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Purgatorio Canto 3: analisi, commento, figure retoriche

Spiegazione, analisi e commento degli avvenimenti del terzo canto del Purgatorio (Canto III) della Divina Commedia di Dante Alighieri.
I poeti vedono una moltitudine di anime, illustrazione di Gustave Doré

In questa canto Dante e Virgilio si trovano ancora sulla spiaggia del Purgatorio e si incamminano verso la montagna. Virgilio inizia un discorso sulla giustizia divina e invita gli uomini ad accettarne il mistero, inoltre racconta che i saggi che in passato erano desiderosi di svelarne il mistero si trovano adesso a scontare la loro pena nel limbo. Qui incontrano le anime dei contumaci e tra i personaggi di spicco vi è Manfredi di Svevia.


Analisi del canto

La struttura
Il canto può essere suddiviso in in tre parti: 
  1. trattazione dottrinaria e teologica, tema della fisicità oltremondana;
  2. la ricerca da parte di Dante e Virgilio di un passaggio per salire alla montagna, incontro con la prima schiera di penitenti; 
  3. L'incontro con Manfredi.

Il canto di Manfredi
Manfredi è il protagonista del canto terzo del Purgatorio, anche se fa la sua comparsa solamente nel finale. Queste sono i fatti più importanti su questo personaggio:
  • è descritto come un uomo affascinante, di aspetto nobile, di animo gentile e ciò è in contrasto con le sue ferite fisiche e quelle morali che gli sono state inferte;
  • vuole che la figlia sappi la verità sul suo conto, ovvero che non è dannato, così può pregare per la sua anima;
  • apparteneva alla dinasta imperiale degli Svevia e fu reggente di Sicilia;
  • è morto dopo essere stato scomunicato, ma la scomunica non impedisce di salvarsi e nonostante i suoi gravi peccati si è salvato pentendosi in punto di morte;
  • Papa Clemente IV ordinò di disseppellire il suo corpo e di trasportarlo a luci spente fuori dal Regno di Napoli.


La fisicità del purgatorio
Il sole brilla e mentre l'ombra Dante viene proiettata sul terreno, non risulta visibile quella delle altre anime, in particolare quella di Virgilio. Dante si volta preoccupato come chi pensa di aver perduto il suo maestro e quest'ultimo dapprima lo rimprovera perché continua a diffidare e poi spiega che la virtù divina consente alle anime del Purgatorio di percepire le diverse sofferenze fisiche quali il freddo, il caldo, la sete, ecc., sebbene quello non sia il loro reale corpo (quello di Virgilio si trova a Napoli) e come ciò sia possibile non può essere compreso dall'intelligenza umana, pertanto gli uomini devono accontentarsi di ciò che gli è stato rivelato. Il mistero della fede, o per meglio dire la volontà di Dio, risulta incomprensibile anche alla Chiesa stessa come il caso della salvezza ottenuta dallo scomunicato Manfredi.


Virgilio e il suo rapporto con Dante
In questo canto si può notare un cambiamento o meglio un'evoluzione del comportamento di Viriglio anche nei confronti di Dante: egli parla della sua sepoltura, dei grandi saggi che pur avendo condotto una vita sulla retta via non hanno mai avuto la possibilità di conoscere di Dio e per questo si trovano nel Limbo: tra questi lo stesso Virgilio che riflette malinconicamente sulla sua condizione di dannato che non può ottenere la salvezza. Virgilio non si sente a proprio agio nel Purgatorio, dove domina la grazia, perciò deve lottare con le proprie debolezze. Quando s'incontrarono la prima volta Virgilio era nettamente superiore a Dante, man mano che il viaggio di Dante prosegue nel Purgatorio quest'ultimo acquisisce consapevolezza e diminuisce il divario col suo maestro.



Commento

Logica umana e logica divina
Un clima elegiaco domina il canto. Dopo il rimprovero di Catone, Virgilio si mortifica e Dante è timoroso, tanto più quando non vede accanto alla sua l'ombra del maestro. A questo punto recupera il ruolo di guida e spiega l'evanescenza delle anime, soffermandosi poi sul tema della finitezza umana: State contenti, umana gente, al quia.
Nella filosofia Scolastica la conoscenza passava attraverso quattro gradi, dal quia (= osservazione delle cose) al quare (= motivazione delle cose), fase, quest'ultima. di esclusiva competenza divina. L'uomo comune s'accontenti quindi di sapere l'esistenza delle cose e non si angosci se non riesce a cogliere il senso profondo di esse. L'esortazione può sembrare uno stimolo all'ottusità, tanto più strano in chi, come Dante, ha più volte manifestato di apprezzare l'intelligenza umana; in realtà è un invito a una rasserenante confidenza in Dio, unico depositario dell'assoluta conoscenza. Accettare il proprio limite nella consapevolezza che un giorno sarà superato è un atto di fede che conforta. Del resto la bontà infinita (di Dio) ha si gran braccia, / che prende ciò che si rivolge a lei.
È questa l'altra faccia di Dio, quella cioè dell'amore. che ha conosciuto Manfredi figlio naturale di Federico II, protagonista della seconda parte del canto. La schiera in cui si trova è paragonata a un gregge di pecore, con quell'atteggiamento timido e incerto che l'animale simboleggia, condizione naturale di queste anime che si sono pentite all'ultimo e non possono mostrare la sicurezza di chi è sempre stato amico di Dio. Non ancora ammesse alla scalata del Purgatorio, sono tuttavia potenzialmente salve, nella condizione di chi è costretto a fare anticamera.
Il passato incombe ancora forte sul presente e Manfredi si sofferma a commiserare il suo corpo che è preda degli agenti atmosferici, per via della decisione del pastor di Cosenza di disseppellirlo dal luogo dove era stato sepolto e disperderne i resti fuori dallo stato pontificio. Il giudizio umano si è attribuito il diritto di interferire col volere imperscrutabile di Dio, di cui non ha colto l'illimitata carità. Così appare meschino l'uomo, tanto più l'uomo di Chiesa, quando misura con la bilancia i comportamenti terreni, dimostrando di saper cogliere solo il Dio giusto, perdendo invece di vista il Dio buono. La mitezza con cui è iniziato il canto diventa alla fine un inno alla carità, forza travolgente e indomabile. La dolcezza e la piacevolezza dei versi si incentrano tuttavia sulla figura di Manfredi: bello, biondo, di gentile aspetto. Emergono i canoni classici della bellezza, che suggeriscono l'ideale greco del calós cai agathós (— bello e buono) che caratterizzava l'eroe omerico. Ma nel termine gentile si innesta il tema della cortesia propria delle corti medievali, tra cui quella di Federico II. Con Manfredi, Dante canta lo sfortunato eroe gentile, ribadisce la sua simpatia per l'impero e una condanna della Chiesa di potere, suggerisce il fascino dei valori cortesi incentrati sulla finezza d'animo, su quella gentilezza che tanta parte ebbe nella produzione del giovane Dante.



