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Inferno Canto 15 - Parafrasi

Appunto di italiano riguardante la parafrasi del canto quindicesimo (canto XV) dell'Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri.
L'incontro con Ser Brunetto, illustrazione di Gustave Doré


Procedendo lungo un argine del Flegetonte, Dante e Virgilio incontrano una schiera di spiriti che li osservano con molta attenzione. Sono questi i sodomiti; cioè, i violenti contro natura. Uno dei peccatori riconosce Dante e attira la sua attenzione afferrandolo per il vestito: è Brunetto Latini. Dante gli si affianca e cominciano a parlare. Il vecchio maestro predice a Dante la sua gloria futura, ma anche l’inimicizia feroce del popolo fiorentino.

In questa pagina trovate la parafrasi del Canto 15 dell'Inferno. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.



Parafrasi

Ora uno degli argini di pietra (duri) ci porta lontano di lì;
e il vapore che proviene dal ruscello genera una cortina (aduggia),
così da riparare (salva) l’acqua e gli argini dalle fiamme.
Come i Fiamminghi tra le città di Wissant (Guizzante) e di Bruges (Bruggia),
per il timore della marea (fiotto) che si scaglia contro di loro,
erigono difese (fanno lo schermo) perché le acque del mare vengano ostacolate (si fuggia),
e come i Padovani lungo il corso del fiume Brenta,
per difendere le loro case e i borghi,
prima che (anzi che) si faccia sentire il caldo nella Carinzia (Carentana):
in tal modo (imagine) erano costruiti quegli argini,
anche se (tutto che) l’artefice (lo maestro), chiunque sia stato,
non li ha costruiti (felli) né così alti né così robusti.
C’eravamo già allontanati (rimossi) dalla selva dei suicidi
tanto che io non l’avrei più vista,
per quanto (perch’io) mi fossi rivolto indietro,
quando incontrammo una schiera d’anime
che camminava lungo l’argine, e ciascuna
ci osservava attentamente (ci riguardava) come di sera
uno è solito (suol) guardare un altro durante il novilunio (nuova luna);
e aguzzavano gli occhi (le ciglia) verso di noi,
come fa il vecchio sarto verso la cruna dell’ago.
Mentre ero osservato (adocchiato) da questo gruppo (famiglia) di anime,
fui riconosciuto da uno, che mi prese
per il lembo del vestito e gridò: «Che meraviglia!».
E io, quando distese il braccio verso di me,
guardai attentamente (ficcaï li occhi) quel volto bruciato (cotto aspetto),
tanto che l’aspetto deformato dalle fiamme (abbrusciato) non impedì (difese)
al mio intelletto il suo riconoscimento (conoscenza);
e abbassando la mano verso il suo viso,
risposi: «Siete qui, ser Brunetto?».
E quegli: «O figlio mio, non ti dispiaccia che
Brunetto Latini ritorni indietro un poco con te
e si discosti dalla sua schiera (traccia)».
Io gli risposi: «Fin quando mi è possibile, ve ne prego (ven preco);
e se desiderate che mi fermi (m’asseggia) con voi,
lo farò (faròl), se lo concede costui con il quale vado (vo seco)».
«O figlio», disse, «chiunque (qual) di questa schiera (greggia)
si arresta un sol momento (punto), per cent’anni giace senza potersi
difendere (arrostarsi) quando il fuoco lo colpisce (feggia).
Perciò procedi: io ti verrò dietro (a’ panni);
raggiungerò poi la mia schiera (masnada)
che va piangendo le sue eterne pene (danni)».
Io non osavo scendere dall’argine (strada)
per procedere accanto a lui (par di lui); ma tenevo il capo chino
nell’atteggiamento di chi cammina riverente.
Egli cominciò: «Qual fortuna o destino prima
della morte (l’ultimo dì) ti conduce qui?
e chi è costui che ti mostra la via?».
«Lassù nel mondo (di sopra), nella vita rasserenata dalla luce (serena)»,
risposi a lui, «mi sono smarrito in una valle,
prima di raggiungere la piena maturità.
Soltanto (Pur) ieri mattina le volsi le spalle:
costui (Virgilio) mi apparve, mentre io tornavo verso quella,
e mi conduce per questo cammino verso casa (a ca)».
Ed egli a me: «Se tu segui la tua stella,
