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Paradiso Canto 25 - Parafrasi

Appunto di italiano riguardante la parafrasi del canto venticinquesimo (canto XXV) del Paradiso della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Peter Paul Rubens, S. Giacomo

San Jacopo di Galizia interroga Dante sulla Speranza, e il poeta si mostra sicuro anche su questo secondo argomento. Arriva anche San Giovanni, che dichiara essere falsa la leggenda che il suo corpo si trovi già in Paradiso.

In questa pagina trovate la parafrasi del Canto 25 del Paradiso. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.



Parafrasi

Se un giorno accadrà (continga) che questa opera benedetta,
scritta con scienza divina e scienza umana e
tale da rendermi magro nel corso di tanti anni,
vincerà l’ingiusta violenza che mi tiene lontano
dalla dolce patria (bello ovile) dove io riposai
da giovane (agnello), già ostile agli uomini (lupi)
che mi fanno guerra, allora con già mutato aspetto e con i
capelli bianchi (altro vello) vi ritornerò da poeta e sul
mio fonte battesimale riceverò la corona poetica (’l cappello);
poiché lì io ricevetti la fede che rende gradite (conte)
le anime a Dio, e poi in riconoscimento di quella (per lei)
s. Pietro girò intorno al mio capo.
Poi un’anima luminosa si avvicinò a noi dalla
corona di beati da cui era uscito s. Pietro, colui che
Gesù lasciò come capostipite tra i suoi rappresentanti;
e Beatrice, colma di gioia, mi disse: «Guarda,
guarda: ecco la nobile anima per la quale sulla terra
si va in pellegrinaggio (si vicita) in Galizia (s. Giacomo Maggiore, sepolto nella regione spagnola)».
Come quando un colombo si affianca a un
altro colombo, e l’uno dimostra (pande) all’altro il
proprio amore volandogli intorno e tubando (mormorando),
così io vidi s. Giacomo accolto da s. Pietro,
l’altra nobile anima beata, lodando la grazia di Dio (il cibo)
che in Paradiso (là sù) li sazia (prande).
Terminato il reciproco rallegrarsi (gratular),
ognuno di loro si fermò in silenzio di fronte a me (coram me),
tanto ardente (ignito) da far chinare il mio volto.
Allora sorridendo Beatrice così parlò: «O anima (vita)
illustre, dai cui scritti fu celebrata la liberalità (larghezza)
del Paradiso (nostra basilica), fa’ parlare (risonar)
della speranza (spene) in questi cieli;
ben la conosci tu, che la simboleggi ogni volta che Gesù
dimostrò particolare benevolenza a voi tre apostoli».
«Alza il capo e rassicurati: poiché ciò che
dalla terra mortale sale a questi cieli è necessario
che si perfezioni (si maturi) alla luce dei nostri raggi».
L’incoraggiamento mi giunse da questa seconda
anima; per cui io agli eccelsi apostoli (a’ monti) alzai
gli occhi prima chini per l’eccessiva luce.
«Dato che Dio, nostro Imperatore, ti concede
la grazia di incontrare, prima di morire, i suoi santi
(conti) nel luogo più esclusivo (l’aula più secreta),
così che, dopo aver visto la realtà di questo regno,
tu possa rafforzare in te e negli altri uomini (altrui)
quella speranza, che sulla terra fa amare il bene,
dimmi che cosa essa è, in quale misura la tua anima
si adorna di essa, e da dove ti deriva».
Così continuò a parlare s. Giacomo (’l secondo lume).
E Beatrice, la santa donna (quella pïa) che
mi guidava nell’alto volo attraverso i cieli, mi anticipò (mi prevenne)
così nel rispondere: «La società dei cristiani
in terra non annovera nessun fedele che
abbia più speranza di lui, come si può leggere in Dio,
il sole che illumina tutta la nostra schiera: per questo
gli è concesso di venire dall’esilio terreno (Egitto) a
contemplare il Paradiso (Ierusalemme), prima che
la sua militanza terrena sia compiuta.
Alle altre due domande, che hai posto non
perché ignori la risposta, ma perché egli riferisca
quanto questa virtù della speranza sia da te amata,
lascio che risponda lui, poiché non gli sarà difficile
né causa di vanagloria (iattanza): risponda a queste,
e che la Grazia di Dio glielo permetta (li comporti)».
Come lo scolaro che asseconda il maestro
prontamente e volentieri in ciò che conosce bene,
