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Ciàula scopre la luna, Luigi Pirandello: riassunto e commento

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Ciàula scopre la Luna è una novella di Luigi Pirandello contenuta nella raccolta "Novelle per un anno" del 1907. Narra la storia di un ragazzo con la paura del buio che vede per la prima volta la luna.





Ciàula scopre la luna: scheda novella

Titolo Ciàula scopre la luna
Autore Luigi Pirandello
Genere Novella
Raccolta Novelle per un anno
Data 1907
Corrente letteraria Verismo
Personaggi Ciàula, Zi' Scarda, Cacciagallina
Luogo In una zolfara della Sicilia
Temi trattati Lo stupore di un giovane affascinato dal bagliore della luna




Ciàula scopre la luna: riassunto

Giunta la sera, i minatori decidono di smettere di lavorare pur non avendo ancora terminato di estrarre il necessario zolfo per la fornace. Ciò fa andare su tutte le furie il loro sorvegliante, Cacciagallina, che, vedendoli intenzionati a svignarsela, impugna una pistola e spara alcuni colpi nel tentativo di farli ritornare nella cave, ma questi tra una spinta e una spallata si fecero strada verso l'uscita e in lontananza si prendevano gioco della sua autorità. L'unico tra i minatori che riuscì a fermare fu Zi' Scarda, un anziano minatore cieco in un occhio che si era lasciato prendere senza nemmeno ribellarsi, rifiutandosi di lasciarsi coinvolgere dalla gioventù irrequieta dei suoi compagni di lavoro. Cacciaguida ugualmente lo rimproverava usando il plurale, come se oltre a lui ci fossero ancora gli altri minatori.
Mentre gli altri tra una pausa e l'altra si accendevano una sigaretta o bevevano del vino, Zi' Scarda aveva sviluppato l'abitudine di far scendere una lacrima dalla sua guancia per trovare conforto nel suo sapore salato, frutto della fatica e della sofferenza quotidiana nel lavoro nelle miniere di zolfo. Nonostante la sua età avanzata lo tenevano ancora lì a lavorare duro anche per onorare la memoria del figlio morto a causa di una mina, lasciando orfani 7 figli e una nuora da mantenere. E non si preoccupava dei rimproveri del suo superiore, dato che anch'egli aveva modo di sfogarsi con qualcuno più debole di lui: Ciàula.
Il garzone dei picconieri, Ciàula, aveva poco più di trent'anni ed era un uomo sciocco e ingenuo, che si esprimeva quasi come gli animali e questo lo portava a essere vulnerabile, però lavorava duramente. Aveva paura del buio della notte, ma non quello delle grotte sotterranee dove passava la maggior parte del suo tempo, bensì del buio della notte che c'era all'esterno della miniera.
Questa paura gli è presa a causa di un tragico incidente del passato, la morte del figli di Zi' Scarda, infatti in quell'occasione si ruppe la sua lumierina. Dunque, la sera in cui rimasero solamente Zi' Scarda e Ciàula a lavorare, il vecchio maltrattava il ragazzo facendogli portare un carico strapieno di zolfo nonostante il giovane gli chiedesse di non continuare ad aggiungerne altro. Il carico avrebbe dovuto portarlo all'esterno della miniera, percorrendo una salita, e solitamente era solito fare questo passaggio facendo il solito verso della cornacchia, ma stavolta non gli veniva bene perché cominciava a sentire la paura del buio esterno. Stavolta però, non fu come quella volta, in quanto Ciaulà aveva trovato conforto nella luce della luna del quale ne rimase affascinato per la sua bellezza. La scoperta della luna lo colpì profondamente, portandolo a versare lacrime senza nemmeno rendersene conto, e ad ottenere anche una sorta di pace interiore.



Analisi e commento

Sebbene il titolo della novella riporta il nome Ciàula e nel testo è scritto con la lettera iniziale maiucola, non è il vero nome del protagonista, bensì il suo soprannome. Ciàula è un termine della lingua siciliana che sta per "cornacchia", infatti il protagonista in certe situazioni imita il verso dell'animale per comunicare, in particolare nelle situazioni disagianti.