Non potrai mancare (fallire) di giungere al porto della gloria (glorïoso),
se ho visto bene (m’accorsi) durante la vita terrena (bella);
e se io non fossi morto così anzi tempo (per tempo),
vedendo (veggendo) il cielo favorevole a te,
ti avrei prestato aiuto (conforto) nella tua opera.
Ma quell’ingrato popolo malvagio (maligno)
che ebbe le sue antiche origini (ab antico) da Fiesole (cioè i Fiorentini),
e ha ancora abitudini di selvatichezza (del monte) e di rozzezza (del macigno),
a causa del tuo retto operare, ti diventerà nemico;
ed è giusto (è ragion), poiché tra gli agri (lazzi) sorbi
non conviene fruttifichi il dolce fico.
Un vecchio proverbio (fama) nel mondo li chiama orbi;
è gente avara, invidiosa e superba:
fai in modo di essere estraneo (forbi) ai loro costumi.
La tua fortuna ti riserva tanto onore,
che l’una e l’altra parte (sia i Bianchi e sia i Neri) vorranno divorarti (avranno fame, cioè invidia di te);
ma l’erba sarà (fia) lontana dal caprone (becco).
Le bestie fiesolane (cioè i Fiorentini) si divorino (Faccian ... strame)
tra loro, ma non tocchino,
se mai cresce ancora nel loro letame,
la pianta, in cui rivive il santo seme (la sementa santa)
di quei Romani che vi si stanziarono
dopo che fu fondato (fatto) il nido di tanta malizia».
«Se il mio desiderio (dimando) fosse stato del tutto esaudito (pieno)»,
risposi a lui, «non sareste ancora
bandito (posto in bando) dalla vita umana (cioè sareste ancora vivo);
perché è impressa (fitta) nella mia memoria (mente),
e adesso mi commuove, l’amata e dolce vostra immagine paterna
quando durante la vita (nel mondo) di tanto in tanto (ad ora ad ora)
mi insegnavate come l’uomo si merita l’eternità (s’etterna);
e quanto io l’abbia in considerazione (in grado), finché (mentr’) io vivo
si vedrà di sicuro nelle mie parole (ne la mia lingua).
Ciò che dite (narrate) della mia vita (del mio corso) io annoto,
e lo conservo (serbolo) perché mi sia spiegato con altra profezia (testo)
da donna (Beatrice) che sarà in grado, se riesco a giungere a lei.
Soltanto questo (Tanto) voglio vi sia noto (manifesto),
purché non mi rimproveri (non mi garra) la mia coscienza,
ché alla Fortuna, e al suo voler (come vuol), sono preparato.
Non è nuova ai miei orecchi tale predizione (arra):
perciò giri la Fortuna la sua ruota
a piacimento, e il villano la sua zappa (marra)».
Il mio maestro allora si volse indietro verso
destra (in su la gota destra) e mi guardò attentamente (riguardommi);
poi disse: «Ascolta proficuamente (bene) chi poi mette in pratica (la nota)».
Nondimeno (Né per tanto di men) proseguo (vommi) parlando
con ser Brunetto, e gli chiedo chi sono
i suoi compagni più noti e famosi (sommi).
Ed egli a me: «È bene (buono) informarti di alcuni di costoro;
degli altri è meglio (fia laudabile) tacere,
poiché il tempo sarebbe troppo scarso per un così lungo elenco (suono).
Sappi in breve (In somma) che furono tutti o ecclesiastici (cherci)
o letterati grandi e di notevole fama,
tutti macchiati (lerci) di uno stesso peccato in terra.
Se ne vanno con quella malvagia (grama) turba Prisciano
e Francesco d’Accorso; e se tu avessi avuto desiderio (brama)
di conoscere (vedervi) un tal lurido individuo (tigna),
avresti potuto (potei) vedere colui che dal papa (servo de’ servi)
fu trasferito da Firenze (d’Arno) a Vicenza (Bacchiglione),
dove abbandonò le membra (nervi) protese al male.
Aggiungerei altre cose: ma l’accompagnarti (venire) e il parlare (sermone)
non possono più protrarsi oltre, poiché vedo
là levarsi dal sabbione nuovo fumo.
Sta arrivando una schiera (Gente) di cui non devo (deggio) far parte.
Ti raccomando il mio Tesoro,
grazie al quale io continuo a vivere ancora, e altro non ti chiedo (cheggio)».
Poi si volse, e parve come quelli
che corrono a Verona nella campagna per il palio (drappo) verde;
e tra questi figurò come colui
che vince e non come colui che perde.



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