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Purgatorio Canto 15 - Parafrasi

Appunto di italiano riguardante la parafrasi del canto quindicesimo (canto XV) del Purgatorio della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Altro sogno di Dante, illustrazione di Gustave Doré

Sono le tre del pomeriggio, e i due poeti si trovano ancora nel secondo girone, quando Dante viene colpito da una luce abbagliante che lo costringe a schermarsi il volto con la mano per poterne sostenere la vista. Tale fulgore promana dall'angelo disceso a indicare loro il modo per poter salire al terzo girone, quello degli iracondi. Durante l'ascesa Dante espone alla sua guida un dubbio, nato in lui ascoltando le parole di Guido del Duca. Ma la risposta di Virgilio è causa nella mente di Dante di un ulteriore interrogativo: allora Virgilio, dopo una spiegazione parziale, lo esorta a purificarsi dei peccati in attesa di essere illuminato dalle parole di Beatrice. Nel frattempo essi sono arrivati nel terzo girone e subito a Dante appaiono tre visioni: quella di Gesù giovinetto al tempio, quella della clemenza di Pisistrato e quella della lapidazione di Santo Stefano. Virgilio che sa perfettamente in quali spettacoli sia immersa la mente di Dante, lo sprona a proseguire il cammino poiché si sta facendo sera. L'immagine conclusiva del canto è quella dei due poeti avvolti in una cortina di fumo nero e quindi impossibilitati a vedere alcunché.

In questa pagina trovate la parafrasi del Canto 15 del Purgatorio. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.



