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Inferno Canto 1 - Parafrasi

Appunto di italiano riguardante la parafrasi del canto primo (canto I) dell'Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri.

Con questi celebri versi si apre il canto introduttivo dell'Inferno, la prima delle tre cantiche della Divina Commedia. Il viaggio di Dante attraverso i tre regni ultraterreni ha inizio in una selva oscura in cui si smarrisce nella notte tra il giovedì e il venerdì santo. Qui incontra i primi ostacoli sul cammino verso la riscossa spirituale: lo scontro con le tre fiere: lonza, leone e lupa. Viene in suo soccorso Virgilio, maestro di poesia e guida spirituale, che lo aiuterà fino alle soglie del Paradiso. Dopo esserne uscito, ripensa al pericolo a cui è scampato con il cuore ancora stretto dall'angoscia e dalla paura.
Il racconto di Dante, dietro il significato letterale nasconde un altro significato, più profondo, che si definisce allegorico. A metà della sua esistenza, il poeta attraversa una grave crisi morale: la sua coscienza si è come addormentata, così egli si sta allontanando dal bene e sente la morte eterna, cioè la perdizione del peccato.

In questa pagina trovare la parafrasi del Canto 1 dell'Inferno. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.



Parafrasi

A metà (Nel mezzo) del naturale percorso (cammin) della vita umana (nostra)
mi ritrovai dentro (per) una selva avvolta dall'oscurità
poiché la strada giusta era stata smarrita.
Ahi quanto è cosa dolorosa e faticosa (dura)
a dirsi quale fosse questa selva impervia, irta e difficile da superare (forte),
la quale ripropone al solo pensiero la paura provata!
È tanto dolorosa e molesta (amara) che la morte è poco più;
ma per parlare del bene che ne derivò (vi trovai),
racconterò di altre cose che vi ho viste.
lo non so riferire bene come penetrai in questa selva (v'intrai),
tanto ero pieno di sonno nel momento (punto)
in cui abbandonai la via giusta (verace) che conduce al bene.
Ma dopo che fui giunto alle falde di un colle
là dove terminava quella valle (dove era situata la selva)
che mi aveva trafitto (compunto) il cuore di paura,
guardai verso l'alto e vidi le parti alte del colle (spalle)
illuminate già dai raggi del sole (pianeta)
che conduce dritto le persone per ogni strada (calle)
Allora mi si placò un poco la paura
che si era diffusa a lungo (durata) dentro la cavità (lago) del cuore
la notte che io trascorsi fra tanta angoscia (pieta)
E come colui che con respiro (lena) affannoso,
uscito fuori dall'alto mare (pelago, dal latino pelagus) e giunto alla riva,
si volge verso l'acqua piena di insidie pericolose e la guarda con sgomento (guata),
così l'animo mio, che provava ancora l'impulso di fuggire (dalla selva oscura),
si volse indietro a guardare con attenzione quel luogo di passaggio (passo, cioè la selva)
che non permise mai a nessuna persona di uscire viva da esso.
Dopo che ebbi (ei) riposato un poco il corpo stanco (lasso),
ripresi a camminare attraverso le solitarie (diserta) pendici del colle (pioggia),
così che il piede sul quale poggiavo tutto il mio corpo era sempre il più basso.
Ed ecco, quasi all'inizio della salita più ripida,
una lonza agile e molto svelta (presta),
la quale era ricoperta di un manto macchiato (maculato);
e non si allontanava (si partia) dal mio sguardo,
anzi ostacolava tanto il mio cammino,
che io fui più volte spinto a ritornare indietro.
Era il momento in cui stava sorgendo il giorno
e il sole saliva nella volta celeste con quella costellazione (stelle, cioè l'Ariete)
che era con lui quando Dio (l'amor divino)
diede il primo impulso (mosse di prima) ai cieli (cose belle)
così che era per me motivo (cagione) di ben sperare
riguardo a quella fiera (dal latino fera) dalla pelle screziata (gaetta, dalla voce provenzale caiet)
sia l'ora sia la stagione della primavera (dolce);
ma non a tal punto che (sì che) non mi incutesse paura
la visione (vista) che mi apparve di un leone.
Questo pareva venisse contro di me
con la testa alta e manifestando una fame incontenibile (rabbiosa),
tanto che sembrava che l'aria circostante vibrasse fortemente (tremesse, dal latino tremo) a causa sua.
E una lupa che nella sua magrezza sembrava (sembiava) colma (carca)
di tutti i desideri insaziabili (brame),
e che aveva reso infelici (grame) le vite di molti,
essa (questa: pronome pleonastico) mi procurò tanto affanno (gravezza),
con la paura che si diffondeva dalla sua visione,
che io persi la speranza di raggiungere la vetta del colle (de l'altezza)