La salita di Ciaula fuori dalla caverna è come un nuovo inizio, come una inascita. Uscire all'aria aperta è come liberarsi, lasciando dietro la vecchia vita che metaforicamente rappresentava la morte, ovvero il non vivere. D'altronde, non si può definire vita passare tutto il tempo in un luogo chiuso e perdipiù lavorando. Il buio della notte dava continuità al buio esterno, ma la luce della luna ha spezzato questa catena e ha perfino fatto commuovere Ciàula che, era a conoscenza dell'esistenza della luna, ma non pensava fosse così meravigliosa e in grado di fargli perfino passare la paura del buio notturno.



Descrizione dei personaggi

  • Ciàula: è il protagonista della novella e si tratta di un giovane che aveva più di trent'anni ma secondo l'autore poteva averne sette (forse in riferimento alla sua intelligenza) o settanta (forse in riferimento al suo aspetto). Si esprime imitando il verso della cornacchia e viene maltrattato e sfruttato da tutti in miniera.
  • Zi' Scarda: è il più vecchio minatore della miniera, nonostante sia cieco in un occhio lo lasciano continuare a lavorare per sfamare la famiglia del figlio che è morto a causa di una mina. Tuttavia, nonostante l'età lavora anche meglio di un giovane e ha il passatempo di gustarsi le sue lacrime.
  • Cacciaguida: è colui che dovrebbe controllare i lavoratori che portano a termine il loro compito ma riesce solo a farsi rispettare dal vecchio Zi' Scarda e da Ciàula.
  • Altri minatori: appena finisce la loro giornata lavorativa, pur non avendo completato il compito giornaliero, si allontanano dalla miniera tra risa e scherni verso Cacciaguida.



Ciaula e Rosso Malpelo

Leggendo la novella di Pirandello, non può che ritornare in mente la novella di Giovanni Verga, altro scrittore siciliano, intitolata Rosso Malpelo. Le due novelle presente molti punti in comune ma anche delle importanti differenze.

Ciàula è ingenuo, sporco e lavora dentro una miniera proprio come Malpelo. Tuttavia, Malpelo ha un caratteraccio, invece Ciàula per quanto strano è tutto sommato un tipo tranquillo. Se Ciàula è più simile ad animale addomesticabile, Malpelo viene definito una bestia per la sua natura grezza e anche un po' selvaggia. Inoltre, mentre Ciàula ha paura del buio della notte, Malpelo non ha paura di nulla, nemmeno di perdersi nella labirintica miniera e di morire perché nessuno sarebbe andato a cercarlo.
Vi sono somiglianze anche nel comportamento di alcuni personaggi, infatti Malpelo riceveva le botte e poi le dava a sua volta a Ranocchio. Invece, in questa novella i rimproveri li riceve prima il vecchio Zi' Scarda che a sua volta li dà a Ciàula caricandolo di lavoro.
Un'ultima differenza si ha nel finale della novella, infatti Malpelo si perde nell'oscurità della miniera, dato che di lui non si avranno più notizie; invece, Ciàula trova (in contrapposizione a perdersi) il bagliore della luna (in contrapposizione all'oscurità).
Un'altra differenza riguarda gli altri minatori che, nella novella di Verga rimangono impauriti perlo spirito di Malpelo che si aggira per la miniera, mentre nella novella di Pirandello l'umore degli altri minatori è totalmente opposto: se la ridono e si prendono anche gioco del loro sorvegliante.



Figure retoriche

  • Onomatopea = "Cràh! cràh!"; "crocchiare".
  • Similitudine = "sforacchiate dalle zolfare, come da tanti enormi formicai"; "a ogni colpo gli strappava come un ruglio di rabbia dal petto"; "come una carità che gli facessero"; "ci stava cieco e sicuro come dentro il suo alvo materno"; "come un cane"; " come se qualcuno lo avesse inseguito"; "come se il vecchio si facesse ajutare a muovere le braccia dalla forza della macchina lontana"; "si apriva come un occhio chiaro"; "come se il sole fosse rispuntato"; "come in un fresco luminoso oceano di silenzio"; Metafora = "oceano di silenzio"; "gli stava di faccia la Luna".
  • Allegoria = la luna simboleggia la speranza, il buio simboleggia la paura, l'esplosione della mina simboleggia la tristezza e la solitudine.
  • Ossimoro = "cieco e sicuro".
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Figure retoriche: I poeti lavorano di notte di Alda Merini


La poesia di Alda Merini è davvero straordinaria. Il titolo stesso, "I poeti lavorano di notte", suggerisce un contenuto potente. Questa frase descrive il ruolo del poeta come qualcosa di speciale: una persona che si ritira nella notte per scrivere quando il mondo diventa silenzioso.





