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Purgatorio Canto 26 - Analisi e Commento

Spiegazione, analisi e commento degli avvenimenti del ventiseiesimo canto del Purgatorio (Canto XXVI) della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Miniatura ritraente Arnaut Daniel

Analisi del canto

Il canto dei lussuriosi
Dante e Virgilio sono alla settima e ultima cornice, quella dei lussuriosi. Qui si svolge tutta l'azione, e si conclude il viaggio nel Purgatorio vero e proprio: nel prossimo canto ci troveremo già sulla cima del monte, nel Paradiso terrestre. Dante sceglie per un momento così solenne tutte figure di poeti, e a loro affida un «testamento» ideale nella lode della poesia contemporanea. Il canto è impostato sul dialogo fra Dante e l'anima di Guido Guinizzelli e si divide in due parti:
  • vv. 1-93; sequenza di carattere strutturale, descrive la condizione e i comportamenti dei lussuriosi e tratta ancora una volta il tema dello stato eccezionale di Dante;
  • vv. 94-148; sequenza di carattere intellettuale e sentimentale, sposta il colloquio fra Dante e Guinizzelli sul tema della poesia del tempo, con l'intervento finale di Arnaldo Daniello.


Il canto di Guinizzelli
Il celebre poeta bolognese è il protagonista narrativo e ideologico del canto. Con lui si completa la sezione del Purgatorio dedicata agli incontri con poeti e alla trattazione di questioni letterarie. Il tema, presente fin dall'inizio dell'opera, giunge ora a una conclusione anche cronologica: dalla celebrazione della poesia classica (l'incontro fra Virgilio e Stazio) all'esaltazione dei maestri moderni (l'incontro fra Guinizzelli e Dante).


Il tema strutturale: la condizione dei lussuriosi
La prima parte del canto vive della descrizione dei lussuriosi: avanzano nelle fiamme purificatrici, cantando lodi a Dio e gridando esempi di castità e lussuria. La variazione a questa condizione è l'incontro fra le due schiere di penitenti — bisessuali e sodomiti — ai vv. 31-48: i casti baci che si scambiano sono il segno capovolto della loro lussuria. A proposito di questi penitenti, è motivo di riflessione la loro sollecitudine nell'espiazione, che Dante sottolinea nella costanza con cui si tengono all'interno delle fiamme (vv. 13-15) e nella rapidità dello scambio amoroso con l'altra schiera, senza fermarsi (v. 33).


Il tema letterario: poeti e poesia ai tempi di Dante
Il dialogo con Guinizzelli completa il motivo del rincontro con i maestri del suo tirocinio letterario — iniziato già nell'Inferno con Brunetto Latini —, e diventa anche dichiarazione di differenza sul modo di intendere la poesia e l'amore. Dante ha già superato l'idea di questo sentimento come lussuria; tutta questa seconda cantica è infatti tensione a Beatrice come figura dell'Amore di carità, che «brucia» di ben altro fuoco. Ma proprio al limitare della sua ascesa a verità divine e ignote agli altri, Dante propone qui un ultimo giudizio sulla poesia a lui contemporanea. Il primo dato è la celebrazione di Guinizzelli come sommo poeta moderno, il padre / mio e de li altri miei miglior (vv. 97-98); egli è l'iniziatore dello Stil Novo, la poesia lirica di cui Dante fu grande interprete, caratterizzata dalla dolcezza dello stile e dalla rinnovata sensibilità alla tematica amorosa. L'eccellenza di Guinizzelli discende dalle rime d'amor dolci e leggiadre (v. 99), dai suoi dolci detti (v. 112) che gli meriteranno gloria eterna in terra. Secondo elemento: il dibattito letterario sui diversi modi di poetare. Dante dichiara, tramite Guinizzelli, che il primato debba andare ad Arnaldo Daniello, scrittore d'amore. Entra così in polemica anche aspra (lascia dir li stolti, v. 119) con chi gli anteponeva le poesie morali di un altro famoso trovatore, Giraut de Bornelh, quel di Lemosì (v. 120). La trattazione offre spunto anche a una critica contro Guittone d'Arezzo, accusato da Dante di non aver saputo adeguare il linguaggio e i costrutti all'alta materia. Terzo dato centrale della sequenza è l'incontro con Arnaldo Daniello, introdotto dall'apprezzamento di Guinizzelli come miglior fabbro del parlar materno, il più alto scrittore in lingua volgare (v. 117). E proprio nella sua lingua materna, il provenzale, si esprime Arnaldo: è l'esempio più lungo in tutta la Commedia di realismo linguistico, un atto di omaggio a quella tradizione letteraria in cui tutta la poesia lirica medievale riconosceva la propria origine.


