Scuolissima.com - Logo

Paradiso Canto 1 - Parafrasi

Appunto di italiano riguardante la parafrasi del canto primo (canto I) del Paradiso della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Incontro di Dante e Beatrice, miniatura del sec. XIV. Venezia, Biblioteca marciana

Dante vede Beatrice fissare il Sole; egli fa altrettanto, ma poi comincia a fissare gli occhi di Beatrice, che diventano sempre più scintillanti, mentre le sue orecchie sentono l'armonia delle sfere celesti. Dante e Beatrice stanno ascendendo attraverso la sfera del fuoco verso il Paradiso, come di necessità fanno tutti i corpi purificati.

In questa pagina trovate la parafrasi del Canto 1 del Paradiso. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.



Parafrasi

La magnificenza di Dio, colui che dà vita (move) a tutto il creato,
entra e si manifesta (penetra) in tutte le cose dell’universo,
e risplende con maggiore o minor fulgore nei diversi luoghi.
Nel cielo che più riceve del raggio divino io giunsi (fu’ io),
e lì vidi cose che colui che ritorna da lassù (chi di là sù discende)
non riesce e non ha la possibilità di riferire (ridire),
poiché avvicinandosi all’oggetto del suo desiderio,
l’intelletto umano si addentra (nella conoscenza)
a tal punto, che la facoltà di ricordare non riesce a tenergli dietro.
Tuttavia (Veramente) tutto quello che del Paradiso (regno santo)
sono riuscito a tenere nella memoria (mente) e imparare (far tesoro),
sarà adesso oggetto della mia poesia.
O santo Apollo, riempimi (fammi ... vaso) della tua virtù poetica (valor)
per questa ultima fatica (a l’ultimo lavoro), quanto è richiesto (come dimandi)
per conquistare il desiderato alloro poetico.
Fin qui mi è stata sufficiente (assai mi fu) una vetta sola del Parnaso;
ma ora mi è necessario (m’è uopo) affrontare (intrar) con l’aiuto
di entrambe (con amendue) la prova che ancora resta (l’aringo rimaso).
Entra nel mio cuore, e ispirami tu con quella
stessa intensità (sì, così) come quando tirasti fuori
Marsia dal rivestimento (vagina) della sua pelle.
O sacra virtù, se mi aiuti e assecondi (se mi ti presti)
così che io possa esprimere (manifesti) almeno una vaga immagine (ombra)
del luogo santo rimasta impressa (segnata) nella mia mente,
mi vedrai venire ai piedi del tuo albero amato,
e farmi corona con le foglie di cui la materia
e la tua arte mi avranno reso degno.
Così di rado, o padre, si colgono foglie d’alloro (se ne coglie)
per il trionfo di un imperatore (cesare) o di un artista,
(e questa è) colpa e vergogna dei bassi appetiti umani,
che quando la pianta di Dafne (fronda peneia) desta il desiderio (di sé asseta)
di qualcuno, tale fatto dovrebbe generare (parturir … dovria) letizia
nella gioiosa divinità di Delfi.
Una piccola scintilla può provocare (seconda) un grande incendio:
forse dopo di me con maggior virtù poetica (miglior voci)
si invocherà per chiedere l’aiuto di Apollo (perché Cirra risponda).
Il sole (la lucerna del mondo) sorge per gli uomini da diversi punti dell’orizzonte (foci);
ma quando esce da quel punto che (da quella che)
unisce quattro cerchi con tre croci, (il sole) è in congiunzione
con la stagione (corso) e con la costellazione più favorevole,
e plasma e modella (tempera e suggella) meglio secondo
le sue influenze (più a suo modo) la materia terrena.
Il sole (tal foce) aveva portato la mattina in
quell’emisfero (là) e la notte in questo, e quella parte
del cielo era quasi tutta chiara, mentre questa era
ormai scura, quando mi accorsi che Beatrice si
era voltata sul lato sinistro a guardare il sole: mai (unquanco)
un’aquila poté fissarlo così (a lungo e intensamente).
E come un raggio riflesso (secondo) si stacca sempre (suole uscir) dal primo
per dirigersi verso l’alto, proprio come il pellegrino che vuole
ritornare, così al suo atteggiamento, giunto alla mia
mente (infuso ne l’imagine mia) attraverso gli occhi,
io conformai il mio, e fissai lo sguardo al sole più a
lungo di quanto siamo abituati (oltre nostr’uso).
In quel luogo sono possibili (è licito) alle nostre capacità
molte più cose che qui (in questo emisfero),
in grazia del luogo creato appositamente per la razza umana.
Io non ressi a lungo (la vista del sole), ma neppure così poco
da non veder risplendere tutto lo spazio intorno, come quando il
ferro esce incandescente (bogliente) dal fuoco; e
improvvisamente sembrò raddoppiarsi la luce del
giorno, come se Dio onnipotente (quei che puote)
avesse adornato il cielo di un secondo sole.
Beatrice era con lo sguardo completamente
assorto (tutta … fissa) negli eterni cieli ruotanti (rote);
e io, distolto (rimote) lo sguardo dal sole, fissai in lei i miei occhi.
