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Paradiso Canto 20 - Figure retoriche

Tutte le figure retoriche presenti nel ventesimo canto del Paradiso (Canto XX) della Divina Commedia di Dante Alighieri.

Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del ventesimo canto del Paradiso. In questo canto l'aquila descrive il proprio occhio, formato dalla luce di sei anime che vengono quindi presentate: Davide, re d'Israele, l'imperatore Traiano, Ezechia, re di Giuda, l'imperatore Costantino, Guglielmo II di Sicilia, Rifeo, troiano che compare nell'Eneide. Dante rimane meravigliato di fronte alla salvezza di Traiano e di Rifeo in quanto pagani. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 20 del Paradiso.



Le figure retoriche

Colui che tutto ‘l mondo alluma = perifrasi (v. 1). Cioè: "colui che illumina tutto il mondo", per indicare il sole.

De l’emisperio nostro = anastrofe (v. 2). Cioè: "dal nostro emisfero".

‘l segno del mondo e de’ suoi duci = perifrasi (v. 8). S'intende l'aquila.

Labili e caduci = dittologia (v. 12). Cioè: "difficili e impossibili".

O dolce amor che di riso t’ammanti quanto parevi ardente in que’ flailli, ch’avieno spirto sol di pensier santi! = apostrofe (vv. 13-15).

Cari e lucidi = endiadi (v. 16). Cioè: "preziose e scintillanti".

Il sesto lume = perifrasi (v. 17). Per indicare il sesto pianeta Giove.

Udir mi parve = anastrofe (v. 19). Cioè: "mi sembrò si sentire".

E come suono al collo de la cetra prende sua forma, e sì com’al pertugio de la sampogna vento che penètra, così, rimosso d’aspettare indugio, quel mormorar de l’aguglia salissi su per lo collo, come fosse bugio = similitudine (vv. 22-27). Cioè: "E come il suono si forma sul manico della cetra, e così come si sente il soffio d'aria che entra nel foro della zampogna, così, ponendo fine a ogni esitazione, quel mormorio dell'aquila salì lungo il collo, come se questo fosse forato".

Aguglia = perifrasi (v. 26). Per indicare l'aquila.

La parte in me che vede e pate il sole ne l’aguglie mortali = perifrasi (vv. 31-32). Per indicare l'occhio.

Vede e pate = endiadi (v. 31) Cioè: "vede e sopporta" la vista del sole.

Il cantor de lo Spirito Santo che l’arca traslatò di villa in villa = perifrasi (vv. 38-39). Per indicare re David.

Colui che più al becco mi s’accosta, la vedovella consolò del figlio = perifrasi (vv. 44-45). Per indicare Traiano.

Dolce vita e de l’opposta = eufemismo (v. 48). Per indicare il Paradiso e l'Inferno.

E quel che segue in la circunferenza di che ragiono, per l’arco superno, morte indugiò per vera penitenza = perifrasi (vv. 49-51). Per indicare re Ezechia.

L’altro che segue, con le leggi e meco, sotto buona intenzion che fé mal frutto, per cedere al pastor si fece greco = perifrasi (vv. 55-57). Per indicare Costantino.

Guiglielmo fu = anastrofe (v. 62). Cioè: "fu Gugliemo, è Guglielmo".

Carlo e Federigo vivo = sineddoche (v. 63). Il singolare per il plurale, cioè: "dai vivi Carlo II d'Angiò e Federico II d'Aragona".

Nel mondo errante = perifrasi (v. 67). Per indicare la Terra.

Divina grazia = anastrofe (v. 71). Cioè: "grazia divina".

Quale allodetta che ‘n aere si spazia prima cantando, e poi tace contenta de l’ultima dolcezza che la sazia, tal mi sembiò l’imago de la ‘mprenta de l’etterno piacere = similitudine (vv. 73-77). Cioè: "come l'allodola che dapprima vola nell'aria cantando e poi tace, compiacendosi delle ultime dolci noti del canto che le danno soddisfazione, così mi sembrò l'immagine dell'impronta divina".

L’imago de la ‘mprenta de l’etterno piacere = perifrasi (vv. 76-77). Per indicare l'aquila.

Al dubbiar mio = anastrofe (v. 79). Cioè: "al mio dubitare".

Lì quasi vetro a lo color ch’el veste = similitudine (v. 80). Cioè: "ero come un vetro che assume il colore di ciò che contiene".

Benedetto segno = perifrasi (v. 86). Per indicare l'aquila.

Fai come quei che la cosa per nome apprende ben, ma la sua quiditate veder non può se altri non la prome = similitudine (vv. 91-93). Cioè: "tu sei come colui che conosce una cosa dal nome, ma non sa coglierne l'essenza se qualcun altro non gliela spiega".

Divina volontate = anastrofe (v. 96). Cioè: "volontà divina".

Non a guisa che l’omo a l’om sobranza = similitudine (v. 97). Cioè: "non come l'uomo che ne supera un altro".

Vince ... vinta ... vinta ... vince = figura etimologica (vv. 98-99). Hanno la stessa radice.

La prima vita del ciglio e la quinta = perifrasi (v. 100). Per indicare Traiano e Rifeo.

La region de li angeli = perifrasi (v. 102). Per indicare il Paradiso.

La carne = metonimia (v. 113). La materia per l'oggetto, nella carne anziché nel suo corpo.

In lui che potea aiutarla = perifrasi (v. 114). Cioè: "colui che che poteva aiutare l'anima in questione", ovvero Cristo.

Questo gioco = perifrasi (v. 117). Per indicare la beatitudine.

Li aperse l’occhio = sineddoche (v. 123). Cioè: "gli aprì gli occhi".

Quelle tre donne = allegoria (v. 127). Per indicare le tre virtù teologali.

O predestinazion, quanto remota è la radice tua da quelli aspetti che la prima cagion non veggion tota! = apostrofe (v. 130-132).

Radice tua = anastrofe (v. 131). Cioè: "tua radice".

Imagine divina = perifrasi (v. 139). Per indicare l'aquila.

E come a buon cantor buon citarista fa seguitar lo guizzo de la corda, in che più di piacer lo canto acquista, sì, mentre ch’e’ parlò, sì mi ricorda ch’io vidi le due luci benedette, pur come batter d’occhi si concorda, con le parole mover le fiammette = similitudine (vv. 142-146). Cioè: "E come un bravo citarista accompagna col vibrare delle corde il bravo cantore, accrescendo la piacevolezza del canto, così, mentre l'aquila parlava, mi ricordo di aver visto le anime luminose dei due beati che lampeggiavano insieme, come il batter degli occhi avviene simultaneamente".

Le due luci benedette = perifrasi (v. 146). Per indicare Traiano e Rifeo.



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