Le citazioni poetiche
In un colloquio fra poeti, uno dei codici espressivi più efficaci è quello della citazione, dell'allusione. Così opera Dante nella seconda parte del canto, intessuta di echi e rimandi da un autore all'altro. Due esempi:
  • vv. 73-75; la rima marche / imbarche, molto rara, deriva da un sonetto di Guinizzelli a Guittone d'Arezzo, e da questi ripresa poi nella risposta;
  • v. 140; l'incipit del breve discorso di Arnaldo Daniello ricalca quello di una canzone di Folchetto da Marsiglia, altro poeta provenzale che Dante incontrerà in Paradiso.
    II rimprovero di Guido Guinizzelli (A voce più ch'al ver drizzan li volti) contro quanti sostengono la superiorità del poeta provenzale Giraut de Bornelh rispetto ad Arnaut Daniel (v. 121) vale ancora oggi per tutti quegli "stolti" che si affidano all'opinione comune, alla voce corrente piuttosto che alla verità.



Commento

La passada folor
Dante è concentrato nella difficoltà del percorso e nella riflessione sulla lussuria, quando vede due schiere di anime che, incontrandosi, si scambiano casti baci, poi gridano esempi di lussuria punita. Il grido Soddoma e Gomorra non lascia equivoci sulla comprensione del tipo di peccatori: si tratta di una schiera di sodomiti e il grido ricorda le due città bibliche colpite dalla punizione divina proprio perché dedite alla pratica omosessuale. L'altra schiera invece è composta di eterosessuali che usarono il sesso al di fuori di ogni razionalità e misura: come Pasife che volle gli amori bestiali col toro. Quell'amore che in vita fu inquieta passionalità, ora, dentro il fuoco purificatore, è diventato tenerezza infinita. Ma il grido sta ad attestare una colpa i cui effetti sono ancora cocenti, nel vero senso della parola, e suggellati da lacrime. Piangono i lussuriosi il loro peccato, ma a un tratto s'accorgono che Dante è vivo. Uno di loro si avvicina curioso e il poeta viene a sapere che si tratta proprio del suo caposcuola, quel Guido Guinizelli che iniziò a poetare alla nova mainera. La commozione è tanta e Dante vorrebbe slanciarsi ad abbracciare Guido se non ci fosse il fuoco tra loro. Ma Guido, manifestando l'umiltà propria delle anime del Purgatorio, addita a Dante un altro poeta che fu miglior fabbro del parlar materno, il provenzale Arnaut Daniel; poi si perde nel fuoco come un pesce dentro l'acqua. Figura centrale del canto, Guido Guinizelli compare e svanisce: astro di breve durata ma di intensa luminosità. Al dissolversi nel fuoco di Guido subentra Arnaut, dolce nel suo linguaggio provenzale. Il suo trobar clus (= poetare oscuro e difficile, cioè chiuso) qui non ha spazio, ma i versi servono a sancire definitivamente lo stacco tra poesia-folor (= follia) e poesia-ragione. Folor infatti è amore-passione, libero abbandono sensuale, ma folor è anche la trascrizione poetica di questo amore-passione. Sembra di risentire Francesca da Rimini e la sua professione di amore cortese: ma Francesca è rimasta lì, legata per sempre alla sua passionalità che l'ha inchiodata in eterno nell'Inferno; Arnaut coglie invece la differenza tra i due tipi di amore. Egli nel Purgatorio, luogo di penitenza e di attesa, denuncia con angoscia il folor dell'amore lussurioso ma anche di una poesia che ne abbia registrato i momenti, le sensazioni, i desideri. Ora non gli resta che chiedere il perdono di Dio. Ma il raffinato e malinconico calco delle parole di Arnaut nella sua lingua provenzale è, in Dante, la più alta testimonianza d'affetto e di stima verso il poeta e verso la cultura in lingua d'oc di cui Arnaut fu uno dei più alti rappresentanti. Dietro il triste vau cantan del poeta provenzale si legge la tristezza di Dante, anch'egli colpevole della folor d'amore, cantata ad esempio nelle Rime Petrose, ma anche la consapevolezza del poeta fiorentino di appartenere a un sodalizio umano legato da una intensa e a volte totalizzante passione: la poesia come prorompente bisogno di espressione.


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