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Purgatorio Canto 4 - Parafrasi

Appunto di italiano riguardante la parafrasi del canto quarto (canto IV) del Purgatorio della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Salita di Dante, illustrazione di Gustave Doré

Tre ore sono trascorse dall'apparizione dell'angelo nocchiero quando Dante e Virgilio, in seguito all'indicazione delle rime degli scomunicati, iniziano la salita lungo uno stretto sentiero, la cui ripidità è tale che solo il grande desiderio di purificazione può aiutare a percorrerlo. Durante l'ascesa Dante può rendersi conto, meglio che non quando si trovava ancora lungo la spiaggia, dell'altezza e dell'asperità del monte del purgatorio: ha un momento di scoraggiamento, dal quale il maestro lo scuote esortandolo a raggiungere un ripiano sul quale potranno riposare. Qui giunti, Virgilio spiega al discepolo perché i raggi del sole nel purgatorio provengono da sinistra, mentre nell'emisfero artico chi guarda verso levante vede il sole salire nel cielo alla sua destra. Ma Dante teme l'altezza del monte e Virgilio lo rassicura: l'ascesa è difficile solo all'inizio, quando si è ancora sotto il peso del peccato, poi si presenterà man mano sempre più facile ed agevole. Non appena il poeta latino termina di parlare, si leva improvvisamente una voce verso la quale i due pellegrini si dirigono, finché si trovano davanti a una grande roccia alla cui ombra giacciono le anime dei negligenti, che, per pigrizia, si pentirono solo all'estremo della vita e che, per questo, devono restare nell'antipurgatorio tanto tempo quanto vissero. Chi ha parlato è il fiorentino Belacqua, che Dante conobbe e con il quale il Poeta stabilisce un affettuoso colloquio finché Virgilio gli ordina di proseguire il cammino.

In questa pagina trovate la parafrasi del Canto 4 del Purgatorio. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.



