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Purgatorio Canto 25 - Parafrasi

Appunto di italiano riguardante la parafrasi del canto venticinquesimo (canto XXV) del Purgatorio della Divina Commedia di Dante Alighieri.
I lussuriosi, illustrazione di Gustave Doré

Stazio spiega come si genera l'uomo e come si formano le ombre dopo la morte corporea. Nella settima cornice i lussuriosi avvolti da fiamme cantano, ascoltano esempi di castità e si danno baci fraterni.

In questa pagina trovate la parafrasi del Canto 25 del Purgatorio. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.



Parafrasi

L’ora (avanzata) non consentiva indugio (storpio, impedimento) alla salita;
poiché il sole aveva lasciato il meridiano del mezzogiorno alla costellazione del Toro,
e la notte il suo a quella dello Scorpione (erano le due pomeridiane);
e perciò, come fa l’uomo che non si ferma (non s’affigge) ma va per la sua strada,
qualunque cosa (che che) gli appaia davanti,
se lo spinge intensamente lo stimolo della necessità,
così ci avviammo per quella strettoia, in fila,
iniziando a salire la scala (che porta all’ultima cornice del Purgatorio)
che, per la sua strettezza, impedisce di procedere appaiati.
E come il cicognino che solleva l’ala per il desiderio di volare,
e non ha il coraggio (non s’attenta) di lasciare il nido, e abbassa l’ala;
così ero io con un desiderio di chiedere,
che si accendeva e si spegneva, al punto
che giungevo fino all’atto (di aprire la bocca)
che fa colui che cerca (s’argomenta) di parlare.
Per quanto fosse rapido il cammino, la mia cara e paterna guida non tralasciò di parlare:
«Fai scoccare la freccia della parola, che hai repressa
come la corda di un arco tirato al massimo (’nfino al ferro)».
Allora, senza esitare, aprii bocca e dissi:
«Come si può produrre magrezza in quei corpi (là)
dove non è avvertito il bisogno di nutrirsi?».
Disse: «Se ricordassi come Meleagro si consumò
nello stesso tempo in cui si consumò un tizzone ardente,
questo problema non ti apparirebbe (non fora) così difficile;
e se pensassi come al vostro rapido movimento (guizzo)
altrettanto rapida si sposta la vostra immagine nello specchio,
ciò che ti pare arduo da capire ti parrebbe facile (vizzo).
Ma perché tu possa essere appagato nel tuo desiderio,
ecco qui Stazio; e io mi appello a lui
e lo prego perché sia risolutore dei tuoi brucianti dubbi (piage, piaghe)».
«Se gli spiego la misteriosa operazione divina (veduta etterna)»
rispose Stazio «in tua presenza, valga come scusa il fatto che
non posso rifiutarmi (far nego) di rispondere al tuo invito».
Poi cominciò: «O figliolo, se la tua mente accoglie (riceve) e custodisce (guarda)
le mie parole, esse illumineranno (lume ti fiero) quel dubbio
che hai esposto (che tu die, che tu dici).
La parte purificata del sangue (Sangue perfetto)
che non è mai assorbita dalle vene assetate, e resta integra
come un cibo che sia portato via (leve) dalle mense intatto,
assume nel cuore la capacità di dare forma a tutte le altre parti del corpo (virtù informativa),
così come il sangue che circola (vane, ne va) per le vene
per nutrire e trasformarsi (farsi) nelle membra già fatte (quelle).
Ulteriormente modificato, scende dove (negli organi sessuali maschili) per decenza conviene non dire,
e di lì gocciola (geme) sul sangue dell’altro sesso,
nel recipiente (vasello) naturale (nell’utero).
Qui si congiungono, uno disposto a subire la fecondazione
e l’altro ad agire fecondandolo, grazie al luogo perfetto (il cuore)
da cui è spremuto e sospinto (onde si preme);
e il seme maschile, congiunto al sangue femminile (giunto lui),
comincia a operare prima formando un coagulo,
e poi dando vita a ciò cui ha dato consistenza per sua natura.
Divenuta anima, la potenza formativa del seme (virtute attiva),
simile a pianta, ma differente poiché l’anima del feto deve evolversi (in via),
mentre quella della pianta è compiuta (già a riva),
opera poi tanto che già si muove e sente,
come una spugna marina; e da quello stadio comincia a sviluppare
gli organi delle facoltà sensitive che ha generato (ond’è semente).
Figliolo, la potenza derivata dal cuore paterno ora
si espande in larghezza e ora in lunghezza (si piega … si distende),
fin dove la natura ritiene necessario costruire tutte le membra.
Ma come il feto da essere vivente (d’animal) diventi essere parlante (fante)
ancora non lo vedi: questo è un punto così difficile
