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Ultimi cori per la Terra Promessa - Ungaretti: analisi e commento

Appunto di letteratura riguardante la poesia "Ultimi cori per la Terra Promessa" di Giuseppe Ungaretti: testo, spiegazione, analisi del testo, figure retoriche e commento.

La poesia "Ultimi cori per la terra promessa" è stata scritta da Giuseppe Ungaretti nel 1960 e fa parte della raccolta Il taccuino del vecchio.



Indice




Testo

Agglutinati all'oggi
I giorni del passato
E gli altri che verranno,
Per anni e lungo secoli
Ogni mattino sorpresa

Nel sapere che ancora siamo in vita,
Che scorre sempre come sempre il vivere,
Dono e pena inattesi
Nel turbinio continuo
Dei vani mutamenti.

Tale per nostra sorte
Il viaggio che proseguo,
In un battibaleno
Esumando, inventando
Da capo a fondo il tempo,
Profugo come gli altri
Che furono, che sono, che saranno.

Se nell’incastro d’un giorno nei giorni
Ancora intento mi rinvengo a cogliermi
E scelgo quel momento,
Mi tornerà nell’animo per sempre.

La persona, l’oggetto o la vicenda
O gl’inconsueti luoghi o i non insoliti
Che mossero il delirio, o quell’angoscia,
O il fatuo rapimento
Od un affetto saldo,
Sono, immutabili, me divenuti.

Ma alla mia vita, ad altro non più dedita
Che ad impaurirsi cresca,
Aumentandone il vuoto, ressa di ombre
Rimaste a darle estremi
Desideri di palpito,
Accadrà di vedere
Espandersi il deserto
Sino a farle mancare
Anche la carità feroce del ricordo?

Ma alla mia vita, ad altro non più dedita
Che ad impaurirsi cresca,
Aumentandone il vuoto, ressa di ombre
Rimaste a darle estremi
desideri do palpito,
Accadrà di vedere
Espandersi il deserto
Sino a farle mancare
Anche la carità feroce del ricordo?

Quando un giorno ti lascia,
Pensi all’altro che spunta.

È sempre pieno di promesse il nascere
Sebbene sia straziante
E l’esperienza di ogni giorno insegni
Che nel legarsi, sciogliersi e durare
Non sono i giorni se non vago fumo.

Verso meta si fugge:
Chi la conoscerà?
Non d'Itaca si sogna

Smarriti in vario mare,
Ma va la mira al Sinai sopra sabbie
Che novera monotone giornate.


Si percorre il deserto con residui
Di qualche immagine di prima in mente,

Della Terra Promessa
Nient'altro un vivo sa.

All'infinito se durasse il viaggio,
Non durerebbe un attimo, e la morte
E' già qui, poco prima.

Un attimo interrotto,
Oltre non dura un vivere terreno:

Se s'interrompe sulla cima a un Sinai,
La legge a chi rimane si rinnova,
Riprende a incrudelire l'illusione.

Se una tua mano schiva la sventura,
Con l'altra mano scopri
Che non è il tutto se non di macerie.

E'sopravvivere alla morte, vivere?

Si oppone alla tua sorte una tua mano,

Ma l'altra, vedi, subito t'accerta
Che solo puoi afferrare
Bricioli di ricordi.

Sovente mi domando
Come eri ed ero prima.

Vagammo forse vittime del sonno?

Gli atti nostri eseguiti
Furono da sonnambuli, in quei tempi?

Siamo lontani, in quell'alone d'echi,
E mentre in me riemergi, nel brusio
Mi ascolto che da un sonno ti sollevi
Che ci previde a lungo.

Ogni anno, mentre scopro che Febbraio
E' sensitivo e, per pudore, torbido,
Con minuto fiorire, gialla irrompe
La mimosa. S'inquadra alla finestra
Di quella mia dimora d'una volta,
Di questa dove passo gli anni vecchi.

Mentre arrivo vicino al gran silenzio,
Segno sarà che niuna cosa muore
Se ne ritorna sempre l'apparenza?

O saprò finalmente che la morte
Regno non ha che sopra l'apparenza?

Le ansie che mi hai nascoste dentro gli occhi,
Per cui non vedo che irrequiete muoversi
Nel tuo notturno riposare, sola
Le tue memori membra,
Tenebra aggiungono al mio buio solito,
Mi fanno più non essere che notte,
Nell’urlo muto,notte.

E'nebbia, acceca vaga, la tua assenza,
E'speranza che logora speranza,

Da te lontano più non odo ai rami
I bisbigli che prodigano foglie
con ugole novizie
Quando primaverili arsure provochi
nelle mie fibre squallide.

L'Ovest all'incupita spalla sente
Macchie di sangue che si fanno larghe,
Che, dal fondo di notti di memoria,
Recuperate, in vuoto
S'isoleranno presto,
Sole sanguineranno.

