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Purgatorio Canto 27 - Parafrasi

Appunto di italiano riguardante la parafrasi del canto ventisettesimo (canto XXVII) del Purgatorio della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Lia, illustrazione di Gustave Doré

Un angelo invita i poeti ad attraversare un parete di fiamme; Virgilio vince la paura di Dante dicendogli che oltre quelle fiamme troverà Beatrice. Davanti alla scala per il paradiso Terrestre, l'Angelo della Castità cancella l'ultima P dalla fronte di Dante. Cala la notte, e Dante sogna Lia che raccoglie dei fiori. All'alba Virgilio dichiara Dante guarito dai suoi mali.

In questa pagina trovate la parafrasi del Canto 27 del Purgatorio. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.



Parafrasi

Il sole occupava la stessa posizione (sì stava il sole)
che assume quando irradia (vibra) i suoi primi raggi
là dove Cristo (il suo fattor, il suo creatore) sparse il suo sangue (cioè a Gerusalemme),
mentre il fiume Ebro (Ibero) si trova sotto la costellazione della Libra
e le acque del Gange sono riarse dal mezzogiorno (da nona);
perciò il giorno tramontava allorché l’angelo di Dio apparve radioso.
Stava sul ciglio della cornice, fuori dalle fiamme e cantava:
‘Beati i puri di cuore!’ con una voce molto
più armoniosa di quella umana (la nostra).
Poi aggiunse non appena ci avvicinammo a lui:
«Non si può andare oltre, anime sante,
se prima il fuoco non vi fa sentire il morso ardente (non morde):
entrate in esso e prestate attenzione al canto che proviene dall’altra parte delle fiamme (di là)»;
perciò, non appena udii le sue parole, divenni simile a colui
che viene calato nella fossa (cioè, pallido come un cadavere).
Con le mani protese in avanti mi sporsi,
guardando le fiamme e immaginando con tremenda
lucidità (forte) corpi umani visti in terra (già) arsi vivi.
Le mie buone guide (scorte) si volsero verso
di me; e Virgilio mi disse: «Figliuolo mio, qui in Purgatorio
ci può essere solo tormento, ma non morte.
Ricordati, ricordati! E se io ti guidai portandoti in
salvo persino sulla groppa (sovresso) di Gerione,
che cosa non farò adesso che siamo ancora più vicino a Dio?
Credi pure con certezza che, anche se tu rimanessi
nel seno (alvo) di questa fiamma per mille anni,
non ti potrebbe privare (far calvo) di un solo capello.
E se tu forse pensi che ti voglia ingannare,
avvicinati verso (ver’) di essa e fattene dare prova (far credenza)
accostando con le tue mani un lembo della tua veste.
Deponi ormai, deponi ogni timore; volgiti da questa parte
e vieni dietro a me: entra nel fuoco con sicurezza!».
E io continuavo a restare fermo e sordo al monito della coscienza.
Quando Virgilio vide che continuavo a stare
immobile e ostinato, disse un po’ turbato: «Pensa
figliolo: solo questo muro si frappone ormai fra te e
Beatrice». Come Piramo in punto di morte aprì gli
occhi sentendo il nome di Tisbe, e la guardò intensamente,
e da quel momento il gelso divenne rosso;
così, ammorbidita (fatta solla) la mia ostinazione, mi
volsi alla saggia guida, sentendo pronunciare il nome
che sempre riaffiora (rampolla) nella mia mente.
Per questa ragione Virgilio scrollò il capo
e disse: «E dunque! Vogliamo ancora starcene da
questa parte?»; poi sorrise come si fa col fanciullo
che si lascia convincere da una ricompensa (al pome).
Poi mi precedette, entrando nel fuoco, pregando Stazio,
che ci aveva separati per un lungo tratto di strada, di stare dietro a me.
Non appena fui dentro al fuoco, mi sarei gettato
nel vetro incandescente per rinfrescarmi, tanto
era smisurato (sanza metro) il calore (lo ’ncendio) là dentro (ivi).
Il mio dolce padre, per confortarmi,
parlava continuamente (pur) di Beatrice,
dicendo: «Mi pare già di vedere gli occhi suoi».
Ci guidava una voce che cantava al di là del muro di fuoco;
E noi attenti solo (pur) a lei, uscimmo dalla fiamma
Nel punto (là) in cui c’era la scala per salire.
‘Venite, benedetti del Padre mio’, risuonò una
voce dentro a una luce che era lì, così abbagliante (tal)
che vinse la mia capacità visiva e non riuscii a guardarla.
«Il sole sta tramontando», soggiunse, «e
viene la sera: non fermatevi, ma sollecitate (studiate)
i passi, finché il cielo occidentale non si oscurerà del tutto».
Il sentiero scavato nella roccia saliva diritto,
rivolto verso levante, sicché io (col corpo) interrompevo
i raggi del sole davanti a me, che già era basso sull’orizzonte.
E facemmo in tempo a saggiare pochi gradini (scaglion),
