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Purgatorio Canto 27 - Figure retoriche

Tutte le figure retoriche presenti nel ventisettesimo canto del Purgatorio (Canto XXVII) della Divina Commedia di Dante Alighieri.

Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del ventisettesimo canto del Purgatorio. In questo canto ancora ambientato nella VII Cornice dei lussuriosi, i tre poeti (Dante, Virgilio e Stazio) incontrano l'angelo della castità che li invita a oltrepassare un muro di fuoco, oltre il quale si trova Beatrice. In seguito Dante si addormenta, sogna una giovane che raccoglie i fiori, e al risveglio Virgilio gli rivela che il suo ruolo come guida è giunto al termine. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 27 del Purgatorio.


Le figure retoriche

Là dove il suo fattor lo sangue sparse = perifrasi (v. 2). Cioè: "là dove il suo Creatore fu ucciso", per indicare Gerusalemme.

Non siate sorde = litote (v. 12). Cioè: "prestate attenzione".

Per ch’io divenni tal, quando lo ‘ntesi, qual è colui che ne la fossa è messo = similitudine (vv. 14-15). Cioè: "divenni tale quale colui che è messo nella fossa", ovvero, pallido come un cadavere.

Ne la fossa è messo = anastrofe (v. 15). Cioè: "è messo nella fossa".

Umani corpi = anastrofe (v. 18). Cioè: "corpi umani".

Presso più = anastrofe (v. 24). Cioè: "più vicino".

Fermo e duro = endiadi (v. 34).

Come al nome di Tisbe aperse il ciglio Piramo in su la morte, e riguardolla, allor che ‘l gelso diventò vermiglio; così, la mia durezza fatta solla, mi volsi al savio duca, udendo il nome che ne la mente sempre mi rampolla = similitudine (vv. 37-42). Cioè: "Come Piramo in punto di morte aprì gli occhi sentendo il nome di Tisbe, e la guardò intensamente, e da quel momento il gelso divenne rosso; così, ammorbidita la mia ostinazione, mi voltai verso la mia saggia guida, sentendo pronunciare il nome che sempre riaffiora nella mia mente".

Sorrise come al fanciul si fa ch’è vinto al pome = similitudine (vv. 44-45). Cioè: "sorrise, come si fa con un bambino vinto dalla promessa di una ricompensa".

Gittato mi sarei = anastrofe (v. 50). Cioè: "mi sarei buttato".

Lo dolce padre mio = anastrofe (v. 52). Cioè: "il mio dolce padre".

Che lì era = anastrofe (v. 59). Cioè: "che era lì".

Quali si stanno ruminando manse le capre, state rapide e proterve sovra le cime avante che sien pranse, tacite a l’ombra, mentre che ‘l sol ferve, guardate dal pastor, che ‘n su la verga poggiato s’è e lor di posa serve; e quale il mandrian che fori alberga, lungo il pecuglio suo queto pernotta, guardando perché fiera non lo sperga; tali eravamo tutti e tre allotta, io come capra, ed ei come pastori, fasciati quinci e quindi d’alta grotta = similitudine (vv. 76-87). Cioè: "Come le capre, dopo essere state rapide e ribelli sopra le cime prima di mangiare, se ne stanno mansuete e silenziose a ruminare all'ombra, mentre il sole picchia, custodite dal pastore che si è appoggiato sul bastone e concede loro il riposo; e come il mandriano che passa la notte fuori e pernotta accanto al suo bestiame tranquillo, sorvegliando che nessuna belva lo disperda; così eravamo tutti e tre allora, io simile alla capra ed essi ai pastori, chiusi da entrambi i lati dall'alta roccia".

Più chiare e maggiori = endiadi (v. 90). Cioè: "più grandi e luminose", riferito alle stelle.

Che di foco d’amor par sempre ardente = similitudine (v. 96). Cioè: "che appare sempre ardente d'amore".

Ell’è d’i suoi belli occhi veder vaga com’io de l’addornarmi con le mani; lei lo vedere, e me l’ovrare appaga
= similitudine (vv. 106-108). Cioè: "Lei è desiderosa di vedere i suoi begli occhi, tanto quanto lo sono io di agghindarmi con le mani; lei è appagata dalla contemplazione, io dall'operare".

Quel dolce pome che per tanti rami cercando va la cura de’ mortali = allegoria (vv. 116-117). Per indicare la felicità eterna.

Li occhi belli che, lagrimando, a te venir mi fenno = perifrasi (vv. 136-137). Cioè: "finché non verranno da te i begli occhi che, piangendo, mi spinsero a soccorrerti". Per indicare Beatrice.



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