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Paradiso Canto 2 - Parafrasi

Appunto di italiano riguardante la parafrasi del canto secondo (canto II) del Paradiso della Divina Commedia di Dante Alighieri.
La Luna fotografata da Apollo 12

Il canto si apre con un ammonimento del Poeta ai suoi lettori: solo coloro che sono dotati di intelligenza e di cultura adeguate lo potranno seguire nell'arduo cammino che sta iniziando. Infatti, con la guida di Beatrice, egli sale dal paradiso terrestre, posto sulla vetta del monte del purgatorio, al cielo della Luna, il primo dei nove cieli fisici che dovrà attraversare prima di giungere all'Empireo, dove ha la sua sede Dio.
La superficie lunare appare luminosa come un diamante, ma Dante sa che essa è cosparsa di macchie scure, intorno alle quali chiede spiegazioni a Beatrice. Questa dapprima nega ogni valore alla credenza popolare che vedeva, in quelle macchie, la figura di Caino gravato da un fascio di spine. In seguito dimostra la non validità della teoria scientifica che trovava la causa, di quelle zone oscure nella maggiore o minore densità della materia costituente la luna.
Dopo aver convinto Dante: che la ragione umana, qualora non sia sorretta dalla fede e dall'insegnamento teologico, mostra tutti i suoi limiti, Beatrice espone la dottrina esatta, estendendo la sua spiegazione dalla luna a tutti gli altri corpi celesti. Le zone più o meno scure che sì notano sulla loro superficie dipendono dall'influenza dei cori angelici, le intelligenze motrici dei singoli cieli. Infatti ad una maggiore o minore letizia della intelligenza angelica corrisponde, nel cielo che da essa riceve le sue qualità specifiche, una maggiore o minore luminosità.

In questa pagina trovate la parafrasi del Canto 2 del Paradiso. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.



