di Torquato Tasso
Riassunto:
L'opera dopo vari anni di lavoro, è compiuta nel 1575. Ma di questa prima stesura il Tasso non si mostra soddisfatto, e incomincia un lungo e difficile lavoro di revisione. Le drammatiche vicende biografiche impediscono che l'opera di revisione venga ultimata in tempi brevi. Durante la carcerazione di S. Anna, dai manoscritti del poema che circolavano già dal 1575 vengono effettuate diverse edizioni: nel 1580 a Venezia esce un'edizione parziale col titolo di Goffredo, per cura di Celio Malespini; nel 1581 Angelo Ingegneri pubblica a Parma la prima edizione integrale col titolo di Gerusalemme liberata (modellato su quello di Italia liberata dai Goti; del Trissino) e nello stesso anno Febo Bonnà cura una nuova edizione col medesimo titolo, a Ferrara; nel 1584 è la volta di Scipione Gonzaga che introduce però molte correzioni, forse di suo pugno. Uscito da S. Anna il Tasso avvia un'ulteriore revisione che approderà però alla Conquista che per molti versi va considerata come un'opera diversa, se non nuova. Il testo della Liberata che per secoli venne letto è sostanzialmente quello dell'edizione Gonzaga del 1584. Recentemente, e in attesa di un'edizione critica, il Caretti ha proposto un'edizione della Liberata, conforme a quella del Bonnà del 1581, che oggi è seguita da tutti gli editori.
Riassunto dettagliato canto per canto della Gerusalemme liberata :
Nel sesto anno della crociata Dio, vedendo che i principi cristiani sono discorsi, invia un agelo a Goffredo per esortarlo a riprendere la guerra. Goffredo raduna i principi e a sua volta li esorta alla conquista di Gerusalemme. Viene eletto capo supremo e passa in rassegna l’esercito. La notizia giunge a Gerusalemme, dove il re Aladino prepara la difesa [canto I].
Ismeno, mago saraceno, progetta e attua il furto di un’immagine sacra per incolpare i cristiani di Gerusalemme. Olindo e Sofronia per evitare la rappresaglia si accusano, ma verranno salvati da Clorinda, che non crede alla loro colpa. Frattanto Alete e Argante, messi del re d’Egitto, vanno da Goffredo per proporgli un accordo allo scopo di evitare la guerra. Goffredo rifiuta l’intesa [canto II].
I crociati giungono a Gerusalemme. Duello fra Tancredi e Clorinda sotto gli occhi turbati di Erminia che ama segretamente Tancredi. La battaglia si fa generale, poi i saraceni si ritirano entro le mura e i crociati stabiliscono l’accampamento [canto III].
Consiglio dei demoni che vogliono gettare discordia fra i cristiani. Il mago Idraote invita Armida all’impresa; ella si reca al campo crociato e con uno stratagemma ottiene che dieci cavalieri la seguano [canto IV].
Molti cavalieri vorrebbero seguire Armida. Si genera discordia nel campo. Goffredo decide di sorteggiare i dieci cavalieri. Così fa, ma molti di più, quand’ella parte, la seguono. Annunci di sventura a Goffredo [ canto V].
Gli assediati attendono l’arrivo di Solimano, ma Argante è impaziente e sfida i campioni cristiani a duello. Tancredi è designato ma rimane bloccato alla vista di Clorinda. Ottone prende il suo posto ma viene travolto. Tancredi si riscuote e affronta Argante. Erminia teme per Tancredi e dopo che il duello viene interrotto medita di raggiungere l’amato travestendosi da Clorinda. Sortita d’Erminia [canto VI].
Erminia scoperta dai cavalieri cristiani scappa e si rifugia presso dei pastori. Tancredi, credendola Clorinda, la insegue, ma viene fatto prigioniero al castello di Armida. Non può pertanto riprendere il duello. Prende il suo posto Raimondo. Il duello però degenera in una battaglia generale, che infine volge a favore dei saraceni [canto VII].
Un cavaliere danese giunge al campo cristiano: Sveno è destinata a Rinaldo. Ma giunge la notizia della morte (presunta) di Rinaldo. Discordie nel campo crociato [canto VIII].
Giunge Solimano e fa strage di cristiani. La battaglia volge però infine a favore dei cristiani per il sopraggiungere di cinquanta cavalieri [canto IX].
Solimano raggiunge gli assediati e li dissuade dal chiedere una tregua. I cinquanta cavalieri si rivelano essere Tancredi e gli altri seguaci di Armida. Narrano come Rinaldo li abbia liberati dal castello della maga [canto X].
Processione cristiana al monte Oliveto. Preparativi di battaglia fra i due eserciti. Tancredi ferisce Argante. Con il calar della notte si sospendono le ostilità [canto XI].
Clorinda medita d’incendiare la torre mobile dei cristiani. Argante si associa a Clorinda, a cui, prima dell’impresa, vien rivelata la sua vera origine (è figlia di Senapo, sovrano etiope di fede cristiana). Clorinda non recede però dall’impresa. I due incendiano la torre ma vengono scoperti. Duello fra Tancredi e Clorinda e morte di quest’ultima. Tormento di Tancredi per aver procurato la morte dell’amata [canto XII].