affinché si riveli (si disasconda) il suo valore (sua bontà),
io dissi: «La speranza è l’attesa sicura della
beatitudine futura, attesa che è generata
dalla Grazia celeste e dai meriti acquisiti.
Molte sono le fonti (stelle) che mi illuminano
su questa virtù; ma colui che per primo la infuse nel
mio animo fu Davide, sublime cantore del nostro
sublime Signore. Egli scrive nel suo canto a Dio (tëodia):
‘Sperino in te coloro che conoscono il tuo
nome’: e chi non conosce (nol sa) Lui, se ha la
nostra fede? E poi tu mi irrorasti di speranza nella
tua epistola, con le sue stille; così che io ne sono
ricolmo, e riverso (repluo) sugli altri la pioggia della vostra grazia».
Mentre io parlavo, nella parte più viva e interna
di quell’anima infiammata scintillava una vampa (lampo)
improvvisa e fitta simile a un lampo.
Poi disse (spirò): «L’amore per il quale io
ancora ardo verso quella virtù che mi seguì fino
al martirio (palma) e alla fine della vita (l’uscir del campo),
fa sì che io riparli (respiri) a te che la ami;
e mi è gradito (emmi a grato) che tu mi dica (diche)
che cosa ti promette la tua speranza».
Io risposi: «L’Antico e il Nuovo Testamento
dicono la meta degli spiriti che Dio si è prescelto,
e questa meta mi indica la risposta. Il profeta Isaia
scrive che ogni anima beata vivrà nella sua patria
dotata di corpo e di anima (doppia vesta), e la sua
patria è la beatitudine di questo Paradiso; e tuo
fratello Giovanni (s. Giacomo Maggiore e s. Giovanni Evangelista erano entrambi figli di Zebedeo) ci comunica questa rivelazione in modo molto più
distinto (digesta), in quel passo (là) dell’Apocalisse
in cui parla delle bianche vesti dei beati».
Subito dopo la fine della mia risposta, prima
si sentì dall’alto cantare ‘Sperino in te’, al quale
canto si unirono tutte le corone dei beati (carole).
Poi tra loro una luce divenne così splendente (s. Giovanni),
che se il Cancro avesse una stella tanto luminosa,
d’inverno ci sarebbe un mese illuminato da un solo ininterrotto giorno.
E come una gioiosa fanciulla si alza e
si avvicina ed entra nella danza, solo per rendere
omaggio alla sposa novella, non per altro riprovevole sentimento,
così io vidi quella luce fattasi più chiara accostarsi
ai due beati (s. Pietro e s. Giacomo) che si muovevano al ritmo del canto,
come (qual) era adatto all’ardore della loro carità.
Si unì a loro nel canto e nella danza (rota); e
Beatrice teneva ferma la vista (l’aspetto) verso di loro,
proprio come una sposa silenziosa e immobile.
«Quella è l’anima di s. Giovanni, l’apostolo
che si reclinò sul petto di Cristo (nostro pellicano), e
che fu prescelto da sopra la croce al sublime compito» (il compito di sostituirlo come figlio a sostegno della Madonna).
Questo disse Beatrice: ma non per ciò il parlare
fece distogliere il suo sguardo che restò
fisso a quelli (stare attenta) più dopo che prima.
Come fa colui che aguzza la vista (adocchia)
e s’ingegna di guardare un’eclisse parziale di sole,
e che per voler osservare diventa cieco (non vedente),
così feci io verso questa terza anima splendente (s. Giovanni),
mentre mi sentivo dire: «Perché ti fai abbagliare
per cercare di vedere ciò che qui non c’è?
Il mio corpo è sulla terra, in polvere, e vi resterà
insieme a quello degli altri uomini, fino a quando
il numero di noi beati non si pareggerà con la volontà divina.
Nella beatitudine del Paradiso con anima e corpo (le due stole)
ci sono solo le due anime (Cristo e la Madonna)
che hai già visto salire:e questo riferirai sulla terra».
A queste parole la danza delle anime ardenti
si fermò insieme alla soave mescolanza (dolce mischio)
che si creava nel canto delle tre voci (trino spiro),
così come, per riposarsi o per evitare pericoli, i remi,
che prima percuotevano ritmicamente il mare,
tutti contemporaneamente si fermano al suono di un fischietto.
Ahimè, quando mi girai per guardare Beatrice,
quanto si turbò il mio animo, per non
riuscire a vederla (perché abbagliato dalla luce di s. Giovanni),
per quanto io le fossi vicino, e in Paradiso!



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