Rosa segreta, sbocci sugli abissi
Solo ch'io trasalisca rammentando
Come improvvisa odori

Mentre si alza il lamento.
L'evocato miracolo mi fonde
La notte allora nella notte dove
Per smarrirti e riprenderti inseguivi,
Da libertà di pili
In pili fatti roventi,
L'abbaglio e 1'addentare.

Somiglia a luce in crescita,
Od al colmo, l'amore..

Se solo d'un momento
Essa dal Sud si parte,
Già puoi chiamarla morte.

Se voluttà li cinge,
In cerca disperandosi di chiaro
Egli in nube la vede
Che insaziabile taglia
A accavallarsi d'uragani,. freni.

Da quella stella all'altra
Si carcera la notte
In turbinante vuota dismisura,

Da quella solitudine di stella
A quella solitudine di stella.

Rilucere inveduto d'abbagliati
Spazi ove immemorabile
Vita passano gli astri
Dal peso pazzi della solitudine.

Per sopportare il chiaro, la sua sferza,
Se il chiaro apparirà,

Per sopportare il chiaro, per fissarlo
Senza battere ciglio,
Al patire ti addestro,

Espio la tua colpa,

Per sopportare il chiaro
La sferza gli contrasto
E ne traggo presagio che, terribile,
La nostra diverrà sublime gioia!


Veglia e sonno finiscano, si assenti
Dalla mia carne stanca,
D'un tuo ristoro, senza tregua spasimo.

Se fossi d'ore ancora un'altra volta ignaro,
Forse succederà che di quel fremito
Rifrema che in un lampo ti faceva
Felice, priva d'anima?

Darsi potrà che torni
Senza malizia, bimbo?

Con occhi che non vedano
Altro se non, nel mentre a luce guizza,
Casta l'irrequietezza della fonte?

E'senza fiato, sera, irrespirabile,
Se voi, miei morti, e i pochi vivi che amo,
Non mi venite in mente
Bene a portarmi quando
Per solitudine, capisco, a sera.

In questo secolo della pazienza
E di fretta angosciosa,
Al cielo volto, che" si doppia giù
E più formando guscio, ci fa minimi
In sua balia, privi d'ogni limite,
Nel volo dall'altezza
Di dodici chilometri vedere
Puoi il tempo che s'imbianca e che diventa
Una dolce mattina,
Puoi, non riferimento
Dall'attorniante spazio
Venendo a rammentarti
Che alla velocità ti catapultano
Di mille miglia all'ora,
L'irrefrenabile curiosità
E il volere fatale

Scordandoti dell'uomo
Che non saprà mai smettere di crescere
E cresce già in misura disumana,
Puoi imparare come avvenga si assenti
Uno, senza mai fretta né pazienza
Sotto veli guardando
Fino all'incendio della terra a sera.

Mi afferri nelle grinfie azzurre il nibbio
E, all'apice del sole,
Mi lasci sulla sabbia
Cadere in pasto ai corvi.

Non porterò piu sulle spalle il fango,
Mondo mi avranno il fuoco,
I rostri crocidanti,
L'azzannare afroroso di sciacalli.

Poi mostrerà il beduino,
Dalla sabbia scoprendolo
Frugando col bastone,
Un ossame bianchissimo.

Calava a Siracusa senza luna
La notte e l'acqua plumbea
E ferma nel suo fosso riappariva,

Soli andavamo dentro la rovina,

Un cordaro si mosse dal remoto.

Soffocata da rantoli scompare,
Torna, ritorna, fuori di sé torna,
E sempre l’odo più addentro di me
Farsi sempre più viva,
Chiara, affettuosa, più amata, terribile,
La tua parola spenta.

L’amore più non è quella tempesta
Che nel notturno abbaglio
Ancora mi avvinceva poco fa
Tra l’insonnia e le smanie,

Balugina da un faro
Verso cui va tranquillo
Il vecchio capitano.



Analisi del testo e commento

I frammenti sono complessivamente 27: essi rendono chiaro il percorso del pensiero e della poesia di Ungaretti. "Ultimi cori per la Terra Promessa", nasce, a detta dello stesso autore, da un breve ritorno in Egitto nel 1951 (all'età di 64 anni) insieme a Leonardo Sinisgalli e l'ispirazione gliel'ha data il paesaggio del deserto della Necropoli di Sakkarah.

Il poeta ha sempre pensato, fin dall'infanzia, al suo paese, all'Italia, come, appunto, a una "terra promessa" (come una meta irraggiungibile e come tale sarebbe dovuta rimanere). Quando si recherà in Italia ne resterà deluso e vorrebbe tornare al deserto della sua terra natia (Alessandria d'Egitto). Lo lascia intendere nel testo quando dice "ossame bianchissimo" che potrebbe essere il suo corpo defunto ricoperto dalla sabbia bianca. La Necropoli rappresenta la fine di un viaggio per il poeta (che era iniziato per la ricerca del porto sepolto), infatti le necropoli sono un luogo di morti: un agglomerato di tombe, disposte in modo disordinato nelle vicinanze dei centri antichi.

