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A Silvia, Leopardi: parafrasi, analisi, commento

Appunto di letteratura sulla poesia A Silvia di Giacomo Leopardi con testo, parafrasi, analisi testuale, figure retoriche e commento.
A Silvia

A Silvia è una poesia composta da Giacomo Leopardi tra il 19 e il 20 aprile 1828, pochi giorni dopo il Risorgimento. È contenuta nella raccolta Canti e la prima edizione è datata 1831. Contrariamente a quanto si possa pensare non si tratta di una poesia d'amore, difatti è una poesia che ruota attorno al lutto di una persona cara al poeta, giovanissima, che diventa simbolo dei sogni infranti.





A Silvia: scheda poesia

Di seguito trovate la scheda della poesia "A Silvia" contenente le informazioni essenziali, poi il testo originale, la parafrasi, l'analisi del testo e le figure retoriche, e infine un commento personale.

Titolo A Silvia
Autore Giacomo Leopardi
Genere Poesia
Raccolta Canti
Data 1828
Corrente letteraria Romanticismo
Contesto storico Subito dopo il Risorgimento
Temi trattati La morte prematura di una giovane donna
Luogo Pisa
Frase celebre «Silvia, rimembri ancora | Quel tempo della tua vita mortale, | Quando beltà splendea | Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, | E tu, lieta e pensosa, il limitare | Di gioventù salivi?»




Testo

Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?
Sonavan le quiete
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo canto,
Allor che all'opre femminili intenta
Sedevi, assai contenta
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Così menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte,
D'in su i veroni del paterno ostello
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
Le vie dorate e gli orti,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch'io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
Perchè non rendi poi
Quel che prometti allor? perchè di tanto
Inganni i figli tuoi?
Tu pria che l'erbe inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli anni tuoi;
Non ti molceva il core
La dolce lode or delle negre chiome,
Or degli sguardi innamorati e schivi;
Nè teco le compagne ai dì festivi
Ragionavan d'amore.
Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,
Cara compagna dell'età mia nova,
Mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
I diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell'umane genti?
All'apparir del vero
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano.



Parafrasi

Silvia, ricordi ancora quel tempo della tua breve vita (la tua giovinezza) quando la bellezza splendeva nei tuoi occhi ridenti e sfuggenti e tu, allegra e pensosa ti avviavi a passare la soglia della fanciullezza ed entrare nella giovinezza? Risuonavano le tranquille stanze e le vie intorno all'udire il tuo continuo canto, quando ti dedicavi ai lavori femminili, felice di immaginare quel futuro incerto che avevi in mente. Era il mese di maggio carico di profumi e tu così trascorrevi le tue giornate. Abbandonando a volte i miei studi, fonte di soddisfazione e di fatica, nei quali consumavo la giovinezza e la parte migliore di me. Dai balconi della casa paterna ascoltavo il suono della tua voce e quello prodotto del telaio mosso dalle tue mani che si muovevano velocemente sulla tela, affaticate, perché frutto di assiduo lavoro. Guardavo il cielo sereno, le vie dorate (assolate) e gli orti, da una parte il mare lontano e dall'altra parte il monte. Non c'è lingua mortale che potrebbe esprimere quel che io sentivo in seno. Che pensieri dolci, quali speranze, che sensazioni o Silvia mia! Come piena di promesse e felicità ci sembrava la vita che ricordo le tante e così liete speranze d'allora, mi invade il cuore, un'angoscia acerba e priva di ogni consolazione e ritorno a dolermi della mia sventura. O natura perché non mantieni le promesse che fai nella giovinezza? Perché fino a questo punto inganni i tuoi figli? Tu prima che giungesse l'inverno che inaridisce l'erba (col gelo), nata in quel maggio radioso, morivi consumata e vinta da una malattia interna, senza avere la possibilità di vivere la tua giovinezza. Non accarezzava il tuo cuore, la dolce lusinga per i tuoi capelli nerissimi, o dei tuoi occhi innamorati e sfuggenti; né le tue compagne parlavano d'amore con te nei giorni di festa. Di lì a poco sarebbe morta anche la mia speranza, il destino negò alla mia vita anche la giovinezza. Ahimé come te ne sei andata (veloce), o speranza rimpianta, cara compagna della mia giovinezza. Questo è quel mondo meraviglioso, queste le gioie, questo l'amore, le opere gloriose, gli eventi, di cui a lungo abbiamo parlato? Questa è la sorte degli uomini? All'apparire della verità, tu, misera (speranza), sei caduta e con la mano indicavi da lontano la morte fredda e una tomba spoglia.


Analisi del testo

Schema metrico: Canzone libera di sei strofe di (34) endecasillabi e (29) settenari, con rime alternate e baciate, la cui posizione non segue uno schema fisso, come libera è anche la lunghezza delle strofe.


