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Inferno Canto 28 - Parafrasi

Appunto di italiano riguardante la parafrasi del canto ventottesimo (canto XXVIII) dell'Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri.

Nella nona bolgia il contrappasso punisce chi seminò discordie e provocò scismi, con squartamenti, mutilazioni e ferite ancor più sanguinose di quelle provocate dalle guerre più cruente della storia. Un diavolo è preposto alla punizione, che è tanto più spettacolare e orribile quanto più grave fu la colpa del dannato: fra questi Dante incontra Maometto con le interiora e l’intestino che gli penzolano da uno squarcio fra il mento e l’inguine, e suo genero Alì con il volto spaccato dal mento alla fronte. Dopo aver saputo da Virgilio che Dante è vivo, il profeta dell’islamismo gli raccomanda di avvertire lo scismatico fra Dolcino dell’assedio in cui lo stringerà il vescovo di Novara, affinché possa prepararsi e ritardare il proprio arrivo nella nona bolgia. Anche il romagnolo Pier da Medicina, con la gola squarciata e privo del naso e di un orecchio, affida a Dante un messaggio per due eminenti cittadini di Fano, preannunciando un prossimo tradimento del signore di Rimini, città che costò cara a un altro dannato, il tribuno Curione che spinse Cesare contro Pompeo e ora porta la lingua mozzata in gola. Quindi il fiorentino Mosca dei Lamberti con le mani mozzate chiede di essere ricordato come colui che diede inizio alle faide fra guelfi e ghibellini. Infine si presenta il trovatore Bertran de Born che, per aver istigato il re Enrico III a ribellarsi al padre, ora è smembrato egli stesso e porta in mano la propria testa come fosse un lume.

In questa pagina trovate la parafrasi del Canto 28 dell'Inferno. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.



