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Purgatorio Canto 3 - Parafrasi

Appunto di italiano riguardante la parafrasi del canto terzo (canto III) del Purgatorio della Divina Commedia di Dante Alighieri.
I poeti vedono una moltitudine di anime, illustrazione di Gustave Doré

Dopo il rimprovero di Catone, mentre Dante e Virgilio si avviano verso il monte, il poeta latino in una lunga esortazione invita gli uomini ad accettare il mistero di cui avvertono l'esistenza: i saggi antichi che vollero spiegarlo, scontano ora nel limbo il loro folle desiderio. Mentre sostano ai piedi dell'erta (parete rocciosa), compare una schiera che avanza lentamente e verso la quale essi si dirigono per chiedere informazioni. Sono le anime di coloro che morirono nella scomunica della Chiesa, pentendosi solo in fin dì vita, e che devono restare fuori della porta del purgatorio, nella zona chiamata antipurgatorio, trenta volte il tempo durante il quale vissero scomunicati. Esse invitano i due pellegrini, a procedere davanti a loro, verso destra, mentre una si rivolge direttamente al Poeta: è lo spirito di Manfredi di Svevia, morto nella battaglia di Benevento nel 1266. Egli prega Dante di riferire alla figlia Costanza la vera storia della sua morte; ricevute le due ferite che ancora deturpano la sua figura, si affidò pentendosi, prima di morire, alla misericordia divina. Ebbe dapprima sepoltura sotto un cumulo di sassi, secondo l'uso guerriero, ma i suoi nemici guelfi; e in particolare il vescovo di Cosenza Bartolomeo Pignatelli, legato del papa Clemente IV, vollero disseppellire il suo corpo e lo abbandonarono fuori dal territorio della Chiesa (dove gli scomunicati non potevano essere sepolti), lungo le rive Garigliano. Chiede infine che Costanza preghi per lui, perché le preghiere dei vivi aiutano ed abbreviano il tempo della purificazione.

In questa pagina trovate la parafrasi del Canto 3 del Purgatorio. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.



