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Monotonia - Ungaretti: analisi e commento

Appunto di letteratura riguardante la poesia "Monotonia" di Giuseppe Ungaretti: testo, analisi del testo, figure retoriche e commento.

La poesia "Monotonia" è stata scritta da Giuseppe Ungaretti, porta l'indicazione "Valloncello dell'Albero Isolato il 22 agosto 1916" e fa parte della raccolta L'allegria.



Indice




Testo

Fermato a due sassi
languisco
sotto questa
volta appannata
di cielo

Il groviglio dei sentieri
possiede la mia cecità

Nulla è più squallido
di questa monotonia

Una volta
non sapevo
ch'è una cosa
qualunque
perfino
la consunzione serale
del cielo
E sulla mia terra africana
calmata
a un arpeggio
perso nell'aria
mi rinnovavo.



Analisi del testo e commento

Il titolo delle poesie di Ungaretti è molto importante perché permette di capire l'argomento trattato. Con il titolo "Monotonia" il Poeta vuole trasmettere quella sensazione che si ha quando qualcosa si ripete in modo uniforme e se riferito a uno stato d'animo il significato potrebbe essere sconforto e abbattimento, cioè si è spenti, fermi e immobili. La "monotonia" qui ha un significato opposto ad "armonia", che nella poesia "I fiumi" aveva il significato di sentirsi parte dell'Universo.


Qui di seguito andremo ad analizzare il testo parola per parola:

Fermato a due sassi = L'immagine che si viene a creare è quella del poeta-soldato che si trova in trincea appoggiato a due sassi in una posizione immobile, nel tentativo di prendere "posizione" (forse per riposare, forse per l'appostamento) e restare in "equilibrio" su di essi (d'altronde le pietre non sono comode come delle poltrone, ma in guerra bisogna sapersi adattare).

Languisco =  il verbo "languire" solitamente viene associato a una fiamma che sta perdendo intensità, cioè sta per spegnersi. Essendo in questa circostanza riferito a Ungaretti vuol dire che sta perdendo vitalità, ovvero le energie gli stanno finendo.

Sotto questa volta appannata di cielo = qui descrive il cielo d'agosto che è non è sereno ma velato, e lui usa l'avverbio di luogo "sotto" come se il cielo fosse una specie di coperchio che grava su di lui. 

Il groviglio dei sentieri possiede la mia cecità = un groviglio è qualcosa che è intrecciato e questo termine viene usato per creare l'immagine del filo spinato nei camminamenti di guerra. E tutto ciò non gli permette di vedere, inteso non come il senso della vista ma in senso più ampio, come se non si vedesse vivo. Ungaretti si sente come un prigioniero della trincea, una sorta di topo in trappola che deve seguire un percorso già prestabilito.

Nulla è più squallido di questa monotonia = tutto questo ripetere le stesse azioni è per Ungaretti come l'opposto della vita. La chiama "squallida monotonia", e forse non è un caso che fa rima con "prigionia", dal momento che è questa la sensazione che sta provando.

Una volta non sapevo ch'è una cosa qualunque perfino la consunzione serale del cielo = prima di questa esperienza in guerra in cui passa le giornate osservando il cielo, non si rendeva conto che perfino il tramonto fosse ripetitivo, banale e, quindi, monotono.

E sulla mia terra africana calmata a un arpeggio perso nell'aria mi rinnovavo = al poeta ritorna in mente il ricordo dell'Africa, la sua terra natia (essendo nato ad Alessandria d'Egitto), caratterizzata da un sole molto forte e, quindi, la sera è considerata come una tregua dalla calura diurna. Oltre all'immagine visiva, vi è quella uditiva perché in sottofondo sente un arpeggio che svanisce nell'aria. Questa immagine che si viene a creare restituisce al Poeta la serenità e la voglia di rinnovarsi. La capacità di rinnovarsi fa da contrasto alla monotonia, perché la vita è un continuo rinnovarsi e chi non è capace di rinnovarsi è già morto in quanto ha rinunciato a vivere.




Figure retoriche

Enjambements = "questa / volta" (vv. 3-4), "appannata / di cielo" (vv. 4-5), "una cosa / qualunque" (vv. 12-13), "consunzione serale / del cielo" (vv. 15-16), "arpeggio / perso" (vv. 19-20).

Possiede la mia cecità = metafora (v. 7).

Nulla è più squallido di questa monotonia = iperbole (vv. 8-9).



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