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Purgatorio Canto 13 - Parafrasi

Appunto di italiano riguardante la parafrasi del canto tredicesimo (canto XIII) del Purgatorio della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Gli invidiosi, illustrazione di Gustave Doré

Siamo nella seconda cornice, dove spiriti volanti e invisibili gridano esempi di carità e invidia punita agli invidiosi che, seduti col cilicio e le palpebre cucite da fil di ferro, cantano litanie dei Santi; tra essi la senese Sapia.

In questa pagina trovate la parafrasi del Canto 13 del Purgatorio. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.



Parafrasi

Noi eravamo giunti in cima alla scala dove il monte,
che purifica dal peccato (dismala) chiunque (altrui) lo salga,
è tagliato (si risega) per la seconda volta (secondamente).
Qui infatti una cornice gira intorno (lega dintorno)
alla montagna, come la prima (primaria);
ma con la differenza che la sua curva (l’arco) si volge (piega) più presto (tosto).
Non vi è ombra né immagine scolpita che si mostri alla vista (si paia):
si vede (parsi) liscia (schietta) sia la parete che il pavimento,
dello stesso colore scuro della roccia.
«Se qui si sta fermi ad aspettare gente per chiedere informazioni»,
diceva Virgilio, «io temo che la nostra scelta (eletta)
dovrà forse subire troppo ritardo (d’indugio)».
Poi rivolse intensamente (fisamente) gli occhi verso il sole;
per muoversi fece perno (centro) del lato destro
e fece ruotare (torse) la parte sinistra del corpo.
«O dolce luce, confidando nella quale (a cui fidanza) io mi avvio
per questo cammino mai percorso, guidaci»,
diceva, «come è necessario (si vuol) esser guidati in questo regno.
Tu infondi calore nel mondo, tu brilli (luci) su di esso;
se qualche altra ragione non si oppone (in contrario non ponta) a ciò,
i tuoi raggi devono essere sempre nostra guida (duci)».
Nella seconda cornice avevamo percorso (eravam … iti)
già tanta strada quanto sulla terra (di qua) è valutato (si conta) per un miglio,
in poco tempo, per il nostro vivo desiderio (per la voglia pronta) di procedere;
quando si sentirono volare verso di noi,
ma a noi invisibili, spiriti che pronunciavano (parlando)
inviti cortesi alla mensa dell’amore.
La prima voce che passò volando gridò forte:
‘Non hanno vino’, e andò ripetendo (reïterando)
la stessa frase alle nostre spalle.
E prima che cessasse di essere udita
per via della lontananza (per allungarsi), un’altra voce passò gridando: ‘Io sono Oreste’,
e neppure questa si fermò (s’affisse).
«Oh!» dissi io «padre, che cosa significano queste voci?»
E appena ebbi fatto questa domanda, ecco la terza voce
che diceva: ‘Amate coloro da cui avete ricevuto del male’.
E il buon maestro (spiegò): «Questa cornice (cinghio) punisce (sferza)
la colpa dell’invidia, e per questo le corde della frusta (ferza)
sono tratti dall’amore.
Il freno (all’invidia) dev’essere offerto dalle voci (suono) che gridano esempi opposti (contrario):
credo che potrai accorgertene, secondo il mio parere,
prima di arrivare al punto (passo) del perdono.
Ma concentra bene (ficca ... ben fiso) lo sguardo attraverso l’aria,
e vedrai anime sedute davanti a noi,
e ciascuna siede appoggiandosi alla parete rocciosa (grotta)».
Allora osservai più attentamente di prima;
guardai davanti a me, e vidi anime coperte da mantelli
dello stesso colore livido della roccia.
E quando fummo giunti un poco più avanti,
sentii gridare: ‘Maria, prega (òra) per noi’:
udii invocare ‘Michele’ e ‘Pietro’ e ‘Tutti i santi’.
Non credo che sulla terra viva oggi (ancoi)
un uomo così insensibile (duro) da non essere compunto
dalla pietà di fronte a ciò che vidi poi;
infatti quando giunsi tanto vicino a loro
da poter chiaramente distinguere (venivan certi) i loro atteggiamenti,
a causa del profondo dolore mi sgorgavano lacrime (fui ... munto) dagli occhi.
Mi apparivano ricoperte di un rozzo cilicio
e ognuna di esse sosteneva (sofferia) l’altra con la spalla
e tutti erano sostenuti dalla parete del monte.
Così i ciechi, a cui manca (falla) il sostentamento (la roba),
stanno davanti alle chiese nei giorni delle feste religiose (perdoni) a chiedere l’elemosina (bisogna),
e l’uno appoggia (avalla) il capo sulla spalla dell’altro,
affinché si susciti (si pogna) subito la pietà nella gente,
non solo col tono (sonar) delle parole,
ma anche per l’aspetto (vista) che implora (agogna) non meno (della voce).
E come ai ciechi non giunge (approda) la luce del sole,
così alle anime che erano qui, di cui io ora parlo,
la luce del cielo non vuole concedere (largir) se stessa;
perché un fil di ferro attraversa (fóra)
e cuce le palpebre degli occhi (cigli), come è consuetudine fare
con uno sparviero indocile, perché (però) non sta tranquillo.
