ad affermarsi una forma del pensiero, la filosofia nella quale l’Assoluto appare davvero come "trasparente a se stesso"

Nella filosofia l’assoluto giunge alla comprensione adeguata di sé, come idea che pensa se stessa. I sistemi filosofici sono l’espressione dell’autocoscienza progressiva dello spirito. Per rappresentare il compito della filosofia Hegel utilizza la metafora della nottola di Minerva, cioè della civetta sacra alla dea della sapienza.

La filosofia è verità poiché ogni sistema di pensiero cogli una fase dello sviluppo dello stato. E la conclusione della storia della filosofia sta nella stessa filosofia hegeliana, autoconsapevolezza piena e definitiva dell’assoluto
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Riassunto: Tommaso Campanella, opere e pensiero filosofico


La vita in breve:
Nasce nel 1568 a Stilo, in Calabria. Entra in un convento domenicano ma respinge le dottrine aristoteliche. Nel 1588 scrive Philosophia sensibus demonstrata. Lasciato il convento a causa delle teorie professate viene sospettato di eresia, torturato, processato e infine liberato. Si sposta tra Napoli, Roma, Firenze e Padova e per difendersi dalle accuse scrive un De monarchia Christianorum e un De regimine ecclesiae. Per salvarsi dalla pena capitale Campanella si finge pazzo. Successivamente scrive La monarchia di Spagna. Muore nel 1639.

Potenza, Sapienza e Amore
Per Campanella la natura va conosciuta attraverso i suoi intrinseci principi regolatori. Per lui la natura è caratterizzata dall’universale animazione. L’affinità fra l’uomo e la natura, valorizza la magia, cioè la possibilità per l’uomo di intervenire con efficacia sui processi naturali. La natura appare come una divina Monotriade, cioè articolata in tre dimensioni costitutive o primalità: Potenza, Sapienza e Amore. La natura è distribuita gerarchicamente in più piani a seconda dei livelli di perfezione raggiungibili da ciascun essere: solo Dio può, sa e vuole tutto, mentre negli altri esseri le tre primalità sono limitate.
Egli inoltre sostiene il diritto dell’uomo a indagare razionalmente la natura.

L’autocoscienza
Il fondamento del conoscere è costituito dal senso. Sentire significa assumere e far proprie le qualità della realtà percepita. Per Campanella le astrazioni concettuali possono esser tutte ricondotte a particolari tipi di percezione. Conoscere è da un lato sentire patire e dall’altro è sentire se stessi, la mutazione recata in noi dalla cosa. A fondamento della conoscenza certa del reale vi è un'autocoscienza sensibile.

La città del Sole
Per reagire ad una situazione storica caratterizzata dal dominio spagnolo, Campanella ritiene necessaria una profonda renovatio di natura politico-religiosa. Dinnanzi alla miseria del presente egli sceglie la strada dell’utopia. Il suo modello di stato si inserisce nella prospettiva millenaristica.
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Riassunto: Hegel e il suo tempo

HEGEL E L’ILLUMINISMO
Hegel riconosce il valore dell'illuminismo. Sottolinea e denuncia l'astrattezza e l'unilateralità della cultura illuministica. Tali caratteri derivano dai limiti dell'intelletto. L'unilateralità dell'intelletto deve essere superata in una visione più ampia e complessa,che è quella della ragione.

HEGEL E LA RIVOLUZIONE FRANCESE
Per Hegel la rivoluzione francese è stata il più grande avvenimento della storia dopo la nascita del cristianesimo perché ha cercato di creare una società basata sulla ragione. Pur essendosi proposta di realizzare un'idea moderna di libertà la rivoluzione è sfociata nel terrore, quindi ha fallito. In essa non vi è stata una vittoria della ragione, ma il trionfo della "intellezione pura", cioè dell'illuminismo. Si è affermata la libertà assoluta che ha alimentato la pretesa di imporre la propria legge, ma anche ha generato il terrore. Per Hegel un individuo non può realizzare la libertà assoluta.

LA CRITICA AL ROMANTICISMO
In Hegel sono presenti temi e spunti romantici, ma egli è un pensatore idealistica, non un romantico. Tale giudizio non è condiviso da quegli studiosi che colgono nei suoi pensieri temi romantici. Hegel non è romantico poiché guarda con disapprovazione al dilagare del sentimentalismo. Del romanticismo Hegel critica e condanna a soggettività sfrenata puramente negativa che non è in grado di cogliere e realizzare un progetto di conciliazione tra finito e infinito.

Il RAPPORTO CON KANT
Hegel riconosce l'importanza della rivoluzione copernicana. Di Kant non condivide la filosofia del limite. Non si può stabilire a priori che cosa la ragione possa conoscere. La ragione mostra quel che può fare attraverso la sua attività, la ragione aspira all'infinito. Hegel si assegna il compito di riconciliare finito e infinito e di superare la frattura kantiana tra fenomeno e noumeno. Kant aveva basato la sua teoria su una morale formale cioè sulla forma che devono avere gli imperativi per essere categorici. Hegel ritiene che il dovere della condotta individuale e i suoi contenuti etici si trovino già realizzati nei valori storicamente affermatisi di un popolo e che ad essi si sia chiamati ad aderire. In questo egli mostra quanto incida nel suo pensiero la storia. Rifiuta il giusnaturalismo e il contrattualismo a cui aderiva Kant, che interpretavano la realtà dello stato a partire da pure astrazioni concettuali e considera lo stato una realtà etica.

FICHTE E SCHELLING
Nello sviluppo della sua riflessione prende le distante anche da Fichte e Schelling. Come per Kant, anche per quest'ultimi il problema su cui si consuma la frattura è quello del rapporto tra infinito e finito. Hegel pone a fondamento del proprio sistema un principio, l'unità dell'infinito con il finito. Fichte non riesce a superare la contrapposizione fra libertà e necessità, fra spirito e materia. Egli fonda l'assolutezza dell'io su tale contrapposizione del non-io, che diviene qualcosa di astratto, di inspiegabile. Il superamento del non-io da parte dell'io viene collocato all'infinito, cioè come meta mai raggiungibile. Hegel lo definisce cattivo infinito. Schelling ha una visione dell'assoluto come identità di natura e spirito, ma non ha concepito la conoscenza dell'assoluto come intuizione estetica e quello di concepire l'assoluto come un'indifferenziata identità di natura e spirito. Anche Schelling quindi non sa far convivere infinito e finito.

