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Purgatorio Canto 26 - Parafrasi

Appunto di italiano riguardante la parafrasi del canto ventiseiesimo (canto XXVI) del Purgatorio della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Miniatura ritraente Arnaut Daniel

Dante trova tra i lussuriosi Guido Guinizelli, per il quale mostra grande ammirazione; ma questi si schermisce, dicendo che assieme a lui c'è un poeta ben più grande, Arnaldo Daniello, che canta piangendo i propri eccessi di un tempo.

In questa pagina trovate la parafrasi del Canto 26 del Purgatorio. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.



Parafrasi

Mentre procedevamo così lungo il margine esterno della cornice (orlo),
uno davanti all’altro, e spesso il mio buon maestro mi diceva:
«Stai attento: ti sia utile che io ti avverta dei pericoli (ti scaltro)»,
Mi colpiva (feriami, mi feriva) dal lato (omero) destro il sole,
che già diffondendo i suoi raggi, trasformava l’intera parte occidentale
del cielo da azzurrina in bianca; e io facevo apparire
più rosseggiante la fiamma con la mia ombra;
e solo per un indizio così piccolo vidi molte anime,
mentre camminavano, rivolgermi la loro attenzione (poner mente).
Questa fu la causa che diede loro l’occasione
di parlare di me; e tra loro cominciarono a dire:
«Questo non sembra un corpo apparente (fittizio)»;
poi alcuni di essi (certi) si accostarono (si fero) a me,
per quanto potevano avanzare, facendo sempre attenzione (con riguardo)
a non uscire dalle fiamme nelle quali ardevano.
«O tu che procedi dietro agli altri, non perché più lento (tardo),
ma forse in segno di reverenza, rispondi a me
che brucio nella sete (di sapere) e nel fuoco (dell’espiazione).
Né solo a me è necessaria (è uopo) la tua risposta;
poiché tutte queste anime avvertono una sete maggiore
di quanta non ne abbiano d’acqua fresca gli abitanti dell’India o dell’Etiopia.
Dicci come accade che tu impedisca col corpo
il passaggio (fai di te parete) dei raggi del sole,
proprio come se non fossi ancora caduto nella rete della morte».
Così mi diceva uno di essi; e io mi sarei subito (già) presentato,
se la mia attenzione non fosse stata attirata (s’io non fossi atteso)
da un fatto nuovo che apparve in quel momento;
poiché al centro della via invasa dalle fiamme una schiera
di anime venne in senso contrario a quella con cui
parlavo, e tale vista mi rese attento a guardarle con stupore (a rimirar sospeso).
Nel punto in cui s’incontrano (Lì) vedo da entrambe
le schiere tutte le anime (ciascun’om bra)
affrettare il passo e baciarsi reciprocamente senza fermarsi,
contente di questo rapido rito d’amore;
nello stesso modo, all’interno della loro fila scura
una formica avvicina il muso a quello dell’altra,
forse per chieder notizie del cammino e dei frutti del loro lavoro.
Non appena (Tosto che) interrompono (parton) l’incontro amichevole,
prima che abbiano compiuto il primo passo che li allontana da lì,
ciascuna si sforza a gridare più che può: l’ombre
arrivate per ultime: «Sodoma e Gomorra», e le altre:
«Pasife entra nella vacca, perché il giovane toro corra (a soddisfare) la sua lussuria».
Poi come le gru che volano in parte verso
i monti Rifei e in parte verso i deserti (l’arene), per
fuggire (schife, schive) le une il gelo e le altre il sole,
così una delle due schiere di anime si allontana,
e l’altra si avvicina; e ricominciano, piangendo, a
cantare l’inno di prima e a gridare (gli esempi di castità) più convenienti (al loro peccato);
e a me si riavvicinarono quelle stesse anime
che prima mi avevano pregato di parlare,
dimostrandosi (ne’ lor sembianti) interessate ad ascoltarmi.
Io, che per due volte avevo capito ciò
che queste anime gradivano conoscere (lor grato), cominciai:
«O anime sicure di raggiungere, quando sarà il momento,
la condizione di beatitudine (di pace stato), le mie membra
non sono rimaste sulla terra prematuramente (acerbe)
né in età avanzata (mature), ma sono qui con me con il loro sangue e con la loro rete di nervi.
Da qui salgo per riacquistare la luce (della Grazia);
nel cielo c’è una donna che mi procura la grazia
per cui posso portare il mio corpo mortale attraverso l’oltretomba (vostro mondo, il mondo degli spiriti).
Ma augurandovi che (se) possa essere presto
soddisfatto (tosto divegna) il vostro più ardente desiderio,
così che vi accolga il cielo che è pieno d’amore e si estende
senza limiti, ditemi, in modo che io possa scriverne (carte ne verghi),
chi siete voi e chi è quella schiera di anime (turba) che
procede in direzione opposta (di retro) alle vostre spalle (vostri terghi)».
Non diversamente si turba stupefatto (stupido) il montanaro,
e guardandosi intorno ammutolisce (ammuta),
quando rozzo e selvatico entra in città per la prima volta (s’inurba),
