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Purgatorio Canto 14: analisi, commento, figure retoriche

Spiegazione, analisi e commento degli avvenimenti del quattordicesimo canto del Purgatorio (Canto XIV) della Divina Commedia di Dante Alighieri.

In questo canto Salomone scioglie il dubbio di Dante riguardante il fatto se anche dopo il Giudizio Universale, quando il corpo sarà ricongiunto all'anima, rimarrà la luce intensa che ora avvolge ogni anima, e se questa luce non disturberà la vista dei beati.


Analisi del canto

Argomenti del canto
In questo canto è ancora presente il tema dell'invidia, iniziato nel canto precedente, ma è collocato solamente nei versi conclusivi (vv. 127-141). Viene invece dato ampio spazio al tema politico con due temi importanti: la condanna della corruzione morale della Toscana e della Romagna. (vv. 1-66), e il piacevole ricordo delle antiche e illustre famiglie della Romagna (vv. 67-126).


La valle dell'Arno
Guido del Duca lancia un invettiva contro gli abitanti della città toscane (vv. 29-66) e lo fa seguendo un itinerario che segue il corso del fiume Arno. Dapprima nomina tutta l'area facendo presente che in essa non è possibile trovare alcuna virtù, e poi nomina singolarmente i vizi propri del Casentino, di Arezzo, Firenze e Pisa. Inoltre, la descrizione geografica delle città e quella dei loro abitanti presenta un linguaggio di basso livello come quello che era tipico nella cantica dell'inferno, come ad esempio  "brutti porci, botoli... ringhiosi, lupi e volpi... piene di froda". Dopo la condanna generale c'è spazio anche per una profezia su un personaggio ancora in vita, Fulcieri da Calboli, nipote di Rinieri da Calboli, che durante il suo incarico a Firenze diventerà cacciatore dei lupi (i Guelfi Bianchi di Firenze).


Le antiche famiglie nobili della Romagna
Dopo l'invettiva viene riportato il buon ricordo delle antiche famiglie nobili della Romagna, note per la loro nobiltà d'animo, per il pregio e la cortesia, in netto contrasto con quelle dei loro discendenti attuali che non fanno altro che macchiare il nome e il ricordo della stirpe. E, inoltre, Guido carica le sue parole di effetto nostalgico aggiungendo che le famiglie senza discendenti fanno bene a non averne se i risultati sono questi. Una rievocazione delle antiche famiglie di Firenze, quando era ancora giusta e felice, avviene anche nel canto XVI del Paradiso, attraverso le parole di Cacciaguida.



Figure retoriche

Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del quattordicesimo canto del Paradiso. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 14 del Paradiso.


Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro = anadiplosi (v. 1). Cioè: "si muove dal centro all'orlo e viceversa".

Ritondo vaso = anastrofe (v. 2). Cioè: "vaso rotondo, contenitore rotondo".

A cui sì cominciar, dopo lui, piacque = iperbato (v. 9). Cioè: "alla quale piacque iniziare a parlare dopo di lui".

Come, da più letizia pinti e tratti, a la fiata quei che vanno a rota levan la voce e rallegrano li atti, così, a l’orazion pronta e divota, li santi cerchi mostrar nova gioia nel torneare e ne la mira nota = similitudine (vv. 19-24). Cioè: "Come talvolta quelli che danzano in cerchio, spinti da una maggiore gioia, alzano la voce e rendono più allegri loro gesti, così a quella preghiera pronta e devota di Beatrice, quelle sante corone mostrarono nuova felicità, ruotando e cantando mirabilmente".

Pinti e tratti = endiadi (v. 19). Cioè: "spinti e trascinati".

L’etterna ploia = allegoria (v. 27). Cioè: la beatitudine della Grazia Divina.

Uno e due e tre = enumerazione (v. 28).

Vive / e regna = enjambement (vv. 28-29).

In tre e ‘n due e ‘n uno = enumerazione (v. 29).

Circunscritto ... circunscrive = poliptoto (v. 30).

Tre volte era cantato = anastrofe (v. 31). Cioè: "era cantato / osannato tre volte".

Da ciascuno / di quelli spirti = enjambement (vv. 31-32).

Più dia del minor cerchio = enjambement (vv. 34-35).

La luce più dia del minor cerchio = perifrasi (vv. 34-35). Per indicare l'anima si Salomone.

Una voce modesta, forse qual fu da l’angelo a Maria = similitudine (vv. 35-36). Cioè: "una voce modesta, forse simile a quella dell'arcangelo Gabriele a Maria nell'Annunciazione".

La festa / di paradiso = enjambement (vv. 37-38).

L’ardore; l’ardor = figura etimologica (vv. 40-41).

Gloriosa e santa = endiadi (v. 43).

Dona di gratuito lume = enjambement (vv. 46-47).

Sommo bene = perifrasi (v. 47). Per indicare Dio.