I poeti lavorano di notte: figure retoriche

In questa pagina trovate tutte le figure retoriche contenute nella poesia I poeti lavorano di notte di Alda Merini. Tra le figure retoriche più rilevanti vi sono la similitudine e la sinestesia. Per ulteriori informazioni vi rimandiamo alla scheda principale dedicata alla poesia I poeti lavorano di notte, con testo, parafrasi, analisi e commento.



Anafora

La prima anafora riprende le parole del titolo nel primo verso v.1 e in parte si ripete nel v.5.
I poeti lavorano

La seconda anafora è una ripetizione dell'avverbio nel v.2 e v.3.
Quando



Allitterazione

Nel v.3 è presente l'allitterazione della consonante L.
il, della, folla



Similitudine

Nei versi vv. 6-7 Alda Merini paragona i poeti agli uccelli della notte.
come falchi notturni od usignoli dal dolcissimo canto



Climax

Il climax ascendente viene usato per descrivere
notte (v.1)
buio (v.5)
silenzio (v.9)



Sinestesia

Nei vv. 10-11 è presente una sinestesia perché il rumore appartiene alla fera sensoriale dell'udito, mentre la cupola che è dorata di stelle appartiene alla sfera sensoriale della vista.
"rumore di una dorata cupola di stelle" (vv. 10-11)



Antitesi

Ai poeti vengono accostate due parole in contrasto tra loro perché dove c'è rumore non può esserci silenzio.
"silenzio" (v.9)
"rumore" (v.10)



Enjambement

Eccovi gli enjambement più evidenti presenti nel testo, ovvero l'interruzione del verso che prosegue nel successivo.
"usignoli / dal dolcissimo canto" (vv. 6-7)
"più rumore / di una dorata cupola di stelle" (vv. 10-11)
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Figure retoriche: Meritamente , però ch'io potei

Meritamente-Foscolo

Il sonetto parla di un amore che è finito, un sentimento così potente che cambia completamente la prospettiva del poeta sul mondo. Le immagini delle onde e del vento rappresentano la sua disperazione profonda. Il poeta si trova in esilio volontario a causa della situazione politica che vede l'ingresso degli austriaci in Italia, ma questo significa anche essere lontano dalla donna che ama e si sente in colpa verso di lei per aver scelto di abbandonarla.





Meritatamente , però ch'io potei: figure retoriche

In questa pagina trovate tutte le figure retoriche contenute nel sonetto Meritatamente , però ch'io potei di Ugo Foscolo. Tra le figure retoriche più importanti individuate nel testo segnaliamo la personificazione e l'anastrofe. Per leggere testo, parafrasi e commento della poesia vi rimandiamo invece alla scheda principale di Meritatamente , però ch'io potei.



Allitterazione

L'allitterazione della R è presente nei primi due versi e serve ad aggiungere una sorta di ruvidezza o asprezza al tema trattato.
"meritatamente, però" (v.1)
"abbandonarti, grido, frementi" (v.2)

L'allitterazione della S è presente nella parte centrale del testo, più precisamente nei versi vv. 4-5. Serve ad accentuare il senso di lamento e tristezza nel testo attraverso il suono sibilante della "S" che crea un'atmosfera di sospensione, malinconia e dolore.
sperdono, soldi, sperai

Negli ultimi due versi è presente l'allitterazione della M e della N.
"speme, amor, ombre, inferne, seguirammi, immortale, onnipotente" (vv. 13-14).