Parafrasi

Benché (Avvegna che) la fuga improvvisa (subitana)
disperdesse (dispergesse) per la pianura le anime (color),
in direzione (rivolti) del monte verso il quale la giustizia divina (ragion) ci stimola (fruga),
io mi accostai (ristrinsi) alla fidata compagnia (fida compagna):
e come avrei potuto correre (sare’ … corso) senza di lui?
chi mi avrebbe condotto (m’avria tratto) su per la montagna?
Egli mi pareva assalito da un personale (sé stesso) rimorso:
o nobile e pura coscienza,
quanto amaro pentimento ti provoca un piccolo errore (picciol fallo)!
Quando i suoi passi rallentarono (allentar) la corsa,
che sminuisce (dismaga) il decoro (l’onestade) di ogni atto,
la mia mente, che prima era concentrata (sul rimprovero di Catone),
allargò di nuovo la sua attenzione (’ntento) come desiderosa (vaga),
e rivolsi il mio sguardo al monte (poggio) che,
più alto di tutti, emerge dall’acqua (dislaga) e si innalza verso il cielo.
Il sole, che fiammeggiava rosso (roggio) dietro di noi,
si interrompeva davanti alla mia persona (figura),
perché trovava in me ostacolo (l’appoggio) ai suoi raggi.
Io mi girai da un lato (dallato) per la paura
di essere abbandonato, quando vidi
l’ombra (la terra oscura) solo davanti a me;
e il mio conforto (Virgilio), rivolgendosi a me con tutta la persona,
cominciò a dirmi: «Perché diffidi ancora (pur)?
non credi che stia con te (teco) e che continui a guidarti?
È già l’ora del vespero là dov’è sepolto
il corpo dentro al quale io facevo ombra:
si trova a Napoli e vi fu trasportato (è tolto) da Brindisi.
Adesso, se davanti a me non si forma nessuna ombra (nulla s’aombra),
non devi stupirti più di quanto non ti stupiscano i cieli,
che non ostacolano (ingombra) il passaggio dei raggi luminosi dall’uno all’altro.
Il potere (Virtù) di Dio predispone i corpi simili
al mio a soffrire (sofferir) tormenti fisici, caldo e gelo,
e non vuole che si sveli a noi come opera.
È folle chi spera che la nostra ragione umana
possa seguire tutta (trascorrer) l’infinita via
che l’essenza di Dio, una e trina, percorre.
O gente umana, siate paghi (State contenti) di conoscere il fatto (quia);
perché se aveste potuto conoscere (veder) tutto,
non sarebbe stato necessario (mestier non era) che Maria partorisse;
e voi vedeste desiderare (disïar) senza risultati (frutto) uomini tali,
che avrebbero potuto appagare (quetato) il loro desiderio,
il quale invece è trasformato in eterna (etternalmente) pena (lutto) per loro:
io parlo di Aristotele e di Platone,
e di molti altri»; e a questo punto chinò il capo
e tacque (più non disse), e rimase turbato.
Noi arrivammo (divenimmo) intanto ai piedi della montagna;
qui trovammo la costa (roccia) così ripida,
che l’avrebbero tentata invano (indarno) anche le gambe più desiderose (pronte) di salire.
Il più solitario (diserta), il più impervio (rotta) burrone (ruina)
fra Lerici e Turbia è, a paragone (verso) di quella,
una scala comoda e ampia (agevole e aperta).
«Ora, chissà da che parte la costa si abbassa (cala)»,
disse il mio maestro interrompendo il cammino (passo),
«in modo che vi possa salire anche chi non ha le ali?».
E mentre egli, tenendo gli occhi fissi al suolo,
rifletteva (essaminava) sul cammino da prendere,
e io guardavo in alto (suso), tutto intorno alla parete rocciosa (sasso),
mi apparve dalla parte sinistra una moltitudine (gente)
di anime, che camminavano verso di noi,
ma non sembrava (si muovessero), tanto procedevano lente.
Io dissi: «Maestro, solleva il tuo sguardo:
ecco venire da questa parte chi potrà consigliarci,
se tu non riesci a ricavarlo da te stesso».
Egli allora guardò, e con spigliatezza (libero piglio)
rispose: «Andiamo in quella direzione, poiché essi procedono lentamente;
e tu, dolce figliuolo, rinsalda (ferma) la speranza».
Quella gente era ancora lontana,
dopo aver noi fatto circa mille passi,
quanto riuscirebbe a lanciare (trarria) con la mano un valente tiratore (gittator),
quando si accostarono (strinser) tutte alla parete rocciosa
dell’alto monte (ripa), e si fermarono stringendosi fra loro,
come chi, mentre cammina, si arresta (stassi) dubbioso (debbiando) a guardare.
Virgilio cominciò: «O spiriti morti in grazia di Dio (ben finiti),
o già destinati al Paradiso (eletti), in nome di quella beatitudine (pace)
che io credo sia attesa da tutti,
diteci da che parte la montagna è meno ripida (giace),
in modo tale che sia possibile salir;
perché a nessuno più del saggio (più sa) dispiace perdere tempo».
Come le pecorelle escono dal recinto (chiuso)
a una, a due, a tre per volta, e le altre stanno
ferme un po’ timide (timidette) con gli occhi e il muso rivolto verso terra (atterrando);
e quello che fa la prima, lo fanno anche le altre,
andandole addosso (addossandosi), se essa si ferma,
semplici e quiete, e non conoscono il motivo (’mperché) del loro comportamento;
così io vidi allora (allotta) muovere per avvicinarsi la prima parte (testa)
di quel gregge fortunato,
modesto (pudica) nel volto e dignitoso (onesta) nei movimenti.
Appena (Come) quelli che stavano davanti videro,
dal mio lato (canto) destro, la luce del sole interrotta (rotta) sulla terra,
così che l’ombra si proiettava (era) da me verso la rupe,
si arrestarono, e indietreggiarono un poco,
e tutti gli altri che venivano dietro,
pur non conoscendo il motivo, fecero (fenno) altrettanto.
«Senza che voi me lo chiediate, io vi dichiaro (confesso)
che questo che voi vedete è un corpo umano;
per questo la luce del sole si interrompe (è fesso) per terra.
Non meravigliatevi, ma state certi
che egli non cerca di superare (soverchiar) questa parete di roccia
senza un potere (virtù) che provenga dal cielo».
Così il maestro; e quella gente degna disse:
«Tornate indietro, procedete (intrate) dunque davanti a noi»,
facendo segno (insegna) con il dorso delle mani.
E uno di loro cominciò: «Chiunque tu sia,
pur continuando a camminare così, volgi lo sguardo:
pensa se mi vedesti mai (unque) nel mondo dei vivi».
Io mi rivolsi verso di lui e lo fissai (guardail fiso);
era biondo e bello e di nobile aspetto,
ma un colpo gli aveva spaccato un sopracciglio.
Quando io cortesemente (umilmente) dissi
di non averlo mai visto, egli disse: «Ora guarda»;
e mi mostrò una ferita nella parte alta del petto.
Poi sorridendo disse: «Io sono Manfredi,
nipote dell’imperatrice Costanza;
per cui io ti prego che, quando tornerai di là (riedi),
tu vada dalla mia bella figlia, madre dei re (de l’onor)
di Sicilia (Cecilia) e di Aragona,
per dire a lei la verità, se si dice diversamente.
Dopo che il mio corpo fu trafitto (ebbi rotta)
da due ferite (punte) mortali, io mi rivolsi (rendei),
pentito (piangendo), a colui che perdona liberamente (Dio).
I miei peccati furono orribili,
ma l’infinita bontà ha delle braccia così ampie
da accogliere tutti quelli che si rivolgono a lei.
Se il vescovo (pastor) di Cosenza, che fu mandato
da Clemente IV a perseguitarmi (a la caccia),
avesse allora inteso bene questo aspetto (faccia) della bontà di Dio,
le mie spoglie mortali sarebbero (sarieno) ancora
all’estremità (co’) del ponte, presso Benevento,
sotto la custodia di pesanti pietre (mora).
Ora la pioggia le bagna e il vento le scuote (move),
fuori dal regno, quasi sulle rive del Verde,
dove egli le fece trasferire (trasmutò) con i ceri spenti.
Per le loro scomuniche (maladizion) non si perde
la grazia eterna di Dio, tanto che non possa tornare,
finché (mentre che) la speranza ha ancora un poco di verde.
Vero è che chiunque muore scomunicato (in contumacia … di Santa Chiesa),
anche se si è pentito in punto di morte,
deve (convien) stare ai margini di questo monte del Purgatorio,
trenta volte il tempo in cui è rimasto in questa ostinata ribellione (presunzïon),
a meno che il tempo decretato (decreto)
non sia abbreviato dalle preghiere (prieghi) dei buoni.
Vedi oramai (oggimai) se puoi accontentarmi,
rivelando alla mia buona Costanza in quale condizione
mi hai visto, e anche questo (esto) divieto;
perché qui, per mezzo delle preghiere dei vivi (quei di là), si progredisce (s’avanza) molto».



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