così si mostrò nel suo aspetto (paruta) ogni spirito;
ma dopo che si furono liberate (scarche) dello stupore,
che negli animi nobili presto si smorza (s’attuta),
«Beato te, che dalla visita alle nostre contrade (marche)»
ricominciò l’ombra che prima mi aveva rivolto la domanda (m’inchiese)
«immagazzini (imbarche) esperienza, per poi morire in grazia di Dio!
La turba di anime che non cammina nella nostra direzione,
si rese colpevole (offese) di quel peccato per il quale Cesare,
celebrando il trionfo, sentì i soldati chiamarlo per scherno ‘Regina’:
perciò si allontanano gridando ‘Sodoma’,
rinfacciandosi il peccato, come hai udito,
e accrescono l’efficacia della pena (aiutan l’arsura) con la vergogna.
Il nostro peccato fu bisessuale (ermafrodito);
ma poiché non osservammo (servammo) la giusta misura della ragione,
seguendo l’istinto sessuale come bestie,
a titolo di vergogna per noi stessi (in obbrobrio di noi),
quando ci dividiamo ricordiamo gridando il nome di Pasife (colei)
che agì come una bestia dentro i legni lavorati a forma di animale (le ’mbestiate schegge).
Ora sai la ragione del nostro comportamento e di che cosa
fummo colpevoli: se forse vuoi sapere per nome chi siamo,
non è questo il momento per farlo, e non saprei elencarli.
Tuttavia (ben) soddisferò il tuo desiderio (Farotti … volere scemo) di mie notizie:
sono Guido Guinizzelli; e sono già nel Purgatorio,
per essermi pentito prima di giungere in fin di vita (a lo stremo)».
Come i due figli di Isifile, nella disgrazia (tristizia) di Licurgo,
corsero ad abbracciare (si fer … a riveder) la madre,
così mi trovai anch’io, ma non ebbi il coraggio
di giungere a tanto, quando udii presentarsi l’iniziatore
e maestro mio (il padre mio) e degli altri poeti migliori di me
che in ogni tempo (mai) scrissero rime d’amore soavi ed eleganti;
e per molto tempo (lunga fïata) senza ascoltare né
parlare camminai pensieroso, contemplandolo,
ma a causa del fuoco non ebbi il coraggio di avvicinarmi di più.
Quando fui sazio (pasciuto) di contemplarlo,
mi dichiarai pronto ad accontentare ogni suo desiderio,
col giuramento (con l’affermar) che induce gli altri a credere.
Ed egli mi disse: «Tu lasci una tale impronta nella mia memoria
e così intensa (tal vestigio … e tanto chiaro), per quello che ho appena udito,
che il Letè non potrà cancellarla (tòrre) né rendere sbiadita (far bigio).
Ma se le tue parole ora hanno giurato il vero,
dimmi qual è la ragione per cui dimostri con parole
e con sguardi di volermi così bene».
E io dissi a lui: «Le vostre rime dolci, che,
finché durerà la letteratura in volgare (l’uso moderno),
renderanno più preziosi i manoscritti che le conservano (i loro incostri)».
«O fratello», disse, «questo spirito che ti indico (ti cerno) col dito»,
e additò un’anima che camminava davanti a lui,
«fu il più alto artefice nella sua lingua volgare.
Superò (soverchiò) tutti i poeti lirici amorosi e i romanzieri in prosa;
e lascia parlare gli sciocchi (stolti) che ritengono
il poeta del Limosino superiore (ch’avanzi) a lui.
Costoro indirizzano il loro interesse (drizzan li volti)
più alla fama corrente (voce) che alla verità,
e così stabiliscono la loro opinione prima di ascoltare l’arte e la ragione.
Così fecero molti poeti della vecchia generazione con Guittone,
celebrando la sua opera (pur lui dando pregio) di bocca in bocca,
finché, dal confronto con poeti migliori, ha prevalso la verità.
Ora, giacché (se) tu hai un privilegio così alto
che ti consente di andare nel convento (chiostro),
in cui Cristo è l’autorità suprema della comunità (cioè in Paradiso),
recita a lui per me un Padre nostro, fino al punto in cui è utile (quanto bisogna)
a noi anime del Purgatorio (a noi di questo mondo),
dove non abbiamo la possibilità (non è più nostro) di peccare».
Poi, forse per cedere il posto a un altro che lo seguiva (altrui secondo)
e che aveva vicino, sparì attraverso il fuoco
come sparisce nell’acqua il pesce che si dirige verso il fondo.
Io mi accostai un poco (mi fei … innanzi un poco) all’ombra
Che mi aveva additato (al mostrato), e dissi che il mio
desiderio preparava un’accoglienza grata (grazïoso loco) al suo nome.
Egli cominciò senza esitazione a dire:
«Tanto mi piace la vostra cortese domanda, che
io non posso e non voglio celarmi a te.
Io sono Arnaldo, che piango e vado cantando;
afflitto vedo la passata follia (folor), e vedo gioioso
davanti me (denan) il giorno che aspetto con speranza (lo joi qu’esper).
Quindi (Ara) vi prego, in nome di quella Grazia
che vi guida al sommo della scala purgatoriale,
che al tempo opportuno (a temps) vi sovvenga del mio dolore!».
Poi si nascose nel fuoco che purifica (affina) le anime (li).



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