LA RAGIONE
Hegel afferma il primato della ragione. È posta al centro della filosofia. È una ragione dialettica che sa riconoscere le opposizioni e sa superarle. L'assoluto è una realtà non indifferenziata, cioè una realtà nella quale le differenze e le opposizioni non solo non scompaiono ma costituiscono la sua stessa essenza.
La ragione dialettica rispecchia e manifesta la struttura dialettica della realtà.
Per Hegel reale è solo l'intero, la totalità che è l'infinito. Un infinito inteso come sintesi e tutte le determinazioni finite, come processo nel quale ciò che è dato viene negato come tale.
La verità è l'interno e il soggetto è l'assoluto, è Dio, è ragione che esso si realizzi.
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Riassunto: Hegel - La logica

Il sapere assoluto si articola secondo Hegel in tre momenti fondamentali: la logica, la filosofia della natura e la filosofia dello spirito.

Con la logica Hegel intende ricostruire la trama concettuale della realtà. La logica è ontologia, scienza dell’essere, metafisica. Hegel descrive lo svolgersi dialettico dell’assoluto come puro pensiero attraverso tre livelli di logica.
Logica dell’essere con la quale Hegel prende l’avvio dalla categoria più astratta. Di per sé l’essere non si può definire, perché nella sua genericità è vuoto. E proprio perché tale l’essere richiama il proprio contrario, il nulla, si afferma cioè come non-essere. In Hegel essere e non-essere sono concetti dinamici, tendono cioè a convergere in una sintesi (il divenire) nella quale entrambi si pongono in modo processuale.

Logica dell'esistenza. 
In essa il piano dei concetti non si riduce a quello dell'essere. C'è l'esigenza di pensare ogni essere determinato guardando al fondamento su cui esso poggia. È l'individuazione di una base più profonda, che l'essere ricerca riflettendo su di sé. La realtà viene concepita come fenomeno, come manifestazione di un essenza; ed infine riconosciuta come realtà in atto.

Logica del concetto. 
Il pensiero si basa attraverso concetti. Costituisce un ulteriore momento di consapevolezza logica. L'opposizione è contraddizione interna al pensiero stesso con cui la stessa realtà si sviluppa.
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Riassunto: Hegel - La filosofia della natura

Nella filosofia della natura, la natura è concepita come un essere alto rispetto all'idea, cioè come la realtà più lontana ed estranea al pensiero. Se la logica definita come dio prima della creazione,questo è il momento della creazione. Hegel definisce questo passaggio un'alienazione cioè un divenire altro da se. La natura è una realtà dotata di leggi e, la filosofia della natura è descrizione dei modi in cui essa si organizza e si sviluppa,riconoscendo in essa la presenza di una razionalità. Nella natura cogliamo i livelli diversi di realtà e complessità. I livelli superiori non possono esser fatti destare da quelli inferiori:la vita non su esser fatta derivare dalla natura inorganica. Vale esattamente il contrario:sono livelli superiori a spiegare e giustificare i livelli inferiori. Qui per Hegel sta la differenza fra scienza empirica e la filosofia della natura. La prima si lingua a descrivere la realtà attraverso processi esaminati distintamente nella loro specificità,la seconda concepisce la natura come una totalità. Hegel come Schelling ha una visione organica della natura.


Per Hegel vi sono tre diversi livelli di organizzazione della natura: Meccanica, fisica dei corpi e fisica organica.

1) La meccanica è il livello inferiore della realtà. È il piano della pura esteriorità dei fenomeni, evidente nello spazio e nel tempo. Il piano della meccanica culmina nella gravitazione universale che afferma una visione dinamica della natura e permette di guardare ai fenomeni sotto l'aspetto quantitativo.

2) Con la gravitazione la conoscenza della natura coglie solo l'aspetto superficiale della realtà. Si richiede un livello maggiore e diviene fisica dei corpi,studio della materia sul piano qualitativo, cioè attraverso le proprietà che la caratterizzano.

3) Il culmine dei processi della natura è costituito dall'affermarsi di una forma superiore di organizzazione, quella dell'organismo (fisica organica). La natura come totalità regolata da un fine si manifesta solo negli individui viventi. In essi il fine è la vita ed è in vista di questo fine che operano e funzionano i diversi organi.


Hegel distingue tre dimensioni dette vita organica: geologica, vegetale e animale.

Le tre funzioni degli animali sono:
  1. la sensibilità, capacità e sentire il mondo esterno;
  2. l'irrabilità, capacità di reagire a stimoli esterni; 
  3. la riproduzione, generando altri esseri l'individuo si rinnova i loro, per estinguersi. Muore in nome dei diritti della specie. 

L'uomo è un essere che vive e si riproduce ma sa anche autodeterminarsi, cioè esistere come autocoscienza e libertà. La morte non è annichilimento ma affermazione della sua universalità nella specie.
L'idea orientale della morte si lega all'immagine della fenice. È un'idea legata al corpo che non conviene allo spirito. L'idea occidentale invece è quella del ringiovanire nello spirito, cioè non del semplice ritorno alla sua forma, ma della sua trasfigurazione.
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Hegel - Dialettica della ragione

VERSO UN NUOVO SISTEMA DELLA SCIENZA
L’assoluto viene descritto come intero, cioè come l’insieme dei momenti costitutivi dello sviluppo razionale della realtà come una totalità. Si sviluppa attraverso un processo logico-razionale. Il sistema è l’autocoscienza dell’assoluto che giunge alla piena comprensione di sé. La realtà è concepita come processo di autorealizzazione dell’assoluto, compreso dalla ragione. La realtà è razionalità.


IL MOVIMENTO DIALETTICO
Il sistema hegeliano è dialettico e contiene in se le opposizioni senza annullarle.
La conoscenza dell'assoluto è il frutto di un movimento dialettico. Il sapere filosofico è sistema, cioè totalità organica di concetti legati da tale rapporto di opposizione-unificazione.
L’intelletto pone i concetti come isolati ed opposti fra loro, ma senza cogliere la loro radice comune.
La ragione è allo stesso tempo negazione e unificazione, comprensione delle differenze e loro sintesi unificante (è momento negativo-razionale).


I TRE MOMENTI DELLA DIALETTICA
Per Hegel una comprensione adeguata della realtà richiede il superamento della logica tradizionale. Questa è ancorata ai principi di identità e di non contraddizione. L’isolamento concettuale è proprio dell’intelletto e costituisce il momento astratto o intellettuale del pensiero. Occorre guardare al di là di essa affermando un secondo momento, quello dialettico o negativo razionale.
Il terzo momento del pensiero è quello speculativo o positivo-razionale. Con esso la ragione ricostituisce l’unità degli opposti, si afferma come negazione della negazione: il concreto non è dato immediato, ma l’unità degli opposti.


