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Inferno Canto 22 - Parafrasi

Appunto di italiano riguardante la parafrasi del canto ventiduesimo (canto XXII) dell'Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Alichino insegue Ciampolo di Navarra, illustrazione di Gustave Doré

Il barattiere Ciampolo di Navarra rivolge la parola a Dante; i diavoli tentano di uncinarlo, ma egli fugge tuffandosi nella pece. Due diavoli, Alichino e Calcabrina, si azzuffano rinfacciandosi la mancata preda e cadono nella pece. Dante e Virgilio approfittano del trambusto per fuggire.

In questa pagina trovate la parafrasi del Canto 22 dell'Inferno. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.



Parafrasi

Altre volte (già) vidi cavalieri spostare l’accampamento,
e iniziare il combattimento e sfilare in parata (mostra),
e talvolta li vidi anche battere in ritirata per porsi in salvo;
vidi, o Aretini, soldati a cavallo (corridor) attraverso la vostra terra,
e vidi fare incursioni (gualdane),
combattere (fedir) tornei e correre giostre;
alcune volte al suono di trombe, altre volte di campane,
tamburi e segnali provenienti dalle fortezze,
e con strumenti comuni (nostrali) o in uso presso stranieri (istrane);
ma davvero mai con un così strano (diversa) strumento a fiato (cennamella)
vidi muoversi cavalieri, fanti o nave
con un segnale da terra o con la posizione della stella.
Noi procedevamo con i dieci demoni.
Ahi paurosa (fiera) compagnia! ma nella chiesa (si sta)
coi santi, nella taverna coi furfanti (ghiottoni).
La mia attenzione (’ntesa) era soltanto rivolta alla pece,
per poter scorgere ogni particolare (contegno) della bolgia
e dei dannati che bruciavano al suo interno (incesa).
Come i delfini, quando fanno segno
ai marinai con l’arco del dorso
perché si ingegnino (s’argomentin) a mettere in salvo (campar) la loro imbarcazione (legno),
similmente talora, per alleviare (alleggiar) la loro pena,
alcuni di quei peccatori mostravano il dorso,
nascondendolo più rapidamente del lampo.
E come i ranocchi stanno sull’orlo dell’acqua di un fosso
soltanto (pur) con il muso fuori,
così che nascondono le zampe e il resto del corpo (grosso),
in tal modo da ogni parte stavano i peccatori;
ma appena Barbariccia si avvicinava,
subito si ritraevano sotto la bollente pece (bollori).
Io vidi, e ancora nel cuore provo raccapriccio,
uno attardarsi, come succede (’ncontra) che una rana resta
mentre l’altra salta veloce in acqua (spiccia);
e Graffiacane, che gli stava proprio di fronte (di contra),
gli prese con l’uncino (li arruncigliò) le chiome impeciate,
e lo trasse su, così che mi sembrò una lontra.
Io già conoscevo il nome di tutti quanti i diavoli,
così li fissai nella mente quando furono scelti (eletti),
e poi stetti molto attento (attesi) al modo in cui si chiamavano per nome (si chiamaro).
«O Rubicante, vedi di mettergli addosso
gli unghioni, in modo da scuoiarlo!»,
gridavano insieme quei maledetti.
E io: «Maestro mio, se puoi, fa’ in modo
di conoscere chi è quello sciagurato
caduto nelle mani (venuto a man) dei suoi avversari».
La mia guida si avvicinò di lato;
gli domandò donde fosse originario, e quegli (Ciampolo) rispose:
«Io nacqui nel regno di Navarra.
Mia madre mi pose al servizio di un signore,
lei che mi aveva generato da un dissoluto,
suicida (distruggitor di sé) e scialacquatore del patrimonio (sue cose).
Poi fui servo (famiglia) del buon re Tebaldo;
qui mi misi a far baratteria,
della quale devo rendere conto (rendo ragione) in questo caldo».
E Ciriatto, dalla cui bocca come al porco
spuntava da ambo i lati una zanna,
gli fece provare come anche una soltanto riuscisse a lacerare (sdruscia).
Il sorcio era cascato tra malvagie gatte;
ma Barbariccia lo chiuse tra le braccia e disse:
«State in là, mentre io lo stringo (’nforco)».
E rivolse la faccia verso il mio maestro;
disse: «Chiedigli ancora, se desideri sapere altro (più) da lui,
prima che qualcun altro (altri) lo riduca a brandelli (disfaccia)».
La guida (disse) allora: «Or dimmi: di quegli altri malvagi sotto la pece
conosci qualcuno che sia italiano (latino)?»
E quello: «Io mi sono allontanato, poc’anzi,
da un dannato originario di un paese vicino.
Se fossi rimasto con lui così sommerso nella pece,
non dovrei temere né artiglio né uncino (dei diavoli)!».