A me sembrava, mentre camminavo, vedendo quelle anime
che non sapevano di essere osservate, di offenderle;
per cui io mi rivolsi al mio saggio consigliere (consiglio).
Egli sapeva perfettamente che cosa significasse il mio cenno muto;
perciò non aspettò la mia richiesta, ma disse:
«Parla pure, ma sii conciso e chiaro».
Virgilio camminava al mio fianco (mi) da quella parte (banda)
della cornice da cui si può precipitare,
perché non è cinta (s’inghirlanda) da alcun argine;
dall’altra parte si trovavano le anime in atteggiamento
di preghiera (divote), le quali attraverso l’orribile cucitura (costura) (degli occhi)
spingevano fuori (le lacrime) tanto da farle scorrere lungo le gote.
Mi rivolsi a loro e incominciai a dire:
«O anime ormai certe di vedere l’alta luce di Dio,
che è l’esclusivo oggetto del vostro desiderio (cura),
possa presto la grazia divina dissolvere (resolva) le impurità (schiume)
della vostra coscienza, in modo che, attraverso di essa,
possa scendere limpido il fiume della memoria (mente),
ditemi, poiché mi sarà gradito (grazioso) e prezioso,
se qui tra voi c’è un’anima che sia italiana (latina);
e forse per lei sarà vantaggioso che io lo apprenda (l’apparo)».
«O fratello mio, ognuna di noi è ormai cittadina
della vera città (celeste); ma tu vuoi dire che vivesse in Italia,
durante la transitoria vita terrena (peregrina)».
Mi sembrò di udire queste parole in risposta alle mie
un po’ più avanti del punto in cui mi trovavo,
per cui mi feci sentire più in là.
Tra le altre distinsi un’anima che mostrava (in vista)
un atteggiamento di attesa; e se qualcuno mi chiedesse ‘Come?’,
(risponderei che) sollevava il mento in alto, come (a guisa) suole fare il cieco.
«O spirito», dissi io, «che ti mortifichi (ti dome) per salire al cielo,
se tu sei colui che mi ha risposto,
renditi riconoscibile a me (fammiti conto) o rivelandomi il tuo nome o quello della tua patria».
«Io fui di Siena», rispose, «e insieme con queste altre anime
io qui faccio ammenda (rimendo) alla mia vita peccaminosa (ria),
supplicando in lacrime Dio che ci conceda la sua visione (sé ne presti).
Non fui saggia, sebbene (avvegna che) mi chiamassi Sapìa,
e fui assai più lieta delle sciagure altrui
che della mia buona fortuna (ventura).
E affinché tu non creda che io ti dica cose false,
ascolta e giudica se io fui, come ti dico, stolta,
quando già avevo superato l’età matura (discendendo l’arco d’i miei anni).
I miei concittadini si erano scontrati in battaglia
con i loro nemici nei pressi di Colle (di Val d’Elsa),
e io pregavo Dio perché accadesse ciò che in realtà egli volle.
In quel luogo (i miei concittadini) furono sconfitti (Rotti) e costretti (vòlti)
agli umilianti passi della fuga; e io vedendo l’inseguimento (caccia),
provai una gioia non paragonabile a qualsiasi altra (a tutte altre dispari),
tanto che rivolsi il viso temerario (l’ardita) al cielo,
gridando a Dio: ‘Ormai non ti temo più!’,
come fece il merlo illuso da un breve periodo di bel tempo (bonaccia).
Alla fine della mia vita volli
riconciliarmi con Dio; e ancora il mio debito
di penitenza (nell’Antipurgatorio) non sarebbe espiato (scemo),
se non fosse accaduto che Pier Pettinaio,
a cui dispiacque (increbbe) la mia condizione (di me),
si ricordasse di me (memoria m’ebbe) nelle sue sante preghiere.
Ma tu chi sei che vai chiedendo delle nostre condizioni,
e hai gli occhi non cuciti (sciolti) e
parli respirando, così come io intuisco?».
«Anche a me», dissi, «un giorno sarà qui tolta la vista,
ma per poco tempo, perché leggera (poca) è l’offesa
fatta a Dio per essersi rivolti (a guardare gli altri) con invidia.
Assai maggiore (troppa) è la paura da cui è turbata
la mia anima del tormento della cornice precedente (di sotto),
che già mi sembra di sentire il peso (’ncarco) che grava sulle anime di laggiù».
Ed ella a me: «Chi ti ha dunque guidato quassù
fra noi, se ritieni di dover ritornare giù?».
E io: «Costui che è con me e che non parla (fa motto).
E sono vivo; e perciò chiedimi,
spirito destinato alla salvezza (eletto), se tu desideri che io nel mondo (di là)
vada a cercare (mova ... li mortai piedi) qualcuno (che preghi) per te».
«Oh, questa è una cosa così straordinaria (nuova) da udirsi»,
rispose, «che è grande prova dell’amore di Dio per te;
perciò qualche volta aiutami con le tue preghiere (priego).
E ti chiedo (chieggioti), in nome di ciò che più desideri,
se mai dovessi percorrere la terra di Toscana,
che tu rinnovi il mio ricordo (rinfami) con buone parole ai miei congiunti (propinqui).
Tu li troverai fra quella gente (i Senesi) sciocca (vana)
che spera nel porto di Talamone, e vi perderà
più speranza che nei tentativi di trovare il fiume Diana;
ma più di tutti perderanno (le speranze) gli ammiragli».



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