IL REALE E IL RAZIONALE
La novità di Hegel sta nel fatto di concepire il movimento dialettico come processo costitutivo non solo del pensiero ma anche della realtà. La realtà è un mutamento continuo. Secondo sequenze logiche.
La realtà è essenzialmente ragione. C’è piena coincidenza fra essere e dover essere.

Uno tra i più celebri aforismi hegeliani è quello secondo il quale “Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale”.

Con riferimento alla prima parte dell’aforisma, Hegel vuol dire che la razionalità: non deve essere intesa come una semplice astrazione né come uno schema ideale o come dover-essere; è la forma stessa di ciò che esiste, nella misura in cui è la Ragione che governa il mondo e lo costituisce.
La seconda parte dell’aforisma è tesa ad affermare che la realtà non è una materia caotica ma il dispiegarsi della razionalità che si manifesta in modo inconsapevole nella natura e in modo consapevole nell’uomo. L’identità di reale e razionale non deve quindi essere intesa come una semplice possibilità, ma come una dato assolutamente necessario; così come è necessaria l’identità tra essere e dover-essere.
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Critica della ragion pura, Kant

di Immanuel Kant
Riassunto:

I limiti e il tribunale della ragione
Mentre la scienza si mostrava in continuo progresso, la metafisica costituiva un campo di lotte senza fine, lacerata da continui contrasti; in tali conflitti era proprio la ragione a correre il rischio di una crisi gravissima. Per eliminare tali conflitti era necessario identificare il responsabile principale di questa crisi nel dogmatismo e affermare l’istanza critica orientando in tal senso le indagini filosofiche. Per Kant la critica è l’analisi delle possibilità e dei limiti delle facoltà umane sui tre versanti della funzione conoscitiva,della moralità e dei sentimenti che gli uomini provano di fronte alla bellezza e alla finalità dei processi della natura. Il piano di questa indagine critica è riassunto in 4 domande: che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Che cosa posso sperare? Che cos’è l’uomo? Per Kant il compito della critica consiste nella determinazione dei limiti della ragione umana: è la critica della ragion pura. La ragione di cui si parla è la facoltà del conoscere in generale ed è pura perché prescinde da ogni materiale empirico, cioè dall’esperienza.

Rivoluzione copernicana
Uno dei cardini della riflessione kantiana è costituito dal riconoscimento del carattere di necessità e universalità delle conoscenze scientifiche. Il problema di Kant è, innanzitutto, quello di dimostrare filosoficamente come tali conoscenze siano possibili e quali fondamenti le giustifichino. L’idea cartesiana di una scienza fisica costruita senza far ricorso all’esperimento, con catene di procedimenti deduttivi ricavati da alcuni concetti base generalissimi era stata costituita dall’idea della necessità di combinare la matematica con l’esperimento. Egli opera un cambiamento radicale, una rivoluzione conoscitiva che definisce rivoluzione copernicana. Al centro della conoscenza non vi è più l’oggetto attorno al quale ruoterebbe il soggetto, ma c’è invece il soggetto che conosce e la sua capacità di costruire gli oggetti della conoscenza i quali dipendono dal nostro modo di pensarli. La conoscenza è il frutto di un’opera attiva di organizzazione dei dati dell’esperienza da parte del soggetto conoscente, mediante funzioni a priori, cioè indipendenti dai contenuti che giustificano l’universalità e la necessità della conoscenza.

La critica della metafisica
Se la scienza, che è conoscenza del fenomeno, cioè della realtà così come appare è fondata nelle sue pretese conoscitive, non altrettanto si può dire della metafisica. La sua è una pretesa infondata di conoscere il noumeno, cioè le cose che sono nella loro essenza ultima. La metafisica è, per Kant, quel sapere illusorio che va oltre i limiti della conoscenza umana e che è responsabile dei conflitti senza fine e senza soluzione; la metafisica non è una scienza.

I limiti del Razionalismo e dell’Empirismo
Kant eredita da Wolff e da Leibniz il problema della fondazione della conoscenza interpretandola però in modo diverso. Fino a Kant il problema della verità della conoscenza era stato quello della corrispondenza delle idee a una realtà esterna. Per il Razionalismo il problema era stato quello della capacità delle idee della ragione e dei loro rapporti reciproci di riprodurre la realtà a cui fanno riferimento, con le sue connessioni necessarie. L’Empirismo, secondo Kant, aveva respinto questo tipo di soluzione e aveva considerato l’esperienza come un’indispensabile base della conoscenza. Inoltre nell’Empirismo era rimasta irrisolta la questione della corrispondenza tra le percezioni sensibili e la realtà da cui esse hanno origine e la questione della validità delle conoscenze scientifiche.

Il giudizio sintetico a priori
Affrontare la questione della conoscenza vuol dire analizzare i modella di giudizio possibili, perché conoscere è giudicare. Vi sono due modelli di giudizio che Kant analizza: il giudizio analitico e il giudizio sintetico. Il primo è proprio del Razionalismo, il secondo dell’Empirismo. Un giudizio è analitico quando il predicato afferma qualcosa che era già contenuto nel concetto del soggetto. Tali giudizi sono a priori, cioè indipendenti dall’esperienza; sono giudizi universali e necessari; la loro validità è fondata sul principio di non contraddizione. Un giudizio è sintetico quando il predicato aggiunge un’informazione nuova sul soggetto. I giudizi d’esperienza sono sintetici a posteriori, perché solo dopo il verificarsi di un’esperienza è possibile dire qualcosa che non sia contenuto nel concetto di qualcos’altro. I giudizi sintetici a posteriori forniscono solo dei collegamenti empirici, non universali e necessari, fra i due concetti che li compongono. Il vero problema della scienza è per Kant quello dei giudizi sintetici a priori, cioè giudizi che da un lato siano universali e necessari e dall’altro siano in grado di dire qualcosa di nuovo. Kant trova questi giudizi a priori nella matematica pura,nella fisica pura e nella metafisica.

Rivoluzione copernicana della conoscenza
La conoscenza è sintesi tra una materia del conoscere che il soggetto riceve dall’esterno ed una forma con cui questi la organizza, la unifica, generando la rappresentazione del mondo naturale. La conoscenza è attività di organizzazione che si svolge mediante l’intervento costante di alcune funzioni mentali. L’oggetto della conoscenza non è dunque un dato, ma è il prodotto dell’attività del soggetto che elabora i dati sensibili e stabilisce i rapporti tra loro. Ognuno di noi ha percezioni diversissime perché sente le cose in modo personale ma ha,però, un modo di organizzarle che poggia su condizioni comuni a tutti gli uomini. Tali condizioni sono quelle funzioni e priori della conoscenza, indipendenti dall’esperienza. L’indagine su di esse è da Kant chiamata filosofia trascendentale, in quanto quelle forme a priori sono presupposto e condizioni di possibilità della stessa esperienza. Kant afferma di aver compiuto, in tal modo, una vera e propria rivoluzione copernicana, una svolta nel campo della teoria della verità.