Parafrasi

Chi mai potrebbe, pur con parole libere dalla metrica,
descrivere esaurientemente il sangue e le ferite che io vidi allora,
benché (per) tentasse di raccontarle ripetutamente?
Certo ogni lingua verrebbe meno
a causa del linguaggio e dell’intelletto umano
che hanno un’inadeguata capacità a comprendere tanto.
Se anche (ancor) si riunisse tutta la gente
che un tempo (già) nella terra del meridione d’Italia (Puglia),
soggetta alle vicende della fortuna provò dolore (fu ... dolente)
per le sanguinose guerre a causa dei Romani (Troiani) e per il lungo conflitto (con i Cartaginesi)
in cui si fece un grande bottino (spoglie) di anelli (strappati ai vinti),
come scrive Livio, il quale non sbaglia,
insieme a quella gente (con quella) che,
per contrastare Roberto il Guiscardo, sentì il dolore delle ferite;
e quell’altra gente le cui spoglie (ossame) sono raccolte
ancor oggi a Ceprano, là dove ogni barone pugliese
fu traditore (bugiardo), e quell’altra presso Tagliacozzo,
dove, senza ricorrere alle armi, il vecchio Alardo riuscì a vincere;
e se parte di tutti questi morti mostrasse le membra ferite
e parte le membra mozzate, sarebbe impossibile uguagliare (d’aequar)
la ripugnante condizione della nona bolgia.
Certo una botte, dopo aver perduto la doga mediana del fondo (mezzul) o quella laterale (lulla),
non si apre come io vidi un peccatore,
squarciato dal mento fin dove si scorreggia (si trulla).
Le budella pendevano tra le gambe;
si vedevano la corata e lo stomaco ripugnante
che trasforma in escrementi quanto si trangugia.
Mentre fermo il mio sguardo attento (tutto) per osservarlo,
mi fissò e con le mani si squarciò il petto,
dicendo: «Guarda adesso come io sono lacerato!
vedi come Maometto è mutilato (storpiato)!
Dinanzi a me se ne va piangendo Alì,
con il volto tagliato (fesso) dal mento alla fronte (ciuffetto).
E tutti gli altri che tu vedi qui,
da vivi furono seminatori di scandali e scismi,
e per questo motivo sono così mutilati (fessi).
Qua dietro è appostato un diavolo che ci acconcia (n’accisma)
in modo così crudele, sottoponendo ciascun’anima
di questa schiera (risma) al taglio della spada,
quando abbiamo compiuto il giro della dolorosa bolgia;
perché le nostre ferite sono già richiuse
prima che ognuno di noi (altri) ripassi dinanzi a lui.
Ma chi sei tu che indugi (muse) sul ponte,
forse per tergiversare e non andare alla pena
che è stata stabilita in base (in su) alle tue ammissioni di colpa?».
Rispose il mio maestro:
«Non lo raggiunse ancora la morte, e neppure lo porta qui una colpa per essere punito;
ma per fornirgli un’esperienza completa,
io, che sono morto, devo condurlo (convien menarlo)
quaggiù nell’Inferno, di cerchio in cerchio;
e questo è vero, com’è vero che ti parlo».
Furono più di cento i dannati che, quando lo udirono,
si fermarono nella bolgia (fosso) a guardarmi
per la meraviglia, scordando la sofferenza (martiro).
«Tu che forse tra breve vedrai il sole, di’ a fra Dolcino dunque
che si rifornisca (s’armi) di provviste,
se non vuole presto seguirmi qui,
in modo che il blocco (stretta) della neve
non regali (rechi) la vittoria ai Novaresi (Noarese),
ai quali non sarebbe facile (leve) prevalere (acquistar) in altro modo (altrimenti)».
Dopo che levò in alto un piede per andarsene (girsene),
Maometto mi fece questo discorso;
poi l’appoggiò a terra per allontanarsi.
Un altro peccatore, che aveva la gola forata
e il naso tagliato fin sotto le ciglia,
e non aveva che un’orecchia soltanto,
fermatosi a guardare per la meraviglia
insieme agli altri, prima di loro spalancò la canna della gola,
che fuori da ogni parte era rossa di sangue (vermiglia),
e disse: «O tu che da nessuna colpa sei condannato
e che io conobbi sulla terra italiana (latina),
se non m’inganna una straordinaria somiglianza,
ricordati (rimembriti) di Pier da Medicina,
e possa (se) tu un giorno tornare a vedere la dolce pianura
che declina da Vercelli fino a Marcabò.
E fai sapere ai due ragguardevoli cittadini di Fano,
a messer Guido (del Cassero) e ad Angiolello (da Carignano),
che, se qui la preveggenza non è illusoria (vano),
saranno buttati fuori del loro vascello
e gettati in mare in un sacco, legati con una grossa pietra (mazzerati) presso i lidi di Cattolica
per il tradimento di un signore codardo.
Non vide mai il mare (Nettuno),
tra l’isola di Cipro e di Maiorca, un così efferato delitto (fallo),
né per mano di pirati né di greci (gente argolica).
Quel traditore che vede soltanto con un occhio
e governa (tien) quella terra che un dannato (tale) qui con me
non vorrebbe mai avere avuto occasione di vedere,
li farà andare a parlare con lui;
poi farà in modo che essi non abbiano bisogno (non sarà lor mestier)
né di voto né di supplica contro il vento di Focara (monte vicino a Cattolica)».
E io a lui: «Dimmi pure con chiarezza,
se vuoi che io porti tue notizie sulla terra,
chi è quello per cui è stato funesto (amara) il vedere (veduta) (Rimini)».
Allora stese la mano verso la mascella
di un suo compagno e gli aprì la bocca,
gridando: «È proprio costui (desso), ma non parla.
Questi, esiliato da Roma, rimosse in Cesare il dubbio,
affermando che chi è ben preparato (fornito)
ha sempre subito (sofferse) un danno quando ha indugiato».
Oh quanto mi pareva sbigottito Curione,
con la lingua mozzata in gola (tagliata ne la strozza),
lui che a parlare fu così audace (ardito)!
E un altro dannato che aveva l’una e l’altra mano tagliata,
sollevando i moncherini per l’aria fosca,
così che il sangue gli imbrattava (facea ... sozza) la faccia,
gridò: «Ti ricorderai anche del Mosca (dei Lamberti)
che disse, sciagurato! ‘Quello che è fatto, ormai non può disfarsi’,
la qual cosa fu origine (seme) di sventura per la gente toscana».
E io gli dissi ancora: «E fu anche rovina della tua famiglia (schiatta)»;
per cui egli, aggiungendo dolore a dolore,
se ne andò come una persona afflitta e fuori di sé.
Ma io rimasi a fissare la schiera dei dannati,
e vidi una cosa che avrei paura,
senza il sostegno di un’altra prova, di raccontare io solo;
se non che mi dà certezza la consapevolezza di dire la verità,
quella buona compagna che rassicura l’uomo,
con la garanzia (l’asbergo) del sentirsi onesto.
Io vidi con certezza, e mi par ancora di vederlo,
il busto di un peccatore senza testa procedere
innanzi come tutti gli altri di quella dannata schiera (greggia);
e teneva il capo mozzo per i capelli,
sospeso (pesol) con la mano come una lanterna:
e il capo (quel) ci guardava e diceva «Ohimè!».
Di sé faceva luce a sé medesimo,
ed erano due parti in un corpo e uno in due;
come questo possa accadere, lo sa colui che così punisce (governa).
Quando fu dritto ai piedi del ponte,
sollevò in alto il braccio con tutta la testa
per farci sentire più vicino le sue parole,
che furono: «Osserva adesso l’angosciosa (molesta) pena,
tu che, col respiro della vita, vai visitando il regno dei morti:
considera se ne esiste un’altra grande come questa.
E perché tu riferisca mie notizie,
sappi che io sono Bertran de Born, colui
che diede al giovane re (Enrico III) i malvagi suggerimenti (conforti).
Io spinsi alla ribellione il figlio contro il padre;
con i suoi malvagi consigli (punzelli) neppure Achitofel
ottenne di più da Assalonne e Davide.
Perché io separai persone così congiunte
da vincoli, io, misero! ho il cervello diviso (partito)
dal suo principio (il midollo spinale) che è in questo busto mozzato (troncone).
Così in me si applica la regola del contrappasso».



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