Personificazione

Nel v.4 i venti del Tirreno sono definiti sordi perché disperdono i pianti del poeta senza "sentire" il dolore che egli sta provando.
sordi



Anastrofe

Nel v.4 le due parole sono scritte in ordine invertito, l'ordine corretto sarebbero dovuto essere "i venti del Tirreno".
del Tirreno i venti

Nel v.8 l'ordine delle parole è invertito per attirare l'attenzione sul pronome personale complemento "me" così da rendere più evidente al lettore il suo senso di colpa. Infatti, avrebbe dovuto scrivere "sospirando me", che vuol dire "ansimando me" oppure "rimpiangendomi".
Me sospirando



Anafora

Nei versi v.5 e v.9 viene ripetuto lo stesso verbo all'inizio del verso.
Sperai



Iperbato

Nei vv.10-11 l'aggettivo eterne è riferito alle foreste.
e le eterne ... foreste



Similitudine

Nel v.11 il poeta si paragona a una fiera, termine per molti è noto per il primo canto dell'inferno dantesco, e vuol dire a una bestia selvatica. L'aggettivo dimostrativo "qual" ha la stessa funzione del "come".
qual fiera



Metafora

Nel v.12 è presente una metafora dato che le cose elencate possono consolare il cuore solo metaforicamente parlando, e sempre metaforicamente il cuore è definito sanguinante, ovvero lacerato dalla sofferenza.
Sarien ristoro al mio cor sanguinente



Enjambement

Di seguito trovare i versi e le parole che vengono spezzate per poi continuare nel verso successivo.
"potei / abbandonarti" (vv. 1-2)
"frementi / onde" (vv. 2-3)
"i pianti miei / sperdono" (vv. 3-4)
"queste / rupi" (vv. 9-10)
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Meritamente, però ch'io potei, Ugo Foscolo: parafrasi e commento

poesia-abbandono-amore

Meritamente, però ch'io potei è una poesia di Ugo Foscolo composta nel 1802 apparsa per la prima volta nel "Nuovo Giornale dei Letterati" di Pisa, e successivamente è stata contenuta nella raccolta "Poesie di Ugo Foscolo".





Meritamente, però ch'io potei: schema poesia

Titolo Meritamente, però ch'io potei
Autore Ugo Foscolo
Genere Sonetto
Raccolta Poesie di Ugo Foscolo
Data 1802
Corrente letteraria Romanticismo
Temi trattati Il senso di colpa per aver abbandonato la donna amata




Meritamente, però ch'io potei: testo poesia

Meritamente, però ch’io potei
Abbandonarti, or grido alle frementi
Onde che batton l’alpi, e i pianti miei
Sperdono sordi del Tirreno i venti.

Sperai, poiché mi han tratto uomini e Dei
In lungo esilio fra spergiure genti
Dal bel paese ove or meni sì rei,
Me sospirando, I tuoi giorni fiorenti.

Sperai che il tempo, e i duri casi, e queste
Rupi ch’io varco anelando, e le eterne
Ov’io qual fiera dormo atre foreste,

Sarien ristoro al mio cor sanguinente;
Ahi, vòta speme! Amor fra l’ombre inferne
Seguirammi immortale, onnipotente.



Parafrasi

Giustamente, ora che ho potuto lasciarti, grido alle agitate onde che si infrangono sulle rocce alpine e i miei pianti si disperdono tra i sordi venti del Tirreno. Ho sperato poiché uomini e Dei mi hanno condotto all'esilio tra genti traditrici dall'Italia dove ora tu trascorri i giorni della tua giovinezza rimpiangendomi. Ho sperato invano che il tempo, gli eventi dolorosi e queste rupi che ora attraverso con affanno, e le foreste sempreverdi in cui io dormo come un animale selvatico, fossero di conforto al mio cuore pieno di ferite. Ah, falsa speranza! L'amore onnipotente ed immortale continuerà a seguirmi tra le ombre degli Inferi.



Analisi e commento

Schema metrico: sonetto con rima ABAB ABAB CDC EDE.