Sensibilità, intelletto e ragione
Nella critica della Ragion Pura, Kant distingue tre diverse facoltà in cui si articolano i vari livelli conoscitivi: la sensibilità (con cui riceviamo i dati dell’esperienza), l’intelletto (con cui organizziamo tali dati) e la ragione (con cui tentiamo di guardare al di là del mondo dell’esperienza). Kant descrive possibilità e limiti di tali facoltà nella Dottrina Trascendentale degli elementi, nella quale affronta la questione degli elementi o forme a priori della conoscenza. Nella Dottrina del Metodo si pone la questione dell’uso di tali elementi nella conoscenza. La dottrina degli elementi si articola in Estetica Trascendentale e Logica trascendentale che si suddivide a sua volta in Analitica Trascendentale e Dialettica Trascendentale. Nell’Estetica trascendentale (che studia le forme pure a priori della sensibilità) il primo livello trattato è quello degli oggetti della conoscenza che sono ricevuti, che ci sono dati e che vengono immediatamente ordinati da 2 funzioni della facoltà intuitiva dell’uomo: lo spazio e il tempo. Nella logica trascendentale il secondo livello trattato è quello della facoltà intellettiva che opera pensando gli oggetti disposti nello spazio e nel tempo attraverso l’uso di 12 funzioni o categorie. Nella Dialettica trascendentale Kant studia la ragione e le sue forme più pure (idee dell’anima, del mondo e di Dio).

Spazio e tempo, forme pure della sensibilità
Il punto di partenza della conoscenza è la sensazione, cioè la modificazione che un oggetto produce sulla nostra capacità di sentire. Le sensazioni ci forniscono una molteplicità di dati che vengono connessi gli uni accanto agli altri nello spazio (contiguità) e gli uni dopo gli altri nel tempo (successione). Lo spazio e il tempo ordinano dunque il materiale percepito con i 5 sensi. Lo spazio rappresenta gli oggetti all’esterno, il tempo li dispone all’interno del soggetto. Kant non dimostra che spazio e tempo sono intuizioni pure a priori. Ma confuta la possibilità di pensarli in altro modo che come intuizioni pure a priori. Non sono nozioni generali che vengano astratte dalle sensazioni - come pensavano gli Empiristi - né sono, come affermava il razionalismo, concetti universali che contengano le cose sotto di sé, ma sono rappresentazioni che contengono tutto in sé. Solo spazio e tempo come intuizioni pure a priori possono spiegare e giustificare la possibilità della matematica pura e della fisica pura.

Le categorie dell’intelletto
Nella sensibilità gli oggetti sono dati, ma non sono pensati. Se ci fermassimo alla sensibilità non avremmo conoscenza, perché in essa ci limitiamo a ordinare i dati forniti dalle sensazioni. La conoscenza ci è fornita solo dall’intelletto. La conoscenza è sintesi di intuizioni e concetti, né si può prescindere dalle une o dagli altri. Per intendere meglio quale sia l’attività propria dell’intelletto, ci si può rifare alla distinzione che Kant pone tra giudizi percettivi e giudizi d’esperienza. Entrambi sono empirici ma vi è una fondamentale differenza tra di loro. Il giudizio percettivo deriva da una constatazione con cui connettiamo ciò che abbiamo percepito. I giudizi d’esperienza invece hanno una validità oggettiva, cioè vogliamo che valgano sempre e per tutti gli uomini. L’intelletto riflette sul materiale sensibile già organizzato spazio-temporalmente e lo unifica e gli dà senso grazie all’uso di 12 categorie suddivise in :
-categoria della quantità: unità, pluralità, totalità;
-categoria della qualità: realtà, negazione, limitazione;
- categoria della relazione: inerenza e sostanzialità, causalità e dipendenza, comunanza o reciprocità d’azione;
- categoria della modalità: possibilità/impossibilità, esistenza/non esistenza, necessità/contingenza.

Sulle categorie poggiano i giudizi sintetici a priori; tra di esse particolare rilevanza ha la categoria di causa.

L’io penso
L’unità del molteplice dell’esperienza è il prodotto dell’attività unificatrice dell’io penso, una rappresentazione originaria che deve accompagnare tutte le mie rappresentazioni e che è anche principio di autocoscienza del soggetto che conosce. L’io penso è unità sintetica dell’appercezione, appercezione trascendentale e principio di ogni sintesi conoscitiva che si svolge mediante funzioni a priori di sensibilità e di intelletto. Le prime sono spazio e tempo che ordinano la materia sensibile molteplice. Le seconde sono le 12 categorie divise in: quantità, qualità, relazione e modalità e unificano il molteplice dato in spazio e tempo.

Schematismo trascendentale
Kant ipotizza l’esistenza di un tipo di attività inconscia, che egli chiama immaginazione trascendentale, la quale si colloca nel punto di congiunzione tra i due livelli della sensibilità e dell’intelletto e che predispone i dati sensibili (attraverso una serie di schemi) in modo tale da potervi poi applicare le categorie formali dell’intelletto. Il tramite costitutivo di ogni schema è il tempo. Ogni schema temporale prefigura intuitivamente una categoria, permettendole di connettersi all’esperienza. Proprio tale caratteristica degli schemi da ulteriore fondamento alla tesi kantiana di un primato della funzione del tempo su quella dello spazio.

Fenomeno e Noumeno
Come per Cartesio e per tutti gli altri dopo di lui, la domanda cruciale è: chi ci garantisce la verità dei nostri giudizi scientifici? Per Kant la soluzione della questione sta nel fatto che noi conosciamo solo i fenomeni, ossia le cose come ci appaiono. Nulla possiamo dire delle cose in sé, concepite indipendentemente dalla nostra possibilità di rappresentarle e che come tali sono pensabili. Il concetto di cosa in sé significa solo che esiste qualcosa che non è il fenomeno e a cui i dati sensibili sembrano far riferimento, quindi qualcosa che è solo pensabile (è appunto un noumeno, che significa pensato), ma che non è conoscibile.

Le idee trascendentali
Nella critica della ragion pura Kant parla di un terzo livello conoscitivo oltre a quelli della sensibilità e dell’intelletto: il livello della ragione. Qui essa è intesa non più come facoltà della conoscenza in generale ma come facoltà che si avvale di idee trascendentali, le quali credono di poter abbracciare l’esperienza come una compiuta e perfetta totalità e precisamente come totalità compiuta della soggettività: l’idea dell’anima; come totalità compiuta della realtà esteriore: l’idea del mondo; infine come totalità e perfezione di tutto ciò che è esistito, esiste ed esisterà, e che si pone come il fondamento ultimo dell’anima e del mondo: l’idea di Dio. Kant critica questo uso della ragione nella Dialettica trascendentale. Il termine “dialettica” denota l’ambito di una conoscenza presunta, solo apparente e che causa errori e illusioni.