Il nome "Silvia" che appare nel titolo di questa celebre opera di Leopardi trae ispirazione dalla figura della ninfa che riveste un ruolo centrale nell'Aminta di Torquato Tasso. Anche per la ninfa del Tasso la vita è segnata da una prematura scomparsa, privandole l'opportunità di sperimentare appieno il sentimento dell'amore, sebbene Aminta si era innamorato di lei. Nel v.6 il termine "salivi" è l'anagramma del nome Silvia.

Nella poesia è presente il pessimismo leopardiano, dove la giovinezza che dovrebbe essere un momento felice è vista come un inganno. Nel testo vengono utilizzati due tempi verbali: l'imperfetto (per parlare della giovinezza, delle azioni del passato) e il presente.

Il testo richiama immagini legate ai 5 sensi, che appartengono al senso dell'udito (sonavan le quiete stanze; suon della tua voce), al senso dell'olfatto (maggio odoroso), al senso della vista (mirava il ciel sereno), al senso del tatto (la fredda morte). Manca solamente il senso del gusto, ma certamente se fosse stato presente sarebbe stato dolce nel periodo della giovinezza e amaro una volta compresa la verità della vita.

Questa poesia può essere suddivisa in cinque parti:

Rievocazione di Silvia (vv. 1-14)
Il poeta si rivolge a Silvia, chiedendole se ricorda il suo passato felice e spensierato. La giovane Silvia, immersa nella gioia della sua giovinezza, svolgeva i suoi lavori quotidiani ma era pensierosa riguardo il suo futuro come se avesse avuto un oscuro presentimento.

Rievocazione di se stesso (vv. 15-27)
Anche il poeta, nel suo quotidiano studio, viene interrotto dal canto di Silvia. Affacciandosi ai balconi della casa paterna, si lascia avvolgere dai suoni familiari, guardando lontano verso il mare e i monti che limitano il suo orizzonte. Il paesaggio è pervaso da canto, luce, speranza e letizia, suscitando emozioni indescrivibili nel poeta.

La Natura: vita come sventura e inganno (vv. 28-39)
Il poeta riflette sui pensieri e dolci speranze del passate, mentre la Natura appare illuminata da fiducia e attese di felicità. Tuttavia, maturando, la realtà si rivela come un'irreparabile sventura, generando nel poeta un grido di disperazione contro la Natura. La vita è basato su un inganno, evidenziando il contrasto tra le promesse della giovinezza e la loro mancata realizzazione nella maturità.

La morte come fine (vv. 40-48)
Silvia, combattuta da una malattia mortale, non ha potuto godere delle speranze promesse dalla natura. La morte la colpisce prima che l'inverno inaridisca i fiori della primavera, simboleggiando la fine delle dolci speranze della fanciullezza. Il poeta evidenzia il contrasto tra la realtà della malattia e il sogno della gioventù.

L'apparir del vero (vv. 49-63)
Anche le speranze del poeta svaniscono, e oltre la giovinezza (che è solo un'illusione) il destino ha negato a Leopardi anche la fanciullezza dato che l'ha passata pensando solo ed esclusivamente a studiare. Adesso che è stata rivelata la vera sventura della vita, privata delle sue illusioni, il poeta, sa come tutto questo andrà a finire. Spogliato delle speranze e degli ideali giovanili, è consapevole della sola meta certa: la morte. Con la morte si conclude il mondo meraviglioso che si sperava di vivere caratterizzato da gioia, amore e la voglia di creare un qualcosa di positivo.