Parafrasi

Quanto tragitto tra l’inizio del giorno (le sei)
e la fine dell’ora terza (le nove) percorre la sfera (del sole),
che quasi per gioco si muove (scherza)
sempre come fanno i fanciulli, altrettanta parte (del suo corso)
appariva essere ormai rimasta prima di sera;
dunque là (nel Purgatorio) era l’ora del vespro (le tre del pomeriggio) e qui (in Italia) era mezzanotte.
Perciò i suoi raggi ci colpivano (ferien) proprio di fronte (per mezzo ’l naso),
perché noi avevamo camminato girando intorno al monte in modo tale,
che ormai procedevamo diritti verso occidente (occaso),
quando io mi accorsi che uno splendore più vivido di prima
mi costringeva ad abbassare (gravar)
lo sguardo e questo fatto nuovo (non conte) era per
me motivo di stupore; per cui io sollevai le mani
sopra (inver’ la cima) le ciglia, e con esse creai un
riparo (solecchio) che limitasse l’eccesso (soverchio) di luce.
Come quando il raggio (riflesso) da una
superficie d’acqua o da uno specchio rimbalza (salta)
nella direzione opposta (a quella del raggio incidente),
risalendo verso l’alto come il raggio incidente scende verso il basso,
e si allontana dalla linea perpendicolare (dal cader de la pietra) in eguale misura (tratta),
come dimostrano l’esperienza e gli studi teorici (arte);
così qui mi sembrò di essere investito da una luce riflessa
che mi stava davanti; per la sua intensità la mia vista fu sollecita (ratta)
a volgersi da un’altra parte.
«Che è, o dolce padre, quella luce dalla
quale non posso difendere la vista tanto che mi basti
(vaglia)», dissi io, «e che sembra essere diretta verso di noi?».
«Non stupirti se ti abbagliano ancora gli
abitanti del cielo (angeli)», mi rispose: «è un messaggero
che giunge per rivolgere l’invito affinché si salga (saglia).
Ben presto avverrà che non ti sia più faticoso osservare questi fenomeni,
ma anzi sarà per te motivo di tanto piacere (fieti diletto),
quanto la tua natura di uomo ti dispone ad accoglierne».
Dopo che fummo giunti davanti all’angelo benedetto,
questi con voce lieta disse: «Entrate da questa parte (quinci)
verso una scala assai meno ripida (eretto) delle altre».
Noi salivamo, ormai lontani di lì (linci),
quando alle nostre spalle (retro) fu cantato ‘Beati i
misericordiosi!’ e ‘Godi tu che vinci’.
Il mio maestro e io, soli, l’uno accanto all’altro,
procedevamo in salita; e io pensai, mentre procedevo,
di trarre giovamento (prode) dalle sue parole;
allora mi rivolsi a lui domandandogli: «Che voleva
significare l’anima romagnola (di Guido del Duca),
accennando a ‘divieto’ e ‘consorte’?».
Per cui egli rispose: «Egli conosce i dannosi effetti
del suo vizio (magagna) maggiore; perciò non
bisogna stupirsi se ci rimprovera (riprende) per diminuire
le sofferenze dell’espiazione (men si piagna).
L’invidia induce i petti a sospirare (move ... a’ sospiri)
come mantici (mantaco), perché i vostri desideri si indirizzano (ai beni terreni),
dove la parte che tocca a ciascuno diminuisce (si scema) se si è in tanti (per compagnia).
Ma se l’amore del cielo supremo (Empireo) indirizzasse i vostri desideri verso l’alto,
non avreste in cuore quel timore (di dover dividere);
perché (in cielo), quanto più numerosi sono coloro
che dicono ‘nostro’, tanto maggiore è il bene posseduto da ciascuno,
e tanto maggiore è la carità che arde in quella comunità di beati (chiostro)».
«Sono più lontano (digiuno) dall’essere soddisfatto»,
dissi, «di quanto sarei stato prima di chiederti spiegazioni (taciuto),
e ora la mia mente accoglie (aduno) un dubbio maggiore.
Come può essere che un bene,
distribuito fra più possessori, renda più ricchi di sé,
che se fosse posseduto da poche persone?».
Ed egli a me: «Poiché tu continui a fissare
con la mente (rificchi) solo le cose terrene, dalla luce
di verità (delle mie parole) riesci a trarre (dispicchi) solo incomprensione.
Quel bene infinito e indicibile che è nei cieli,
si dirige verso chi lo ama come un raggio
è attratto (vene) da un corpo lucido.
Esso si concede tanto quanto è l’ardore di carità che trova (nell’anima);
sicché, quanto più è grande la carità, tanto più il bene divino si diffonde su di essa.
E quanta più gente in Cielo si ama (s’intende),
tanto maggiore è la possibilità di amare bene, e più si ama,
e ogni anima riversa (rende) sulle altre il bene divino così
come uno specchio (che riflette la luce a vicenda).
E se il mio ragionamento non ti sazia, vedrai poi Beatrice
ed ella potrà appagare completamente questo desiderio
di sapere e ogni altro (della stessa natura).
Procura (Procaccia) soltanto che presto siano cancellate (spente) dalla tua fronte,
come già le altre due, le cinque piaghe,
che si rimarginano per mezzo del pentimento (per essere dolente)».
E proprio quando volevo dire a Virgilio:
‘Mi hai pienamente soddisfatto’, mi accorsi di essere
arrivato sull’altra cornice sicché i miei occhi (luci),
desiderosi di vedere cose nuove (vaghe), mi fecero tacere.
Là mi sembrò di essere improvvisamente rapito (tratto) in una visione estatica,
e di vedere parecchie persone raccolte in un tempio;
e sulla soglia, con un tenero atteggiamento materno,
una donna dire: «Figliuolo mio, perché ti sei comportato (hai … fatto)
così con noi? Ecco, tuo padre e io, addolorati,
andavamo in cerca di te».
E appena (come) tacque a questo punto, tutta la visione
che mi era apparsa si dileguò (dispario).
Poi mi apparve un’altra donna, con le guance
bagnate dalle lacrime (acque) che sgorgano
a causa di un dolore provocato (nacque) da
un grande sdegno (dispetto) verso altri e diceva:
«Se tu sei il signore (sire) della città per il cui nome
vi fu tanto contrasto (lite) fra gli dei, e dalla quale
risplende tanta cultura (ogne scïenza), vendicati di
quelle braccia impudenti che hanno osato abbracciare nostra figlia, o Pisistrato».
E poi mi appariva Pisistrato, benevolo e mite,
mentre rispondeva a lei con volto sereno (temperato):
«Che cosa dovremmo fare a chi desidera
il nostro (ne) male, se colui che ci ama da noi è condannato?».
Poi vidi un gruppo di persone accese da
un’ardente ira uccidere (ancider), lapidandolo (con
pietre), un giovane, mentre gridavano con violenza
(forte), eccitandosi reciprocamente: «Uccidi, uccidi!».
E vedevo il giovane che si accasciava a terra,
per via della morte che già lo incalzava (l’aggravava),
ma con gli occhi sempre aperti e rivolti verso il cielo,
e pregava il sommo Re (Dio), nel momento così doloroso del martirio (in tanta guerra),
che perdonasse ai suoi persecutori, con quell’atteggiamento che suscita (diserra) pietà.
Quando la mia anima tornò a percepire
le cose reali, che sono vere al di fuori di lei, mi resi
conto che le mie visioni, irreali al di fuori di me, erano state vere.
La mia guida, che mi poteva vedere
mentre facevo i gesti di un uomo che si scioglie (si slega) dal sonno,
disse: «Che cosa hai, che non riesci a reggerti in piedi,
ma hai camminato per più di mezza lega con gli occhi annebbiati
e con le gambe impacciate (avvolte),
come un uomo vinto dal vino o dal sonno?».
«O dolce padre mio», dissi io, «se tu mi
presti ascolto, io dirò quello che mi apparve quando
le mie gambe ebbero un tale impedimento (mi furon sì tolte)».
Ed egli: «Se tu avessi cento maschere (larve) sul volto,
i tuoi pensieri (le tue cogitazion), anche se piccoli (parve),
non mi sarebbero nascosti.
Le visioni che hai avuto ti furono concesse perché
non rifiuti (non scuse) di aprire la tua anima alle acque della mansuetudine,
che scaturiscono (son diffuse) dall’eterna fonte divina.
Non ti ho chiesto ‘Che cosa hai?’ per sapere
che cosa fa un uomo che guarda solo con sguardo annebbiato,
quando il suo corpo giace privo di sensi;
ma rivolsi la domanda per spronarti al cammino (piede);
così è necessario stimolare (frugar) i pigri,
che sono lenti a riprendere le loro facoltà quando si svegliano».
Noi procedevamo durante il vespro, intenti
a guardare avanti fin dove poteva giungere (allungarsi)
la nostra vista contro i raggi risplendenti del tramonto (serotini).
Ed ecco avvicinarsi a noi, a poco a poco, un fumo (fummo)
cupo come la notte; né vi era alcun luogo
da poterlo sfuggire (cansarsi): esso ci privò della possibilità
di vedere (li occhi) e di respirare l’aria pura.



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