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Inferno Canto 32 - Parafrasi

Appunto di italiano riguardante la parafrasi del canto trentaduesimo (canto XXXII) dell'Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Dante incontra Bocca degli Abati (Canto XXXII). Illustrazione di Paul Gustave Doré.

Cocito è diviso in zone: nella Caina i traditori dei parenti stanno immersi nel ghiaccio fino al capo, tenuto abbassato; nella Antenora i traditori della patria hanno invece il capo rivolto in alto: tra essi Bocca degli Abati e Gano di Maganza. Dante vede un dannato che rode la testa di un altro, e chiede a Bocca il nome di entrambi.

In questa pagina trovate la parafrasi del Canto 32 dell'Inferno. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.



Parafrasi

Se io possedessi un linguaggio poetico fatto di parole aspre e rauche (chiocce),
come sarebbe necessario per trattare dell’orrenda cavità
su cui premono tutti gli altri cerchi infernali,
esprimerei la sostanza (suco) della mia visione
più compiutamente; ma poiché non lo possiedo,
mi accingo a raccontare non senza paura;
poiché descrivere il fondo di tutto l’universo
non è un’impresa da prendere alla leggera,
né può essere affrontata da un linguaggio che usi termini (semplici) come mamma o babbo.
Vengano dunque in aiuto del mio verso le Muse
che aiutarono Anfione a cingere Tebe (di mura),
cosicché le parole non si allontanino dalla materia.
O anime più di tutte create al male e alla dannazione,
che state nel luogo di cui è arduo parlare,
meglio sarebbe che foste state sulla terra pecore o capre!
Non appena noi fummo giù nel buio fondo del pozzo,
molto più in basso dei piedi del gigante,
e io continuavo a guardare l’alta parete,
mi sentii dire: «Attento (Guarda) a come cammini (passi):
procedi in modo da non calpestare
le teste dei fratelli sciagurati e infelici».
Sicché io mi voltai, e vidi davanti a me
e sotto i miei piedi un lago che a causa del gelo
pareva (avea ... sembiante) di vetro e non d’acqua.
Non formarono mai durante il periodo invernale
nel loro corso una così spessa crosta di ghiaccio
né il Danubio in Austria (Osterlicchi) né il Don sotto il freddo cielo,
come quella lì formata; tanto che se il monte Tambura
o il Pania della Croce vi fossero precipitati,
non avrebbe scricchiolato nemmeno sull’orlo.
E come la rana sta a gracidare
col muso fuori dall’acqua, quando la contadina
sogna di cogliere spighe in abbondanza,
così le ombre dolenti dei dannati stavano, illividite,
confitte nel ghiaccio fino al punto del corpo in cui la vergogna traspare,
e battevano i denti con suono simile a quello prodotto dalle cicogne.
Ognuna teneva il viso volto in basso;
in loro il freddo è testimoniato (testimonianza si procaccia) dalla bocca
e la sofferenza (cor tristo) dagli occhi.
Dopo aver guardato intorno a me per diverso tempo,
piegai lo sguardo verso i piedi, e vidi due dannati così avvinti,
che avevano mescolato insieme i capelli del capo.
«Ditemi, voi che siete così strettamente congiunti per il petto»,
dissi, «chi siete?». Ed essi piegarono il collo (all’indietro);
e dopo aver alzato lo sguardo verso di me,
i loro occhi, che sotto le palpebre erano bagnati,
lasciarono scorrere il pianto fino alle labbra,
e il gelo ghiacciò le lacrime tra gli occhi accecandoli.
Una spranga non strinse mai un pezzo di legno a un altro
così saldamente; per cui essi come due montoni
cozzarono l’uno contro l’altro, tale fu l’ira che li vinse.
E un altro dannato che aveva perduto entrambi gli orecchi
per il gelo, continuando (pur) a stare con la testa abbassata,
disse: «Perché ci guardi fisso come se ti specchiassi?
Se vuoi sapere chi sono i due, (ti dirò che)
la valle da cui scende il Bisenzio appartenne
al loro padre Alberto e a loro stessi.
Furono generati dalla stessa madre;
e potrai cercare per tutta la Caina, ma non troverai un’anima
che meriti più di loro di esser confitta nel ghiaccio (gelatina):
non colui al quale il petto e l’ombra vennero trapassati (rotto)
con un solo colpo (esso un colpo) vibrato dalla mano di Artù;