Con l'invasione degli austriaci nel Bel Paese, ovvero l'Italia, Ugo Foscolo ha scelto volontariamente l'esilio piuttosto che essere considerato uno straniero all'interno della propria patria, dunque era questo il suo modo di protestare e di ribellarsi per essere in pace con se stesso. Ma qui il tema è un altro, si sta parlando di esilio amoroso, infatti il poeta che si è sentito costretto a lasciare l'Italia ha dovuto anche abbandonare la sua amata. Questa scelta non è vista nemmeno dal poeta stesso come saggia e giusta, ragion per cui inizia il sonetto con l'avverbio "meritatamente", che vuol dire che egli riconosce di meritare questo senso di colpa, per averla lasciata ed essersi allontanato dall'Italia. Il poeta sa che la sua donna sta soffrendo nella sua ancora giovane età per un amore interrotto a causa di circostanze esterne alla loro relazione. Il poeta sperava che il tempo e la nuova vita in un nuovo Paese potessero essergli di conforto e invece non riesce a trovare pace a causa dell'angoscia, il cui animo tormentato è descritte attraverso il mare burrascoso e le onde che vanno a sbattere rumorosamente contro le rocce e poi anche attraverso il vento che è definito sordo nei confronti del suo dolore. Insomma, il poeta ha cullato questa speranza che si è rivelata inutile e sostiene che questo senso di colpa se lo porterà anche dopo la morte, ed egli sa già che verrà collocato negli Inferi, cioè all'inferno, la destinazione di chi in vita ha agito per malvagità. Dunque, questa poesia è un'ammissione di colpa e solitamente si è soliti dire che ammettere le proprie colpe prima di morire è un modo per ottenere la grazia divina ed essere perdonati per i propri sbagli.

Il titolo fa pensare al poeta latino Properzio, mostrando quanto Ugo Foscolo amasse i grandi scrittori del passato. Mentre la donna amata pare possa essere Antonieta Fagnani Arese, una nobildonna milanese per cui il Foscolo scrisse numerosi componimenti. Il luogo scelto da Foscolo per l'esilio volontario pare fosse Nizza, e il periodo pare fosse l'inverno del 1799-1800.



Figure retoriche

  • Allitterazione della R = "meritatamente, però" (v.1) e "abbandonarti, grido, frementi" (v.2).
  • Personificazione = "sordi" (v.4).
  • Allitterazione della S = "sperdono, soldi, sperai" (vv. 4-5).
  • Anastrofe = "del Tirreno i venti" (v.4); "Me sospirando" (v.8).
  • Anafora = "Sperai" (v.5; v.9).
  • Iperbato = "e le eterne ... foreste" (vv. 10-11)
  • Similitudine = "qual fiera" (v.11). Cioè come una bestia selvatica.
  • Metafora = "Sarien ristoro al mio cor sanguinente" (v.12).
  • Allitterazione della M e della N = "speme, amor, ombre, inferne, seguirammi, immortale, onnipotente" (vv. 13-14).
  • Enjambement = "potei / abbandonarti" (vv. 1-2); "frementi / onde" (vv. 2-3); "i pianti miei / sperdono" (vv. 3-4); "queste / rupi" (vv. 9-10).
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I poeti lavorano di notte, Alda Merini: parafrasi e commento

poeta-notte

I poeti lavorano di notte è una poesia della poetessa italiana Alda Merini e che fa parte della raccolta "Destinati a morire".





I poeti lavorano di notte: testo poesia

I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.
I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere iddio
ma i poeti nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle.



Parafrasi

I poeti si dedicano al loro lavoro durante la notte, quando non sono sottoposti alla pressione del tempo, quando non c'è anima viva e finisce il tormento delle ore che passano. Lavorano nell'oscurità come falchi notturni o usignoli che cantano dolcemente, temendo di mancare di rispetto a Dio. Tuttavia, nonostante il loro silenzio, i poeti generano un rumore molto più intenso di una cupola dorata di stelle.



Analisi e commento

La poetessa Alda Meriti ci dà la sua descrizione riguardante la professione del poeta. Secondo Alda, i poeti (proprio come lei) lavorano maggiormente di notte perché è il momento dell'ispirazione poetica in quanto possono beneficiare della quiete e della solitudine per scrivere senza distrazioni esterne. La professione del poeta non ha un orario di lavoro ben definito, sono loro stessi che scelgono quando e quanto scrivere, e come già detto prediligono le ore notturne, proprio come alcuni uccelli che dominano i cieli notturni: il falco e l'usignolo. Il loro lavoro artistico e creativo e così puro ed eccezionale che persino i poeti stessi si preoccupano che quello che stanno facendo possa essere vista da Dio come un'offesa, nel senso che sembra quasi che stiamo emulando il lavoro del padre eterno, ovvero la "creazione del mondo secondo la Genesi". Molto potenti sono i versi conclusivi di questa poesia, nel quale la poetessa spiega che i poeti, pur lavorando nel silenzio, attraverso l'uso delle parole possono creare molto rumore (suscitare polemiche, attirare seguaci, diventare fonte di ispirazione per i lettori) e anche più di un cielo (cupola) nel quale brillano numerose stelle. Né il cielo stellato né i poeti fanno rumore, è solo un modo per dire che entrambi lasciano il segno in chi si imbatte in loro influenzandoli nel profondo.



