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Purgatorio Canto 23 - Figure retoriche

Tutte le figure retoriche presenti nel ventitreesimo canto del Purgatorio (Canto XXIII) della Divina Commedia di Dante Alighieri.

Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del ventitreesimo canto del Purgatorio. Ancora nella VI Cornice, Dante si imbatte nella schiera dei golosi, coloro che sono colpevoli di eccessivo amore per il cibo e le bevande. Tra questi Forese Donati, un caro amico di Dante, ma quest'ultimo lo riconosce solo dalla voce perché l'aspetto pallido e smagrito lo aveva reso irriconoscibile. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 23 del Purgatorio.


Le figure retoriche

Come far suole chi dietro a li uccellin sua vita perde = similitudine (vv. 2-3). Cioè: "proprio come è solito fare chi spreca il tempo cacciando gli uccelli".

Volsi ‘l viso = sineddoche (v. 7). Il tutto per la parte, il viso anziché lo sguardo o gli occhi.

Piangere e cantar s’udìe = anastrofe (v. 10). Cioè: "sentimmo piangere e cantare".

Piangere e cantar s’udìe = ossimoro(v. 10).

Diletto e doglia parturìe = ossimoro (v. 12). Cioè: "suscitava gioia e dolore".

Sì come i peregrin pensosi fanno, giugnendo per cammin gente non nota, che si volgono ad essa e non restanno, così di retro a noi, più tosto mota, venendo e trapassando ci ammirava d’anime turba tacita e devota = similitudine (vv. 16-21). Cioè: "Come fanno i pellegrini assorti nei loro pensieri, che, quando nel loro cammino incontrano persone sconosciute, si voltano a guardarle senza fermarsi, così una schiera di anime silenziose e devote ci osservava con stupore, venendo dietro di noi a passi più veloci e oltrepassandoci".

Tacita e devota = endiadi (v. 21). S'intende "con stupore".

Ne li occhi era ciascuna oscura e cava = sineddoche (v. 22). Cioè: "aveva gli occhi scuri e incavati", il singolare per il plurale.

Oscura e cava = endiadi (v. 22). Cioè: "occhi scuri e incavati".

La gente che perdé Ierusalemme = perifrasi (v. 29). Per indicare gli Ebrei.

Parean l’occhiaie anella sanza gemme = similitudine (v. 31). Cioè: "le occhiaie sembravano anelli senza gemme".

Voce sua = anastrofe (v. 44). Cioè: "sua voce".

Questa favilla = metafora (v. 46). Cioè: "la scintilla inteso come indizio, quello della voce di Forese Donati".

Cangiata labbia = metonimia (v. 47). Il contenente per il contenuto, cioè usa il volto come soggetto per identificare la persona.

Quelle / due anime = enjambement (vv. 52-53).

Faccia tua = anastrofe (v. 55). Cioè: "tua faccia".

Io dico pena, e dovrìa dir sollazzo = antitesi (v. 72). Cioè: "io dico pena, e dovrei dire gioia".

Ci mena che menò = figura etimologica (vv. 73-74).

Con la sua vena = metonimia (v. 75). Cioè: "con il suo sangue", il contenente per il contenuto.

Da quel dì nel qual mutasti mondo a miglior vita = eufemismo (vv. 76-77). Cioè: "dal giorno in cui sei passato a miglior vita".

Buon dolor = ossimoro (v. 81). Per indicare il pentimento.

Là giù di sotto dove tempo per tempo si ristora = perifrasi (vv. 83-84). Cioè: "nell'antipurgatorio".

Dolce assenzo = ossimoro (v. 86). Cioè: "il dolce veleno".

La Nella mia = anastrofe (v. 87). Cioè: "la mia Nella".

Tratto m’ha = anastrofe (v. 89). Cioè: "mi ha sottratto".

E liberato m’ha = anastrofe (v. 90). Cioè: "e mi ha liberato".

Le femmine sue = anastrofe (v. 95). Cioè: "le sue donne".

Quando tonda vi si mostrò la suora di colui = perifrasi (vv. 119-120). Per indicare la Luna.

Profonda / notte = enjambement (vv. 121-122).



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