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Purgatorio Canto 23 - Analisi e Commento

Spiegazione, analisi e commento degli avvenimenti del ventitreesimo canto del Purgatorio (Canto XXIII) della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Incontro con Forese Donati, illustrazione di Gustave Doré

Analisi del canto

All'Inferno, come si ricorderà, Ciacco e gli altri golosi erano tormentati da una pioggia greve, gelida, che si sfaceva a terra in un fango puzzolente, in cui i dannati si rivoltavano come porci nel brago. Qui nel Purgatorio, le pene sono meno bestiali, meno truculente, ma non meno tormentose.
Qui infatti i golosi sono torturati dalla fame e dalla sete: come nel supplizio di Tantalo nell’Ade pagano, essi sfiorano gli alberi lussureggianti della loro cornice, carichi di frutti profumati e stillanti di acque chiarissime, ma non possono né sfamarsi di quei frutti né dissetarsi di quell’acqua. Essi compaiono pertanto, di fronte a Dante, come scheletri viventi: pelle e ossa, divorati da una sofferenza che però è insieme sollazzo, gioia, perché è patita come prezzo da pagare per raggiungere la beatitudine eterna.
Al centro di questo canto c’è l’incontro di Dante con Forese Donati. Membro della famosa (e famigerata) famiglia di parte Nera, fratello di Corso Donati e di quella Piccarda che incontreremo in Paradiso, nel cielo della Luna, Forese si rivela qui come uno degli amici di gioventù più cari a Dante. In Purgatorio il poeta incontra molti amici, colleghi e conoscenti, ma nessun incontro ha l’intimità di questo con Forese. Ciò dipende non tanto da quello che i due amici si dicono apertamente, quanto piuttosto da quello che viene sottinteso, dalle allusioni e quasi dagli ammicchi del loro dialogo.
Una delle cose non dette, ma che rimane sullo sfondo di questa conversazione e ne costituisce l’antefatto, è un episodio della vita giovanile dei due, che a sua volta è indizio del particolare tipo di amicizia che li lega. È rimasta infatti una tenzone poetica fra Dante e Forese, databile agli anni 1293-1296, che già di per sé testimonia come Forese condividesse con Dante anche una qualche passione letteraria. La tenzone è costituita da sei sonetti, a botta e risposta, tre di Dante e tre di Forese, in cui i due si scambiano ingiurie infamanti.
Dante accusa Forese di essere povero in canna, bastardo, sessualmente poco dotato, ladro e ghiottone. Forese accusa invece Dante di essere un morto di fame, figlio di genitori divorati dai debiti, votati all’ospizio pubblico; un vile incapace di rispondere alle offese fatte a lui e alla sua famiglia.
Forse tutti questi insulti non vanno presi proprio sul serio: questo stile di turpiloquio esagerato, osceno, grottesco era a quel tempo anche una moda di maniera, coltivata dalla scuola poetica
che è stata definita “comico-realistica”.
Sta di fatto, però, che Dante e Forese, qui in Purgatorio, sembrano alludere a quel precedente in modo molto serio. L’accusa di ghiottone, che Dante lancia a Forese nella tenzone, trova un corrispettivo vero nel peccato che si sconta in questa cornice: il Forese irriconoscibile che compare di fronte a Dante, con le sue occhiaie nere, gli occhi infossati, la pelle secca e squamata, non è uno scherzo; la gola è veramente un dato morale costitutivo del personaggio della Commedia. Più in generale, il tono canagliesco della tenzone non sembra soltanto una posa, una finzione poetica.
Dante infatti allude senza possibilità di equivoci a un passato comune, suo e di Forese, imbarazzante e vergognoso, quando dice all'amico che, a ricordarsi come si comportarono un tempo l’uno con l’altro, c’è veramente da sentirsi un peso sulla coscienza. In tal senso questo incontro purgatoriale serve anche come ammenda e riparazione degli scapestrati comportamenti di una volta. Lo si vede nella menzione della vedova di Forese, Nella. Infatti, Dante all’inizio rimane sconcertato nel constatare che l’amico è già qui nella sesta cornice. Come ha fatto, se (come Dante sa perfettamente) egli si è pentito proprio all’ultimo momento, prima di morire? E se (anche questo Dante se lo ricorda benissimo) egli è morto non più di cinque anni fa? E se i pentiti in extremis (e questo Dante lo ha appreso nell’Antipurgatorio) devono aspettare, prima di ascendere alla montagna sacra, un tempo corrispondente a quello in cui hanno rimandato la loro conversione? La spiegazione di Forese è questa: è stata Nella, la vedovella mia, che molto amai, egli dice, a liberarlo dall’attesa dell’Antipurgatorio e a spingerlo su per la montagna, con i suoi pianti e le sue devote preghiere.
Ora, Nella era la moglie che Dante aveva un po’ volgarmente presa in giro nella tenzone, sostenendo che era sempre raffreddata perché il marito, Forese, non la “copriva” bene di notte. Battutacce da non prendere troppo sul serio, si potrà dire. Il fatto è che, invece, adesso Dante le prende molto sul serio.
È chiaro infatti che egli mette in bocca a Forese non solo le lodi della moglie, ma un tenerissimo ricordo di felice vita coniugale proprio per smentire a posteriori le oscenità della sua poesia giovanile; per restituire a Forese la verità dell’esistenza, al di là delle smargiassate goliardiche della finzione comico-realistica.
Ravveduti e, se era necessario, riconciliati, i due amici dunque prendono distacco insieme da una stagione che non hanno neppur voglia di rammentare nei particolari, tanto sembra adesso lontana.
Tuttavia, proprio l’avere attraversato insieme quella stagione dona alla loro amicizia, e a questo episodio della Commedia, il suo sapore inconfondibile. Fra Dante e Forese non c’è soltanto affetto: c’è la complicità che nasce dall’aver vissuto insieme degli anni, nel bene e nel male, irripetibili.


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