Figure retoriche

  • Anafora = "I poeti lavorano" (v.1; v.5); "quando" (vv. 2-3).
  • Allitterazione della L = "il, della folla" (v.3).
  • Similitudine = "come falchi notturni od usignoli" (v.6).
  • Climax ascendente = l'intera poesia descrive con un'intensità crescente la professione dei poeti attraverso tre espressioni notte (v.1); buio (v.5); silenzio (v.9).
  • Sinestesia = "rumore di una dorata cupola di stelle" (vv. 10-11). Sfera sensoriale dell'udito e della vista.
  • Antitesi = "silenzio" (v.9); "rumore" (v.10).
  • Enjambement = "usignoli / dal dolcissimo canto" (vv. 6-7); "più rumore / di una dorata cupola di stelle" (vv. 10-11).
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La sposa bambina, Beppe Fenoglio: riassunto e commento

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La sposa bambina è un racconto dello scrittore italiano Beppe Fenoglio che fa parte della raccolta "Un giorno di fuoco" (1963).





La sposa bambina: riassunto

Catinina era una bambina di tredici anni, figlia di genitori che lavoravano al mercato, ed Era conosciuta come "mezza zingara" a causa delle sue origini. Passava le giornate giocando con i suoi amici maschi sotto le tende dei banchi del mercato. Un giorno, mentre stava giocando a biglie, sua madre la chiamò per tornare a casa, interrompendo il gioco.
A casa trova un vecchio con i baffi che sembrava puzzare come il venditore di acciughe, insieme al padre di lei e alla sua sorella maggiore. Pensò che dovevano dei soldi al vecchio, ma in realtà lui era lì per chiederla in sposa per suo nipote, un diciottenne che vendeva stracci. Inizialmente Catinina non è favorevole all'idea del matrimonio, ma è disposta a cambiare idea se l'abito fosse stato di colore rosso. La madre le spiega che l'abito di colore rosso non era adatto per le nozze, ma ci pensa la sorella convincerla ad accettare ricordandole che con il matrimonio ci sono anche tanti confetti, di cui lei ne è evidentemente ghiotta.
Si sposano in chiesa e il pranzo di nozze al ristorante, tutto pagato dal vecchio (il suocero). Verso sera ilgiovane sposo e la sposa bambina partono con il carretto per il viaggio di nozze, che in realtà è un viaggio di lavoro per vendere degli stracci. Durante il viaggio, il marito si arrabbia con lei, prima perché la vede continuamente mangiare delle caramelle e poi per non aver usato il "voi" (in segno di rispetto). Quando giungono a Savona, Catinina vede per la prima volta il mare, ma si allontanano nuovamente da esso perché il parente del marito che dovevano andare a trovare abitava in collina.
Durante la festa, Catinina si diverte, ma non si accorge di trascurare il marito, che è anche geloso nel vederla ridere e scherzare con altri uomini più vecchi. Quando tornano in camera, lui la picchia e poi nella notte non consumano l'unione matrimoniale essendo ancora fisicamente troppo giovane (lo sarà l'anno seguente). Al mattino, Catinina ferita fisicamente e anche psicologicamente chiede al marito (pentito) di voler tornare nella sua casa a Murazzano in quanto si è resa conto a sue spese il prezzo dell'essere di buonumore e ha perso pure la voglia di rivedere il mare. Il giorno dopo, il panettiere di Murazzano disse a Catinina che non poteva lasciare il marito, essendo proprio questa la legge del matrimonio.
Il panettiere convince il marito a fare promesse per migliorare la casa e così vanno ad aggiungersi la luce e il balcone, su specifica richiesta di Catinina. Ma ci volle un anno perché il balcone fosse pronto e nel frattempo Catinina ebbe il suo primo di nove figli. Non si preoccupava molto del neonato e continuava a giocare a biglie proprio come faceva prima. Quando il bambino piangeva, la vicina la chiamava, ma lei rispondeva di voler giocare l'ultima biglia.