non Focaccia; non costui che m’impedisce la vista
con il suo capo, cosicché io non riesco a vedere più in là,
e fu chiamato Sassolo Mascheroni;
se tu sei toscano, sai ormai bene chi sia.
E perché tu non mi costringa a far altre parole,
sappi che io fui Camicione de’ Pazzi;
e sono in attesa di Carlino che faccia apparire meno grave la mia onta.
Poi io vidi un gran numero di visi resi lividi (cagnazzi)
dal freddo; per cui mi vengono i brividi (riprezzo),
e sempre mi verranno, per le acque (guazzi) ghiacciate.
E mentre procedevamo verso il centro (lo mezzo)
dove convergono (si rauna) tutti i pesi (gravezza),
e io tremavo nell’eterno gelo (rezzo),
non so se si trattò di mia volontà, di predestinazione
o di caso fortuito, ma, camminando tra le teste,
picchiai con forza il piede nel viso di un dannato (ad una).
Piangendo mi gridò con tono di rimprovero: «Perché mi calpesti?
se tu non vieni ad accrescere la punizione (vendetta)
di Montaperti, perché mi tormenti?».
E io dissi: «Maestro, aspettami qui,
affinché io possa risolvere (esca d’) un dubbio riguardante (per) costui;
poi mi farai quanta (quantunque) fretta vorrai».
La guida si fermò (stette), e io dissi a colui
che aspramente continuava a imprecare:
«Chi sei tu che a questo modo mi (altrui) rimproveri?».
Rispose: «Piuttosto chi sei tu che vai per l’Antenòra,
percuotendo la faccia a me, in modo tale che,
se io fossi vivo, sarebbe (fora) un’ingiuria troppo grave?».
La mia risposta fu: «Io sono vivo, e ti può riuscire gradito,
se desideri essere ricordato nel mondo (dimandi fama),
che io metta il tuo nome nei miei versi».
Ed egli disse a me: «Proprio del contrario ho desiderio.
Levati di qui e non darmi più fastidio,
poiché non valgono le tue lusinghe in questa bassura (lama)!».
Allora lo afferrai per la collottola e dissi:
«Sarà bene che tu dica il tuo nome,
o non ti rimarrà in testa (qui sù) nemmeno un capello».
Per cui egli mi rispose: «Per quanti (Perché) capelli mi strappi,
né ti dirò chi sono, né te lo rivelerò,
anche se mi piombi sul capo (mi tomi) mille volte».
Io avevo già attorcigliato (avvolti) i capelli nella mano
e gliene avevo strappato (tratti) più di una ciocca,
mentre egli guaiva come un cane abbassando gli occhi,
quando un altro dannato gridò: «Che cos’hai, Bocca?
non ti basta battere i denti per il freddo
e devi anche latrare? che diavolo hai (ti tocca)?».
Io dissi: «Ormai non ho più bisogno che tu parli,
traditore maledetto; poiché a tua infamia porterò
nel mondo notizie certe (vere) di te».
Rispose: «Vattene e racconta ciò che vuoi;
ma non tacere, se tu puoi uscire di qui,
di colui che poco fa (or) ebbe la lingua così pronta
Egli sconta qui il denaro (l’argento) ottenuto dai Francesi:
potrai dire ‘Io vidi Buoso da Duera nel luogo
in cui i peccatori patiscono il freddo (stanno freschi)’.
Se ti venisse chiesto ‘Chi altro c’era?’,
sappi che tu hai al tuo fianco Tesauro dei Beccheria
al quale i Fiorentini (Fiorenza) tagliarono la gola (gorgiera).
Credo che più in là vi sia Gianni de’ Soldanieri
e con lui Gano di Maganza e Tebaldello de’ Zambrasi,
che, mentre la gente dormiva, aprì le porte di Faenza».
Ci eravamo già allontanati da lui,
quando vidi due dannati nella stessa buca,
messi in modo tale che il capo di uno ricopriva come un cappello il capo dell’altro;
e con la stessa avidità con cui si mangia il pane quando si ha fame,
così quello che stava sopra addentava l’altro
nel punto in cui il cervello si congiunge (s’aggiugne) con il midollo spinale:
non diversamente da Tideo, che rosicò
per odio la testa di Menalippo,
faceva costui con il cranio e tutto il resto.
Io dissi: «O tu che attraverso un gesto così bestiale
manifesti il tuo odio per colui che stai mangiando,
dimmi il perché, con questo patto (per tal convegno),
che se tu ti duoli con ragione di lui,
venendo a conoscere (sappiendo) chi siete voi e quale sia la sua colpa,
io possa ancora ricompensartene (te ne cangi) sulla terra (nel mondo suso),
se non mi si secchi la lingua con cui parlo».



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