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Inferno Canto 22: analisi, commento, figure retoriche

Spiegazione, analisi e commento degli avvenimenti del ventiduesimo canto dell'Inferno (Canto XXII) della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Alichino insegue Ciampolo di Navarra, illustrazione di Gustave Doré

In questo canto, Dante, mentre si trova scortato dai dieci diavoli, viene richiamato da Ciampòlo di Navarra che gli indica gli altri dannati (frate Gomita e Michele Zanche). Il dannato che sta per essere punito dai diavoli per aver disubbidito riemergendo dalla pece, si rituffa repentinamente dentro, e i diavoli che si accusano a vicenda per non essere riusciti ad acciuffarlo cadono entrambi in essa. I due poeti approfittano della situazione caotica per allontanarsi.



Analisi del canto

Il canto di Ciampolo
Il canto riprende da dove il precedente ci aveva lasciato, con la farsa della grottesca pattuglia di diavoli che danno inizio al "terzo atto" della "commedia dei diavoli". Tutto ruota intorno alla figura del dannato Ciampolo, che inizialmente subisce le violenze dei diavoli, poi diventa poi si prende la scena dialogando con Virgilio e Dante, e infine si toglie anche la soddisfazione di sfidare e ingannare i diavoli, cioè gli stessi personaggi che agiscono tramando imbrogli (come quello verso Dante e Virgilio riguardo la via da percorrere per raggiungere la bolgia successiva).
La chiusura del canto adotta lo schema tipico della rappresentazione popolare caratterizzato dalla beffa e dell'inganno comico.
Ciampolo è un personaggio che non ha rilevanza storica e rappresenta tutta la categoria dei barattieri e in questo canto si fa riconoscere per la sua astuzia nell'arte dell'inganno.
Dei barattieri non ci viene detto molto, ad eccezione che si vedono solamente alcune parti del loro colpo ma non i loro volti. Quindi Ciampolo è l'unico che vediamo uscire dalla pece e afferma che ce ne siano altri insieme a lui e nomina il frate gaudente Gomita e il politico Michele Zanche, ma conoscendo la sua inaffidabilità potrebbe anche aver mentito su questo. 



Malizia, ludo, buffa
All'interno del canto vi sono tre vocaboli che hanno un significato più ampio di quanto si possa pensare: malizia (v. 107), ludo (v. 118), buffa (v. 133). La malizia simboleggia le colpe dei barattieri: in vita imbrogliavano il prossimo per mezzo delle loro cariche pubbliche e adesso devono subire gli inganni dei diavoli. Il ludo (gioco) fa riferimento al rapporto inappropriato fra guardiani e dannati che viene descritto come un gioco. La buffa (beffa) rappresenta il dinamismo della narrazione dove i diavoli che inizialmente godevano di una posizione forte ed erano quelli che avevano pianificato l'inganno per primi nei confronti di Dante e Virgilio e non vedevano l'ora di gustarselo, si sono ritrovati ingannati da Ciampolo, uno dei dannati, e quindi sono stati fregati al loro stesso gioco.


Lo stile
Per narrare la commedia dei diavoli, e in particolare in questo canto, Dante utilizza tecniche narrative e forme espressive per richiamare l'attenzione del lettore: uso le similitudini, detti proverbiali (ne la chiesa coi santi, e in taverna coi ghiottoni - Tra male gatte era venuto 'l sorco) e ricrea scene di battaglia e tornei ma in stile grottesco (la marcia dei diavoli).




Commento

Il canto ha un inizio vivacissimo e divertito, ma al divertimento dell'autore si contrappone l'atteggiamento rassegnato del personaggio, a cui non resta altra scelta che seguire gli inaffidabili compagni di strada (noi andam con li diece demoni). L'esclamazione e la battuta scherzosa di sapore proverbiale trasmettono un clima di familiarità tra autore e pubblico sottolineandone la continuità del tono comico della commedia con l'episodio precedente, di cui si ripropongono l'ambientazione e i personaggi. La pece bollente svela finalmente allo sguardo attento di Dante il suo contenuto di peccatori, di cui però si intravedono solo i movimenti del corpo, rapidi e furtivi, in modo che non potessero essere visti in volto e riconosciuti. Da qui il paragone con gli animali (rana, lontra, sorco), un'altra forma proverbiale, per rafforzare il linguaggio popolare.
Uno dei dannati sembra finalmente assumere fisionomia e ruolo di personaggio: con lui Virgilio, secondo uno schema già visto nei precedenti canti, intrattiene un colloquio che permetterà di identificare alcuni peccatori.
Se il dannato, a parole, da perfetto barattiere, sembra disposto a soddisfare le richieste di Dante e Viriglio ed esibisce i propri servizi (se voi volete... Toschi o Lombardi), con la mente stimolata dalla paura, è già teso a cercare un modo per sottrarsi ai suoi aguzzini (i diavoli).