Analisi del testo

Il racconto è ambientato nel Piemonte del primo Novecento e le vicende si svolgono soprattutto all'esterno, ad esempio in strada Catinina gioca a biglie e anche il percorso del viaggio insieme al marito; mentre le poche vicende che si svolgono nei luoghi interni, riguarda la casa dove gli propongono il matrimonio e la casa del parente dello sposo nel quale fanno festa.

La storia ha come protagonista Catinina, una bambina di soli tredici anni. Ci sono altri personaggi importanti come lo sposo, la famiglia di Catinina, un vecchio, un parente dello sposo e il panettiere del paese di Murazzano.

Il tema principale di questo racconto è quello delle ragazzine e addirittura bambine, la cui giovinezza è negata in quanto devono sin da giovanissime prendersi cura del marito, ottenuto tramite un matrimonio combinato. Si tratta di una pratica ancora presente in alcuni paesi del mondo, soprattutto nei paesi arabi e asiatici.



Commento

Questo racconto suscita una serie di emozioni contrastanti. Da un lato, c'è la tristezza nel vedere una bambina costretta a sposarsi così giovane per motivi economici o sociali, senza alcuna considerazione per i suoi desideri o la sua felicità. E la convincono ad accettare facendo leva sulla sua ingenuità (tipica dei bambini) e per il fatto che sia semplice da corrompere (con dei confetti).

Dall'altro lato è sconvolgente pensare che una ragazza così giovane debba affrontare una vita così difficile e priva di scelte, e difatti quando ne ha l'occasione riprende a giocare a biglie, non avendo ancora acquisito il senso di responsabilità di una donna adulta che sceglie di sua volontà, insieme al marito, di avere un bambino. Dunque, per lei il figlio è solamente un peso, un fastidio, e non un dono, proprio perché gli è stato imposto.

Quel che crea disturbo e disorientamento al lettore è il modo inquietante in cui gli altri personaggi del racconto (la comunità) accettano passivamente la situazione senza considerare il benessere della ragazza. È un richiamo alla necessità di difendere i diritti fondamentali dei bambini, compreso il diritto a un'infanzia sicura e protetta.
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Classicismo in letteratura: riassunto breve

letteratura-italiana-classicismo

Il classicismo è una corrente di pensiero sviluppatosi tra il XVI e il XVII secolo in Europa, che coincide approssimativamente con il Rinascimento italiano.





Classicismo: etimologia e origine

Il termine "classicismo deriva dal latino "classicus", che vuol dire "classico", e con esso s'intende l'atteggiamento culturale e sociale ispirato ai modelli tipici dell'antichità classica, in particolare quelli dell'antica Grecia e dell'antica Roma. Nell'antica Roma i cittadini era suddivisi per censo e i classicus erano coloro che appartenevano alla prima classe ed erano generalmente considerati di livello superiore, almeno per quanto riguarda il punto di vista sociale, morale e intellettuale. Fu usato per la prima volta da Aulo Gellio nel secondo secolo d.C. per indicare autori eccellenti ed esemplari, da prendere a modello.







Caratteristiche del classicismo letterario

Il classicismo letterario è emerso come risposta al Barocco, che era considerato eccessivamente elaborato. Nel classicismo, l'obiettivo era imitare gli antichi come modello da cui trarne ispirazione e ricerca della perfezione.
La poesia classica adotta uno stile elegante, armonioso, chiaro, con parole selezionate con cura e che sono state usate per secoli.
Il classicismo tornò in auge nel tardo Settecento, diventando noto come Neoclassicismo, e si oppose in modo polemico al Romanticismo.



Chi sono i principali esponenti del classicismo letterario?

Gli scrittori latini come Virgilio e Orazio furono tra i primi ad adottare lo stile classico, ispirandosi alla tradizione greca. Nel 1500 in Italia, il Bembo ha creato una sorta di elenco di autori importanti, definendo l'importanza di Petrarca per la poesia e di Boccaccio per la prosa. Con il passare del tempo, questa lista si è ampliata, includendo anche autori come Dante, Ariosto, Tasso, Macchiavelli, Goldoni, Parini, Alfieri, Foscolo, Manzoni, Leopardi.
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