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Inferno Canto 31 - Parafrasi

Appunto di italiano riguardante la parafrasi del canto trentunesimo (canto XXXI) dell'Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri.
I Giganti, Gustave Doré

Dante e Virgilio lasciano Malebolge, e, superato l’ultimo argine roccioso, si ritrovano immersi nel crepuscolo e odono un suono di corno più terribile di quello lanciato da Orlando a Roncisvalle. Per la scarsa luce Dante crede di vedere le torri di una città che sono invece, gli spiega Virgilio, giganti conficcati attorno al pozzo dalla vita in giù: via via che si avvicinano diminuisce l’errore e aumenta la paura di Dante. Giunti ai margini del pozzo Virgilio mostra al suo allievo Nembrot, il gigante responsabile della costruzione della torre di Babele, reso ora incapace di parlare una lingua comprensibile, poi Fialte che sfidò Giove tentando di scalare l’Olimpo e ora è incatenato in modo da non potersi muovere, mentre Briareo, di cui Dante ha chiesto notizie, è immobilizzato più lontano e non è visibile. Accanto a Nembrot è conficcato Anteo, il gigante ucciso da Ercole, libero da catene perché non prese parte alla rivolta contro Giove: dopo averlo blandito, Virgilio gli chiede di trasportarlo sul fondo del pozzo. Anteo non può opporsi alla richiesta, quindi distende la mano e afferra Virgilio, che a sua volta stringe a sé Dante; infine depone i due sulla distesa ghiacciata di Cocito.

In questa pagina trovate la parafrasi del Canto 31 dell'Inferno. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.