Le figure retoriche

Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del ventiduesimo canto dell'Inferno. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 22 dell'Inferno.


Quando con trombe, e quando con campane, con tamburi e con cenni di castella, e con cose nostrali e con istrane = enumerazione (vv. 7-9).

E con cose nostrali e con istrane = allitterazione della "c" (v. 9).

Di stella = sineddoche (v. 12). La part

e per il tutto, "stella" invece di "cielo".

Ma ne la chiesa coi santi, e in taverna coi ghiottoni = ellissi (vv. 14-15). Nei due versi manca "si sta", cioè "ma in chiesa si sta coi santi, nella taverna con i furfanti".

Come i dalfini, quando fanno segno a’ marinar con l’arco de la schiena, che s’argomentin di campar lor legno, talor così, ad alleggiar la pena, mostrav’alcun de’ peccatori il dosso e nascondea in men che non balena = similitudine (vv. 19-24). Cioè: "Come i delfini, quando emergono con la schiena e indicano ai marinai che devono salvare la loro imbarcazione (da una tempesta), così similmente, per alleviare la loro pena, alcuni peccatori mostravano il dorso fuori della pece, e si nascondevano in men che non si dica.".

E come a l’orlo de l’acqua d’un fosso stanno i ranocchi pur col muso fuori, sì che celano i piedi e l’altro grosso, 27 sì stavan d’ogne parte i peccatori = similitudine (vv. 25-28). Cioè: "E come i ranocchi stanno a pelo d'acqua in un fosso, col muso fuori e nascondendo le zampe e il resto del corpo, così stavano i peccatori da ogni parte".

Legno = sineddoche (v. 21). La parte per il tutto, legno invece di nave.

I bollori = metonimia (v. 30). Il contenente per il contenuto, bollori invece di pece bollente.

Uno aspettar così, com’elli ’ncontra ch’una rana rimane e l’altra spiccia = similitudine (vv. 32-33). Cioè: "un dannato che esitava, proprio come quando una rana resta fuor d'acqua e un'altra si immerge velocemente in essa".

E trassel sù, che mi parve una lontra = similitudine (v. 36). Cioè: "e lo tirò (l'uncino) su in un modo tale da sembrarmi una lontra".

Avversari suoi = anastrofe (v. 45). Cioè: "suoi avversari".

I’ fui del regno di Navarra nato = iperbato (v. 48). Cioè: "Io nacqui nel regno di Navarra".

Mia madre a servo d’un segnor mi puose = iperbato (v. 49). Cioè: "Mia madre mi mise a servizio di un signore".

Di bocca uscia d’ogne parte una sanna come a porco = similitudine (vv. 55-56). Cioè: "spuntava da ambo i lati della bocca una zanna come a un cinghiale".

Maestro mio = anastrofe (v. 61).

Che fu di là vicino = perifrasi (v. 67). Per indicare la Sardegna, isola vicino al resto dell'Italia.

Sua ferita = sineddoche (v. 77). Singolare per il plurale, perché le ferite erano più di una.

Ben suo tempo colse = anastrofe (v. 121). Cioè: "seppe ben cogliere il momento opportuno".

Non altrimenti l’anitra di botto, quando ’l falcon s’appressa, giù s’attuffa = similitudine (vv. 130-131). Cioè: "proprio come fa l'anitra di colpo, quando il falcone si avvicina e lei si tuffa in acqua, così che il rapace torna in alto stizzito per la sconfitta".

Fu bene sparvier grifagno ad artigliar = metafora (vv. 139-140). Cioè: "fu pronto a difendersi come uno sparviero adulto e ad artigliarlo".



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