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Purgatorio Canto 5: analisi, commento, figure retoriche

Spiegazione, analisi e commento degli avvenimenti del quinto canto del Purgatorio (Canto V) della Divina Commedia di Dante Alighieri.
La morte di Bonconte da Montefeltro, illustrazione di Gustave Doré

In questo canto Dante e Virgilio si trovano nel secondo balzo dell'Antipurgatorio e incontrano i morti per forza (coloro che sono morti violentemente e hanno peccato sino all'ultima ora). Tra questi ha modo di colloquiare con Iacopo del Cassero, Bonconte da Montefeltro e Pia de' Tolomei.



Analisi del canto

Il canto di Pia de' Tolomei
Dante e Virgilio, che si trovano ancora sulla seconda balza dell'Antipurgatorio, incontrano una nuova schiera di spiriti (i morti di morte violenta) che si sono pentiti solo in fine di vita. Attraverso tre spiriti vengono annunciati i temi principali del canto: si tratta di tre contemporanei di Dante:
  • Jacopo del Cassero: politico di orientamento guelfo;
  • Buonconte da Montefeltro: condottiero ghibellino;
  • Pia de' Tolomei: giovane nobildonna assassinata dal marito.

Il canto viene convenzionalmente dedicato a Pia de' Tolomei, nel quale si accenna alla sua tragica vicenda. Sono sufficienti gli ultimi sette versi del canto a renderla uno dei personaggi più noti della Commedia insieme ad altri due personaggi femminili: Francesca e Piccarda Donati, rispettivamente nel canto V dell'inferno e nel canto III del Paradiso.

Inoltre si ripetono situazioni già vissute nei canti precedenti: i penitenti con un atteggiamento di stupore verso Dante che, essendo ancora in vita nell'aldilà, non viene trapassato dai raggi del sole e la richiesta degli spiriti di essere ricordati nel mondo terreno. 

L'essere avvolto da tanta attenzione da parte degli spiriti penitenti inorgoglisce Dante al punto che Virgilio sente il dovere di richiamarlo per distoglierlo dalle debolezze terrene e lo esorta a rimanere concentrato.


Il tema storico e il tema autobiografico
Dante fornisce una propria versione riguardo la misteriosa scomparsa del corpo di Buonconte dopo la battaglia di Campaldino. Il poeta aveva partecipato tra i «feditori» fiorentini schierati contro gli Aretini guidati da Buonconte, perciò si viene a creare un collegamento tra il tema storico (la battaglia di Campaldino) e il tema autobiografico (Dante che vive questa esperienza in prima persona).


I tre racconti
Dante adotta tre stili diversi per ognuno degli interlocutori: adotta la sintesi con Jacopo, scrive maggiormente di Buonconte anche perché lo ha conosciuto nella vita reale e con Pia adotta uno schema simmetrico ed essenziale (3 versi dedicati alla richiesta di preghiere e 3 versi per narrare la sua storia), forse per mettere in risalto il suo carattere gentile e semplice opposto a quello degli altri due personaggi.




Commento

Due guerrieri e una nobildonna
Il canto procede dalla concitata narrazione di Jacopo del Cossero e Buonconte da Montefeltro, alla chiusa finale rappresentata dalla pacata e soave apparizione di Pia de' Tolomei. Tre sono le anime che parlano con Dante, due guerrieri e una nobildonna senese: tutti morti di morte violenta e pentitisi all'ultimo, dimorano ancora nell'Antipurgatorio, aggrappati alla vita che hanno perduto, ma già volti verso un cammino di salvezza. Jacopo del Cassero narra la sua fine insistendo sul tradimento di chi considerava amico e soffermandosi a descrivere il suo corpo impantanato nel fango. Buonconte da Montefeltro racconta poi perché il suo corpo non sia mai stato trovato dopo la battaglia di Campaldino. La suggestiva storia si lega immancabilmente alla vicenda del padre, Guido da Montefeltro, nel XXVII canto dell'Inferno. Per Buonconte, tuttavia, la situazione è capovolta e, poiché è morto col nome di Maria sulle labbra, ponendo le braccia in croce in segno di piena confidenza in Dio, è l'angelo a vincere sul diavolo e a portare l'anima in Paradiso. Ancora una volta Dante coglie l'occasione per mettere a confronto le ragioni della salvazione eterna con quelle della dannazione. Se è vero che il demonio è loico, Dio, però ha si gran braccia da riuscire a contenere chiunque s'affidi a Lui. È su questo terreno che si apre lo scontro tra il bene e male, e la fissa logicità delle forze demoniache presenta analogie con la rigidità dei comportamenti umani che offuscano l'infinita logica divina: così è accaduto che il pastor di Cosenza disseppellisse, il corpo di Manfredi, incapace di leggere in dio la sua infinita dimensione d'amore.
Entrambi gli episodi del canto V narrano tuttavia della violenza degli uomini e degli agenti atmosferici e su di essi si distende rossa la macchia di sangue sgorgata dai corpi trafitti dei due protagonisti. Ancor più contrastante appare pertanto l'immagine diafana di Pia de' Tolomei. Evanescente, ombra nel regno delle ombre, Pia leva la sua voce flebile per chiedere a Dante di essere ricordata con una preghiera che possa abbreviare il tempo dell'espiazione. La tenerezza di Pia si fissa nella memoria con la sua materna sollecitudine e richiama il Miserere dolce e ansioso dell'inizio del canto, in cui le anime riversano tutta la sincera consapevolezza della loro colpa ma anche la riconoscenza per un perdono gratuito e gioioso, frutto della bontà divina.
Nelle parole di queste anime non c'è né odio né disprezzo e non ci potrebbe essere in chi ha letto in Dio il volto della misericordia. Pia, ad esempio, di suo marito che la uccise, ricorda solo il momento in cui egli l'ha sposata con la sua gemma: rimossa l'immagine dell'assassino, resta soltanto quella dello sposo nel giorno delle nozze.