Parafrasi

La stessa lingua prima mi rimproverò (morse),
tanto da farmi arrossire di vergogna,
e poi mi riconfortò (la medicina mi riporse);
così sento raccontare che la lancia
di Achille, e di suo padre (Peleo), soleva essere causa
prima di un dannoso e poi di un benefico assalto (mancia).
Noi volgemmo le spalle (il dosso) alla miserabile bolgia,
percorrendo (su per) la spianata dell’argine
che la circonda, senza pronunciare parola.
Qui c’era meno buio che di notte e meno chiaro che di giorno,
così che la mia vista si spingeva avanti di poco;
ma udii risuonare un corno tanto fragorosamente,
che avrebbe fatto parere debole qualsiasi tuono,
e indirizzò in un sol punto i miei occhi
che seguivano il percorso del suono in senso opposto (per risalire alla sua provenienza).
Dopo la dolorosa disfatta, quando
Carlo Magno perdette la schiera dei paladini che combattevano per la fede,
Orlando non suonò così terribilmente.
Dopo aver voltato per poco tempo il capo nella direzione del suono (in là),
mi parve di vedere molte alte torri;
per cui: «Maestro, dimmi, che città (terra) è questa?».
Ed egli a me: «Poiché tu ti spingi con lo sguardo
troppo lontano attraverso le tenebre,
accade che nel dare a ciò che vedi una figura (maginare), lo fai in modo impreciso (abborri).
Vedrai bene, se arriverai fin là (là ti congiungi),
quanto il senso s’inganna da lontano;
perciò stimola (pungi) di più te stesso».
Poi mi prese affettuosamente per mano e
mi disse: «Prima che noi siamo più avanti,
affinché ciò che vedrai ti appaia meno sorprendente,
devi sapere che non si tratta di torri, ma di giganti,
e che essi sono disposti intorno alla parete (ripa) del pozzo,
(confitti) in tutta la loro lunghezza (tutti quanti) dall’ombelico in giù».
Come, quando la nebbia si disperde,
gli occhi a poco a poco ravvisano
le cose nascoste dal vapore che addensa (stipa) l’aria,
così penetrando con lo sguardo (forando) in quest’aria spessa e tenebrosa,
via via che mi avvicinavo all’orlo del pozzo,
si dissolveva l’equivoco (fuggiemi errore) e aumentava il timore;
poiché, come il castello di Monteriggioni è cinto di torri
disposte lungo il muro circolare,
così i giganti spaventosi, che (cui) ancora oggi
Giove sembra minacciare dal cielo quando tuona,
come torri sormontavano (torreggiavan) con metà del corpo (di mezza la persona)
la sponda che gira intorno (circonda) al pozzo.
E io già di uno (d’alcun) distinguevo (scorgeva) la faccia,
le spalle, il petto, gran parte del ventre
e le due braccia pendenti (giù) lungo i fianchi (per le coste).
Certo quando la natura cessò di produrre
siffatti esseri animati, agì con molta accortezza
perché sottrasse (tòrre) a Marte ministri di potenza indicibile.
E se la natura (ella) non si pente di (generare) elefanti e balene,
chi esamina a fondo, la giudica per questo (la ne tene)
più giusta e più saggia (discreta);
poiché dove lo strumento (l’argomento) dell’intelligenza
si aggiunge alla volontà malvagia e alla forza fisica,
gli uomini non possono opporre alcun argine.
La sua faccia mi appariva lunga e grossa
come la pigna (pina) di San Pietro a Roma,
e l’intera struttura (l’altre ossa) era proporzionale a questa;
cosicché la sponda del pozzo,
coprendo come un perizoma la parte inferiore del corpo,
ne lasciava apparire sopra l’orlo una mole tale,
che tre abitanti della Frisia non avrebbero potuto vantarsi di arrivare ai capelli;
poiché io del suo corpo vedevo trenta palmi abbondanti
a partire dal punto in cui l’uomo si affibbia il mantello verso il basso.
«Raphèl maì amècche zabì almi»,
cominciò a gridare l’orribile (fiera) bocca,
alla quale non si addicevano parole (salmi) più dolci.
E la mia guida volgendosi a lui: «Anima sciocca,
accontentati (tienti) del corno e sfogati con quello
quando l’ira o qualche altra passione ti prendono (ti tocca)!
Cerca intorno al collo, e troverai la cinghia (soga)
che lo tiene legato, o anima confusa,
e vedrai il corno che ti attraversa il petto potente come una doga».
Poi mi disse: «Si rivela da se stesso per ciò che è (s’accusa);
costui è Nembrot, a causa del cui empio pensiero
nel mondo non si usa un linguaggio solo.
Lasciamolo stare e non parliamo inutilmente (a vòto);
poiché così è per lui ogni linguaggio umano
come per gli altri il suo, che non è conosciuto da nessuno».
Facemmo dunque un percorso più lungo,
volgendo a sinistra; e, a un tiro di balestra,
incontrammo l’altro gigante ancor più feroce e di maggior statura.
Chi fosse l’artefice (maestro) che lo legò (cigner)
io non so dire, ma egli aveva il braccio sinistro legato (soccinto)
davanti e il destro dietro con una catena
che lo teneva avvinto dal collo in giù,
in modo che essa si avvolgeva per cinque giri (infino al giro quinto)
intorno alla parte del corpo che era fuori del pozzo.
«Questo superbo volle sperimentare
la sua forza fisica contro il sommo Giove»,
disse la mia guida, «per cui ha un tale premio (merto).
Si chiama Fialte, e compì le grandi prove
quando i giganti fecero paura agli dèi;
le braccia che mosse, non muoverà più per l’eternità (già mai)».
E io a Virgilio: «Se fosse possibile (S’esser puote), vorrei
che i miei occhi avessero diretta esperienza
dello smisurato Briareo».
Ed egli rispose: «Tu vedrai qui vicino (presso di qui) Anteo,.
che parla e non è incatenato,
che ci porterà nel fondo di ogni colpa (ogne reo).
Il gigante che tu vuoi vedere, è molto più lontano ed è incatenato
e ha la stessa conformazione di questo,
a eccezione del fatto che appare più terribile nel volto».
Non ci fu mai un terremoto così violento (rubesto)
che scuotesse una torre con la stessa forza
con cui Fialte fu pronto a scrollarsi.
Allora io ebbi paura della morte più che mai,
e a farmi morire sarebbe bastata (non v’era mestier) la paura (dotta),
se non avessi visto le catene (ritorte).
Noi allora (allotta) avanzammo oltre,
e giungemmo vicino ad Anteo, che usciva fuori del pozzo (grotta)
di sette metri abbondanti (cinque alle), esclusa la testa.
«O tu che nella valle fortunata,
che rese glorioso (di gloria reda) Scipione,
quando Annibale fu volto in fuga insieme con il suo esercito,
un tempo (già) recasti come preda moltissimi (mille) leoni,
e che, se fossi stato presente alla grande (alta) guerra dei tuoi fratelli,
c’è ancora chi mostra di credere
che i giganti (i figli de la terra) avrebbero vinto:
calaci (mettine giù) dove il freddo (la freddura) fa ghiacciare (serra) Cocito
e non avere a sdegno di farlo.
Non ci costringere (Non ci fare) a ricorrere (ire) a Tizio o a Tifo:
Dante può darti ciò che nell’Inferno (qui) si desidera;
per questo abbassati e non torcere il volto.
Egli ti può ancora dar fama nel mondo,
poiché è vivo, e avrà ancora molto da vivere,
se la Grazia divina non lo chiama a sé prima del tempo».
Così disse il maestro; e Anteo stese rapidamente le mani,
di cui (ond’) Ercole sentì una volta (già)
la morsa (stretta) poderosa, e abbrancò la mia guida.
Quando Virgilio si sentì afferrare, mi disse:
«Avvicinati, affinché io possa prenderti»;
poi mi abbracciò in modo che lui ed io formavamo un solo fascio.
Come appare la Garisenda a osservarla
dal lato verso cui è inclinata, quando una nuvola
vi passi sopra, in modo che essa penda nella direzione contraria:
così Anteo apparve a me che stavo attentamente guardando
per vederlo piegare, e fu un momento di tale paura
che avrei voluto andare per un diverso cammino.
Ma con delicatezza ci depose
al fondo (ci sposò) che inghiotte (divora)
Lucifero e Giuda; né rimase a lungo così chinato,
e si raddrizzò (levò) come un albero di nave.



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