E quale è colui che, con buona voglia, si impegna a procacciarsi (acquista) qualcosa
e giunge il momento in cui perde tutto,
e in tutti i suoi pensieri piange e si rattrista (s'attrista);
tale mi rese questa bestia sempre inquieta (sanza pace),
che venendomi incontro, a poco a poco
mi spingeva di nuovo dove domina il buio (cioè nella selva).
Mentre io precipitavo (rovinava) in basso,
mi apparve (mi si fu offerto) dinanzi agli occhi
uno che sembrava privo di voce (fioco) a causa del lungo silenzio.
Quando vidi costui in quel luogo del tutto deserto, gli gridai:
Abbia compassione (miserere),
chiunque tu sia, o spirito o uomo in carne e ossa.
Mi rispose: Non sono un essere umano (omo), ma lo fui un tempo
e i mie genitori (parenti) furono lombardi,
entrambi nativi di Mantova.
Nacqui sotto Giulio Cesare, sebbene fosse tardi perché Cesare mi potesse conoscere,
e vissi a Roma sotto il valente (buono) Augusto,
nel tempo in cui si adoravano gli dei falsi e menzogneri.
Fui poeta e cantai di quel giusto
figlio di Anchise che venne da Troia,
dopo che la grandiosa Ilio fu bruciata.
Ma perché ritorni verso quella situazione tanto angosciante (noia)?
perché non sali il colle piacevole (dilettoso)
che è il principio e la causa di ogni felicità?
Allora (or) sei tu quel famoso Virgilio e quello scrittore così ricco nella poesia
da produrre una grande quantità di eloquenza simile a una fonte che versi un gran quantitativo d'acqua (fiume)?
risposi a lui con la fronte bassa di chi prova vergogna.
tu che sei il prestigio e luce (lume) degli altri poeti
Valga presso di te a mio favore la costante attenzione e il grande amore
che mi ha spinto ad analizzare con cura (cercar) in ogni sua parte la tua opera poetica (volume).
Tu sei il mio maestro e lo scrittore preferito (mio autore),
tu sei il solo dal quale
io ho procurato l'appezzamento (onore) del pubblico.
Vidi la lupa, per colpa della quale (per cu') sono indietreggiato verso la serva;
aiutami (a liberarmi) da lei, famoso uomo sapiente,
poiché mi fa tremare le vene e le arterie (i polsi).
Ti è necessario seguire una via diversa
rispose dopo che mi vide in lacrime
se vuoi scampare (campar) da questo luogo impervio e deserto (selvaggio)
poiché questa bestia, per cui tu invochi aiuto (gride),
non lascia che alcuno (altrui) passi per la sua strada,
ma a tal punto lo ostacola ('mpedisce) che lo annienta (l'uccide);
ha una natura così malvagia e crudele (ria)
che non appaga (empie) mai il suo insaziabile appetito
e dopo il pasto ha più fame di prima.
Molti sono gli animali ai quali si accoppia,
e ce ne saranno ancora di più in futuro
fino a che giungerà il veltro (= cane da caccia),
che la farà morire con un grande dolore (doglia)
Questi (il veltro) non avrà bramosia di beni terreni, né di vile metallo (peltro)
ma della sapienza, dell'amore, della virtù.
Sarà la salvezza di quella misera Italia
per la quale morirono di ferite (cioè di morte violenta)
la vergine Camilla, Eurialo e Turno e Niso
Questi (il veltro) la caccerà per ogni contrada (villa)
fino a che l'avrà rimandata nell'Inferno,
là dove in principio l'invidia la fece uscire (dipartilla).
Sicché io per il tuo vantaggio (per lo tuo me') penso e decido
che tu mi debba seguire, e io sarò la tua guida,
e ti trarrò di qui attraverso un luogo eterno;
dove ascolterai le grida (strida) disperate,
vedrai le anime sofferenti di coloro che da tempo vi dimorano (antichi spiriti)
le quali invocano ciascuna la morte dell'anima (seconda);
e vedrai coloro che sono felici,
pur essendo immersi nel fuoco purificatore (del Purgatorio),
perché sperano di giungere un giorno (quando che sia) fino alle anime dei beati
Alle quali poi se tu vorrai salire
ci sarà (fia) un'anima più degna di me
con lei ti lascerò quando me ne andrò
poiché quell'imperatore che regna lassù (Dio),
dal momento che io fui ribelle (ribellante) alla sua legge
non vuole che io giunga nel suo territorio (sua città).
Comanda in tutto il creato (in tutte parti) e lì governa direttamente come re,
lì (in Paradiso) si trovano la sua città e l'alto suo seggio:
colui ch egli sceglie (elegge) di far giungere fin lassù (ivi).
E io a lui: Poeta ti chiedo di nuovo con forza
in nome di quel Dio che tu non hai conosciuto
 affinché io possa fuggire questo mio traviamento (questo male) e la conseguente dannazione (peggio),
che tu mi conduca là dove hai detto ora,
così che io veda la porta di San Pietro
e coloro (cioè i dannati) che tu descrivi (fai) talmente immersi nel dolore (mesti).
Allora si mosse e io lo seguii.



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