Figure retoriche

Per una spiegazione dettagliata dell'analisi retorica vi suggeriamo la sezione Figure retoriche: A Silvia.
  • Apostrofe = "Silvia" (v.1); "o Silvia mia" (v.29); "O natura, o natura" (v.36); "o tenerella" (v.42); "cara compagna" (v.54); "tu, misera" (v.61).
  • Ossimoro = "lieta e pensosa" (v. 5).
  • Metafora = "il limitare di gioventù salivi" (vv. 5-6); "maggio odoroso" (v.13); "pria che l’erbe inaridisse il verno" (v.40); "il fior degli anni tuoi" (v.43); "cara compagna dell'età mia nova (v.54); "mia lacrimata speme" (v.55).
  • Metonimia = "sudate carte" (v.16); "Porgea gli orecchi ... alla man veloce / che percorrea la faticosa tela" (vv. 20-22); "lingua mortal" (v.26); "che cori" (v.29).
  • Sineddoche = "man veloce" (v.21).
  • Epanalessi = "O natura, o natura" (v.36).
  • Anafora = "Che" (v.22; v.28; v.29); "Anche" (v.49; v.51)
  • Iterazione = "perché" (v.37; v.38); "questo (v.56); questi, (v.56); questa (v.59)".
  • Personificazione = "rendi ... prometti ... inganni" (vv. 37-39); "figli tuoi" (v.39).
  • Allitterazione del suono VI = "vita" (v.2), "fuggitivi" (v.4), "salivi" (v.6), "sedevi" (v.11), "avevi" (v.12), "solevi" (v.13), "soavi" (v.28), "perivi" (v.42), "vedevi" (v.42), "schivi" (v.46), "festivi" (v.47), "mostravi" (v.63).
  • Allitterazione della T = "tempo della tua vita mortale" (v.2).
  • Allitterazione della L = "Quel tempo della tua vita mortale" (v.2); "Allor che all'opre femminili intenta" (v.10).
  • Allitterazione della V = "vago avvenir ... avevi" (v.12).
  • Allitterazione di N e M = "E quinci il mar da lungi, e quindi il monte" (v.25).
  • Assonanza = "mortale, limitare" (v.2; v.5); "quinci" e "lungi" (v.25).
  • Anastrofe = "all'opre femminili intenta" (vv. 10-11); "in mente avevi" (v.12); "un affetto mi preme" (v.33); "come passata sei" (v.53).
  • Climax ascendente = "Che pensieri soavi, che speranze, che cori" (vv. 28-29).
  • Zeugma = "porgea gli orecchi al suon della tua voce / e alla man veloce" (vv. 20-21).
  • Chiasmo = "Io gli studi leggiadri / talor lasciando e le sudate carte" (vv.15-16), cioè sostantivo, aggettivo – aggettivo, sostantivo; "la fredda morte ed una tomba ignuda" (v.62), cioè aggettivo, sostantivo - sostantivo, aggettivo.
  • Iperbato = "ove il tempo mio primo / e di me si spendea la miglior parte" (vv. 17-18); "agli anni miei anche negaro i fati / la giovanezza" (vv. 51-52).
  • Accumulazione = "e gli orti, / E quinci il mar da lungi, e quindi il monte" (vv. 24-25); "Che pensieri soavi, / che speranze, che cori" (vv. 28-29); "i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi" (v.57).
  • Domanda retorica = "Questo è quel mondo? questi / I diletti, l'amor, l'opre, gli eventi / Onde cotanto ragionammo insieme? / Questa la sorte dell'umane genti?" (vv. 56-59).
  • Enjambement = "il limitare / Di gioventù (vv. 5-6)"; "sonavan le quiete / stanze" (vv. 7-8); "apparìa / la vita umana" (vv. 30-31); "E non vedevi / Il fior degli anni tuoi" (vv. 42-43); "peria fra poco / la speranza mia dolce" (vv. 49-50); "negaro i fati / la giovanezza" (vv. 52-53); "questi / i diletti" (vv. 56-57); "la fredda morte ed una tomba ignuda / mostravi" (vv. 62-63).


Commento

La figura di Silvia potrebbe essere ispirata a Teresa Fattorini, la figlia del cocchiere di casa, deceduta di tisi nel 1818 a soli 21 anni, ma rappresenta più in generale l'adolescenza e la vitalità giovanile stroncata da una morte prematura. Nel poema, Leopardi si rivolge a Silvia, come a creare una comunicazione tra mondo dei vivi e dei morti attraverso il ricordo, chiedendole se ricorda (rimembri) la sua felice adolescenza. Descrive il suo passato sereno e luminoso, il suo canto gioioso quando era solita svolgere le faccende domestiche e che si poteva sentire per le vie del borgo, e i suoi occhi scintillanti e ancora troppo giovani per notare gli sguardi innamorati degli altri mentre trascorreva la primavera della vita. L'ambientazione primaverile (Era il maggio odoroso, v.13) indica ottimismo per il presente ma la vita di Silvia si è spenta non solo prima di raggiungere l'inverno della vita ma anche la giovinezza non l'ha vissuta appieno, sebbene quel poco l'ha vissuta serenamente, interrotta appunto dalla sua morte precoce; però pare che anche quando era in vita qualche sospetto sul suo futuro oscuro l'aveva avuto. Il poeta, invece, ha dedicato la sua giovinezza allo studio, e ascoltava piacevolmente il canto di Silvia come una dolce melodia.
Il messaggio che il poeta ci vuole comunicare è che la vita, inizialmente fatta di sogni e speranze, crescendo si trasforma in delusioni e rimpianti. Così Leopardi si rivolge direttamente alla natura, autrice di tutto questo, interrogandola sulle promesse infrante della giovinezza. Quando muore un anziano, per quanto sia sempre triste la perdita di una persona cara, c'è una ragione (la vecchiaia) e ci si può consolare col fatto che ha vissuto a lungo, ma quando muore un giovane con ancora tantissimi anni da vivere, ci si chiede perché il destino ha deciso così. La morte di Silvia coincide con la perdita della voglia di vivere del poeta. Il poeta riflette sulla natura ingannevole della vita e conclude con la consapevolezza che, quando la vita si rivela per come è veramente, cioè crudele, crollano tutte le speranze, e la morte diventa l'unica destinazione per porre fine a questa sofferenza, proprio come è accaduto a Silvia.



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