I paralogismi della ragione
La metafisica cerca di cogliere le tre dimensioni della totalità attraverso 3 scienze: la psicologia razionale, la cosmologia razionale, la teologia razionale. La ricerca dell’animo conduce la ragione ad un errore, definito con termine aristotelico "paralogismo". Il paralogismo è il seguente: ciò che può essere pensato solo come soggetto esiste come tale ed è sostanza; un essere pensante può essere pensato solo come soggetto; dunque, l’essere pensante pensante esiste come sostanza, cioè come anima.

Le antinomie della ragione
La ricerca del mondo come totalità compiuta di fenomeni porta a quelle che Kant chiama le antinomie della ragione. Esse sono contraddizioni insolubili e si distinguono in 4 tipi:
1° antinomia: il mondo ha avuto un inizio nel tempo ed ha un limite nello spazio/il mondo è eterno e infinito.
2° antinomia: il mondo è composto da elementi indivisibili/il mondo è composto da elementi indivisibili/il mondo è composto da elementi divisibili all’infinito.
3°antinomia: esiste una causalità libera, oltre a quella naturale/esiste solo una causalità naturale.
4°antinomia: esiste qualcosa di assolutamente necessario/ogni realtà è solo contingente.

La prima e la seconda sono entrambe false, sostiene Kant, poiché la sintesi conoscitiva che noi compiamo è sempre progressiva ed aperta e non è in grado di esaurire l’oggetto che vuole conoscere. La terza e la quarta possono essere entrambe vere, quando le tesi vengono riferite ad una cosa in sé inconoscibile e le antitesi, invece, alla sola esperienza

La critica delle prove dell’esistenza di Dio
La terza idea della ragione riguarda Dio. Si è cercato di dimostrarne l’esistenza con alcune prove, che Kant raggruppa in tre tipi distinti:
  • la prova ontologica (il concetto di perfezione divina implica, fra le infinite perfezioni, anche quella di esistenza);
  • la prova cosmologica (la contingenza del mondo implica l’esistenza di un essere assolutamente necessario)
  • la prova fisico-teleologica (l’ordine della natura implica una finalità e l’esistenza di un artefice)

Kant obietta la prova ontologica: l’esistenza non è una perfezione, ma una categoria che legittimamente si può utilizzare in rapporto a un molteplice, dato nell’esperienza. L’esistenza è relativa a un giudizio quindi non può essere stabilita per via analitica. La seconda prova quella cosmologica utilizza il concetto di causa nel campo della cosa in se, facendone un uso improprio, diverso dalle funzioni che quella categoria è chiamata a svolgere nell’organizzazione dei dati dell’esperienza. La terza prova fisico-teleologica è la più vicina al senso comune e attribuisce ad un creatore la totalità delle perfezioni possibili. Con questo Kant non nega l’esistenza di Dio ma sulla base delle nostre possibilità conoscitive non siamo in grado di affermare l’esistenza di Dio.

La funzione regolativa delle idee
Kant non critica le idee trascendentali in quanto tali ma il loro uso trascendente, cioè che porta a considerarle come concetti di cose reali. Vi è però un uso interno delle idee trascendentali. Con tale uso le idee sollecitano l’intelletto a dare la maggiore estensione, unità e sistematicità possibili. La metafisica non è una scienza, ma un’esigenza della ragione, e come tale, non può essere ignorata, e ha una funzione positiva e di stimolo nei confronti della conoscenza umana.
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Riassunto: Giordano Bruno, opere e pensiero filosofico


La vita in breve
Nato a Nola nel 1548, Giordano Bruno entra adolescente nel convento di S.Domenico a Napoli. Sin dall’inizio si mostra insofferente della vita ecclesiastica, cade in sospetto d’eresia e nel 1576 per sfuggire al processo abbandona il convento e si reca a Roma. Dal 1583 al 1589 si reca in Inghilterra sotto la protezione dell’ambasciatore francese. Nel 1591 torna in Italia su invito del nobile Giovanni Mocenigo che desidera apprendere da lui l’arte della memoria, ma questi nel 1592 lo denuncia per eresia; Bruno rifiuta ogni religione, nega i dogmi cristiani e addirittura afferma che Cristo era un mago che aveva sedotto i popoli con miracoli. Bruno viene processato e sconfessa sul terreno religioso le tesi sostenute su quello filosofico. Egli rifiuta di ritrattare le sue teorie filosofiche e viene condannato a morte il 17 febbraio del 1600.

L’universo infinito
Bruno vede nella teoria astronomica di Copernico la premessa e la base per condurre la missione di rischiaramento filosofico e religioso. La pubblicazione dell’opera copernicana viene descritta ne La cena delle ceneri.
Bruno evidenza che la concezione copernicana della natura era rimasta ancorata a principi tradizionali. Riprendendo le tesi di Cusano, egli afferma che l’universo è infinito perché è effetto di una causa infinita che è Dio. Dio è causa dell’universo in un duplice senso: da un lato è causa in quanto produce l’universo; dall'altro è principio immanente in esso.
Non è valida la tesi di Aristotele che negò l’infinito in atto effettivamente esistente e accettò solo l’infinito in potenza. Per Bruno, che l’infinito esista in atto è dimostrato dalla natura infinita di Dio nel quale l’atto non si distingue dalla potenza. L’universo è infinito non perché infinitamente grande, ma perché costituito da infiniti mondi. Se è infinito l’universo non ha né centro né circonferenza, non è né alto né basso. Eliminate le sfere cristalline e i motori dell’aristotelismo il movimento è intrinseco alla natura stessa.

La libertà di ricerca della ragione
L’immagine dell’universo di Bruno pone problemi inquietanti all’uomo del ‘500 e del ‘600. I teologi non devono mettere in discussione la libertà dei filosofi e degli scienziati.