che un filosofo più sapiente di te (Averroè)
fu già tratto in inganno, tanto che nella sua riflessione filosofica
separò (fé disgiunto) dall’anima l’intelletto possibile,
perché non trovò nessun organo fisico corrispondente a esso.
Apri il tuo cuore (petto) alla verità che sto per dirti
e sappi che, non appena nel feto si è perfezionata l’organizzazione (l’articular)
del cervello (cerebro), Dio (lo motor primo) si rivolge verso il feto
compiacendosi di quell’opera così perfetta della natura
e infonde un intelletto nuovo, pieno di virtù,
che assimila al proprio essere (tira in sua sustanzia)
tutte le potenze che trova attive nel feto (quivi) e
diventa un’anima sola, che non solo vive e sente,
ma ha coscienza di sé e del proprio operare (e sé in sé rigira).
E perché tu meno ti stupisca per quanto detto,
guarda come il calore del sole si trasforma in vino,
quando si è congiunto con l’umore che scorre nella vite.
Quando la Parca Làchesi non ha più lino (e l’uomo muore),
(l’anima) lascia la carne, e potenzialmente porta
con sé le virtù umane e divine:
le facoltà umane (l’altre potenze) private dei loro organi e quindi inattive;
la memoria, l’intelligenza e la volontà, invece,
potenziate (agute) molto più di prima nel loro primo attuarsi (in atto).
L’anima, senza indugio (Sanza restarsi), per impulso naturale (per se stessa)
raggiunge miracolosamente la riva dell’Acheronte o del Tevere:
qui per la prima volta conosce la sua sorte (le sue strade).
Appena l’anima raggiunge il luogo assegnatole,
la virtù formativa si irradia nell’aria nello
stesso modo e misura con cui faceva con le parti del corpo (le membra vive).
E come l’aria, quando è carica di umidità (pïorno, piovoso),
per i raggi del sole (altrui) che si riflettono su di essa,
diventa adorna dei colori dell’iride,
così l’aria si dispone intorno all’anima assumendo
quella forma che in essa (in lui) imprime la virtù informativa
irradiata dall’anima che ivi si è stabilita (ristette);
e simile poi alla fiammella che segue il fuoco
ovunque esso si sposti, il nuovo corpo aereo (sua forma novella) segue l’anima.
Poiché dal corpo aereo (quindi, da qui) l’anima
trae la sua parvenza (paruta), è chiamata ombra;
e da questo corpo aereo (quindi)
forma poi tutti gli organi sensoriali fino alla vista.
Per mezzo di questo corpo aereo (quindi) parliamo
e ridiamo noi spiriti; di qui sgorgano le lacrime
e i sospiri che hai sentito percorrendo la montagna.
A seconda di come ci stimolano i desideri e gli altri sentimenti,
il corpo aereo si atteggia; e questa è la causa di quel fenomeno
che ha destato la tua meraviglia (di che tu miri, ti meravigli)».
Eravamo già giunti all’ultima cornice (tortura);
e avevamo rivolto i nostri passi verso destra,
e la nostra attenzione era volta verso un altro problema.
Qui la parete del monte sprigiona con violenza (in fuor balestra) una fiamma,
mentre la cornice esterna soffia un vento
che la fa ripiegare (la reflette) e la tiene lontana dall’orlo (da lei sequestra);
per cui dovevamo camminare dalla parte esterna (lato schiuso) uno dietro l’altro;
e io avevo paura del fuoco a sinistra (quinci),
e di cadere nel precipizio a destra (quindi).
Intanto la mia guida diceva: «Procedendo in questo luogo
si devono tenere gli occhi fermi (stretto il freno),
perché basterebbe un piccolo errore per precipitare».
Sentii spiriti che cantavano ‘Dio di somma
clemenza’ in mezzo alla gran fiamma, tanto che fui
non meno desideroso di voltarmi (di quanto ero attento al cammino);
e vidi anime che camminavano attraverso le fiamme;
per cui contemporaneamente osservavo loro e badavo ai miei passi,
dividendo (compartendo) i miei sguardi di qua e di là.
Dopo aver finito l’inno, gridavano con forza (alto):
‘Non conosco uomo’; poi ricominciavano
a cantare l’inno con voce più bassa.
Quando lo avevano di nuovo finito, gridavano:
«Diana rimase nel bosco, e ne cacciò Callisto (Elice)
che aveva provato il veleno (tòsco) dell’amore (Venere)».
Poi riprendevano a cantare l’inno;
e ancora esaltavano gridando i nomi di mogli e di mariti
che furono casti come impongono la virtù e gli obblighi del matrimonio.
E questo comportamento credo che per loro duri
così (basti) per tutto il tempo che saranno bruciati dal fuoco:
con simile pena e con tali nutrimenti spirituali (pasti) è necessario
che alla fine (da sezzo) la ferita del peccato si cicatrizzi (ricuscia).



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