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Paradiso canto 25 Analisi e Commento

Spiegazione, analisi e commento degli avvenimenti del venticinquesimo canto del Paradiso (Canto XXV) della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Peter Paul Rubens, S. Giacomo

Analisi del canto

La struttura del canto
Canto centrale nella triade dell'esame di Dante sulle virtù teologali , e quindi tipico «canto dottrinario», si divide in un «prologo» autobiografico (vv. 1-12), e in due sezioni principali: la prima (vv. 13-99) espone la prova di Dante sulla virtù della speranza, la seconda (vv. 100-139) narra il miracoloso incontro con S. Giovanni e introduce la terza e ultima prova sulla carità.


L'incipit autobiografico
All'inizio del canto, Dante ritaglia uno spazio tutto per sé. In questo celeberrimo esordio sono concentrati alcuni motivi fondamentali della sua poesia e del suo animo: la coscienza della sacralità della propria opera ('I poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra), la lunga fatica che gli è costato (che m'ha fatto per molti anni macro), la nostalgia per l'amata Firenze natia e la malvagità di coloro che lo hanno condannato all'esilio (la crudeltà che fuor mi serra / del bello ovile ov'io dormi' agnello), la speranza e l'orgoglio di poter tornare nella sua città con gli onori degni di un grande poeta (ritornerò poeta, e in sul fonte/ del mio battesmo prenderò 'I cappello). Significativo, ovviamente, è il fatto che tale speranza sia espressa tanto solennemente all'inizio del canto in cui sosterrà l'esame su tale virtù teologale.


L'esame sulla speranza
La prova teologica sulla speranza si svolge con modalità diverse da quella sulla fede. Più rapida e concisa, vede la partecipazione attiva di Beatrice, ma soprattutto si risolve essenzialmente con riferimenti diretti ed esclusivi all'autorità delle Scritture e dei testi canonici: la definizione della speranza è ricavata dalla tradizione scolastica (vv. 67-69), l'origine della speranza sono principalmente i Salmi di David e l'Epistola di S. Giacomo, e alla domanda sull'oggetto della sua speranza Dante risponde con una formula derivata da Isaia e dall'Apocalisse di S. Giovanni.


La leggenda di San Giovanni
L'incontro fra Dante e S. Giovanni è caratterizzato dall'eccezionale luminosità del santo che provoca la momentanea cecità di Dante. L'episodio prende spunto da una diffusa leggenda medievale, ritenuta possibile dallo stesso S. Tommaso, secondo la quale l'apostolo sarebbe stato assunto in cielo con il corpo. Dante nega decisamente tale ipotesi, dimostrando una rigorosa interpretazione dei dogmi scritturali, e confermando quella sua attenzione a chiarire questioni particolari e popolari; ma è anche ulteriore elemento del tema della luce e della vista, così specifico della poesia del Paradiso.




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