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Figure retoriche: La vergine Cuccia di Giuseppe Parini

Quali figure retoriche sono presenti nel testo de La vergine cuccia di Giuseppe Parini? In che modo la vergine cuccia viene personificata?
Vergine cuccia

Una cagnetta (vezzeggiativo di cagna) morde la caviglia di un uomo e quest'ultimo reagisce respingendola con un calcio. Anziché ricevere le scuse della sua padrona, questi viene inquadrato come un criminale. Nel mondo aritocratico del Settecento, gli animali delle dame vengono trattati come delle divinità e non importa invece nulla della salute dei servi, incluso quelli che hanno lavorato a lungo per loro. Difatti il servo non solo perse il lavoro ma non venne più assunto da nessun'altra famiglia, destinato a una vita di miseria. Si tratta de "La vergine cuccia" di Giuseppe Parini, che descrive l'episodio più importante del poemetto intitolato "Il giorno".





Tutte le figure retoriche

In questa pagina trovate tutte le figure retoriche de La Vergine cuccia di Giuseppe Parini. Tra le figure retoriche più importanti contenute nel testo vi sono le metafore, le ripetizioni (anafora, epifora, anadiplosi) ed enjambement che mettono in risalto termini ed espressioni caratterizzate da ironia e sarcasmo. Ci teniamo a precisare che i versi non partono dal v.1 perché questo testo è parte di un testo più lungo; inoltre i versi iniziano dal v.503, ma in genere si studia dal v.517. Prestate molta attenzione a questo, e se non avete capito bene di cosa stiamo parlando, andate a vedere il Testo de La vergine cuccia in modo da poterlo confrontare con quello del vostro libro di letteratura.



Anastrofe

La prima figura retorica presente nel testo è un'anastrofe, cioè l'ordine di posto invertito di due elementi della frase. Nel caso in questione ci troviamo nei primi due versi del testo, vv. 503-504, e l'ordine corretto sarebbe dovuto essere: "osò alzar la mano armata".
osò la mano | armata alzar

Nel v.509 la cagnetta viene definita come se fosse stata allevata dalle Grazie, per cui il verso sarebbe dovuto essere scritto così: "alunna de le Grazie".
de le Grazie alunna

Nel v.534 l'ordine corretto delle parole è "spruzzato d'essenza", dove le essenze sono dei profumi usati per far riprendere conoscenza alla dama che era svenuta per lo shock.
d’essenze spruzzato

Nei vv. 539-540 le parole sono invertite, l'ordine corretto è "chieder vendetta".
vendetta chieder



Iperbato

Nel v.509 l'azione di stringere il fato è compiuta dalla mano, ma il sostantivo (man) e il verbo (stringea) sono posti distanti fra loro, mentre dovrebbero essere consecutivi.
la man che il loro fato, ahimè, stringea

Nei vv. 522-523 il sostantivo "egli" è lontano dal verbo "lanciolla" (calcia / scalcia). Cioè questo è il momento cruciale dell'episodio, il calcio che il servo dà alla cagnetta della dama per liberarsi dalla sua morsa.
ed egli audace con sacrilego piè lanciolla



Apostrofe

Nel v.518 la Dama usa un'espressione frustrante per ricordare quel maledetto giorno in cui la sua cagnetta venne maltrattata.
ahi fero giorno

Nel v.540 il poeta parla in prima persona rivolgendosi alla cagnetta, cioè dà del "tu" alla cagnetta che ha ricevuto la sua vendetta con il licenziamento del servo.
e tu



Allitterazione

Allitterazione della V (v.520)
giovanilmente vezzeggiando

Allitterazione della V (v.521)
villan del servo

Allitterazione della C (vv. 522-523)
audace col sacrilego piè lanciolla



Metafora

Nel v.521 il dente della cagna viene descritto come se fosse d'avorio, cioè il materiale che si ricava dalle zanne degli elefanti.
l'eburneo dente

Nel v.536 i sguardi sono descritti metaforicamente come se potessero lanciare delle saette, perché si tratta di sguardi minacciosi. Lo sguardo di chi stava per licenziare il suo servo.
fulminei sguardi

Nei versi 555-556 la cagnetta viene idolaiatra come una divinità potentissima che solo i sacrifici umani, come quello del servo che viene licenziato, possono placare la sua furia.
idol placato da le vittime umane



Sineddoche

Nel v.521 indica che la cagnetta abbia morso il serve usando il "dente", ma si tratta della figura retoricha della sineddoche, nello specifico il singolare per il plurale.
dente



Perifrasi

Nel v.522 usa una particolare espressione per sminuire il morso della cagnetta che ha dato al servo.
segnò di lieve nota



Iperbole

Nel v.523 il piede con cui il serve scalcia la cagnetta è detto "sacrilego", cioè responsabile di un sacrilegio, colpevole di un'azione scellerata e empia. Ma che altro avrebbe potuto fare il servo? Lasciarsi divorare il piede? Si è trattato di un gesto istintivo e proprio per questo l'aggettivo usato per descrivere il piede è volutamente esagerato in senso negativo.
sacrilego piè



Anadiplosi

Nel v.524 all'interno dello sterso verso, viene ripetuta la stessa espressione nel modo tipico dell'anadiplosi, che è una figura retorica che potreste anche conoscerla sotto il nome di epanastrofe.
tre volte



Antitesi

I verbi usati per indicare il movimento nei corridoi e nelle scale di servi e damigelle per correre in soccorso della dama, sono in contrasto fra loro. Il termine ascendere significa dirigersi dal basso verso l'alto, mentre precipitare significa cadere da notevole altezza, anche se qui è inteso come dirigersi precipitosamente.
"asceser" (v.531)
"precipitàro" (v.533)



Onomatopea

Nel v. 527 appaiono due parole ripetute che hanno lo scopo di rappresentare i guaiti della cagnetta che era stato appena colpito dal piede del servo.
aita, aita



Personificazione

Nel v.527 appare in lettera maiuscola la parola Eco con riferimento all'omonima ninfa che Giunione punì togliendole la parola e le uniche parole che era in grado di pronunciare erano la ripetizione delle ultime parole che le venivano rivolte o che udiva. Quindi questo è un gioco di parole del poeta per dire che il verso della cagnetta si è udito per tutta la struttura dato che tutti si stavano affrettando a raggiungere il luogo del misfatto.
Eco



Enumerazione

Nei versi vv. 528-531 l'enumerazione è per polisindeto dato il ripetuto uso della congiunzione "e".
e da le aurate volte
a lei l’impietosita Eco rispose:
e dagl’infimi chiostri i mesti servi
asceser tutti; e da le somme stanze
le damigelle pallide



Epifora

L'epifora è la ripetizione di una parole o un'espressione al termine di un verso ed è presente ai versi vv. 543-544.
A lui non valse



Enjambement

Eccovi i casi in cui nel testo è presente la spezzatura del verso:
la mano / armata (vv. 503-504)
truculento / cor (vv. 505-506)
molli / lingue (vv. 507-508)
bella / vergine cuccia (vv. 518-519)
piede villan (vv. 520-521)
molli nari (vv. 525-526)
il volto / fu (vv. 533-534)
vendetta chieder (vv. 539-540)
novello / Signor (vv. 548-549)



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