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Vanità - Ungaretti: parafrasi, analisi e commento

Appunto di letteratura riguardante la poesia "Vanità" di Giuseppe Ungaretti: testo, parafrasi, analisi del testo, figure retoriche e commento.

La poesia "Vanità" è stata scritta da Giuseppe Ungaretti, porta l'indicazione "Vallone il 19 agosto 1917" e fa parte della raccolta L'allegria (1931).



Indice




Testo

D’improvviso
è alto
sulle macerie
il limpido stupore
dell’immensità

E l’uomo
curvato
sull’acqua
sorpresa
dal sole
si rinviene
un’ombra

Cullata e
piano
franta



Parafrasi

D'un tratto
al di sopra
delle distruzioni di guerra
l'inaspettata
luminosità

E l'uomo
rivolto
verso l'acqua
illuminata
dai raggi del sole
si scopre
essere un'ombra

Oscillante e
lentamente
spezzata



Analisi del testo

Metrica: versi liberi.

Il poeta riprende in questa poesia il motivo morale e religioso della vanità delle cose umane, impresso nella visione cristiana del mondo, attraverso la letteratura medievale, prendendo come riferimento lo stile di Petrarca.

Ogni verso è composto al massimo da due parole. Nella prima strofa è contenuto l'indicazione essenziale per poter cogliere la natura di questo movimento infinito e indefinito
  • "D'improvviso" = questa locuzione avverbiale indica il carattere subitaneo e repentino;
  • "è alto" = indica la prospettiva dell'altezza che incombe sulle cose;
  • "stupore" = indica un evento insolito e sorprendente;
  • "immensità" = compare solo alla fine della strofa, quasi per aumentare l'atmosfera di magica evocazione.

La seconda strofa sposta il suo discorso sull'uomo riprendendo alcuni elementi già introdotti in precedenza.
  • "sole" = sensazione di luce.
  • "sorpresa" = viene usato questo termine per recuperare la sensazione di stupore.

La poesia da qui in poi sviluppa gli elementi di un'antitesi esistenziale:
  • all'immagine dell'altezza (è alto) si sostituisce quella dell'«uomo curvato»
  • lo spazio si sposta dal cielo alla terra
  • si passa dalla luce all'ombra.

L'ombra è un sostantivo astratto che sta a indicare la fragilità e la precarietà della condizione umana, che si riflette nella mobile superficie dell'acqua, elemento essenziale e simbolo della vita (come il "sole", ma con un significato completamente diverso).


I tre versi conclusivi che vanno a comporre la terza strofa sono collegati alla strofa precedente (all'acqua e all'ombra), ma lo spazio tra le due strofe e l'iniziale maiuscola servono a dare un'idea di continuità e allo stesso tempo di rottura.

Infine i verbi coniugati al participio passato indicano con estrema delicatezza uno stato di ondeggiante sospensione fra la dolcezza protettiva ("cullata" rievoca l'infanzia a Ungaretti) e il rischio di perdersi (la precarietà di "franta", attenuata dall'avverbio piano)



Figure retoriche

Enjambements = vv. 1-2; 2-3; 3-4; 4-5; 6-7; 7-8; 8-9; 9-10; 10-11; 11-12; 13-14; 14-15.

Antitesi = "vanità" (titolo della poesia) "immensità" (v.5).
Vanità: rappresenta la fragilità umana, specialmente in quel luogo di guerra.
Immensità: la scoperta della vastità del cielo, della sua grandezza rispetto all'uomo.
che si riconosce 'ombra', cioè passeggero del mondo. L'uomo si illude, si fa cullare, ma può essere 'franto', spezzato.



Commento

Se andassimo a cercare sul dizionario la definizione del termine "vanità", troveremo che si tratta di una qualità negativa di una persona, ovvero un frivolo compiacimento di sé e delle proprie qualità personali. Ma il titolo della poesia affronta un altro tipo di vanità, infatti, la parola deriva dal latino vanĭtas -atis, der. di vanus, il cui significato è "vuoto", in questo caso un vuoto che ci confonde e ci smarrisce difronte alla vastità del cielo.

La poesia si apre con qualcosa di inatteso, che evoca una dimensione che ci porta verso l'alto, verso il cielo: uno squarcio di cielo che illumina le macerie della guerra che non viene mai nominata da Ungaretti ma evocata. La "luce" è qualcosa di inatteso, qualcosa che si apre nel paesaggio cupo e che illumina dall'alto il paesaggio. Questa luce non è descritta come la vediamo, ma come è sentita nell'intimo.
Lo "stupore" è per qualcosa di inaspettato, qualcosa di rarefatto e non terreno, infatti la luce ci porta in un'altra dimensione, cioè l'immensità.
La luce del sole che filtra con la vastità del cielo che si apre non viene vista alzando gli occhi al cielo ma attraverso il riflesso di essa nell'acqua, acqua che ci riporta al mito di Narciso. Quella pozzanghera, prima cupa, riflette la luce del sole e anche l'acqua è sorpresa dal sole e l'uomo, lì, si rende conto di essere solo un riflesso in quello specchio d’acqua: insomma scopre di essere un'ombra e prende coscienza del carattere breve e transitorio dell'uomo.
L'acqua, simbolo del ciclo della vita, scorre e su di essa si riflette l'immagine fragile e oscura dell'uomo. Inizialmente trova conforto in questo ma il moto dell'acqua tende a cancellare l'ombra che prima era visibile e questo ci fa capire che siamo solo dei passeggeri in questa natura immortale, mettendo in evidenza la precarietà dell'uomo e la sua vanità nel mondo.



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