quando io e le mie guide ci accorgemmo
che il sole era tramontato alle nostre spalle.
E prima che l’orizzonte in tutta la volta celeste (le sue parti immense)
fosse diventato di un unico colore
e la notte avesse sparso le tenebre in tutte le zone del cielo (tutte sue dispense),
ciascuno di noi si distese su un gradino;
poiché la legge (natura) della montagna ci tolse (affranse)
la forza di salire ancora (più) e il desiderio di farlo.
Come stanno tranquille (manse, mansuete) ruminando le capre,
che sono state fameliche (rapide) e irrequiete (proterve)
sulle cime del monte, prima di essere sazie (pranse),
e ora tacite, all’ombra, finché il sole brucia (ferve),
sorvegliate dal pastore, che si è appoggiato al bastone (’n su la verga)
e assicura (serve) loro un po’ di riposo; e come il mandriano,
che si accampa fuori dall’abitato (fori alberga),
trascorre la notte accanto al suo gregge (lungo il pecuglio),
vigilando che qualche fiera non lo disperda (sperga);
allo stesso modo ce ne stavamo allora tutti e tre,
io come una capra ed essi come i pastori,
chiusi da una parte e dall’altra da un’alta parete di roccia (grotta).
Da lì si poteva scorgere solo una piccola parte di cielo (di fori);
ma, attraverso quel poco spazio, io vedevo le stelle più luminose
e più grandi del loro solito (lor solere).
Così ripensando alle cose vedute (ruminando) e
fissando intensamente le stelle, fui preso dal sonno;
quel sonno che spesso, prima che accada l’evento, lo preannuncia (sa le novelle, cioè ne conosce la notizia, ne annuncia l’avvenimento).
Nell’ora, come io credo, in cui da oriente Venere (Citerea),
che appare sempre ardente d’amore,
cominciò a mandare i suoi primi raggi (prima raggiò) sulla montagna,
mi parve di vedere in sogno una donna giovane e bella
camminare per un’aperta distesa (landa)
cogliendo fiori; e cantando diceva:
«Sappia chiunque (qualunque) chieda il mio nome,
che io sono Lia e vado muovendo intorno
le belle mani per farmi una ghirlanda (di fiori).
Qui mi adorno per piacere a me stessa nello specchio,
ma mia sorella (suora) Rachele non si distrae mai
dal suo specchio (mai non si smaga dal suo miraglio) e tutto il giorno vi siede davanti.
Ella è così desiderosa di contemplare i suoi begli occhi
come io sono desiderosa di adornarmi con le mani;
la contemplazione appaga lei e me l’operare».
E già per il chiarore dell’alba (splendori antelucani),
che si leva tanto più gradita ai pellegrini,
quanto più, nel viaggio di ritorno (tornando),
si trovano (albergan, sostano) meno lontani (dalla loro casa),
le tenebre si dileguavano da ogni parte e con esse il mio sonno;
per cui io mi alzai vedendo i miei grandi maestri già in piedi.
«Quel dolce frutto (pome) che in tanti modi (rami)
vanno cercando con affannosa sollecitudine (cura) i mortali,
oggi placherà (porrà in pace) tutti i tuoi desideri (fami)».
Virgilio rivolse a me queste parole così solenni (cotali);
e non ci furono mai doni augurali (strenne)
che facessero piacere come quello che provai.
Un desiderio così forte di essere in cima si aggiunse al desiderio di prima,
che da quel momento (poi) a ogni passo sentivo
crescere la lena alla ripida salita (al volo … le penne).
Quando fu percorsa (corsa) tutta la scala
ormai sotto di noi e fummo sullo scalino più alto (superno),
Virgilio fissò intensamente i miei occhi e disse:
«O figlio, hai visto le pene (foco) temporanee e quelle eterne (cioè: il Purgatorio e l’Inferno);
e sei giunto in un luogo dove io con le mie facoltà (per me)
non posso distinguere oltre il cammino.
Ti ho condotto fin qui con gli insegnamenti della ragione (ingegno)
e con l’arte di metterli in pratica (arte);
ormai puoi prendere la tua volontà (lo tuo piacere) come guida;
sei fuori dalle vie ripide, sei fuori dalle vie strette (vie … arte).
Vedi il sole che ti splende sulla fronte; vedi l’erba tenera,
i fiori e gli arboscelli che qui la terra produce spontaneamente (sol da sé).
Fino a quando giungeranno gioiosi quegli occhi belli (di Beatrice)
che, piangendo, mi convinsero a venire in tuo soccorso (a te),
puoi sederti e puoi andare fra essi (gli alberi e i fiori).
Non aspettare più le mie parole né i miei cenni;
la tua volontà (tuo arbitrio) è ormai libera da ogni tentazione,
rivolta al bene e integra, ed errore (fallo) sarebbe (fora) non assecondarla (fare a suo senno):
perciò io ti proclamo signore e guida (corono e mitrio) di te stesso (sovra te)»



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