L’unità di misura
Nei dialoghi De la causa, principio et uno si distingue l’idea di un Dio assolutamente al di là del mondo sensibile, dall’idea che di Dio si fa la ragione. Nel primo caso Dio è una mens super omnia, una mente al di sopra di ogni cosa ed appare a noi come la natura stessa. Come oggetto di riflessione razionale Dio è la natura stessa. Egli è la causa e il principio di ogni cosa. Dio per Cusano era trascendente, mentre per Bruno è immanente alla natura stessa. È la mens insita omnibus (= mente dentro le cose) il principio razionale insito nelle cose. Quando vediamo qualcosa che sembra morire non dobbiamo tanto credere che essa muoia realmente, quanto che muti, cioè che cambi i suoi aspetti accidentali restando immutabile nei suoi principi essenziali. Dio si manifesta come forma o intelletto universale, si manifesta come materia. In tal modo materia e forma sono un’unica realtà. Il concetto di materia risulta mutato in quanto essa appare dotata di un intrinseco principio attivo e di movimento. Proprio per l’idea che ogni realtà dell’universo sia vivente e animata costituisce il fondamento della magia.

Il minimo e le monade
Bruno, nel De triplici minimo et mensura afferma che nelle cose esiste un elemento-base, il minimo, che costituisce la loro essenza. Esso è l’unità ultima. Le cose particolari tendono a raccogliersi in unità più vaste cioè in specie e generi fino a formare l’unità generale dell’essere. Nel De monade Bruno afferma che la struttura degli esseri naturali è matematico-geometrica. Descrive come dall’uno si formi la diade e come da questa si forma prima la triade e via via gli altri numeri fino alla decade.

Unità del sapere e mnemotecnica
L’attività conoscitiva mira a individuare i nessi esistenti fra diverse rappresentazioni sensibili, ma cerca di andare oltre l’orizzonte sensibile in quanto si realizza solo nella contemplazione delle idee, dei principi eterni che sono a fondamento dell’ordine naturale. Di tali principi la realtà sensibile è solo l’ombra, cioè il segno la traccia: un'ombra nella quale la mente cerca di cogliere un ordine, una struttura ideale immutabile.

Il conflitto la virtù e il valore del lavoro
I due principali scritti morali di Bruno: dialoghi, lo spaccio della bestia trionfante e gli eroici furori.
Nella prima opera si parla dello spaccio di tutti i vizi accostati ad alcuni segni zodiacali, cioè a quelli che hanno il simbolo di bestie (ad esempio lo scorpione). La vita è conflitto, guerra perenne ed è guerra del bene contro il male, perché non c’è bene se non nella vittoria sul male. Il mondo è il campo dove si dispiega pienamente l’attività umana, l’ozio viene cacciato dal lavoro e l’uomo cerca di affermare se stesso con le opere. Bruno riconduce i vizi alle superstizioni e afferma che occorre affermare una nuova tavola dei valori. Tali valori sono la verità, la prudenza, la sofia o sapienza ed infine la legge.

Gli eroici furori
Di tale ricerca è espressione compiuta la seconda opera. In essa Bruno descrive tre furori o amori ripresi dalle tre specie di rapto platonico: l’amore per la vita dedita al piacere, quello per la vita attiva e quello per la vita contemplativa. I primi due tipi di furore sono degli uomini di barbaro ingegno, il terzo è l’autentico ed eroico furore.
Quella di Bruno non è una forma di elevazione mistica verso la trascendenza. Essa è risoluzione dell’individuo nell’infinita e vivente natura. Egli vede finalmente se stesso come natura e come parte dell’universo infinito. L’eroico furore di Bruno è una vera e propria passione del conoscere.
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Riassunto: Telesio, opere e pensiero filosofico


Telesio nasce a Cosenza nel 1509 dove dirige l’accademia e muore nel 1588.

La natura secondo i suoi principi
Nel 1586 aveva pubblicato l’edizione completa della sua opera più importante De rerum natura iuxta propria principia. La sua concezione del mondo è apertamente anti-aristotelica poiché afferma che i concetti come quelli di atto, potenza e forma sono un puro prodotto della mente umana e non si ritrovano nella natura stessa. Egli afferma che la natura va intesa come juxta propria principia, secondo regole e principi ad essa intrinseci. La natura si regge su se stessa non su principi ad essa estranei. L’ordine della natura è interno alla natura stessa: è Dio ad averlo stabilito, determinando le regole costanti dell’accadere degli eventi. Dio opera nell’universo non come causa immediata di ogni evento ma attraverso le cause naturali che egli stesso ha creato.

Ogni essere “sente”
Egli affermava l’esistenza di tre principi costitutivi della natura: due forze reagenti il caldo e il freddo, e una massa corporea su cui agiscono.
Il freddo condensa le cose, le rende pesanti ed immobili, quindi è principio di resistenza.
Il caldo le dilata, le rende più leggere e mobili, quindi è forza espansiva e cioè principio di movimento.
La Terra è immobile perché è fonte del freddo, mentre il Sole si muove perché è fonte del caldo.
Nell'uomo, l’anima non è pura forma del corpo ma è essa stessa corporea, composta di materia più sottile di quella che costituisce i corpi veri e propri. È cioè un spirito vitale che organizza ed orienta tutte le funzioni corporee. Oltre all'anima materiale, nell'uomo esiste una forma superaddita, un’anima divina che è infusa nell’uomo da Dio stesso e che è immortale. Si propone così l’idea tradizionale di una doppia natura dell’uomo.

Il primato dell’esperienza
La teoria di Telesio sulla conoscenza è caratterizzata da un sensismo non solo perché ogni essere sente, ma perché l’esperienza sensibile è in grado di attestare direttamente i principi e le regole di funzionamento della natura. Per Telesio esiste una corrispondenza immediata fra conoscenza e realtà. La sensibilità è capace di conoscere il mondo e quindi dobbiamo ancorarci ai nostri giudizi conoscitivi. Se vogliamo essere sicuri della loro validità dobbiamo rifarci al senso del tatto che per primo avverte la presenza delle cose quando vengono a contatto con lo spirito vitale.

La morale dell’auto conservazione
La concezione morale di Telesio ha un carattere naturalistico. Il principio essenziale a cui ogni essere dell’universo si attiene è quello dell’autoconservazione. Morale non è tanto il perseguimento del piacere, quanto il fine dell’autoconservazione. Tale fine è morale proprio perché è universale, risponde cioè ad un aspetto essenziale della vita dell’universo garantito da Dio. Dobbiamo agire realizzando un fermo controllo delle passioni imponendo loro una misura, un equilibrio e si afferma la necessità delle virtù come garanzia di salvezza per l’uomo. Telesio vuole evitare il rischio che tale dottrina dell’autoconservazione renda impossibile una morale dell’altruismo.
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Riassunto: Nicola Cusano, opere e pensiero filosofico


La concordanza cattolica
Nel ‘400 un legame fra rigenerazione cristiana e nuova visione dell’universo si manifesta nel pensiero di Nicola Cusano.
Nato nel 1401 a Kues, in Germania, riceve un’educazione ispirata alla devotio moderna e praticata dal movimento dei ”fratelli della vita comune”. Muore a Todi nel 1464.
Per Cusano il rinnovamento spirituale della chiesa deve accompagnarsi al riconoscimento dell’autonomia dei diversi organismi ecclesiastici. Egli ritiene che con la ricerca dell’armonia la chiesa potrà tornare ad essere luogo di convivenza e di promozione umana. Il desiderio di Cusano è che gli uomini sappiamo unirsi in una comune fede in Dio realizzando la “partecipazione di tutte le verità all'unica verità”.