Parafrasi

Quando per un’impressione piacevole (dilettanze) o dolorosa (doglie),
provata intensamente da una nostra facoltà (virtù) dell’anima,
questa si concentra del tutto in quella facoltà (ad essa),
appare chiaro che l’anima non presta più attenzione (intenda) a nessun’altra funzione (potenza);
e questo prova la falsità della dottrina secondo cui
in noi si formerebbero sovrapposte più anime.
E perciò, quando si vede o si sente una cosa
che trattenga a sé (tegna ... volta) l’attenzione dell’anima,
il tempo passa (vassene) e l’uomo non se ne accorge;
perché una potenza (quella intellettiva) è quella che avverte il tempo (l’ascolta),
mentre un’altra è quella (sensitiva) che avvince l’anima intera:
questa è quasi assorbita e quella è inattiva (sciolta).
Di questo io feci diretta esperienza,
ascoltando quell’animo e meravigliandomi (ammirando);
infatti il sole era salito di ben cinquanta gradi,
e io non me n’ero accorto, quando giungemmo
in un punto in cui quegli spiriti ci gridarono
tutti insieme (ad una): «Questo è il luogo di cui ci avete domandato (dimando)».
Molto più aperto è il buco (aperta) che spesso il contadino riempie (impruna)
con una manciata (forcatella) di spine di pruno
quando l’uva comincia a maturare (imbruna),
che non era il sentiero (calla) attraverso il quale ci inerpicammo (salìne)
soli la mia guida e io al seguito,
appena la schiera di anime se ne fu andata (si partìne).
Si può salire a San Leo e scendere a Noli,
inerpicarsi fino a Bismantova e sul Cacume
con i propri piedi (con esso i piè); ma qui occorre che si (om) voli;
cioè con le ali agili e con le piume
del gran desiderio, seguendo quella guida (condotto)
che mi dava speranza e mi illuminava.
Noi salivamo (salavam) per una roccia scavata
e da ogni lato ci cingeva la parete (stremo)
e il fondo del sentiero (il suol di sotto) richiedeva l’uso delle mani e dei piedi.
Quando fummo sull’orlo superiore dell’alta parete rocciosa (ripa),
in uno scoperto pendio (piaggia), io dissi:
«Maestro mio, quale via sceglieremo?».
Ed egli a me: «Nessun tuo passo devii (caggia);
prosegui sempre a salire (avanza) dietro a me verso il monte,
fino a quando ci apparirà qualche guida (scorta) esperta del luogo (saggia)».
La sommità era così in alto da superare la capacità visiva,
e il pendio molto più ripido (assai superba) di una linea (lista)
che dalla metà di un quadrante vada al centro (una pendenza superiore ai 45°).
Io ero stanco (lasso), quando presi a dire:
«O dolce padre, voltati, e guarda come
resto indietro (rimango sol), se non ti fermi (non restai)».
«Figliuolo mio», disse, «trascinati fin qui»,
indicandomi un ripiano poco più in su,
che dalla parte dove eravamo cingeva tutto il monte (poggio).
Le sue parole mi spronarono tanto,
che io mi sforzai di trascinarmi carponi (carpando) dietro di lui,
finché il balzo (cinghio) non fu sotto i miei piedi.
Lì ci sedemmo entrambi con lo sguardo
rivolto verso oriente, da dove eravamo saliti,
e rivolgersi a guardare cose che di solito agli uomini (altrui) fa piacere guardare.
Dapprima rivolsi lo sguardo in basso verso la spiaggia (liti);
poi lo alzai verso il sole, e mi accorsi con stupore (ammirava)
che i suoi raggi ci colpivano da sinistra.
Virgilio si accorse subito (Ben) che io stavo tutto
stupefatto (stupido) a guardare il sole (carro de la luce),
nel punto dove avanzava fra noi e il settentrione (Aquilone).
Perciò egli mi disse: «Se Castore e Polluce (la costellazione dei Gemelli)
fossero in compagnia del sole (specchio),
che porta la sua luce alternativamente su e giù,
tu vedresti la parte rosseggiante dello zodiaco (Zodïaco rubecchio)
ruotare ancora più vicino alle Orse,
a meno che il sole non deviasse dal suo cammino consueto (cammin vecchio).
Se vuoi poter capire come ciò accada, pensa,
concentrandoti bene (dentro raccolto), che Gerusalemme (Sïòn)
e la montagna del Purgatorio stanno sulla sfera terrestre
in modo tale da avere lo stesso orizzonte e due diversi emisferi;
perciò la strada che Fetonte per sua disgrazia (mal) non seppe percorrere
con il carro (carreggiar), vedrai come è necessario (convien)
che proceda, rispetto al Purgatorio da un lato e,
rispetto a Gerusalemme, da un altro,
se la tua mente pone attenzione con chiarezza (ben chiaro bada)»
«Di certo, maestro mio», dissi, «non ho mai (unquanco)
compreso così chiaramente alcuna cosa,
davanti alla quale (là dove) il mio ingegno pareva insufficiente (manco),
come ora comprendo che il cerchio mediano della rotazione celeste (moto superno),
che in astronomia (in alcun’arte) si chiama Equatore,
e che rimane sempre tra il sole e l’inverno (a metà tra i due tropici),
per il motivo che tu dici, si allontana (si parte) da questo monte (quinci)
verso settentrione, mentre gli Ebrei
lo vedevano allontanarsi verso il sud.
Ma, se ti piace, gradirei sapere quanto abbiamo
ancora da percorrere; poiché il monte (poggio) sale
più di quanto possano salire i miei occhi».
Ed egli a me: «Questa montagna è fatta in modo tale,
che si presenta sempre gravosa quando si intraprende la salita dal basso;
e quanto più si (om) sale, tanto meno è faticosa (men fa male).
Perciò, quando essa ti sembrerà tanto facile,
che il salire ti sarà agevole come per una nave
andare secondando la corrente (seconda),
allora sarai giunto alla fine di questo sentiero;
aspetta di essere lì prima di quietare (riposar) l’ansia.
Più non ti dico, ma questo so che è vero».
E appena egli ebbe pronunciato queste parole,
una voce vicina risuonò: «Forse
prima avrai bisogno (distretta) di sederti!».
Al suono di questa voce tutti e due ci volgemmo (si torse)
e vedemmo a sinistra un grande masso del quale
nessuno di noi si era accorto.
Là ci trascinammo (traemmo), e vi trovammo persone
che stavano all’ombra dietro alla roccia,
atteggiati nella posizione che si assume per negligenza (negghienza).
E uno di loro, che mi sembrava stanco (lasso),
stava seduto abbracciandosi le ginocchia,
e teneva lo sguardo basso, fra di esse.
«O mio dolce signore», io dissi, «osserva (adocchia)
bene quell’anima che sembra più indolente
che se avesse per sorella (serocchia) la stessa pigrizia».
Allora si volse verso di noi e fermò la sua attenzione (puose mente),
muovendo lo sguardo lungo (pur su per) la coscia,
e disse: «Va’ su tu quindi, che sei valido!».
Allora compresi chi era, e quell’ansia
che mi accelerava (avacciava) ancora il respiro (lena),
non mi impedì di andare fino a lui;
e dopo che l’ebbi raggiunto, alzò appena il capo
dicendo: «Hai capito bene perché il sole
splende (il carro mena) dalla parte sinistra?».
La pigrizia dei suoi gesti e le brevi parole
indussero un po’ le mie labbra al sorriso;
poi cominciai: «Belacqua, ormai non mi preoccupo
più per la tua condizione; ma dimmi: perché sei seduto (assiso)
proprio qui (quiritto)? aspetti una scorta,
oppure hai ripreso le vecchie abitudini (lo modo usato)?».
Ed egli: «O fratello, l’andar su a che serve (porta)?
poiché l’angelo di Dio, che sta a guardia della porta,
non mi permetterebbe di andare (ire) a espiare la pena (a’ martìri).
Prima è necessario che io resti fuori per tanti giri del cielo (il ciel m’aggiri),
quanti ne trascorsero in vita,
perché io rimandai (’ndugiai) in punto di morte (al fine) i sospiri di pentimento,
a meno che (se) non mi aiuti (m’aita) (ad abbreviarli)
la preghiera innalzata a Dio (surga sù) da un’anima che abbia la vita (viva) della grazia;
l’altra a che serve, visto che in cielo non è ascoltata?».
E già Virgilio mi precedeva e diceva:
«Vieni ormai: vedi che il sole
è sul meridiano (è mezzo giorno), mentre sulla riva
dell’oceano la notte già si distende fino al Marocco».



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