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Purgatorio Canto 25 - Analisi e Commento

Spiegazione, analisi e commento degli avvenimenti del venticinquesimo canto del Purgatorio (Canto XXV) della Divina Commedia di Dante Alighieri.
I lussuriosi, illustrazione di Gustave Doré

Analisi del canto

È un canto essenzialmente dottrinale, in cui Stazio, prendendo spunto da un dubbio di Dante («Come possono i golosi dimagrire, se non hanno bisogno di mangiare, essendo puri spiriti?»), spiega l'origine dei corpi fittizi che si accompagnano nell'aldilà alle anime dei morti. In verità, Stazio la prende molto alla lontana, finendo con l'impartire una vera e propria, articolata lezione scientifica sulla procreazione umana o, come forse diremmo oggi, sull'evoluzione dell'individuo, dal concepimento alla morte, e oltre. Certo, è una scienza medievale, molto lontana da noi, e che a noi moderni può sembrare astrusa e primitiva. E infatti: non è vero che il liquido seminale maschile sia una forma particolarmente pura e raffinata di sangue, che scende dal cuore ai testicoli; non è vero che la parte della donna, nella procreazione, sia puramente passiva, cioè che il seme dell'uomo trovi nell'utero femminile solo un altro sangue su cui imprimere, come su un semplice terreno di coltura, il suo programma generico (e qui non si può non osservare come l'ignoranza del fatto che il corredo cromosomico sia apportato in pari misura dallo sperma maschile e dall'ovulo femminile, al momento della procreazione, abbia costituito a lungo il presupposto di una configurazione culturale del ruolo maschile -attivo- e del ruolo femminile -passivo- durissima a morire e di pesantissime conseguenze sociali e perfino politiche). E che dire dell'infusione divina dell'anima razionale (e immortale) nel feto, ma solo quando questo abbia sviluppato appieno il cerebro, il cervello, quando l'odierna dottrina cattolica sostiene piuttosto l'esistenza di una persona, soggetto di diritti, fin dall'istante del concepimento?
Pure, non ci si può sottrarre, in questi versi, al contagio del senso di meraviglia e di ammirato stupore, con cui Stazio ripassa le fasi di questa evoluzione dell'individuo. Il sangue maschile che stilla nel natural vasello della donna; l'attivarsi dell'anima vegetativa, che ci fa simili alle piante, con la differenza che per noi si tratta però solo di uno stadio intermedio dell'evoluzione; l'emergere dell'anima sensibile, che ci fa come spungo marino; il piegarsi di un Dio lieto, quasi lui stesso commosso da questo capolavoro della natura, sul feto pronto ad accogliere il soffio dell'anima immortale: la scienza (la scienza medievale, certo) si fa in questi versi emozionato racconto del formarsi progressivo di quel miracolo che è la vita umana. Una vita che non finisce con la morte. La morte significa soltanto che l'anima razionale (e immortale) infusa in ciascuno di noi direttamente dal Creatore sopravvive (anzi, esaltata nelle sue funzioni di memoria e di intelligenza), tirandosi dietro, per così dire, anche tutta la sua stratificazione evolutiva: ovvero, anche le funzioni dell'anima vegetativa e dell'anima sensibile, pur se mute, in quanto mancano gli organi corporali che se ne facevano carico. Ma appena l'anima trova il luogo che le è destinato, all'Inferno o in Purgatorio, quelle funzioni tornano a irradiarsi intorno a lei e ricreano un corpo nuovo, un corpo aereo simile a quello perduto e perfettamente in grado di funzionare come quello.
Fine della spiegazione. Convincente? Sì e no. Nel senso che questi corpi fittizi Virgilio li aveva citati come esempi dell'imperscrutabile volontà divina, nel canto III (State contenti, umana gente, al quia...); e si badi che Stazio, prendendo la parola, si scusa di sostituirsi a Virgilio, cioè non si attribuisce, parrebbe, sapienza ulteriore rispetto a quella del suo compagno. Rimane, dunque, una sorta di sconnessione fra la conferenza scientifica di Stazio, qui nel canto XXV, e il turbato silenzio di Virgilio, nel canto III. A noi lettori, la scelta di cosa sia preferibile... Alla fine del canto, eccoci arrivati all'ultima cornice del Purgatorio, quella dei lussuriosi. Dalla parete di roccia si sprigiona un alto rogo di fuoco, che arriva fino quasi all'orlo del girone. Dentro quel fuoco gli spiriti alternativamente recitano un inno latino di penitenza del peccato di lussuria, e gridano ad alta voce esempi di castità. Dante, che procede non senza paura sull'orlo dello strapiombo, un po' guarda il suo cammino, un po' le anime dentro il muro di fuoco. Ma questo è uno di quei gironi in cui egli non potrà sottrarsi alla condivisione della pena dei purganti.


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