Incantesimo di Ismeno nella selva di Saron. I cristiani non riescono a penetrare nella selva e a ricostruire le macchine da guerra perché atterriti dagli incantesimi. Anche Tancredi fallisce. Prostazione dei crociati [canto XIII].
A Goffredo un sogno suggerisce di richiamare Rinaldo (che era stato bandito per aver seguito Clorinda). Rinaldo è perdonato: dei messi partono alla sua ricerca e incontrano il mago d’Ascalona che narra come l’eroe sia stato attirato nel giardino incantato di Armida e dà loro indicazioni per raggiungerlo [canto XIV].
Viaggio dei messi e loro arrivo alle isole felici [canto XV].
Il palazzo e il giardino di Armida dove Rinaldo è tenuto in dolce prigionia. I due messi si manifestano a Rinaldo e lo inducono a ripartire con loro. Disperazione di Armida, ormai innamorata di Rinaldo, e tentativi di dissuaderlo. Rinaldo non recede e parte [canto XVI].
Armida vola a Gaza. Rassegna dell’esercito egiziano. Armida si promette a chi ucciderà Rinaldo. Rinaldo frattanto incontra il mago d’Ascalona che gli profetizza le imprese degli Estensi, suoi discendenti. Rinaldo giunge al campo crociato [canto XVIII].
Sfida tra Tancredi e Argante fuori dalle mura: il saraceno viene ucciso ma Tancredi è gravemente ferito. La battaglia prosegue all’interno della città. Aladino e Solimano combattono alla torre di David. E’ sventata una congiura ordita da Armida per uccidere a tradimento Goffredo grazie alle rivelazioni di Erminia, che accorrendo al campo cristiano incontra Tancredi ferito e lo medica. Sepoltura di Argante [canto XIX].
Sopraggiungono le truppe egiziane. Grande battaglia che volge a favore dei cristiani. Solimano e gli altri assediati si uniscono all’esercito egiziano ma vengono sconfitti. Rinaldo uccide Solimano, Goffredo uccide Emireno capitano degli egiziani. Le truppe cristiane vincitrici possono rientrare in Gerusalemme e Goffredo si raccoglie in preghiera al tempio [canto XX].
Parafrasi Primo canto
Canto le armi pie (pietose, nel senso di devote, poste al servizio della fede) e il comandante (Goffredo di Buglione) che liberò il grande (misura d’importanza) sepolcro di Cristo.
Egli molto si adoperò con la ragione e con la mano (mise a disposizione la sua saggezza e la sua abilità come condottiero), soffrì molto per la conquista di Gerusalemme e invano il demonio si oppose a tale conquista come anche vana fu l’opposizione delle popolazioni della Libia (gli Egiziani) e dell’Asia (con l’espressione « popolo misto» si vuol indicare i mussulmani uniti per contrastare l’avanzata dell’esercito cristiano).
O Musa, tu che di caduchi allori
non circondi la fronte in Elicona,
ma su nel cielo infra i beati cori
hai di stelle immortali aurea corona,
tu spira al petto mio celesti ardori,
tu rischiara il mio canto, e tu perdona
s’intesso fregi al ver, s’adorno in parte
d’altri diletti, che de’ tuoi, le carte.
Oh Musa, tu non circondi di caduchi allori le cime del monte Elicona, (dove stavano le antiche musi ispiratori di poeti destinati a scomparire perché non hanno la forza di chi canta la religione), tu che non sei circondata da allori effimeri destinati a scomparire ma stai in cielo tra i cori beati, hai corone fatte di stelle immortali e tu ispiri al mio cuore entusiasmi celesti religiosi. Tu illumini il mio canto e perdoni se intreccio storie e fantasia (cioè da semplice verità agli ornamenti della finzione poetica) e diletti moderni, non derivati da te.
Sai che là corre il mondo ove più versi
di sue dolcezze il lusinghier Parnaso,
e che ‘l vero, condito in molli versi,
i più schivi allettando ha persuaso.
Così a l’egro fanciul porgiamo aspersi
di soavi licor gli orli del vaso:
succhi amari ingannato intanto ei beve,
e da l’inganno suo vita riceve.
Spiega che gli uomini prediligono poesia ricca di immagini fantastiche e dilettevoli e di altri ornamentali dolcezze a lei propri, e trovano nel parnaso il simbolo della poesia, mescolato a dolci immagini alludono e persuadono anche coloro che sono più schivi e più ritrosi, così come il fanciullo malato porgiamo una tazza coi bordi cosparsi di un liquido dolce, il fanciullo ingannato dal sapore dolce beve l’amara medicina e anche in virtù dell’inganno guarisce.
Tu, magnanimo Alfonso, il qual ritogli
al furor di fortuna e guidi in porto
me peregrino errante, e fra gli scogli
e fra l’onde agitato e quasi absorto,
queste mie carte in lieta fronte accogli,
che quasi in voto a te sacrate i’ porto.
