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Mito: Il Minotauro e il Labirinto

Il racconto di Borges da riferimento al mito: ricordiamolo brevemente.
La regina di Creta, Pasifae, partorisce un figlio con la testa di toro, che il re Minosse rinchiude nel labirinto di Cnosso e nutre sette fanciulli e sette fanciulle che Atene deve fornire ogni anno, finché l’eroe dell’Attica Teseo con l’aiuto di Arianna, figlia di Minosse, uccide il mostro e libera Atene da quell’orribile tributo.


Il labirinto di Borges
Ma nel racconto Borges capovolge il punto di vista tradizionale del Minotauro: sia perché la vicenda è raccontata (ma solo fino alla penultima sequenza) dal punto di vista del Minotauro, sia, soprattutto, perché egli non ci appare un mostro crudele e malvagio.
Tema del racconto è l’uccisione del Minotauro, essere diverso che soffre per questa sua diversità.
Quando si trova davanti Teseo, il Minotauro si lascia uccidere senza reagire: la spada dell’eroe lo libera dalla tristissima condizione di solitudine a cui lo condanna la sua diversità.
Borges guarda il Minotauro con pietà e al vincitore Teseo come a chi non avverte la drammaticità di una difficile condizione umana.

Il labirinto come metafora
Nella produzione letteraria di Borges quella del labirinto, inteso sia in senso spaziale che temporale, è una metafora ricorrente come immagine del mondo, dell’esistenza, della letteratura.
L’idea di un edificio costruito perché qualcuno ci si perda una fantasia disumana, ma Borges ci aiuta a capire che forse non è così.
Ci suggerisce di pensare che questo edificio, il labirinto, è un caos, un disordine, ma un caos composto, costruito da un uomo, da un architetto, un artefice che ha seguito regole precise.
Allo stesso modo è il mondo, il cosmo, che è un labirinto, un caos, ma un caos originato da un ordine (Dio). E’ compito dell’uomo scoprire tale cosmo attraverso la propria vita, che tante volte gli pare un caos.



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