E nel guardarla (Nel suo aspetto) mi sentii nel mio intimo
diventare come Glauco quando gustò quell’erba
che lo rese fratello (consorto) delle altre divinità del mare.
Non si può (non si poria) spiegare a parole (per verba) il trasumanare;
quindi (però) sia sufficiente l’esempio (di Glauco) a colui al quale
la Grazia di Dio riserva l’esperienza diretta.
Dio d’amore che reggi l’universo, tu solo sai se io in quel
momento fossi solo quella parte di me che avevi creato per ultima,
tu che con la tua grazia (tuo lume) mi sollevasti (al cielo).
Quando il moto celeste (rota) che tu rendi eterno con il desiderio di te (desiderato)
attirò la mia attenzione (a sé mi fece atteso) con la sua armonia
che tu regoli e moduli (temperi e discerni), mi sembrò
che la luce del sole avesse infiammato
uno spazio di cielo tanto esteso,
che mai una pioggia o un fiume formarono un lago così grande.
L’insolita dolcezza della musica e la grandiosità della luce
accesero in me un desiderio, mai sentito così forte (di contanto acume),
di conoscere la loro origine (cagion).
Pertanto Beatrice, che vedeva in me come io stesso,
per tranquillizzare la mia anima turbata (commosso),
aprì la bocca prima ancora che lo facessi io per domandare,
e iniziò (a dire): «Tu da solo ti rendi ignorante (grosso) con le tue errate
supposizioni (falso imaginar), così che non ti accorgi di ciò
che potresti vedere se le avessi rimosse.
Non sei più in terra, come credi; ma un fulmine,
allontanandosi dal suo luogo d’origine, non fu mai
veloce come te, che stai tornando al tuo».
Se venni liberato (disvestito) da quel primo
interrogativo grazie a queste poche sorridenti parole,
fui ancor più impigliato (inretito) in un secondo
dubbio, e dissi: «Già sono acquetato e soddisfatto (contento requïevi)
riguardo al primo grande stupore (ammirazion);
ma ora mi stupisce il fatto che io possa salire (trascenda) attraverso l’aria (corpi levi)».
Ed ella, dopo aver sospirato con paziente pietà (pïo sospiro),
rivolse verso di me lo sguardo
con l’atteggiamento di una madre verso il figlio che
delira (deliro), e cominciò (a dire): «Tutte le creature
sono in un rapporto ordinato fra di loro, e questa è
l’essenza (forma) che rende l’universo simile a Dio.
In questo ordine (Qui) le creature superiori (l’alte)
vedono il segno (orma) della virtù divina, la quale
è il fine per cui l’ordine qui dichiarato (la toccata norma) è stato creato.
A questa ordinata struttura di cui ho parlato tendono (sono accline)
tutte le cose, ognuna nella propria particolare condizione (per diverse sorti),
più o meno vicine alla loro origine; e da qui (onde)
si dirigono alle loro singole mete attraverso
il grande mare dell’esistenza, e ogni essere ha in
sé un istinto a lui assegnato affinché lo guidi.
È questo istinto che dirige il fuoco verso il
cielo della Luna, lo stimolo vitale (permotore) negli
esseri mortali, il principio che compatta e unisce
(stringe e aduna) la terra; e questo istinto dirige
(quest’arco saetta) non solo le creature irrazionali,
ma anche quelle che possiedono ragione e volontà.
La Provvidenza divina, che preordina tanta perfezione,
appaga costantemente (fa … sempre quïeto) con la sua luce quel cielo (l’Empireo),
dentro al quale gira il cielo più veloce;
e adesso è lì, luogo a noi stabilito (sito decreto),
che ci sta portando (cen porta) la forza di quell’arco (corda)
che dirige sempre a un fine felice tutto ciò che lancia.
È però vero che, come molte volte (fïate) l’opera (forma)
non rispecchia (non s’accorda) l’intento dell’artista,
perché la materia grezza non sa (è sorda) corrispondere a esso,
così dalla strada naturale (da questo corso) a volte la creatura si allontana (si diparte),
che pur dotata di questo istinto (così pinta) ha la capacità
di deviare in altre direzioni (di piegar);
e come è possibile vedere scendere da una nuvola il fulmine,
così la primitiva inclinazione porta verso terra (atterra)
l’uomo deviato (torto) da piaceri effimeri.
E dunque, se penso giusto, non devi più
stupirti del tuo salire, se non come di un fiume che
dall’alto di un monte scende in giù verso il basso (ad imo).
Sarebbe invece motivo di meraviglia se,
libero da ogni ostacolo, tu fossi rimasto giù, come
in un fuoco vivace il rimanere fermo in terra (a terra quïete)».
Poi volse nuovamente lo sguardo (il viso) verso il cielo.



🧞 Continua a leggere su Scuolissima.com
Cerca appunti o informazioni su uno specifico argomento. Il nostro genio li troverà per te.




© Scuolissima.com - appunti di scuola online! © 2012 - 2024, diritti riservati di Andrea Sapuppo
P. IVA 05219230876

Policy Privacy - Cambia Impostazioni Cookies