Coro 1: In questo luogo il passato e il futuro si riuniscono in un unico istante, che è il presente, perché lo spazio e il tempo sono nascosti nelle tombe millenarie ed assumono un'altra dimensioni ed altri significati.
Ungaretti, prosegue il suo pellegrinaggio che consiste in una specie di discesa agli Inferi (col suo paesaggio sotterraneo d'oltretomba), disseppellisce il tempo e lo riporta alla luce del sole (mentre prima era nell'oblio, in silenzio, ricoperto dalla povere antica); così facendo vuole ridare al tempo una nuova forma e nuovi contorni, come se lo volesse reinventare di nuovo.
Questa concentrazione del tutto nell'istante (un "battibaleno") è più evidente nel Coro 2 dove il poeta, decide di scegliere il momento in cui egli può ritornare nel suo animo e ritrovare tutte le sue cose (la persona, l'oggetto, la vicenda, i luoghi, le sensazioni e le emozioni di angoscia e affetto) immutate, cioè rimaste invariate perché è come se il tempo fosse in lui.
Detto ciò il poeta si chiede se l'espandersi del deserto (visto come un mare di sabbia) non possa ricoprire (sommergere) tutto il paesaggio e con lui anche la carità di un ricordo. Il deserto e il mare sono legati all'immagine della morte.
Continua dicendo che quando un giorno finisce bisogna pensare positivo perché ne inizierà un altro, tuttavia è straziante pensarla in questo modo in quanto l'esperienza ci insegna che il legarsi (passato), lo sciogliersi (presente) e il durare (futuro) non esistono, cioè non sono altro che fumo che si disperde nell'aria.
Nel Coro 4 parla di una meta da raggiungere e da oltrepassare, vista come termine paesaggistico e come fine o scopo del viaggio, ma è una meta che nessuno conosce. Inoltre, nomina Itaca e quindi in un certo senso accenna all'Ulisse che rinuncia al ritorno in Patria sopraffatto dal desiderio di conoscere nuove terre e nuovi popoli, ma nomina anche il Sinai, che Mosé raggiunse dopo 3 mesi di cammino.
Il destino di Ulisse (e di Ungaretti) è sul mare, egli è cresciuto lungo il mare che lo ha portato lontano dalla sabbia nativa, poi il mare lo ha ripreso e lo ha spinto, tra bonacce e tempeste, di gente in gente, di lido in lido, di ventura in ventura.
Il mare lo riporterà in patria, sulla terraferma, alla sua casa, per rimettersi, però, ancora in viaggio e navigare, camminare, approdare, tornare e attendere, ormai "vecchio", la morte che gli verrà dal mare e dal deserto.
Ogni porto, allora, anche se sepolto (proprio come una necropoli), era una promessa, un invito, una tentazione, una sfida.
Nel Cori 5 ci dice che ha "immagini di prima in mente", cioè ricordi di esperienze vissute nel deserto.
Nel Coro 6 dice che anche se il viaggio durasse all'infinito esso sarebbe in ogni caso solo un attimo perché la nostra vita terrena è breve e presto si giunge la morte.
Nel Coro 9 fa riferimento al giorno del compleanno del poeta che mette in evidenza il tempo che passa: tutti gli anni la mimosa torna a fiorire. Nell'ultimo periodo della sua vita, dopo la morte della moglie, Ungaretti si era trasferito da via Remuria a Roma, all’Eur dalla figlia. L’immagine della mimosa fiorita ogni anno e che ritorna a fiorire è manifestata già nella sua duplice diversità di presente e di passato: la mimosa che il soggetto poetico vedeva dalla finestra della casa dove aveva abitato e la mimosa che vede ora fiorire dalla finestra della casa dove abita e dunque nel confronto tra presente e passato. Nello stesso Coro dice che si sta avvicinando al silenzio (ogni parola nasce e finisce nel silenzio) che aggiunge buio alla notte: logora la speranza e crea sensazioni di vuoto. L'oblio diventa metafora della morte.
Nel Coro 27 un vecchio capitano si dirige in direzione della luce intermittente e incerta. Questa figura umana potrebbe associata allo spirito avventuriero di chi è pronto a tutte le partenze.
Questa è una poesia drammatica e cupa, ma ci sarà per il poeta, sebbene tanto in là con gli anni, ancora una stagione d'amore.



Figure retoriche

Ripetizione = da "Ma alla mia vita" (v. 28) a "la carità feroce del ricordo" (v. 45).

Epifora = "vivere" (v.7 e v.74).

Antitesi = "dono e pena" (v. 8).

Enumerazione = da "La persona, l’oggetto o la vicenda" (v. 22) a "Od un affetto saldo" (v. 26).

Antitesi = "espandersi" (v. 34) e "mancare" (v. 35).

Epifora = "notte" (v.104, 105, 140).

Epanalessi = "La notte allora nella notte dove" (v. 124).

Epifora = "quella solitudine di stella" (v.142 e v.143).

Anafora = "per sopportare il chiaro" (v.148, v. 150, v.154).



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