Parafrasi

O voi lettori, che per desiderio di sapere avete
seguito (siete … seguiti) sulle piccole imbarcazioni
(del vostro ingegno) la mia nave (legno), che va oltre
(varca) col suo canto, ritornate a rivedere i vostri lidi:
non intraprendete viaggi in mare aperto (pelago),
poiché forse, se perdeste la mia traccia, vi smarrireste.
Le acque in cui mi inoltro non furono percorse
mai prima; mi sospinge Minerva, mi guida Apollo,
e le nove Muse mi indicano la stella polare (Orse).
Voi pochi che fin dalla giovane età (per tempo) alzaste la mente (drizzaste il collo)
alle cose divine (pan de li angeli), delle quali qui (sulla terra) ci si nutre,
ma non si può mai essere sazi (satollo), potete tranquillamente (ben)
spingere la vostra nave verso l’alto mare (sale),
seguendo (servando) la mia scia davanti
al punto in cui l’acqua ritorna indistinta.
I valorosi eroi che giunsero in Colchide, quando videro Giasone
ridotto a contadino (bifolco), non si meravigliarono,
quanto invece accadrà a voi.
L’innato e continuo desiderio del regno divino (deïforme),
ci traeva in alto a una velocità quasi
pari a quella con cui si vede girare il cielo.
Beatrice volgeva lo sguardo in alto, il mio era rivolto in lei;
e in un tempo pari forse a quello in cui un dardo (quadrel)
giunge al bersaglio (posa) e vola e si stacca (si dischiava)
dall’osso della balestra (da la noce), mi accorsi
di essere giunto dove un fatto meraviglioso attrasse i miei occhi (il viso);
e perciò colei alla quale nessuna mia preoccupazione (cura)
poteva essere nascosta, rivolta verso di me, tanto gioiosa
quanto bella, mi disse: «Alza con gratitudine il tuo pensiero (la mente … grata)
a Dio, che ci ha fatto giungere (n’ha congiunti) al primo cielo».
Mi sembrava che fossimo avvolti da una nuvola
luminosa, densa, compatta e senza macchie (solida e pulita),
come un diamante che il sole colpisca.
L’incorruttibile perla (margarita) ci accolse in sé
come l’acqua, che riceve (recepe)
un raggio di sole senza dividersi.
Il fatto che (Se) io fossi con il corpo, e sulla terra (qui) è inconcepibile (non si concepe)
come un corpo (una dimensione) possa sopportare (patio) la compresenza di un altro corpo,
cosa necessaria quando un corpo penetra (repe) in un altro,
dovrebbe accendere ancora più il desiderio di vedere
l’Essere (Cristo) nel quale si manifesta il modo in cui
si unirono la natura umana e quella divina.
In cielo (Lì) vedremo direttamente ciò che in terra crediamo
per fede, e non con ragionamenti, ma sarà evidente
di per sé (per sé noto), come le verità elementari (ver primo) che l’uomo concepisce.
Io risposi: «O mia signora, con la più grande
devozione di cui sono capace, rivolgo il mio ringraziamento a Dio,
che mi ha allontanato (remoto) dal mondo terreno.
Ma ditemi: che cosa sono le macchie scure (li segni bui)
di questo pianeta (corpo), che laggiù in terra inducono la gente (altrui)
a raccontare la favola di Caino?».
Ella sorrise un po’, poi disse: «Se le convezioni degli uomini
sono errate quando la spiegazione sensibile (chiave di senso)
non riesce ad aprire (diserra) la porta della verità,
certamente ormai tu non dovresti essere colpito da stupore (li strali d’ammirazione),
dato che hai visto come la ragione ha poche capacità di volare (ha corte l’ali)
seguendo i sensi.
Dimmi invece che cosa tu, per tuo conto (da te), pensi di questo».
E io: «Ciò che quassù ci appare diverso, penso sia dovuto alla rarità
e alla densità dei corpi».
Ed ella: «Certo capirai quanto la tua opinione sia erronea (sommerso nel falso),
se presterai attenzione al ragionamento (argomentar)
che io gli contrapporrò (farò avverso).
L’ottavo cielo offre alla vostra vista (vi dimostra) molte stelle,
le quali si possono distinguere (notar) nel loro
diverso aspetto per qualità e quantità (nel quale e nel quanto).
Se a determinare ciò fosse solo (tanto) la rarità e la densità,
ci sarebbe un’unica virtù attiva in tutti (i corpi celesti),
distribuita in maggiore minore o ugual misura.
La molteplicità delle virtù deve esser frutto di principi essenziali,
ma questi, tranne uno, risulterebbero tutti eliminati (distrutti),
secondo il tuo ragionamento (a tua ragion).
Procedendo (Ancor), se la rarefazione (raro) fosse
la causa di quelle macchie scure di cui mi hai chiesto,
o questo pianeta sarebbe così scarso (fora … sì digiuno)
della sua materia da parte a parte (oltre), o, come il corpo
distribuisce le parti grasse e magre, così questo pianeta (la luna)
nel suo spessore (volume) alternerebbe gli strati (cangerebbe carte).
Nel primo caso, sarebbe evidente (fora manifesto) durante l’eclisse di sole,
perché la luce trapasserebbe come attraverso
qualsiasi altro corpo rado (raro) interposto (ingesto).
Ciò non avviene: quindi dobbiamo considerare il secondo caso;
e se succede che io vanifichi (cassi) anche questo,
la tua opinione sarà dimostrata falsa.
Se accade che la parte rara non passi da parte a parte,
è necessario che ci sia un punto (un termine) dal quale
la densità (lo suo contrario) non la lascia più passare;
e da quel punto anche il raggio esterno (del sole) viene riflesso (si rifonde),
come un colore che viene rimandato da un vetro
che nasconde sulla faccia posteriore (di retro a sé) uno strato di piombo.
Tu potresti affermare che in quel punto (ivi)
la luce si vede più scura (tetro) che negli altri,
perché viene riflessa da più indietro.
Ma da tale obiezione (istanza) ti libererà,
se vorrai una volta provarla, un’esperienza concreta,
che è solita essere l’origine delle arti umane.
Prendi tre specchi; due allontanali da te ugualmente,
l’altro incontri i tuoi occhi da più lontano (più rimosso) e in mezzo ai primi due.
Con lo sguardo a essi, poni (fa che … ti stea) dietro la tua schiena (dopo il dosso)
una luce che illumini i tre specchi e
ritorni a te riflessa (ripercosso) da tutti.
Lì, anche se l’immagine (vista) più lontana
non raggiungerà la stessa quantità di grandezza,
ti accorgerai di come essa risplenda della stessa
qualità e colore (igualmente).
Adesso, come sotto i caldi raggi (del sole)
la materia prima (suggetto) della neve resta privata
tanto del colore quanto del freddo precedenti (primai),
così io intendo ricolmare (informar) te, rimasto tale nella mente,
di una chiarezza e verità (luce) così intensa,
che nel manifestarsi (nel suo aspetto) scintillerà alla tua vista.
Nel cielo della pace di Dio (l’Empireo)
ruota una sfera (Primo Mobile) nella cui potenza
risiede (giace) la vita di tutto ciò che vi è contenuto (l’universo).
Il cielo successivo, in cui vi sono tante
stelle visibili (tante vedute), divide (parte) quell’unico
principio nei diversi corpi da lui distinti (distratte) e in esso contenuti.
Gli altri cieli ruotanti (giron) in diverso modo organizzano (dispongono)
le distinte virtù (le distinzion) che hanno in sé, perché conseguano
i loro fini e attuino i loro influssi (semenze).
Queste parti vitali dell’universo procedono in tal modo,
come ormai comprendi, di gradino in gradino,
che prendono dal cielo superiore e agiscono su quello inferiore.
Segui ora attentamente in che modo io giungo
attraverso questo ragionamento (loco) alla verità
che desideri, cosicché poi tu possa da solo trovare il giusto cammino (lo guado).
Il movimento e la potenza delle beate sfere
procedono di necessità (convien) dalle intelligenze
motrici angeliche (beati motor), come l’opera del
martello dal fabbro; e il cielo che si adorna di tante
stelle assume l’impronta dell’alta intelligenza che
gli imprime il movimento (volve) e se ne fa a sua volta sigillo.
E come l’anima nel corpo umano (vostra
polve) si diffonde (si risolve) nei vari organi adattati
alle varie facoltà (conformate a diverse potenze),
così l’intelligenza angelica dispiega (spiega) la sua
virtù differenziata (multiplicata) attraverso le stelle,
ruotando nella sua unicità.
Virtù diversa produce diverso effetto (lega)
in unione con la preziosa materia (del corpo celeste) cui dà vita (ch’ella avviva),
nel quale si unisce come lo spirito vitale in voi.
A causa della letizia generale da cui si origina,
la potenza risplende attraverso il corpo
al quale si è congiunta (mista), come la gioia nell’occhio umano.
Da questo deriva la differenza tra le varie luci celesti,
non dalla densità o rarità; e questo è il principio essenziale (formal)
che determina il colore scuro (lo turbo, il torbido) e quello luminoso,
a seconda della sua intensità (bontà)».



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