Le figure retoriche

Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del quinto canto del Purgatorio. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 5 del Purgatorio.


Ve’ = apocope (v. 4). Cioè: "vedi".

E come vivo par che si conduca = similitudine (v. 6). Cioè: "e come un vivo sembra che cammini".

Pur me, pur me = anadiplosi (v. 9).

Sta come torre ferma, che non crolla già mai la cima per soffiar di venti = similitudine (vv. 14-15). Cioè: "sta come una torre salda, immobile", per indicare la saldezza d'animo.

Non crolla / già mai = enjambement (vv. 14-15).

La foga l’un de l’altro insolla = iperbato (v. 18). Cioè: "perché la forza dell'uno indebolisce quella dell'altro".

Del color consperso = anastrofe (v. 20). Cioè: "cosparso del colore".

Di perdon talvolta degno = iperbato (v. 21). Cioè: "degno di essere perdonato".

Non dava loco / per lo mio corpo = enjambement (vv- 25-26).

In forma di messaggi = metonimia (v. 28). Cioè: "in qualità di messaggeri".

Vapori accesi non vid’io sì tosto di prima notte mai fender sereno, né, sol calando, nuvole d’agosto, che color non tornasser suso in meno; e, giunti là = similitudine (vv. 37-40). Cioè: "Io vidi mai stelle cadenti fendere il cielo sereno all'inizio della notte, né lampi squarciare le nuvole d'agosto al calar del sole, tanto rapidamente quanto quelle anime tornarono in alto".

Con li altri a noi dier volta come schiera che scorre sanza freno = similitudine (v. 42). Cioè: "corsero verso di noi con le altre come una schiera sfrenata".

O anima che vai per esser lieta con quelle membra con le quai nascesti = perifrasi (vv. 46-47). Per indicare Dante, cioè: "O anima che vai per raggiungere la beatitudine, con lo stesso corpo con cui sei nato".

Fora di vita = enjambement (vv. 55-56).

S’a voi piace / cosa = enjambement (vv. 59-60).

Del beneficio tuo = anastrofe (v. 65). Cioè: "della tua promessa".

Fatti mi fuoro = anastrofe (v. 75). Cioè: "mi sono stati fatti, inferti".

Quel da Esti il fé far che m’avea in ira assai più là che dritto non volea = perifrasi (v. 77). Per indicare Azzo VIII d'Este.

Ancor sarei = anastrofe (v. 81). Cioè: "sarei ancora".

De le mie vene farsi in terra laco = iperbole (v. 84). Cioè: "il mio sangue formò in terra un lago (di sangue)".

Quel disio / si compia = enjambement (vv. 85-86).

Con bassa fronte = metonimia (v. 90). Cioè: "con vergogna".

Qual ventura / ti traviò = enjambement (vv. 91-92).

Un’acqua = sineddoche (v. 95). Per indicare il fiume.

Là ‘ve ‘l vocabol suo diventa vano = perifrasi (v. 97). Cioè: "nel punto dove si getta nell'Arno e perde il suo nome", per indicare la foce del fiume.

Quivi caddi = enjambement (vv. 101-102).

Quel d’inferno / gridava = enjambement (vv. 104-105).

Si raccoglie / quell’umido = enjambement (vv. 109-110).

Giunse quel mal voler che pur mal chiede con lo ‘ntelletto = perifrasi (vv. 112-113). Per indicare l'angelo dell'inferno.

Coperse di nebbia = enjambement (vv. 116-117).

Veloce si ruinò = enjambement (vv. 122-123).

Sospinse ne l’Arno = enjambement (vv. 125-126).

Mi coperse e cinse = endiadi (v. 129). Cioè: "mi coprì e avvolse".

Siena mi fé, disfecemi Maremma = chiasmo (v. 134). Cioè: "nacqui a Siena e fui uccisa in Maremma".

Colui che ‘nnanellata pria disposando m’avea con la sua gemma = perifrasi (vv. 135-135). Per indicare il marito di Pia.

Gemma = sineddoche (v. 136). La parte per il tutto, per indicare l’anello.



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