La dotta ignoranza e sapere congetturale
Cusano rielabora gli antichi concetti della teologia mistica attraverso schemi e concetti moderni. Dio è al di là di tutto. È infinito e quindi incommensurabile e inattingibile alla mente umana. La conoscenza è proporzione, rapporto tra il noto e l’ignoto. L’incerto va valutato in base al certo; Dio è infinito e la mente è finita. Di Dio possiamo dire cosa non è, piuttosto che ciò che è. Aveva ragione Socrate a dire di “sapere di non sapere”: questo è il tipo di sapere che Cusano accetta e fa proprio in quanto è espressione di quella docta ignorantia che costituisce l’unico modo possibile di pensare Dio. Parla di docta ignorantia perché la mente umana pur senza poter mai raggiungere Dio può avvicinarsi indefinitamente a Dio alla verità nella sua assolutezza. In una sua opera De coniecturis egli afferma il carattere congetturale della conoscenza umana. Non potendo conoscere la realtà divina in se stessa e neppure l’essenza delle cose, possiamo solo formulare delle congetture, delle supposizioni.

La coincidenza degli opposti e l’infinito
La teologia negativa e il sapere congetturale conducono a un altro concetto-base di Cusano, quello di coincidentia oppositorum. In Dio vengono a coincidere tutti gli attributi e le qualità, anche quelli fra loro contrari. Di Dio diciamo che è sostanza: ma dire questo non è più vero che negarlo, in quanto trascende infinitamente ogni sostanza e perciò nello stesso tempo è e non è sostanza.
Proprio perché è infinito Dio è al di là di ogni limitazione anche di ogni opposizione concettuale. Tale coincidenza viene confermata con l’ausilio della matematica. La coincidenza degli opposti avviene solo all'infinito, cioè in Dio che è infinito e non nella realtà che è finita. Così l’infinito matematico diviene il modello dell’infinito divino. Cusano distingue la sfera della ragione che è quella in cui il principio di non contraddizione conserva il suo pieno valore; dalla sfera dell’intelletto che è quella in cui è possibile intuire la comune radice di ciò che appare opposto e nella quale, gli opposti tendono a coincidere.

Il mondo come Dio contratto
Nella metafisica di Cusano vi è una notevole vicinanza ontologica tra Dio e il mondo. Il mondo è contenuto tutto in Dio, è implicatio in Dio, che è la complicatio, l'implicazione di tutte le cose. Egli ne diviene poi la explicatio, l’esplicazione rimanendo al dì là di tutte le cose. L’universo così creato è un Dio contratto.
Cusano si preoccupa di precisare che mentre nel mondo le cose sono limitate ed opposte fra loro, in Dio tutte le cose sono compresenti: Dio è altro rispetto al mondo. Il mondo costituisce un ordine necessario nel quale tutte le cose sono nel modo migliore. Solo Dio è perfetto, non il mondo celeste, poiché ogni cosa nell’universo ha lo stesso valore. Cusano contro Aristotele nega che la sostanza celeste sia diversa da quella terrestre. L’universo è illimitato.
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Riassunto: Friedrich Nietzsche - Il pensiero filosofico

Rovesciamento degli idoli e liberazione dell’uomo
Al centro della riflessione di Nietzsche c’è la decadenza dell’epoca moderna. Ne è segno il pessimismo della nostra epoca, che è considerata l’espressione dell’inutilità del mondo moderno. Nietzsche si assume il compito della presa di coscienza della decadenza attraverso un viaggio nel quale avverrà lo smascheramento di tutte le forme dell’ipocrisia sulle quali si è costruita la civiltà occidentale.


Le tre fasi del pensiero Nietzschiano
Il pensiero di Nietsche può essere suddiviso in 3 fasi:

1) Nella prima è stata molto forte l’influenza di Schopenauer e Wagner. Privilegia l’arte che è in grado di attingere la realtà più profonda e esprime lo spirito dionisiaco, la vitalità e l’ebbrezza che accompagnano i momenti più profondi della vita dell’uomo. Proprio la filosofia di Schopenhauer e la musica di Wagner appaiono come segni della possibilità di un ritorno dello spirito dionisiaco nella cultura tedesca.

2) Abbandono della filosofia di Schopenauer e la musica di Wagner: la prima accusata di predicare una mortificazione delle energie vitali dell’individuo; la seconda considerata come espressione della decadenza della cultura europea. Assistiamo a una critica della metafisica, della morale, l’annuncio della morte di Dio e un’idea di trasmutazione di tutti i valori. Inoltre il mondo non è perfetto e non ha l’uomo al suo centro; il fluire della realtà non è rettilineo, volto al progresso, ma è ciclico, in sé compiuto. In esso si colloca l’opera dell’Oltreuomo, di un essere nuovo, espressione di un’umanità in grado di superare se stessa.

3) Al capovolgimento di tutti i valori si lega l’ultima fase della riflessione Nietschiana, caratterizzata dal Nichilismo, dal vuoto di essere che quella critica ha prodotto, dal vuoto di senso che ne deriva. È un vuoto nel quale la conoscenza perde qualsiasi fondamento oggettivo, diviene sapere prospettico, legato a interpretazioni infinite.


La nascita della tragedia
Prima importante opera di Nietzsche è Nascita della tragedia. Egli capovolge il giudizio tradizionale sull’arte greca. Tale giudizio si basava sulla presunzione che l’arte greca fosse caratterizzata da serenità ed equilibrio. Per Nietzsche essa è stata il frutto della combinazione dello spirito dionisiaco e di quello apollineo. Il primo rappresenta la forza creativa, lo slancio inquieto che consentono l’adesione entusiastica all’essenza della realtà. Il secondo si manifesta come serena armonia, sogno ed illusione, che nascondono il senso tragico della vita.

Il valore dell’arte
Nietzsche esalta l’uomo estetico e nello stesso tempo esalta anche l’arte come forma di vita. L’uomo estetico è il dionisiaco che si alterna con l’apollineo. Il filosofo respinge l’idea di una piena autosufficienza dell’arte. Fine dell’arte non è l’arte stessa, ma la felicità, la promessa di un’esistenza piena e compiuta. L’arte è sovrabbondanza di desideri e immagini, è il crescere della vita su se stessa. È il mezzo con cui tutto ciò che di orribile investe l’uomo viene a trasformarsi nel suo contrario, in gioia di vivere.