Le figure retoriche

Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del terzo canto del Purgatorio. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 3 del Purgatorio.


O dignitosa coscienza e netta = apostrofe (v. 8). Cioè: "o nobile e pura coscienza".

Lo ‘ntento rallargò, sì come vaga = similitudine (v. 13). Cioè: "si allargò come desiderosa di vedere altro".

Viso = sineddoche (v. 14). Il tutto per la parte. il viso anziché lo sguardo.

Con paura / d’essere abbandonato = enjambement (vv. 19-20).

E ‘l mio conforto = perifrasi (v. 22). Per indicare Virgilio.

Non credi tu me teco = ellissi (v. 24). Cioè: "non credi tu che io sia con te".

È sepolto / lo corpo = enjambement (vv. 25-26).

Chinò la fronte = sineddoche (v. 44). La parte per il tutto, la fronte anziché il capo.

Piè del monte = metafora (v. 46). Cioè: "l'inizio della salita della montagna".

La più rotta ruina è una scala = antitesi (v. 50). Cioè: "la roccia più scoscesa e impervia a confronto di quella è una scala".

Viso = sineddoche (v. 55). Il tutto per la parte. il viso anziché lo sguardo.

Del cammin la mente = anastrofe (v. 56). Cioè: "nella mente (riflettevo) del cammino".

Io mirava suso intorno al sasso = metafora (v. 57). Cioè: "io guardavo in alto intorno alla parete rocciosa".

Una gente / d’anime = enjambement (vv. 58-59).

Duri massi / de l’alta ripa = enjambement (vv. 70-71).

Stetter fermi e stretti com’a guardar, chi va dubbiando, stassi = similitudine (vv. 71-72). Cioè: "e rimasero fermi lì, proprio come chi, mentre mentre cammina, si arresta dubbioso a guardare".

Come le pecorelle escon del chiuso a una, a due, a tre, e l’altre stanno timidette atterrando l’occhio e ‘l muso; e ciò che fa la prima, e l’altre fanno, addossandosi a lei, s’ella s’arresta, semplici e quete, e lo ‘mperché non sanno; sì vid’io muovere a venir la testa di quella mandra fortunata allotta = similitudine (vv. 79-86). Cioè: "Come le pecorelle escono dall'ovile, a una, a due, a tre per volta, e le altre stanno ferme, timorose e tengono il muso e l'occhio in basso; e ciò che fa la prima fanno anche le altre, andandole addosso se questa si ferma, semplici e mansuete, e non conoscono il motivo del loro comportamento; così io vidi muoversi verso di noi la testa di quella schiera di anime fortunate".

Di quella mandra fortunata allotta = metafora (v. 86). Cioè: "anime muoversi in maniera disordinata".

Pudica in faccia e ne l’andare onesta = chiasmo (v. 87). Cioè: "pudiche nell'aspetto e dignitose nei movimenti".

Vider rotta / la luce = enjambement (vv. 88-89).

Biondo era = anastrofe (v. 107).

Chiunque / tu se’ = enjambement (vv. 103-104).

Biondo era e bello e di gentile aspetto = enumerazione (v. 107).

Di gentile aspetto = metonimia (v. 107). Cioè: "di nobile aspetto", l'effetto (gentile) per la causa (nobile).

Disdetto d’averlo = enjambement (vv. 109-110).

Visto mai = anastrofe (v. 110). Cioè: "mai visto".

Di Costanza imperadrice = anastrofe (v. 113). Cioè: "dell'imperatrice Costanza".

Genitrice / de l’onor = enjambement (vv. 115-116).

A quei che volontier perdona = perifrasi (v. 120). Cioè: "colui che volentieri perdona, Dio".

Li peccati miei = anastrofe = (v. 121). Cioè: "i miei peccati".

A la caccia / di me = enjambement (vv. 124-125).

Sarieno ancora / in co del ponte = enjambement (vv. 127-128). Cioè: "sarebbero ancora all'estremità del ponte".

De la grave mora = latinismo (v. 129). Cioè: grave nel senso di pesante.

Mentre che la speranza ha fior del verde = metafora (v. 136). Cioè: "finché la speranza ha ancora un poco di verde, finché c'è un po' di speranza".

In contumacia more / di Santa Chiesa = enjambement (vv. 136-137).



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