Forse un dì fia che la presaga penna
osi scriver di te quel ch’or n’accenna.
Tu, forte magnanimo Alfonso II d’este che vuoi sottrarti all’improvvisa tempesta degli eventi e conduci verso un punto sicuro me pellegrino errante che sono sballottato, tra gli scogli e le onde, quasi inghiottito accogli, con benevolenza queste mie carte, che ciò che ti offro come un dono votivo. Forse un giorno verrà che il mio puro presagio della tua gloria e possa scrivere su dite quello che ora riesco solo ad accennare.
È ben ragion, s’egli averrà ch’in pace
il buon popolo di Cristo unqua si veda,
e con navi e cavalli al fero Trace
Cerchi ritòr la grande ingiusta preda,
ch’ a te lo scettro in terra o, se ti piace, l’alto imperio de’ mari a te conceda.
Emulo di Goffredo, i nostri carmi
Intanto ascolta, e t’apparecchia a l’armi.
Se accadrà che il popolo cristiano riesca a recuperare combattendo per mare e per terra gli infedeli e strappare nuovamente il Santo Sepolcro, ingiustamente nelle mani dei Turchi, che ti sia concesso o il comando di terra o quello della forza marina.
In modo tale da poter emulare Goffredo; intanto accetta la poesia che ti offro e preparati a combattere.
Analisi del testo
Lo schema classico del proemio reintrodotto nell’epica italiana dal Poliziano e dall’Ariosto appare ormai consolidato. Anzi qui è dato cogliere, nella proposizione, un richiamo all’Eneide virgiliana nella coppia di termini, “L’arme … e ‘l capitano” (Arma virumque cano), messa in evidenza al primo verso. Ma rispetto al Virgilio e anche all’Ariosto, che esordiva con una fluida ostensione della materia oggettiva del poema (Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori), appare significativa nel Tasso l’anticipazione del verbo canto. E’ forse in questa prima parola il segreto che pervade l’ottava proemiale e addirittura, si può dire, l’intero poema, scrive il Chiappelli, e aggiunge: <<l’andamento oggettivo particolareggiato, degli esordi epici […] è qui sostituito da un andamento soggettivo, in cui si mostra che il cantare è più importante che la materia del canto, l’accento più importante che l’oggetto (Spoerri). Significative, poi rispetto alla recente tradizione epica, sono anche l’antitesi molto egli oprò / molto soffrì, che accosta la dimensione oggettiva dell’agire a quella soggettiva, psicologica e morale, del soffrire; e l’antitesi Inferno / Ciel che subito configura la dilatazione dello scontro dalla sfera terrena a quella ultraterrena, rivelando le implicazioni religiose degli eventi e introducendo il tema del meraviglioso cristiano che tanta parte avrà nell’opera.
Sempre nell’ottava di proposizione, poi, compare un motivo già ariostesco, quello dell’errare nel duplice senso di vagare (proprio dei cavalieri erranti, nel Furioso) e di deviare moralmente. Ma sin da questa prima occorrenza è chiaro che il motivo nel Tasso si orienta più decisamente in direzione morale e di una moralità connotata in senso religioso: come meglio si comprenderà in seguito, anche il motivo dell’errare fisico (vagare), in quanto allontanarsi dal luogo della battaglia e dal compito supremo della liberazione del sepolcro di Cristo, è un errare morale, una colpa. E qui precisamente in questo senso, compare il termine erranti, assai diverso da quello che qualificava i cavalieri della precedente tradizione, erranti nel senso di vaganti nell’avventura. Quando poi ricompare poco più avanti riferito al Tasso il medesimo termine si connota, in forza della metafora del mare in tempesta, nel senso del patetico (altra novità rispetto al Furioso).
L’invocazione alla musa cristiana (probabilmente, col Getto, la Sapienza) e la contrapposizione tra gloria effimera, connessa alla materia terrena, e gloria imperitura, connessa alla materia sacra (e anche qui si misura la distanza dall’Ariosto che invocava, tra serietà e ironia, la donna amata), introducono una riflessione sui fini dell’arte. Sia pur con cautela, e in verità con una semplificazione rispetto alle tesi esposte nelle opere teoriche, il Tasso mostra qui di riproporre il binomio classico “utile+dolce”, endonismo e pedagogismo, ma il dolce è declassato, nella similitudine d’origine addirittura platonico-cristiana, a necessario allettamento per trasmettere un insegnamento, una verità morale e religiosa. La sintesi endonismo-pedagogismo inclina insomma verso il secondo termine, anche se all’altezza della Liberata non è il caso di insistervi più di tanto, vista la complessità, sul piano dei fatti, delle motivazioni a scrivere che muovono il poeta. Quanto alle ottave di dedica, si noti infine il motivo, frequente in questi anni, dell’augurio al duca Alfonso di potersi fare un giorno condottiero, degno di Goffredo, d’una nuova crociata: la vicenda remota nel tempo si proietta nell’attualità, il tema religioso trova un aggancio, non pretestuoso, con la società cortigiana e l’encomio del letterato.