Contro Socrate
Nella Grecia classica lo spirito dionisiaco è stato progressivamente represso e soffocato dall’avvento del razionalismo socratico. Socrate, celebrato come personaggio positivo, emblematico per il suo pensiero filosofico, è per Nietzsche colui al quale va imputata la negazione dello spirito dionisiaco. Lo spirito socratico, il suo intellettualismo e moralismo, implicavano il predominio dell’intelletto sugli istinti. Al socratismo va ricondotta la tesi che identifica la bellezza di un’opera d’arte con la sua intelligibilità, rimuovendo da tale opera tutto ciò che è immaginazione e creatività. Analogo a quello consumatosi nel mondo greco antico è il processo che Nietzsche individua nella cultura dell’ottocento, dominata dall’intellettualismo e perciò condannata alla decadenza.

La scienza come dominio sulle cose
Nietzsche è contro ogni forma di ottimismo della scienza e della ragione. Ritiene che nello sviluppo della società e della cultura, l’ideale della scienza abbia contribuito a smorzare la forza vitale degli individui. Un mondo essenzialmente meccanico è un mondo privo di senso. Valida, per il filosofo, non è la scienza che promuove atteggiamenti di rinuncia, sguardo disinteressato sul mondo, ma quella che si attribuisce il compito di realizzare il dominio dell’uomo sulle cose. I concetti della scienza non altro che finzioni ed illusioni necessarie all’azione dell’uomo sul mondo.

Critica e funzione della storia
La stessa funzione negativa dello scientismo ha avuto lo storicismo, cioè l’illusione che il corso della storia abbia un carattere razionale. Nietzsche critica la visione speculativa della storia. Lo storicismo ha contribuito a orientare l’attenzione degli individui verso il passato e a distoglierla dal presente e dal futuro. Egli critica la storia archeologica, che radica nell’uomo il sentimento del passato. Accetta invece la storia monumentale e quella critica. La prima appartiene all’individuo che vuole creare qualcosa di grande e per questo ricerca modelli e maestri nel passato. La seconda è quella di colui che prova angoscia nel presente. Si ha così una presa di distanza dal passato e uno slancio verso il futuro.

La fine della metafisica
L’emblema della metafisica è il platonismo. Esso ha portato a svalutare come in autentico il mondo in cui viviamo e a considerare autentico e vero solo ciò che si trova al di là. La metafisica ha contribuito ad alimentare negli uomini un atteggiamento di rinuncia alla vita. Rinunciatario è colui che aspira ad un mondo superiore. La metafisica quindi è disprezzo del mondo, dell’uomo, dei suoi bisogni e delle sue passioni. L’epilogo di questa storia è la morte di dio.

Dio è morto
Nietzsche ne La gaia scienza annuncia che Dio è morto. Non è il filosofo che uccide Dio ma sono gli stessi uomini dell’occidente cristiano che lo hanno ucciso. Con quest’annuncio egli intende affermare la consumazione della metafisica, la fine di una visione delle cose nella quale a fondamento del mondo è stato sempre cercato e riconosciuto un principio assoluto. L’annuncio nietzschiano della morte di Dio vuol essere rivelazione dell’assenza di ogni fondamento. Da qui si evince il nichilismo di Nietzsche: l’annullamento dei miti della metafisica , la negazione di un fondamento assoluto dei valori è sempre presente, perché forte è la tentazione di rifugiarsi in illusioni capaci di tranquillizzare l’uomo e di dare forza.

Il cristianesimo, religione della rinuncia
Nietzsche spiega psicologicamente la religione come un’alterazione della personalità che considera ciò che nell’uomo è grande e forte come sovrumano ed estraneo e rimpicciolisce l’uomo. L’accusa più forte mossa da Nietzsche alla religione è quella di essere uno dei capisaldi della svalutazione del mondo. Il Dio cristiano è la divinità della decadenza. Il cristianesimo combatte il tipo superiore di uomo, tutti gli istinti da lui rappresentati li ha considerati come mali. È disprezzo e ripugnanza contro tutti gli istinti buoni ed onesti. È una religione della rinuncia: rinuncia alla vita, annullamento del mondo di fronte alla trascendenza. Il cristianesimo insomma rappresenta ciò contro cui Cristo ha lottato.

La liberazione delle catene
La filosofia di Nietzsche vuole essere una filosofia della liberazione. Morale, metafisica e religione hanno creato un mondo di finzioni che dà sicurezza all’uomo, facendogli credere di vivere in un mondo razionale. Ma la costruzione di questo mondo ha portato a negare il mondo vero. La critica nietzschiana ha smascherato il mondo delle finzioni. L’uomo è stato liberato dalla malattia delle catene: è diventato spirito libero. Il problema che Nietzsche ha di fronte è quello di costruire l’uomo nuovo.

L’oltreuomo
È ora di abbandonare l’uomo domestico, l’uomo della mediocrità che si sente meta e senso della storia. È l’uomo che diventa migliore, ma non vuole diventare più grande. Bisogna passare all’oltreuomo, che è il senso della terra, perché l’uomo non è il punto di arrivo. L’oltreuomo non rappresenta una forma di umanità collocata totalmente oltre l’uomo quale è oggi. Un'umanità che nasce con la morte di Dio. L’oltreuomo ama il mondo e la vita, non si vergogna delle proprie passioni. La morale dell’oltreuomo è la negazione di quella platonico-cristiana della rinuncia e delle tensioni a scopi che sono sempre al di là. Ha come scopo la felicità. Essenziale nell’oltreuomo la volontà di potenza che è il movente di tutta la storia dell’uomo in quanto si impone alla natura con valutazioni, schemi e strutture che implicano la divisione tra dominanti e dominati.

L’eterno ritorno
Con l’oltreuomo non si esprime l’assoluto: il mondo è caratterizzato dalla casualità degli eventi, casualità e assenza di qualsiasi fine. Ed è proprio questa assenza di fine a rendere il moto delle cose come regolato da un andamento circolare. Questo ritorno esprime quell’accettazione di sé. L’oltreuomo coglie questa assenza di un ordine razionale nel mondo e non la nasconde a se stesso e agli altri. La missione dell’oltreuomo è quella di accettare il mondo e imprimergli il sigillo della propria volontà. L’oltreuomo, la sua volontà creatrice guarda all’evento passato e ad esso aggiunge: "così voglio che sia". In tal modo quel passato che appariva privo di senso, attraverso questo atto volontario viene riscattato in una piena accettazione del mondo da parte dell’uomo.
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