La prima edizione delle Odi barbare risale al 1877; seguirono stampe intermedie nel 1882 e nel 1882 e nel 1889, fino all'edizione definitiva del 1893. Si tratta dell'opera più ambiziosa di Carducci, perché sperimenta una poesia nuova anzitutto sul piano del linguaggio e ai versi della tradizione italiana, per recuperare i ritmi dell'antico poetare classico. Questi ritmi però risulterebbero barbari a un lettore greco o latino. Infatti la metrica classica si basava sull'alternanza tra sillabe brevi e lunghe, era cioè quantitativa, mentre i versi moderni obbediscono a una metrica accentuativa: sono infatti modulati sull'alternanza tra sillabe atone e accentate, cioè sugli accenti, i quali, a loro volta, producono le rime, che erano sconosciute agli antichi.
Nel complesso le Odi barbare costituiscono la prova più ardita, intransigente e suggestiva del classicismo carducciano, l'esito della grandissima perizia tecnica e della mirabile erudizione dell'autore.
La ripresa, sul piano metrico, delle antiche forme poetiche è infatti l'occasione per un viaggio a ritroso nel tempo, in una sfera solenne e magnifica; per un recupero integrale dei valori classici, travestiti con le loro forme più nobili.
L'antica civiltà greco romana diviene molto spesso un severo termine di paragone per il presente, un modello di vita e di stile; la Roma di ieri offre al Carducci l'occasione per diffondere e attualizzare ideali politici e morali perenni, proprio nel tempo in cui Roma era divenuta (1870) la nuova capitale d'Italia, di un regno giovane e alla ricerca di una propria fisionomia culturale, sociale ed economica.
Ma se la Roma di oggi è l'erede della dea Roma di un tempo, questa non è però un'eredità pacifica o scontata. Dall'una all'altra lirica questo motivo viene infatti a simboleggiare ora la decadenza del presente rispetto all'antico splendore, ora le speranze e i germi di riscatto. In questa prospettiva si intendono le venticinque composizioni della prima edizione della raccolta: per esempio, le odi Alle fonti del Clitumno del 1876 e Dinanzi alle Terme di Caracalla del 1877, in cui sono ritratti i ruderi, le sterminate vestigia di Roma.
Le liriche più moderne della raccolta sono però quelle della seconda sezione, pure articolata in venticinque testi. Da molte di esse (Fantasia, Ruit hora, Alla stazione in una mattina d'autunno, Sogno d'estate, Nevicata) trapela una stanchezza spirituale nuova, per Carducci, un senso malinconico della fugacità della vita che ci porta lontani dallo spirito classico più eroico e olimpico, in cui il bello viene contemplato senza inquietudini. Ma un po' in tutte le Odi barbare si accrescono, rispetto alle Rime nuove, l'ansia, lo sgomento, l'irrequietezza, cantate con toni morbidi e sensuali, che richiamano Baudelaire e i parnassiani francesi.
A tale modello ci riporta anche il titolo del libro, Odi barbare, fissato dal 1877 e suggerito dall'ammirazione verso i Poemi barbari (Poèmes barbares) del francese Charles Marie Leconte de Lisle (1818-94), uno dei più noti poeti parnassiani.
Nel complesso le Odi barbare costituiscono la prova più ardita, intransigente e suggestiva del classicismo carducciano, l'esito della grandissima perizia tecnica e della mirabile erudizione dell'autore.
La ripresa, sul piano metrico, delle antiche forme poetiche è infatti l'occasione per un viaggio a ritroso nel tempo, in una sfera solenne e magnifica; per un recupero integrale dei valori classici, travestiti con le loro forme più nobili.
L'antica civiltà greco romana diviene molto spesso un severo termine di paragone per il presente, un modello di vita e di stile; la Roma di ieri offre al Carducci l'occasione per diffondere e attualizzare ideali politici e morali perenni, proprio nel tempo in cui Roma era divenuta (1870) la nuova capitale d'Italia, di un regno giovane e alla ricerca di una propria fisionomia culturale, sociale ed economica.
Ma se la Roma di oggi è l'erede della dea Roma di un tempo, questa non è però un'eredità pacifica o scontata. Dall'una all'altra lirica questo motivo viene infatti a simboleggiare ora la decadenza del presente rispetto all'antico splendore, ora le speranze e i germi di riscatto. In questa prospettiva si intendono le venticinque composizioni della prima edizione della raccolta: per esempio, le odi Alle fonti del Clitumno del 1876 e Dinanzi alle Terme di Caracalla del 1877, in cui sono ritratti i ruderi, le sterminate vestigia di Roma.
Le liriche più moderne della raccolta sono però quelle della seconda sezione, pure articolata in venticinque testi. Da molte di esse (Fantasia, Ruit hora, Alla stazione in una mattina d'autunno, Sogno d'estate, Nevicata) trapela una stanchezza spirituale nuova, per Carducci, un senso malinconico della fugacità della vita che ci porta lontani dallo spirito classico più eroico e olimpico, in cui il bello viene contemplato senza inquietudini. Ma un po' in tutte le Odi barbare si accrescono, rispetto alle Rime nuove, l'ansia, lo sgomento, l'irrequietezza, cantate con toni morbidi e sensuali, che richiamano Baudelaire e i parnassiani francesi.
A tale modello ci riporta anche il titolo del libro, Odi barbare, fissato dal 1877 e suggerito dall'ammirazione verso i Poemi barbari (Poèmes barbares) del francese Charles Marie Leconte de Lisle (1818-94), uno dei più noti poeti parnassiani.