Crescer = anafora e iterazione (v.50, v.51).

Ma sì come carbon che fiamma rende, e per vivo candor quella soverchia, sì che la sua parvenza si difende; così questo folgór che già ne cerchia fia vinto in apparenza da la carne che tutto dì la terra ricoperchia = similitudine (vv. 52-57). Cioè: "Ma come il carbone avvolto dalla fiamma la supera per la sua forte incandescenza, in modo tale da continuare ad essere visibile, così questo fulgore che già ci circonda sarà vinto dall'aspetto del corpo che tutt'ora è sepolto in terra".

Carbon ... candor = paronomasia (vv. 52-53).

Affaticarne = metonimia, l'effetto per la causa (v. 58). Cioè: "affaticare" anziché "dare fastidio".

Sùbiti e accorti = endiadi (v. 61). Cioè: "pronti e solleciti".

Nascere un lustro sopra quel che v’era, per guisa d’orizzonte che rischiari = similitudine (vv. 68-69). Cioè: "un chiarore in aggiunta a quello che già c'era, simile ad un orizzonte che incomincia a illuminarsi".

E sì come al salir di prima sera comincian per lo ciel nove parvenze, sì che la vista pare e non par vera, parvemi lì novelle sussistenze cominciare a vedere, e fare un giro di fuor da l’altre due circunferenze = similitudine (vv. 70-75). Cioè: "E come al calare della sera appaiono in cielo le prime stelle, tali che sembra e non sembra reale, così mi parve lì di vedere le nuove anime, e mi sembrò che ruotassero intorno alle altre due corone di beati".

Un giro / di fuor = enjambement (vv. 74-75).

Oh vero sfavillar del Santo Spiro! = esclamazione (v. 76).

Santo Spiro = anastrofe (v. 76). Cioè: "Spirito Santo".

Occhi miei = anastrofe (v. 78). Cioè: "miei occhi".

Bella e ridente = endiadi (v. 79). Cioè: "bella e splendente".

Che non seguir la mente = anastrofe (v. 81). Cioè: "che la memoria non poté trattenere".

Li occhi miei = anastrofe (v. 82). Cioè: "i miei occhi".

Ripreser ... virtute = iperbato (v. 82). Cioè: "ripresero forza".

Con mia donna = perifrasi (v. 84). Per indicare Beatrice.

Accors’io = dialefe (v. 85).

L’affocato riso de la stella = personificazione (v. 86). Ovvero "riso" sta per "splendore".

Per l’affocato riso de la stella, che mi parea più roggio che l’usato = similitudine (vv. 86-87). Cioè: "perché la stella era rossa come il fuoco e brillava più del solito".

Non er’anco ... essausto = iperbato (v. 91).

Accetto e fausto = endiadi (v. 93). Cioè: "accolto e soddisfatto".

O Eliòs che sì li addobbi! = esclamazione (v. 96). Cioè: "O Dio, tu li abbellisci così!".

Come distinta da minori e maggi lumi biancheggia tra ‘ poli del mondo Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi; sì costellati facean nel profondo Marte quei raggi il venerabil segno che fan giunture di quadranti in tondo = similitudine (vv. 97-102). Cioè: "Come la Via Lattea si stende chiara, punteggiata di stelle piccole e grandi, da un polo all’altro dell’universo, così da far dubitare i più sapienti, così quei raggi di luce uniti in una costellazione creavano nella profondità di Marte il venerabile segno (della Croce), come in un cerchio le linee che uniscono i quadranti".

La memoria mia = anastrofe (v. 103). Cioè: "la mia memoria".

Si movien lumi, scintillando forte nel congiugnersi insieme e nel trapasso: così si veggion qui diritte e torte, veloci e tarde, rinovando vista, le minuzie d’i corpi, lunghe e corte, moversi per lo raggio onde si lista talvolta l’ombra = similitudine (vv. 110-116). Cioè: "così vediamo muoversi i corpuscoli di polvere in diverse direzioni, veloci e lenti, lunghi e corti, cambiando aspetto attraverso il raggio di luce che talvolta illumina l'ombra".

Ingegno e arte = endiadi (v. 117). Cioè: "con ingegnosità".

E come giga e arpa, in tempra tesa di molte corde, fa dolce tintinno a tal da cui la nota non è intesa, così da’ lumi che lì m’apparinno s’accogliea per la croce una melode che mi rapiva, sanza intender l’inno = similitudine (vv. 118-123). Cioè: "E come la giga e l'arpa, facendo vibrare le corde tese, producono un dolce suono anche per chi non distingue le singole note, così dagli splendori che mi apparvero si raccoglieva nella croce una melodia che mi affascinava, anche se io non comprendevo l'inno".

Come a colui che non intende e ode = similitudine (v. 126). Cioè: "come a colui che ascolta e non comprende".

La mia parola = sineddoche, il singolare per il plurale (v. 130). Cioè: "le mie parole".



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