E Libicocco disse: «Fin troppo abbiam pazientato (sofferto)»;
e colpì il braccio di Ciampolo con l’uncino
così che, lacerandolo, ne portò via un brandello (lacerto).
Draghignazzo lo volle colpire ancora (dar di piglio)
giù alle gambe; per cui il loro decurione
guardò attorno con cipiglio minaccioso (mal).
Quando quelli si furono un poco calmati (rappaciati),
la mia guida, senza indugio (dimoro), domandò
a lui che ancora guardava la sua ferita:
«Chi fu quell’anima dalla quale tu dici di esserti
allontanato con danno (mala partita) per venire sulla riva? (proda)».
Ed egli rispose: «Egli fu frate Gomita,
di Gallura, ricettacolo (vasel) di ogni frode,
che ebbe in suo potere i nemici prigionieri del suo signore (donno),
e con essi si comportò in modo che ognuno si compiace.
Prese da loro denaro e li mise in libertà con un processo sommario (di piano),
come egli stesso dice; e anche negli altri suoi
incarichi fu non un piccolo barattiere, bensì maestro (sovrano).
Sta (Usa) con lui don (donno) Michele Zanche
di Logudoro; e le loro lingue non si
stancano mai di parlare della Sardegna.
Ohimè, vedete quell’altro demonio che digrigna i denti;
io parlerei ancora, ma ho paura
che egli si stia preparando a scorticarmi la testa».
Ma il gran capo (proposto), rivolto a Farfarello
che stralunava gli occhi pronto a ferire (fedire),
disse: «Fatti in là, malvagio uccello!».
«Se voi desiderate vedere o sentire Toscani o Lombardi»,
ricominciò poi quel dannato impaurito (spaürato),
«io li farò venire a galla;
ma se ne stiano un poco in disparte (in cesso) i Malebranche,
in modo che essi non temano le loro vendette;
e io, seduto in questo stesso luogo,
per uno che sono, ne farò venire fuori molti (sette)
quando fischierò, com’è nostra abitudine
di fare allorquando uno di noi esce fuori».
Cagnazzo a queste parole alzò il muso,
scrollando il capo, e disse: «Senti la malizia
che ha escogitata per gettarsi in basso!».
Per cui quel dannato, che conosceva una gran quantità di raggiri (lacciuoli),
rispose: «Davvero la mia malizia è immensa,
dal momento che procuro ai miei pari una sofferenza maggiore».
Alichino non riuscì a frenarsi e, in contrasto (di rintoppo)
con gli altri, gli disse: «Se tu ti tuffi (cali),
io non ti inseguirò di galoppo,
ma volerò (batterò ... l’ali) sopra la pece.
Noi ci allontaneremo dalla parte alta (collo) della bolgia (per darti un po’ di vantaggio), e l’argine ci farà da riparo,
per vedere se da solo vali più di tutti noi».
O tu che leggi, sentirai una nuova rappresentazione:
ogni diavolo rivolse gli occhi all’altra riva,
primo tra tutti quello che era stato più riluttante a far questo.
Il Navarrese seppe ben cogliere il momento opportuno (suo tempo);
rinsaldò i piedi a terra, e in un momento
si tuffò e si liberò dalle loro intenzioni.
Di questo ognuno dei diavoli si sentì colpevole,
ma specialmente colui (Alichino) che fu l’artefice dell’errore (difetto);
per cui si mosse e gridò: «Tu sei riacciuffato!».
Ma a poco gli servì; poiché le ali non poterono
superare il timore (sospetto) del dannato; questi s’immerse,
e quell’altro volando verso l’alto sollevò il petto;
non diversamente l’anitra di botto,
quando il falco s’avvicina, si tuffa nell’acqua,
e questo è costretto a levarsi in volo crucciato per la sconfitta (rotto).
Calcabrina, sdegnato di quella beffa (buffa),
in volo lo seguì, desideroso
che il dannato (quei) si salvasse per poter attaccar briga;
e appena (come) il barattiere disparve,
rivolse gli artigli contro il suo compagno,
e si azzuffò (fu ... ghermito) con lui sopra la palude (fosso).
Ma quell’altro fu davvero (bene) uno sparviero grifagno
a colpirlo bene con gli artigli, e ambedue
caddero in mezzo alla palude bollente.
Il caldo della pece li fece subito separare (sghermitor sùbito fue);
ma era impossibile (neente) sollevarsi,
tanto avevano le loro ali invischiate di pece.
Barbariccia scornato, insieme agli altri,
ordinò che quattro demoni volassero dall’altra parte dell’argine
con tutti gli uncini, e molto prontamente
da una parte e dall’altra discesero alla postazione (posta);
sporsero gli uncini a quei due lordi di pece (’mpaniati),
che erano ormai bruciati (cotti) sotto la superficie (crosta).
E noi li lasciammo mentre erano così impacciati.



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